Massimiliano Muccinelli
Malattie inesistenti

 

Scheda bibliografica Torna all'indice completo del numero Mostra indice delle sezioni Togli testata Salva il frame corrente senza immagini Stampa il frame corrente Apri in formato PDF



Vai alla fine del racconto

Malattie inesistenti che mi è già capitato di avere (1): la pinguetudine

Non so se hai presente quella roba che ti prende che non hai pace. Che non sai se partire o tornare. Se correre o star fermo. Se mangiare dolce o salato.
Allora te vaghi per casa, cercando qualcosa, qualsiasi cosa che possa passarti per la bocca; qualcosa che con la sua pesantezza vada a spiaccicarti per terra.
Friggeresti una barretta al cioccolato per poi bagnarla nella maionese.
Avvolgeresti di cioccolato fuso un panino al salame.
Farciresti una pizza con un piatto di spaghetti alla carbonara.
Ma in ogni caso ne saresti insoddisfatto.
Quella malattia lì si chiama pinguetudine. C'è chi la scrive con la q al posto della g: è una malattia che non esiste ma io l'ho già avuta.

 

 

 

Sono una persona molto sensibbile

Che io, se vado al mercato tipo a comprare le verdure, e poi magari mentre sono lì che scelgo cosa comprare mi accorgo che una di quelle che devo comprare sta finendo, allora io guardo quello che sta vendendo le cose che io devo comprare e gli chiedo "Ma sono le ultime?" e se quello che vende dice "No, no… ce n'è ancora…" io le compro. Si vede che non son fatto per i periodi di carestia.

 

 

 

Io alle volte scrivo senza pensare

Io, se devo essere sincero, che poi non lo so mica se mi conviene, alle volte io scrivo senza pensare. Che mi metto lì, inseguo le parole, le leggo dopo che le ho scritte per capire cosa volevo dire.
Io scrivere non lo faccio; lo uso.
Poi magari ci sono delle volte che rileggendo mi sembra di riconoscermi in quelle parole lì, che mi somigliano proprio; che mi viene da dire "Ve' quella roba lì che è scritta: sembro proprio io".
Il contrario no, non mi succede mai; di pensare senza scrivere mi sembra che non mi sia mai successo. Forse solo quando cammino.
Ecco, io sono convinto che se un giorno potessi, magari per caso, scrivere mentre cammino, secondo me mi verrebbero fuori delle pensate proprio belle. Almeno finché non vado a sbattere contro un muro. O a pestare una merda. Che dopo a pensare non sarei più capace.

 

 

 

La rivoluzione c'avrà le unghie sporche di terra

Eh... Te hai voglia di dire, in campagna... La vita rustica...
Io mica la volevo fare questa vita qua, mica l'ho scelta.
Io, se potevo, se dovevo scegliere, mica mi andava bene una roba così. D'estate, con la schiena spaccata sotto il sole, che ti picchia proprio lì sul coppetto e quando ti alzi ti prilla tutto che...
D'inverno, invece, con la schiena cuva sotto la pioggia, che ti gocciola dentro il calanco del sedere che è di un freddo che ti fa venire voglia di bestemmiare.
Volevo fare l'impiegato, io.
Alzarmi, fare la colazione al bar, sedermi al caldo di un ufficio e girare dei fogli, scrivere delle cose, leggerne delle altre.
Porco giuda come sarebbe bello. Tutte le mattine così. Che poi no, mica tutte le mattine. Solo cinque. Dal lunedì al venerdì.
Io, adesso invece, sono le 7 di sera, è sabato, fa freddo, son qui.
A vangare. A stendere il concime. Che io delle volte me lo immagino uno di quelli lì della città che arriva e con quella sua aria di quello che ha capito tutto mi dice: "Cosa sta seminando?".
Della merda di mucca, sto seminando. A pensarci mica lo so perché adesso che è febbraio io devo stare qui con 'sto freddo boia in mezzo a 'sta puzza.
Una volta, quando ero un bastardino, io ce l'ho detto a mio babbo che secondo me se noi stendavamo la merda delle mucche nell'orto, poi ci seminavamo l'insalata che poi ci mangiavamo allora era come se ci mangiavamo la merda delle mucche e allora volevo che mi spiegasse perché non ci mangiavamo la merda delle mucche direttamente, così almeno ci risparmiavamo tutta la fatica. Me lo ricordo ancora come se fosse ieri. Si è drizzato. Mi ha guardato, "Vieni qui", ha detto. Poi mi ha dato uno schiaffone con le mani sporche che son finito con la faccia nel mucchio del letame. "Te certe domande devi imparare che non te le devi mai fare", mi ha detto. "È così perché è così".
Eh... è così perché è così... e se io non voglio che è così? Se ad esempio non voglio che io adesso sono qui con ancora quattro cariole di letame da stendere? Io adesso voglio essere lì in ufficio. Con i timbri, i libri, le matite con il pelo, le penne biro, le segretarie che ti guardano...
Io una volta ce l'ho chiesto a mio babbo perché non era mai andato a lavorare in un ufficio. Lui mi ha detto che negli uffici ci lavorano solo i democristiani. Quelli come lui lavorano i campi. Che la rivoluzione c'avrà le unghie sporche di terra, mi ha detto.
Io questa cosa della rivoluzione non l'ho capita allora e non l'ho capita adesso. I casi son due: o son rimasto stupido come un ragazzino, o io, di aspettare la rivoluzione, mi son proprio stancato.
Che tanto ogni giorno devo venire qui e, che nevichi o che piova, mi devo spaccare la schiena.
Io quel giorno poi la stessa domanda l'avevo fatta al nunò. C'ho chiesto "Ma te perché non sei mai andato a lavorare in un ufficio? Perché non hai mai smesso di fare il contadino? Perché non hai fatto l'impiegato?".
"Sei matto!", m'ha detto, "Non hai mica capito niente. Noi contadini siamo le persone più fortunate del mondo. Sì è vero che prendiamo del freddo e dell'acqua e della neve e il sole e le robe così, però, noi, possiamo scoreggiare quando ci pare e piace. E pisciare sulla roba che poi si mangiano gli impiegati".

