Parole, immagini, dettagli. A proposito di alcune recenti opere di Antonio Tabucchi, Antonella Anedda e Walter Siti
di Andrea Fabbri

 

Scheda bibliografica Torna all'indice completo del numero Mostra indice delle sezioni Togli testata Salva il frame corrente senza immagini Stampa il frame corrente Apri in formato PDF



Da sempre letteratura ed arti figurative interagiscono in svariate forme. A volte il rapporto fra le parole e le immagini è cooperativo, a volte, più raramente, conflittuale. Inoltre possono essere le immagini ad illustrare parole, oppure le parole a descrivere immagini (ekphrasis).1 In tal caso le opere d'arte che vengono descritte o alle quali si fa in qualche modo riferimento possono essere reali o immaginarie.
In questo campo la letteratura italiana possiede una tradizione ben consolidata, tanto in poesia, quanto in prosa. Per accorgersene basta leggere l'affascinante, ricca antologia Storia dell'arte italiana in poesia, a cura di Plinio Perilli2 o il saggio di Andrea Mirabile, Scrivere la pittura. La "funzione Longhi" nella letteratura italiana,3 dedicato all'analisi di alcuni testi di Anna Banti, Pier Paolo Pasolini, Giovanni Testori, Alberto Arbasino, Giorgio Bassani e Attilio Bertolucci. Da essi si evince che la scrittura che prende spunto da opere d'arte è stata coltivata in maniera episodica da molti scrittori italiani. Più raro è, invece, imbattersi oggi in raccolte organiche che, come la celebre Galeria di Giambattista Marino (1619), risultino imperniate su questa unica forma testuale. Due sono le sillogi segnalabili nell'ultimo decennio.

I Racconti con figure di Antonio Tabucchi

Nel 2011 Tabucchi pubblica la raccolta Racconti con figure.4 Si tratta di prose brevi e poesie, scritte per varie occasioni a partire dal 1981 ma concentrate soprattutto negli ultimi quindici anni, che prendono vita dalla suggestione di un'immagine, soprattutto dalla pittura, più raramente dalla fotografia, e sembrano trasportare in un'altra dimensione le figure che le provocarono, sì che queste paiono risvegliarsi dalla loro immobilità per acquistare vita e diventare personaggi ed interpreti delle loro storie.
Di questo gioco è ben consapevole l'autore, che, introducendo la raccolta (pp. 9-10), afferma:

«Dall'immagine alla voce la via può essere breve, se i sensi rispondono. La rètina comunica col timpano e "parla" all'orecchio di chi guarda; e per chi scrive la parola scritta è sonora: prima la sente nella testa. Vista, udito, voce, parola. Ma in questo percorso il flusso non è a senso unico, la corrente è alternata, riparte da dove è arrivata, torna là da dove era partita. E la parola, tornando indietro, porta con sé altre immagini che prima non c'erano: le ha inventate lei. Così è per molti di questi racconti. Se l'immagine è venuta a provocare la scrittura, la scrittura a sua volta ha condotto quell'immagine altrove, in quell'altrove ipotetico che il pittore non dipinse. La storia provocata dal visibile ha afferrato il Ciò-che-si-vede per vagare a suo piacimento nel territorio che l'artista ci tacque, quello che avrebbe potuto dipingere o fotografare ma che elise. "L'anima s'immagina quello che non vede", dice Leopardi. Il territorio della scrittura è l'immaginazione che va oltre l'immagine; è il racconto delle figure ma anche il loro rovescio e la loro moltiplicazione, il racconto dell'ignoto che le circonda».

D'altra parte, non è la prima volta che vediamo Tabucchi rapito dal fascino delle arti figurative. Sempre nella nota introduttiva (p. 9), infatti, egli scrive:

«Spesso la pittura ha mosso la mia penna. Se in un lontano pomeriggio del 1970 non fossi entrato al Prado e non fossi rimasto "prigioniero" davanti a Las Meninas di Velázquez,5 incapace di uscire dalla sala fino alla chiusura del museo, non avrei mai scritto Il gioco del rovescio. Lo stesso vale per l'enorme suggestione provata da bambino davanti agli affreschi del convento di San Marco, rivisitati spesso da adulto, che un bel giorno ritornò con prepotenza sbucando nelle pagine de I volatili del Beato Angelico. Ma anche alcune pagine di Tristano muore non esisterebbero senza il Cane sepolto nella sabbia di Goya».

