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Barbara Pezzotti, Politics and Society in Italian Crime Fiction. An Historical Overview, Jefferson NC, McFarland, 2014
di Minne G. de Boer
Dopo aver pubblicato una versione commerciale della sua tesi sul giallo italiano e un gran numero di articoli in varie riviste, Barbara Pezzotti ha dedicato un nuovo libro al rapporto tra il genere del giallo e la società italiana. L'idea di partenza è che si tratti di un genere specialmente idoneo a riflettere le realtà sociali e politiche di un paese, più precisamente "le trasformazioni sociali e le disfunzioni dell'Italia contemporanea". In questo contesto essa vede gli autori dei gialli come scrittori impegnati, ma non impegnati nel senso tradizionale, che viene equiparato con un'ideologia politica, ma con un atteggiamento di "rivolta morale", definito anche come impegno postmoderno.
Per elaborare questo punto di vista l'autrice presenta la storia del giallo italiano secondo tre fasi storiche, piuttosto distinte fra di loro, che rappresentano situazioni politiche molto diverse. Per ognuna di queste fasi vengono scelti alcuni autori rappresentativi di cui si analizzano le opere secondo il modo in cui riflettono le scelte morali. Nelle introduzioni a ciascun periodo si confrontano i principali eventi politici e sociali e si dà una rassegna indipendente dei testi gialli in ordine cronologico, di cui si discutono poi le relative posizioni d' impegno. Per l'esemplificazione non si pretende all'esaustività, ma piuttosto si fa una scelta delle posizioni più caratteristiche.
I periodi prescelti sono 1) dall'origine del giallo italiano alla fine del fascismo; 2) gli anni cinquanta, sessanta e settanta; 3) il periodo successivo fino all'inizio del nuovo millennio. L'unico autore trattato in dettaglio per il primo periodo è Augusto De Angelis; per il secondo periodo, in cui "l'investigatore diventa politico", si trattano Giorgio Scerbanenco, Leonardo Sciascia e Loriano Macchiavelli, il terzo periodo, denominato "l'investigatore contro Berlusconi" si concentra su Andrea Camilleri, Massimo Carlotto e Marcello Fois.
L'impegno morale di De Angelis consisterebbe anzitutto nel modo in cui egli ignora il regime fascista. Il suo investigatore non crede tanto nell'analisi delle tracce, ma cerca di capire il criminale con mezzi psicologici, e persino psicanalitici, scelta che viene considerata ostile al regime, che rifiuta la psicanalisi. Inoltre i crimini avvengono in un ambiente decadente e i criminali appartengono all'alta società. In nessun romanzo si menzionano autorità o milizie fasciste e Il candeliere a sette fiamme del 1936 testimonia dell'interesse dell'autore per la cultura ebraica. La mancanza d'entusiasmo per il regime, che del resto caratterizza la maggior parte dei giallisti del periodo, è abbastanza ovvia per essergli fatale nel regime di Salò, in cui sarà la vittima di un gruppo di pestatori.
Di Giorgio Scerbanenco viene sottolineata la sua posizione di estraneo nella società milanese in cui opera come giornalista. Tale posizione ricompare nella personalità del suo investigatore Duca Lamberti, presentato come atipico nella tradizione giallista. La società in cui opera è quella del boom economico, che dimentica i valori della vecchia Italia rurale e popolana, e in cui, come dice uno dei suoi titoli tutti diventano traditori di tutti. I criminali però non sono furbi e ingegnosi, anzi, si tratta di gente piuttosto stupida. Duca Lamberti scopre la soluzione più per caso e per intuito che non per particolari doti investigatrici. Scerbanenco non si limita a riflettere la società degli anni sessanta, ma già preannuncia quella che sarà la realtà di una generazione successiva.
Sciascia viene considerato soprattutto come quello che scopre il ruolo della mafia. Egli userebbe il genere come mezzo per rappresentare la situazione politica del momento, soprattutto con l'andamento dell'investigazione e l'assenza di una soluzione positiva. Un po' sorprendente è la conclusione - nel capitolo finale - che Sciascia sia stata ispirata a studiare il fascismo dalla discussione sulla "civil society" degli anni sessanta: sicuramente la sua ispirazione era più remota. Anche l'inclusione di Macchiavelli in questo periodo fa dubitare sull'utilità della periodizzazione qui adoperata.
Per l'ultimo periodo gli autori scelti sono Camilleri, Carlotto e Fois. I capitoli dedicati ai due ultimi mi sembrano i migliori, quello su Camilleri è piuttosto deludente. Non si tratta di un'analisi dei suoi gialli, ma piuttosto delle opinioni della critica sui suoi gialli, che trattano questioni come la sua immagine della Sicilia, vista da taluni come una "Sicilia virtuale", i rapporti tra successo editoriale e valore intrinseco, il significato del dialetto immaginario introdotto dall'autore e un'immagine troppo positiva della lotta contro la mafia. Del resto, anche l'autrice sembra giudicare lo sviluppo della società civile in Sicilia molto positivamente, il che contrasta notevolmente con i giudizi sulla situazione "coloniale" nella Sardegna di Fois e la visione nera sul Nordest, quale emerge dalle opere di Carlotto. Probabilmente questo contrasto corrisponde con quanto hanno detto i vari autori nelle interviste rilasciate all'autrice nel suo libro precedente.
Mentre la Pezzotti sottolinea giustamente che l'opposizione tradizionale tra gialli e "vera letteratura" è superata da molto, essa introduce nuove esclusioni. Così segue Chandler nell'opposizione tra il genere hard-boiled e il giallo classico, invariabilmente caratterizzato dall'epiteto whodunit e considerato d'evasione, anche se non può negare l'importanza proprio del genere classico come ispirazione di tanti autori italiani. Più grave è l'insistenza sull'impegno buono contro l'impegno cattivo, in cui la formula "rivolta morale" caratterizza i buoni. Questo conduce alla strana conclusione che solo con il giallo la letteratura italiana ha cominciato a trattare sul serio la società e la politica italiana. Viene il sospetto che l'autrice conosca meglio i giallisti italiani che non per esempio il neorealismo del dopoguerra. Anche la periodizzazione risulta alquanto discutibile: sembra che sia stata fatta partendo dall'attualità, considerando Scerbanenco per esempio come un ammirevole precursore di Carlotto, che già abbia intuito la desertificazione del paesaggio che troviamo in Nordest.
Tra i tre mali dell'Italia attuale riconosciuti in questo studio: il separatismo regionale, il crimine organizzato e il governo Berlusconi, curiosamente il primo sembra essere giudicato il più grave. Infine, con l'eccezione del capitolo su Fois, la visione sui periodi storici della politica italiana, rimane un po' sottosviluppata; forse non è un caso che Lucarelli non figuri tra gli autori scelti come esempi.
Nondimeno il libro testimonia di un immenso sapere sul giallo italiano e sulla letteratura secondaria sul genere e sui singoli autori. E la bibliografia è impressionante.

Bollettino '900 - Electronic Journal of '900 Italian Literature - © 2014
<http://www3.unibo.it/boll900/numeri/2014-i/deBoer.html>
Giugno-dicembre 2014, n. 1-2
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