 

 

 

Sarebbe il mio scrittore preferito

Che la vita è quella roba che guardi mentre scegli quale libro leggere, e ci sono delle volte che scegli quale libro leggere spulciando il risvolto di copertina: leggi cosa faceva lo scrittore prima di scrivere quel libro.
A pensarci bene, che ultimamente ci provo spesso a pensarci bene (poi riuscirci è un'altra cosa...), a pensarci bene gli scrittori se te ci guardi prima facevano sempre un altro lavoro. Ma non un altro lavoro qualsiasi: dei lavori pesi, delle robe tipo muratori, magazzinieri, camionisti. Alcuni addirittura facevano i rivoluzionari, che io non lo sapevo mica che era un lavoro, il rivoluzionario. Sì, ci sono anche quelli che fanno i professori, però io volevo dire di pensare solo a quelli che poi ad un certo punto cambiano lavoro. A quelli che diventare scrittori è una svolta. Come vincere la lotteria. Quelli che facevano i professori continuano a fare i professori. Quelli che facevano i muratori dopo fanno gli scrittori.
A me però, sarà che son curioso o sarà che ho bisogno di fidarmi delle persone, a me però, dicevo, piacerebbe sapere sempre chi l'ha fatta quella cosa che io c'ho in mano, che secondo me fa differenza. Secondo me se ci fosse un risvolto di copertina anche nel tavolo, nel pane, nella zucchina farebbe piacere mica solo a me ma a un mucchio di persone. Poi magari mi sbaglio, che son io che penso sempre che tutti siano come me... Te immagina come sarebbe bello sapere come stava il falegname mentre ha costruito il tuo tavolo. Ma mica le solite storie, il curriculum, gli studi e quelle cose lì. Te immagina se ci fossero scritte quelle robe che ti fanno capire che tipo è il falegname. In terza persona.
"Parelli ha fatto geometra ma estimo non gli piaceva, allora dopo la maturità è andato due settimane ad Amsterdam. Quando è tornato ha cominciato a lavorare come assemblatore alla Produzione Mobili Bartollo, ché voleva comprarsi la macchina. Solitamente è alla linea produttiva delle sedie ma oggi Rampi era malato e allora hanno mandato lui a sostituirlo nel reparto tavoli. Non gli è piaciuto. L'ha anche tirato un po' via, questo tavolo. Soprattutto l'ultima gamba, che era già ora di pranzo".
Oppure te compri il pane e apri il suo risvolto di copertina:
"Carlo Costa ha cominciato a fare il fornaio perché lo faceva suo babbo Sebastiano che aveva aperto un piccolo forno senza avere la licenza, tanto il suo socio era il figlio del sindaco. Una volta giocava a pallone, in porta. Era anche bravino: un sabato che aveva fatto la doppia al forno e la sua squadra era in attacco da 85 minuti senza fare gol, lui si è appoggiato al palo un attimo, solo per riposare gli occhi, e si è addormentato. Ha preso gol su rinvio del portiere avversario. Gli è toccato smettere che nessuno si fidava più di lui. Preferisce fare toscani insipidi ma la gente adesso vuole solo panini al latte. Quando ha infornato questa pagnotta in televisione c'era la pubblicità di una multiproprietà a Lido di Classe, a pochi passi dal mare e a solo cinque minuti di macchina da Mirabilandia".
Arrivi a casa, prendi le zucchine, apri il loro risvolto di copertina e leggi:
"Giacomo Marcucci, dopo aver frequentato il liceo classico, comincia a scrivere libri. La sua prima opera 'Paradisi asfittici' vince il Premio LibriColando Giovani. Con il suo terzo libro, 'Appiccichiamoci alle ascelle', rimane in cima alla classifica dei best-sellers per oltre 7 mesi. Amato dal pubblico e dai critici, vede una sua pièce teatrale - 'Memorie di un proptologo mutilato sul lavoro' - tradotta e rappresentata in oltre 37 paesi. Ha scritto anche 'Sono o son desto', 'Festose tristezze' e 'Rapisciami'. Saran tre anni che ha cambiato lavoro. Ora fa il contadino, specializzato in zucchine e piccoli ortaggi. Queste zucchine le ha raccolte alle 07.45 del mattino, che dopo era troppo caldo".
Ecco, Marcucci, ora che coltiva le zucchine, sarebbe proprio il mio scrittore preferito.