All'interno della raccolta lo scrittore dichiara più volte il suo interesse per i rapporti che possono intercorrere fra le varie espressioni artistiche. Così, nell'incipit del testo dal titolo Ritratti di Stevenson (p. 225) osserva:

«A volte è straordinario constatare la potenza della transitabilità dell'arte, come la definì Jankélévitch (un linguaggio di un'arte che 'transita' verso il linguaggio di un'altra arte). La proposizione del filosofo francese riguarda soprattutto il binomio letteratura-musica, ma essa vale certamente per tutte le arti».

Ne troviamo un esempio nel testo dal titolo Gli eredi ringraziano (p. 148), in cui Tabucchi immagina il paradossale dialogo seguente:

«- Wislawa Szymborska non avrebbe mai scritto questi versi se non avesse visto il giallo oro di Maria Helena Vieira da Silva, mi sembra evidente, disse il primo.
- Ma anche Maria Helena Vieira da Silva non avrebbe mai dipinto quel giallo oro se non avesse letto i versi di Wisawa Szymborska, devi convenirne, disse il secondo».

Per inciso, va segnalato che oltre alle "arti sorelle" (letteratura ed arti figurative), in effetti il libro coinvolge, seppure superficialmente, anche la musica. Esso è, infatti, suddiviso in tre sezioni che prendono il nome di due tempi ed una forma musicale: gli Adagi, dove a prevalere è la malinconia; gli Andanti con brio, caratterizzati da un'atmosfera più giocosa; e le Ariette, nelle quali il motivo risulta appena accennato.

Trentadue sono gli artisti presenti con riproduzioni di loro opere (tra costoro spiccano Tullio Pericoli, Valerio Adami e Davide Benati) in questo che si configura come un libro di sogni ad occhi aperti. Esemplare è a questo proposito soprattutto il racconto dal titolo Sognando con Dacosta, in cui Tabucchi immagina di entrare da visitatore nel quadro che il pittore sta dipingendo.
E, del resto, sembrano fatti della materia impalpabile dei sogni certi racconti contenuti in questa raccolta. Ne è un esempio il primo testo, intitolato Tanti saluti, che prende spunto da una serie di cartoline illustrate. Nel libro le immagini fungono spesso da inneschi come madeleines proustiane. E non è, dunque, un caso che lo scrittore francese sia presente nella prosa Vermeer visto da Proust, dedicata ad un personaggio della Recherche, Bergotte, che va a morire trascinandosi stancamente per contemplare un favoloso giallo contenuto in un dipinto del fiammingo.
E, dal momento che si è citato il giallo di Vermeer, va qui sottolineato che, com'è naturale, un ulteriore elemento artistico che attraversa tutta la raccolta è rappresentato appunto dai colori. Ce ne presenta un'intera tavolozza Gli eredi ringraziano, che prende spunto da un quadro e da una poesia di Maria Helena Vieira da Silva, ma ogni testo della raccolta ne ospita.

La vita dei dettagli di Antonella Anedda

Il libro, pubblicato nel 2009, porta come sottotitolo Scomporre quadri, immaginare mondi6 ed è parzialmente dedicato dall'autrice alla sua passione ecfrastica.
Nella sezione che lo apre, Ritagliare, Anedda realizza ciò che programmaticamente dichiara nell'Introduzione (p. IX): «Libera i dettagli dal quadro, lascia che diventino un altro quadro». Si tratta di una serie di trentadue "ingrandimenti" di particolari di altrettanti quadri che essa intende liberare dalla dittatura del significato. Il dettaglio diviene, così, indipendente dal suo contesto e, a confronto con il testo verbale che vi è costruito attorno, viene sottoposto ad un processo di risemantizzazione potenzialmente enigmatico, tanto che l'autrice si sente in obbligo di porre in appendice le attribuzioni dei singoli dettagli, le "soluzioni", come le definisce lei stessa, di questo gioco di straniamento. In altre parole, come nel da lei citato William Carlos Williams delle Immagini da Bruegel (1962), il dettaglio che lo sguardo enuclea "incidendo" la tela diventa la chiave per accedere a ciò che il quadro non riesce a dire né a rivelare (p. 78). Ecco quello che scrive Anedda nelle Istruzioni per l'uso (p. 2):

«Il corpo è davanti a un quadro. A un tratto un dettaglio ci attira tanto da farci avvicinare. L'intero quadro diventa resto. Il dettaglio è l'isola del quadro. Per vedere meglio dobbiamo trasgredire lo spazio, abolire ogni distanza ragionevole. Il desiderio disubbidisce, porta al delirio. Il quadro scompare. Lo ha inghiottito il buio. Resiste solo il dettaglio che ti ha fatto cenno. Ora è un mondo. C'è stata una ferita, ora c'è intimità. Questo cane che aspetta, questa donna morta, questo cespuglio, nati da una separazione, cominciano a esistere nel loro spazio e nel loro tempo scardinati. Forse i dettagli sono tracce delle strisce temporali di cui parlano i fisici».

