Treno
di Romano Vecchiet, già Dirigente del Servizio Integrato Musei e Biblioteche del Comune di Udine

 

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In Tabucchi il treno è una presenza importante, anche se non costante e di certo non ossessiva nella sua narrativa. I raffinati "omaggi" che lo scrittore toscano occasionalmente tributa al treno sono memorabili, particolarissimi e del tutto inediti nella loro messa in scena, anche se piuttosto rari nell'insieme della sua opera narrativa, dove prevalgono - se rimaniamo ancorati al tema della mobilità - altre modalità di trasporto (l'automobile, declinata spesso nei suoi più prestigiosi marchi e modelli, e la navigazione per mare) che riscuotono una partecipazione e una simpatia immediata di certo maggiori di quanto Tabucchi non riservi al treno. Basterebbe ricordare di passata la favolosa automobile appartenuta a Proust, oggetto di una tesi di laurea di un personaggio tabucchiano, o la metafora vita/automobile, o la gara di rally tra auto d'epoca lungo la stretta costiera presso Biarritz con la mitica Bugatti Royale (Rebus, in Piccoli equivoci senza importanza) o una Chevrolet nera che fa la sua comparsa in Sostiene Pereira e riappare anche ne La testa perduta di Damasceno Monteiro. E, sul fronte delle navi e del mare, come non ricordare che la letteratura portoghese - lo dice Tabucchi stesso - è «marittima come poche altre, popolata di viaggi e avventure oceaniche» (Viaggi e altri viaggi 186) e che tali ambientazioni si rifletteranno inevitabilmente nella sua narrativa, ricca di «luminosità marina, movimenti di brezze e improvvisi vuoti prodotti da profondità misteriose» (Ceserani, Rassegna di narrativa 179). O come non riandare al suggestivo villaggio dell'isola di Flores nelle Azzorre costruito come un insieme di prue di vascelli in Donna di Porto Pim? O i transatlantici per il Sud America, desiderati da Sara, in Il filo dell'orizzonte? Invano cercheremmo in Viaggi e altri viaggi, da parte di un autore che apertamente ammette di aver viaggiato tanto nell'arco della sua vita, qualche cammeo sul treno o su un particolare viaggio in treno, se si eccettuano i rapidi cenni sulla bellezza architettonica della stazione di Washington. Non a caso Remo Ceserani, in Treni di carta, uscito nel 1993, non ricorda Tabucchi come scrittore specificatamente "ferroviario", anche se poi viene citato, sviluppando una fondamentale riflessione che poi in conclusione riprenderemo, con Baricco, Coover e Mark Helprin nell'Introduzione a Strade ferrate del 1995 (31).
Ma qual era la situazione del trasporto su ferro negli anni Sessanta del Novecento, quando Tabucchi, poco più che ventenne, decise di raggiungere per la prima volta Lisbona nel 1965? Vi giunse a bordo di una piccola utilitaria, una traballante Fiat 500, come sappiamo, non in treno. Se l'avesse fatto in quell'anno, avrebbe impiegato, partendo da Pisa, più di 51 ore di viaggio, compresa una lunghissima sosta alla stazione di Irun, tra Francia e Spagna, senza nemmeno la comodità di un vagone letto: quel confort tanto apprezzato da Pirandello che 34 anni prima (lo raccontava a Marta Abba in una lettera affettuosa e dettagliatissima) raggiunse Lisbona in treno da Parigi per partecipare al Congresso internazionale della critica. Pirandello impiegò quasi lo stesso tempo, ma viaggiando molto più comodamente di quanto avrebbe viaggiato Tabucchi («ho avuto il mio singolo in una bella vettura-letto di nuovo modello e mi son potuto coricare»).
In un contesto dove l'alta velocità e i corridoi transeuropei non erano stati ancora concepiti e le compagnie ferroviarie, mal supportate da aiuti statali, si arrabattavano cercando di offrire un servizio poco più che decente per far quadrare i propri bilanci, con i biglietti "Interrail" non ancora inventati, creati per far conoscere l'Europa ai giovani di allora, e i viaggi aerei rari ed eccessivamente costosi, Tabucchi, nel suo primissimo e fondamentale viaggio a Lisbona, come si evince dalla biografia del suo sito ufficiale, non poteva che preferire la propria utilitaria. Insomma, il treno era un mezzo ormai superato, ancora lontano da quei meriti ecosostenibili di cui oggi giustamente si ammanta, che proprio in quegli anni stava lasciando il passo all'automobile e vedeva sopprimere molte linee locali, i cosiddetti "rami secchi", non solo in Italia. Tutt'al più, un mezzo da usarsi sporadicamente, solo laddove il servizio fosse stato veloce e frequente.