 

 

 

Sono andato a letto presto

E allora ti dici Dove sei stato in tutto questo tempo? Ti dici... Che se eri in un film potevi dire sono andato a letto presto. E invece no. Sei stato sveglio fino a tardi. Che sei sveglio fino a tardi, sarà anche più di un anno, che sei sveglio. Un po' stanchino.
E c'hai voglia di riposare.
È stato tempo che hai fatto il muratore, il carpentiere, quello che sposta i mattoni, lo spacca-le-pietre. Quello che deve camminare e quello che deve stare zitto. Quello che deve parlare. Che lo diceva anche Mario che c'ha settant'anni ma sventola la mazzetta che sembra una bandierina, la mazzetta che sventola... che te lo diceva "Sinò se vuol fare una ristrutturasione lei c'ha bisogna di tirare un po' tutto giù".
Allora poi ti ritrovi qui, davanti a una roba tutta bianca, che non sai da dove cominciare; è un ricordare che non ti funziona più. E ti viene in mente che c'è quel momento - che in ogni vita c'è quel momento - in cui uno compra quaderni perché è convinto di averci un'urgenza, un'urgenza come di scrivere, come di dire delle robe, che c'ha fretta, che c'ha furia, se mi capisci. Che lui lo sa che con quelle parole lì, messe giù così, poi lui lo sente che salverà il mondo.
E poi invece si trova con le pezze al culo dell'anima che non stanno attaccate nemmeno con il filo grosso. Che il mondo gli ha detto che dopotutto di essere salvato da lui non c'ha mica tanta voglia. Lo sai bene tu, che è successo a un tuo amico. In compenso i quaderni sono nuovi che li poteva rivendere.
Che è tempo che c'hai quella risposta lì surgelata; che se uno ti chiede come stai te fai una finta, un cambio di mano, un giro sul piede perno e rispondi Normale. E a quello che te l'ha chiesto è abbastanza così.
Allora decidi di ripartire pian pianino, fai due giri su te stesso, come il cane prima di accucciarsi, punti un angolo, e vai: che sono gli angoli le parti più belle delle case, quelle più difficili da costruire, quelle che tengono su tutto. E Mario ti diceva che se l'uomo non aveva inventato gli angoli, lui non riusciva mica ad immaginarsi come si poteva fare a tenere in piedi le case.
Ci guardi e ti rendi conto che in realtà quello che conta è quella vita - che in ogni attimo c'è quella vita - quella vita in cui ti rendi conto che stai costruendo un angolo. E decidi che per te - se scrivere deve servire a qualcosa - allora deve servire proprio a salvare quegli angoli. Quegli angoli che cerchi di costruire.
Io casa di Mario me l'immagino piena di angoli. Chissà come fa con gli armadi.

