Lisbona
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Nelle lettere di Remo Ceserani inviate ad Antonio Tabucchi (consultate grazie alla disponibilità di Maria José de Lancastre; cfr. anche Pinton) non si ritrovano descrizioni, riflessioni o ricordi legati alla capitale portoghese. Soltanto nell'ultima lettera, datata 10 dicembre 2011, Lisbona viene definita «dolce», mentre qualche mese più tardi, nell'articolo apparso su «il manifesto» poco dopo la scomparsa dello scrittore, alla dolcezza si aggiungerà la malinconia: «Antonio Tabucchi ha lasciato la comunità di noi mortali nella sua malinconica, amatissima Lisbona» (Tabucchi. Eresie corrosive).
La capitale portoghese, nei due aggettivi utilizzati dallo studioso, si fa così emblema di un contraddittorio stato di spirito che facilmente richiama la saudade, tema centrale di un'altra famosa lettera (Domenichelli 347-354), questa volta di Tabucchi a Ceserani, in cui lo scrittore si addentra nel «tentativo dissennato» (Ibid) di definizione di una «parola indefinibile» (Ibid) e che nella sua presunta intraducibilità conterrebbe l'essenza storico-metafisica di un intero paese. Seppur di difficile traduzione, la saudade "di" Antonio Tabucchi può essere praticata e sperimentata da tutti, e in questo senso Lisbona si presenta, fin dai Volatili del Beato Angelico (1987), come il presupposto fenomenologico necessario alla sua pratica cosciente, resa possibile da una geografia fatta di altezze, lontananze e territori di confine.
«La municipalità di Lisbona, da sempre, ha disposto sedie pubbliche nei luoghi deputati della città: i moli del porto, i belvedere, i giardini dai quali si domina la linea del mare. Molte persone vi seggono. Tacciono, guardano lontano. Cosa fanno? Stanno praticando la Saudade» (Tabucchi, Opere 894).
La città miticamente fondata da Ulisse, presenza costante nell'opera letteraria e nella biografia di Tabucchi - come tema, metafora, luogo geografico , e sicuramente elemento spesso fondante della «scrittura della nostalgia» (Conti) e dei suoi personaggi - verrà sempre presentata attraverso un "filtro pessoano", lo stesso applicato, per l'appunto, al concetto di saudade, come apertamente dichiarato nel racconto Il gioco del rovescio del 1981 («La Saudade, diceva Maria do Carmo, non è una parola, è una categoria dello spirito, solo i portoghesi riescono a sentirla, perché hanno questa parola per dire che ce l'hanno, lo ha detto un grande poeta. E allora cominciava a parlare di Fernando Pessoa». 318). In questo testo Pessoa è presentato come il più grande «poeta del rovescio, [...] perché ha capito il risvolto delle cose, del reale e dell'immaginato» (319), e Lisbona diventa dunque anch'essa, qui come altrove, la rappresentazione iconografica del rovescio che c'è nella vita, mentre la sua immagine sorge attraverso un itinerario condotto in luoghi pessoani in cui «in poche strade [si passa] da un eteronimo all'altro» (319). Lisbona con Pessoa entra prepotentemente nella letteratura del XX secolo come città-simbolo (Cfr. 1329 e de Lancastre): è una città che si specchia sull'acqua, e i suoi moli, luoghi pessoani per eccellenza, spazi in cui la nostalgia di un passato perduto o di un futuro possibile si confondono, ben raffigurano quella «zona franca», quel «terrain vague» con cui lo stesso Tabucchi definisce l'invenzione eteronimica («Eteronomia intesa non tanto come metaforico camerino di teatro in cui l'attore Pessoa si nasconde per assumere i suoi travestimenti letterario-stilistici; ma proprio come zona franca, come terrain vague, come linea magica varcando la quale Pessoa diventò altro da sé, senza cessare di essere se stesso». Tabucchi, Un baule pieno di gente 7-8).
L'acqua, il riflesso e la luce sono elementi che ritornano anche nella Lisbona baudeleriana di Anywhere out of the world (1985). La «città bianca fatta di marmo a fior d'acqua» (Tabucchi, Opere 694) è presentata qui sotto il segno del rimorso e dello spleen, diventando in Notte Mare o Distanza (1991) lo specchio della paralizzante realtà della dittatura salazarista. Lisbona, nell'opera dello scrittore di Vecchiano, si profila da qui in avanti come la città della colpa, una colpa che è ancora indefinita, ma dove personaggi di finzione e ricordi di persone reali si rincorrono e si intrecciano in tante storie diverse, in un gioco spesso pirandelliano (Ceserani, L'occhio della Medusa 269).
La colpa diventa il tema centrale di Requiem (1991), e Lisbona uno dei suoi protagonisti, non soltanto perché il romanzo è un chiaro omaggio alla patria adottiva dello scrittore, ma anche perché essa diventa il paesaggio letterario che renderà possibili le due grandi "orazioni" in cui parabola letteraria e autobiografica si sovrappongono. Requiem costituisce l'opera in cui il legame inestricabile tra lingua portoghese, Fernando Pessoa e città di Lisbona si palesa concretamente nella lingua "altra" scelta per il romanzo, definito da Ceserani come «uno dei punti più alti della produzione narrativa di Tabucchi» (269), probabilmente anche a causa del "mistilinguismo" che lo caratterizza, tema caro sia al critico che allo scrittore (cfr. Jansen). La storia di Requiem, per esistere, ha bisogno del portoghese, di una lingua che sia «un luogo di affetto e di riflessione» (Tabucchi, Opere 1009) e che permetta di accedere allo stato allucinatorio in cui unicamente può darsi l'incontro con i diversi "fantasmi", della memoria o della letteratura, che il protagonista incontrerà sul suo cammino.
La città, e la sua ormai celebre Rua da Saudade, tornerà ad essere lo scenario di Sostiene Pereira, e in parte di La testa perduta di Damasceno Monteiro. Ma in Requiem ai procedimenti descrittivi viene preferito un incalzare di nomi di strade, piazze e località, che invece di orientare il lettore, costruiscono - con salti temporali e spaziali - una città fantasma che «non risponde a nessuna logica topografica» (563). L'itinerario pessoano - o per meglio dire soaresiano, dato il filo diretto che lega il romanzo a Il libro dell'inquietudine di Bernando Soares - che il protagonista compierà per accomiatarsi dai due padri (quello reale e quello letterario), verrà fagocitato da quello tabucchiano, da rimandi intertestuali con opere anteriori e posteriori e da riferimenti autobiografici.
Lisbona si configura così come un labirinto in continua espansione e che si può innalzare a grande metafora della realtà "secondo Tabucchi", fatta di appuntamenti mancati, equivoci, rovesci, casualità e in cui la scrittura può soltanto tradurre l'assenza di senso delle cose. La capitale portoghese, reale patria biografica scelta da Tabucchi, diventa quindi il luogo ideale in cui «mettere in scena il dubbio ontologico della conoscibilità di ciò che avviene in noi e nel mondo in cui viviamo» (Ceserani, Raccontare il postmoderno 203) e che Pessoa "risolverà" con il lemma «sentire tutto in tutte le maniere» (Il passaggio delle ore 129).
Bollettino '900 - Electronic Journal of '900 Italian Literature - © 2023
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gennaio-maggio 2023, n. 1-2