Il treno, assente in molte situazioni dove ci aspetteremmo ci fosse, quando non è rappresentato in una cornice di obsolescenza e marcata dismissione (i vecchi binari fuori uso di un deposito merci abbandonato in Isole, nella raccolta Piccoli equivoci senza importanza), è presente invece con forza come elemento mitico (l'Orient-Express «esercita il suo fascino anche sugli intellettuali più snob come noi non ci consideravamo magari essendolo», nel capitolo Libri mai scritti, viaggi mai fatti, in Si sta facendo sempre più tardi 138), esotico e magico (Notturno indiano e I treni che vanno a Madras, quest'ultimo nella raccolta Piccoli equivoci senza importanza), lontano nel tempo - il treno del Far West evocato in Piazza d'Italia da Garibaldo, emigrato in America, con una locomotiva che nella notte «spruzzava inchiostro come una seppia» (40), o quelli utilizzati per la partenza dei coscritti al fronte, sempre nello stesso romanzo, che paiono, come sottolinea Agnès Morini, «la représentation-type du départ des troupes laissée par tous les témoignages documentaires et filmiques sur la premièr guerre mondiale» (25): «addio mia bella addio, tentò di cantare qualcuno dal finestrino. Gavure, arrivato all'ultimo momento per salutarlo, un po' sventolava il fazzoletto, un po' ci si asciugava le lacrime, mentre il treno si allontanava lungo la scarpata» (Piazza d'Italia 61) - sognato e immaginato, più che concreto e reale (la locomotiva rivoluzionaria di Majakovskij, o il treno delle 8:05 preso da Pessoa per raggiungere Santarem, che lo porterà, in sogno, fino in Sud Africa, entrambi rintracciabili in Sogni di sogni). Anche il treno dell'infanzia di Tabucchi, il Pisa-Firenze, preso all'alba assieme allo zio, è un vago ricordo, che ha il sapore di un semplice panino mangiato guardando sfilare il paesaggio dal finestrino, nulla di più (Il treno per Firenze, in Viaggi e altri viaggi). Spesso la descrizione del viaggio si esaurisce nell'attesa del treno, negli incontri casuali che si consumano in una sala d'aspetto di una piccola stazione di provincia per i ritardi causati da un'interruzione di linea (Staccia buratta, nella raccolta L'angelo nero) o, al contrario, in incontri disattesi nonostante il treno avesse portato puntualmente il protagonista alla stazione di Grosseto, dove avrebbe dovuto attenderlo Alice (Il gatto dello Cheshire, in Il gioco del rovescio). Come se, a differenza di altri mezzi di trasporto, in specie l'automobile, per il suo particolare carattere pubblico, il treno favorisse ogni tipo di incontro e, anche quando al suo interno è letteralmente deserto, permettesse un'improvvisata conversazione - per quanto infiocchettata di spassosi luoghi comuni - con un ferroviere ciarliero, il "Controllore del Treno", impegnato a risolvere i banali quesiti di un cruciverba («Voler bene in prima persona ma anche uncino, disse il Controllore del Treno, ha idea di cosa possa essere?», in Requiem 83). Certo, molto spesso lo scompartimento o il vagone ristorante sono le ambientazioni preferite e perfette per lo svolgimento di dialoghi in cui Tabucchi si diverte a infilare le ovvietà più scontate, in un rapido succedersi di constatazioni pacificanti che hanno la sola funzione di sconfiggere la noia e il silenzio che avrebbero imbavagliato i viaggiatori. È il caso del racconto eponimo de Il gioco del rovescio, dove si assiste all'amabile conversare tra il protagonista - improvvisamente chiamato a raggiungere Lisbona da Madrid per dare l'ultimo saluto a una donna misteriosa, Maria do Carmo, scomparsa poche ore prima - e uno sconosciuto viaggiatore spagnolo, «cerimonioso e gioviale» (Il gioco del rovescio 16), anch'egli a bordo del Lusitânia-Express, unico treno notturno che collega le due capitali iberiche:

«La vita è una sola, disse, bisogna saperla vivere caro signore. Non gli chiesi come faceva nel suo caso, e parlammo d'altro, di sport mi pare, lui adorava lo sci, la montagna, il Portogallo era proprio infrequentabile sotto questo punto di vista [...]. Il cameriere ci servì il caffè su un vassoio sfavillante, aveva una faccia insonnolita, faccio un'eccezione per i signori perché queste non sono ore per il wagonrestaurant, fanno venti scudi. Nonostante tutto i portoghesi sono gentili, disse il mio compagno di viaggio. Perché nonostante tutto, dissi io, sono gentili, siamo giusti...» (Il gioco del rovescio 16, 18).

In altri casi la conversazione in treno si fa più profonda e colta, ed è realmente funzionale all'evolversi della storia, ben al di là di un divertito intermezzo, come nel racconto I treni che vanno a Madras contenuto in Piccoli equivoci senza importanza. Tutto ha inizio da una scelta, perché il lungo viaggio in treno da Bombay a Madras - viene chiarito subito - può essere fatto più comodamente e velocemente in aereo. Ma una guida turistica, letta dall'io narrante per programmarne il viaggio, specifica il perché di una scelta diversa:

«Con l'aereo, diceva [la guida], farete un viaggio comodo e rapido, ma salterete l'India dei villaggi e dei paesaggi indimenticabili. Con i treni di lunga percorrenza vi sottoporrete al rischio di soste fuori programma e potrete anche arrivare un giorno più tardi del previsto, ma vedrete la vera India. Però, se avrete la fortuna di prendere il treno giusto sarà puntualissimo e confortevole, avrete cibo eccellente e un servizio perfetto, e un biglietto di prima classe vi costerà meno della metà di un biglietto aereo. E poi non dimenticate che sui treni indiani si possono fare gli incontri più imprevedibili» (Piccoli equivoci senza importanza 107-108).

Le previsioni più fortunate espresse dalla guida si avverano tutte («Avevo attraversato paesaggi di rara bellezza, o comunque indimenticabili per l'umanità che avevo visto; il vagone era di un conforto eccezionale, l'aria condizionata gradevole, il servizio impeccabile», Piccoli equivoci senza importanza 108); e anche l'incontro che l'io narrante farà di un viaggiatore europeo prima in cabina letto e poi, approfondendone la conoscenza, in vagone ristorante, non deluderà, per così dire, le attese: tutt'altro. L'uomo si rivelerà coltissimo e amabilmente cordiale, ma più di un indizio (l'assoluta coincidenza di certe sue espressioni sulle modalità del viaggio con le parole usate dalla guida; il nome letterario, Peter Schlemihl, registrato sul suo passaporto, e foriero di rimandi intertestuali non solo a Chamisso, ma anche ad Alberto Savinio, come ricorda Stefano Lazzarin, 108) riveleranno all'io narrante che l'identità di quel passeggero incontrato sul treno e le motivazioni del suo viaggio sono alquanto ambigue e misteriose. L'epilogo del racconto, un omicidio premeditato da tempo ai danni di un ufficiale medico nazista, non offuscherà le motivazioni di quella scelta ferroviaria che accomuna i due viaggiatori, perché protrarrà il più a lungo possibile, anziché «bruciarla nel breve spazio di un viaggio aereo» (111), una non meglio identificata e tenue speranza.
E sempre nella sottosezione degli "incontri ferroviari", non possiamo non ricordare un determinante incontro tra il più celebre personaggio dei romanzi tabucchiani, il dottor Pereira in Sostiene Pereira, con Ingeborg Delgado, una donna ebrea «bella, bionda, elegante» (82), notata subito dal protagonista perché legge in lingua tedesca un libro di Thomas Mann in uno scompartimento dell'espresso delle 12:30 Coimbra-Lisbona. L'incontro vero e proprio si sviluppa però nella carrozza ristorante, dove Pereira invita la donna, e scivola ben presto in una conversazione sulle penose condizioni di vita del Portogallo salazariano. Ingeborg sprona Pereira, che aveva svelato il suo mestiere di giornalista della pagina culturale del «Lisboa», perché «faccia qualcosa» (84). Il paesaggio "dolce" che scorre dal finestrino, con «colline verdi di pini e villaggi bianchi» (84), ricche di vigne con «qualche contadino, come un puntino nero, che adornava il paesaggio» (84), contrasta nella sua bellezza con quanto da tempo stava succedendo in quel Paese, e il breve dialogo fra i due passeggeri turberà Pereira, che in quel "fare qualcosa" capirà finalmente che fare opposizione silenziosa non può più bastare.
Un vero racconto ferroviario presente ancora in Piccoli equivoci senza importanza si intitola Cinema, ed è tutto giocato sull'alternanza di momenti di finzione (che però in un primo tempo non si palesano come tali) che ricreano una delicata operazione partigiana lungo la riviera ligure, con l'arrivo di un treno in una piccola ma indimenticabile stazione e la consegna di alcuni documenti segreti dalle mani di un partigiano (Eddie) a quelle di una donna, un'attrice di avanspettacolo (Elsa), e lacerti di realtà di un set cinematografico, dove vengono ricreate e più volte ripetute la stesse scene. Il clima ferroviario, soprattutto quello dovuto all'ambientazione della piccola stazione con i suoi cerimoniali fatti di sventolii di bandiere e di campanelli che dapprima trillano e poi smettono di trillare quando il treno si appresta a impegnare gli scambi della stazione, è sapientemente ricreato; ma anche i ripetuti arrivi dei treni, lo sbuffare delle locomotive e il tipico stridio dei freni prima dell'arresto in stazione, nelle loro descrizioni, sia che ci si addentri nella finzione della ricostruzione storica, sia che si guardi alla realtà del set, assumono toni molto realistici, soprattutto quando i due livelli si confondono e i due attori protagonisti mescolano alle battute del copione quelle che spontaneamente sono ormai portati a dire, trascinati da una love story di nuovo sbocciata e confidando nel doppiaggio che avrebbe sostituito definitivamente le loro espressioni più improprie, quelle che prepotentemente non potevano che accompagnare l'addio alla partenza del treno:

«La piccola stazione era quasi deserta. Era una piccola stazione di una località della riviera, con palme e piante di agave vicino alle panchine di legno. All'inizio, oltre il cancello di ferro battuto, c'era una strada che conduceva all'abitato; in fondo, una scalinata di pietra scendeva fino alla spiaggia. Dallo stanzino di vetro con il quadro dei comandi si affacciò il capostazione e camminò sotto la pensilina, fino ai binari. Era un ometto grasso coi baffi. Accese una sigaretta e guardò dubbioso il cielo carico di nuvole. Sporse una mano oltre la pensilina per sentire se cominciava a piovere, poi fece dietrofront e infilò le mani in tasca con aria assorta. [...] Il capostazione guardò da una parte e dall'altra dei binari, il campanello dell'annuncio dei treni cominciò a suonare e lui rientrò nel suo stanzino. [...] Il treno si fermò bruscamente con uno stridio di ruote e sbuffi di vapore. [...] Il capostazione arrivò trascinando la bandierina per terra, guardandosi le scarpe. "Si parte," disse con filosofia come chi la sa lunga, e sventolò la bandiera. Il treno fischiò. Le ragazze tornarono a sedersi. Solo Elsa rimase al finestrino. Si era pettinata i capelli all'indietro e aveva gli occhi lucidi. Fu in quel momento che Eddie si alzò e andò sotto il finestrino. "Addio Eddie", mormorò Elsa, e gli tese la mano. "Ci rivedremo in un altro film?" chiese lui. [...] "Fermo l'azione?" chiese il ciak. "No", disse il regista, "tanto questo lo doppiamo". E poi gridò nel megafono: "Cammini, il treno si sta muovendo, aumenti l'andatura, l'accompagni lungo il marciapiede, tenga la mano di lei!". Il treno si mise in movimento e Eddie eseguì aumentando l'andatura finché poté reggergli accanto, poi il treno aumentò di velocità e si curvò per imboccare lo scambio» (131, 146, 149).