Ma l'ekphrasis è anche argomento della seconda sezione, intitolata non a caso Galleria (il riferimento è al testo di Marino). Nelle cinque "sale" Anedda presenta quattordici scrittori dell'Otto e del Novecento nei loro rapporti con la pittura. Si va dallo Jaccottet che incontra Piero della Francesca e Morandi, al Baudelaire che si misura con Rubens, Michelangelo e Goya, alle letture compiute da Bonnefoy (i Carracci, Poussin, Caravaggio), Rilke (van Eyck), W.C. Williams e Auden (Bruegel) e Ashbery (Parmigianino). E anche in questo caso non sono rari i riferimenti a dettagli dei quadri, secondo una prospettiva che possiamo fare risalire agli studi iconologici di matrice warburghiana e, più recentemente, agli scritti di Daniel Arasse.7
Non è la prima volta che Antonella Anedda trasferisce nei suoi scritti la sua appassionata competenza per l'arte. Le prose brevi della raccolta intitolata La luce delle cose. Immagini e parole nella notte8 sono già assai ricche di riferimenti ad opere di pittura. Così ne La salvezza della luce, la pena della luce (pp. 69-72) leggiamo Georges de La Tour attraverso gli occhi di René Char, in Icone (pp. 73-75) è la volta di Van Gogh, in Rotte notturne (pp. 76-82) si parla di Caravaggio, e più oltre si citano Picasso, Braque, Gauguin, Rembrandt, Lotto, Giovanni Bellini, Michelangelo, Pontormo, Piranesi e Giorgione. Questi artisti sono presentati come vengono visti dagli occhi di scrittori o filosofi (particolarmente presente è María Zambrano), o sono letti attraverso riferimenti a loro scritti. Va rilevato, poi, per inciso, che anche Anedda, come Tabucchi, non può fare a meno di avvertire il fascino del passo proustiano della morte di Bergotte davanti alla Veduta di Delft di Vermeer (Enigmi, pp. 83-87).

Il realismo è l'impossibile di Walter Siti

A questo punto è possibile fare un accenno al libro di un terzo autore. Non si tratta, però, di una raccolta di racconti o prose ecfrastiche, ma di un saggio nel quale viene stravolta la nostra concezione abituale di realismo mettendo al centro della narrazione appunto il dettaglio. Sostiene il critico e narratore (p. 8): «Il realismo, per come la vedo io, è l'antiabitudine: è il leggero strappo, il particolare inaspettato, che apre uno squarcio nella nostra stereotipia mentale»; e, nel capitolo dal titolo Il trampolino, soggiunge (p. 43):

«"Dettaglio" è una parola-chiave per il realismo: [...] quando si vuole che il lettore entri dentro il racconto come se lo stesse vivendo personalmente, allora i dettagli devono essere precisi, niente deve stonare, lo scrittore deve diventare uno scenografo assai pignolo. Naturalmente non mi riferisco ai dettagli simbolici [...] Parlo piuttosto del gatto che attraversa la stanza nell'Annunciazione di Lotto».

E poco oltre (p. 44) cita «il pulviscolo in sospensione nell'aria e reso visibile da un raggio di luce» delle Meninas di Velázquez e la «polvere sottilissima» deposta da Baschenis sui suoi strumenti musicali a riposo (entrambe opere di pittori) e successivamente, passando ad alcuni esempi di ambito letterario, «il ricciolo ribelle che sporge dal velo della Monaca di Monza» nei Promessi Sposi e (p. 53) «il calzerotto color erica sulla gamba del figlio» della signora Ramsay in Gita al faro di Virginia Woolf, che colpì per primo l'Auerbach di Mimesis.

Si può concludere, dunque, notando che Antonella Anedda e Walter Siti parlano di dettagli da due prospettive diverse: mentre la prima li affronta da lettrice esperta di opere d'arte attraverso una prosa che si colloca a metà strada fra il saggio critico e la scrittura creativa, il secondo assume, invece, il ruolo del narratore impegnato nel delineare una sua originale poetica del realismo fondata sulla disseminazione nel testo di particolari inattesi.

 

Precedente Successivo Scheda bibliografica Torna all'inizio della recensione Torna all'indice completo del numero Mostra indice delle sezioni


Bollettino '900 - Electronic Journal of '900 Italian Literature - © 2014

<http://www3.unibo.it/boll900/numeri/2014-i/Fabbri.html>

Giugno-dicembre 2014, n. 1-2