Ci sarebbero molti altri riferimenti ferroviari sparsi a piccole dosi nella narrativa di Tabucchi, che qui per motivi di spazio si è costretti a escludere. Non si può però non ricordare un personaggio di La testa perduta di Damasceno Monteiro, l'eclettico e dotto avvocato Don Fernando, che confessa al protagonista Firmino la sua passione per gli orari ferroviari, con particolare predilezione per quelli svizzeri: è in grado di ricordare a memoria le partenze di tutti i treni notturni da Zurigo verso le principali città d'Europa, con tutte le relative coincidenze. Treni, non occorre precisarlo, mai presi effettivamente, su cui non si è mai viaggiato, né per di più utilizzabili, perché gli orari erano ampiamente scaduti, ma memorizzati a tal punto da apparire più veri di sempre. E, infine, come non ricordare i gioiosi momenti di vita famigliare vissuti nei primi anni Cinquanta all'interno di un minuscolo casello della Roma-Genova (Lettera da Casablanca, raccolto ne Il gioco del rovescio), spassoso per l'ingenuità espressa dalla casellante che si mette a scrivere una patetica petizione nientemeno che al Ministro dei Trasporti in persona, per implorarlo di non tagliare una palma nata spontaneamente nel giardinetto del casello, tra i pochi elementi di svago per i suoi figli, ma che ha il difetto di essere cresciuta troppo vicino alla linea e di precludere perciò la vista dei segnali ai macchinisti.
Sì, Tabucchi del treno non era certamente dominato dall'elemento perturbante, tipico della letteratura ottocentesca e così bene analizzato da Remo Ceserani, anche se in alcune pagine, come in I treni che vanno a Madras, fa capolino un personaggio perturbante, Peter Schlemihl. Si cambia di passo: il treno diventa una presenza abituale, da convoglio suburbano e metropolitano che si prende ogni giorno, «parte integrante di una zona protetta e privilegiata dell'immaginario, nutrita di ricordi letterari e cinematografici» (Ceserani, Introduzione 31), mantenendo a volte il suo fascino esotico, come avviene per quel mitico "Orient Express" che Tabucchi fa arrivare erroneamente (ma nella finzione del racconto di un viaggio mai fatto tutto può succedere) fino a Samarcanda. È come se Tabucchi, che tende a non domandarsi più se far preferire ai suoi personaggi l'uso del treno all'automobile, del treno all'aereo, del treno alla nave, riservasse poi al treno numerose, ricercate e nobili eccezioni, amalgamandole sempre tra realtà e finzione, fra autobiografia e rapporto intenso, "pirandelliano" con i suoi personaggi, come Ceserani acutamente aveva osservato. Un rispetto dovuto indubbiamente al fascino antico che il treno sa sfoderare nelle occasioni più insolite, quando non ci aspetteremmo di trovarlo.

 

  • Antonio Tabucchi.it, Il sito ufficiale dedicato allo scrittore, <http://www.antoniotabucchi.it/biografia/cronologia-della-vita.html>.
  • Ceserani, Remo - Rassegna di narrativa, in «Nuova corrente», a. 33, n. 97, gennaio-giugno 1986, pp. 165-196.
  • Id. - Treni di carta. L'immaginario in ferrovia: l'irruzione del treno nella letteratura moderna, Genova, Marietti, 1993.
  • Id. - Introduzione in P. Pellini, M. Polacco, P. Zanotti, Strade ferrate. La tematica del treno e della ferrovia nei testi di Jules Verne, Gabriele d'Annunzio, Gabriel García Márquez e parecchi altri scrittori, Pisa, Nistri-Lischi, 1995, pp. 7-34.
  • Id. -Sulle curiosità intellettuali di Tabucchi e i suoi modelli, non solo letterari, in Adamastor e dintorni. In ricordo di Antonio Tabucchi. Con un frammento inedito, a cura di V. Tocco, Pisa, ETS, 2013, pp. 57-69.
  • de Lancastre, Maria José - Con un sogno nel bagaglio. Un viaggio di Pirandello in Portogallo, Palermo, Sellerio, 2006.
  • Lazzarin, Stefano - Fantasmi antichi e moderni. Tecnologia e perturbante in Buzzati e nella letteratura fantastica otto-novecentesca, Pisa-Roma, Fabrizio Serra, 2008.
  • Morini, Agnès - Les trains d'Antonio Tabucchi, in Antonio Tabucchi narratore, atti della giornata di studi (17 novembre 2006), a cura di S. Contarini e P. Grossi, Parigi, Istituto Italiano di Cultura, 2007, pp. 25-42.
  • Tabucchi, Antonio - Piazza d'Italia (1975), Milano, Feltrinelli, 2021.
  • Id. - Il gioco del rovescio (1981), Milano, Feltrinelli, 2021.
  • Id. - Donna di Porto Pim (1983), Palermo, Sellerio, 2017.
  • Id. - Notturno indiano (1984), Palermo, Sellerio, 1984.
  • Id. - Il filo dell'orizzonte (1986), Milano, Feltrinelli, 2022.
  • Id. - Piccoli equivoci senza importanza (1985), Milano, Feltrinelli, 1988.
  • Id. - L'angelo nero (1991), Milano, Feltrinelli, 2012.
  • Id. - Requiem (1992), Milano, Feltrinelli, 1992.
  • Id. - Sogni di sogni (1992), Palermo, Sellerio, 2020.
  • Id. - Sostiene Pereira (1994), Milano, Feltrinelli, 2021.
  • Id. - La testa perduta di Damasceno Monteiro (1997), Milano, Feltrinelli, 2022.
  • Id. - Si sta facendo sempre più tardi. Romanzo in forma di lettere (2001), Milano, Feltrinelli, 2021.
  • Id. - Viaggi e altri viaggi, a cura di Paolo Di Paolo (2010), Milano, Feltrinelli, 2010.

 

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