 

 

 

Della gente che balla il tango è meglio un calcio nei maroni

Allora funziona che te una sera ti ricordi che una volta eri uno che andava agli eventi di cultura che c'avevi una cultura e te alla tua cultura ci tenevi invece di essere come adesso ignorante come un cane guasto che te la cultura la potevi scrivere con la q adesso se era per te.
Funziona allora che te ti fai convincere di andare ad uno di quegli spettacoli che fanno in quei circoli Arci dove non ci va mai nessuno e te lo sai che se non ci va mai nessuno ci sarà poi anche un motivo vacca miseria. E lo spettacolo di questa volta è uno spettacolo di letteratura e musica e ballo e fotografia che comincia che c'è uno che entra e spacca un radiolone con un bastone che te subito dici cominciamo bene. Dopo poi è tutto un andare di parolone ampollose e sforbite da finarlini ma poi volta e prilla la storia è sempre la stessa che lui vede lei lui s'innamora di lei lui dà due picconate a lei lei se ne va con un altro che è più ricco di lui lui impazzisce lui vuole morire lui sta male un'altra s'innamora di lui lui torna felice lei non lo so che non si sente più parlare di lei.
Per raccontare 'sto gran storione qua c'erano una che suonava la pianola uno che suonava l'organetto uno che urlava e spaccava dei radioloni e un numero imprecisato di gente che ballava. Tango. Un calcio nei maroni è meglio secondo me del tango. Anzi, della gente che balla il tango è meglio un calcio nei maroni, nei...
Secondo me, eh. Poi magari c'è gente che gli piace il tango a lei ma a me se devo dire che il tango mi piace io piuttosto penso al pallone che ci giocavo da bastardino che se lo calciavi troppo forte poi s'involava e andava a vaioni dove voleva lui. Mica come il SuperTele ma quasi.
Era quello spettacolo lì tutto un andare di gente che parlava tutta così e di gente che ballava tutta così e di gente che suonava tutta così. Ecco per dire un esempio a me mi piaceva quello che suonava la fisarmonica che anche se era vestito di nero perché c'era uno che diceva che a fare il tango bisogna essere vestiti di nero ecco quello che suonava la fisarmonica anche se c'aveva un maglione nero che vacca boia cosa ti metti il maglione nero che c'è sempre un caldo bigatto in quei posti lì che la gente così beve di più ecco quello che suonava la fisarmonica a me mi piaceva che c'aveva l'ombra sotto le ascelle. E per me era un genio. Che son capaci tutti di averci l'ombra sotto l'ascella se c'hai la camicia bianca ma se c'hai un maglione nero mica tutti riescono a far spuntare l'ombra. Io per esempio anche se mi ci metto d'impegno non ce la faccio mica per esempio io.
Ecco allora a vedere quello spettacolo lì si vedeva che si cercava la poesia lì in quel circolo Arci lì con quella gente lì che parlava così e suonava così e loro erano anche bravini a cercarla e a cercarla lì ma poi io secondo me a trovarla è un'altra cosa.
Che poi secondo me uno la trova poi dove vuole la poesia in quei posti lì. Io per esempio l'ho trovata in uno che era a sedere lì attorno a me che non so chi era ma che ogni tanto faceva una scoreggia al gusto di scalogno che era tipo un po' dolciastra che secondo me alla fine c'è anche qualcuno che quando la sente dice cos'è 'sto profumo qui e invece è una scoreggia.
Poi secondo me c'era tanta poesia in uno che era lì a guardare lo spettacolo però era a sedere dietro a una colonna che era tutta rivestita con uno specchio e lui ha pagato il biglietto per entrare in quel posto lì a guardare uno spettacolo e si è guardato in faccia tutto il tempo. Ecco secondo me in quella roba lì c'era tanta poesia. Poi quando a un certo punto è cominciato a suonargli il telefono tante volte e si capiva che dall'altra parte c'era tipo un bambino che non riusciva ad addormentarsi... Ecco per me lì in quel posto lì in quel momento lì c'era così tanta poesia che io ormai piangevo. Poi però quelli che ballavano tutti così stavano ballando che erano a una festa allora io non è che potevo piangere in quel momento lì che erano tutti felici.
Poi magari metti che si capiva che io per me cultura lo potevo scrivere con la q che figura ci facevo?

 

 

 

Un numero tot di parole a disposizione

È un po' che me lo ripeto. Io alle volte ho l'impressione che se uno ci pensa poi scopre che non è che può dire tutto quello che vuole. Se uno ci pensa si rende conto che ognuno c'ha a disposizione un numero tot di parole da pronunciare e che passato quel numero lì - che poi per ognuno è diverso - gli tocca stare in silenzio.
Robe che tipo uno parla, comincia alla mattina presto, poi dopo all'improvviso a metà pomeriggio muto che è come se non c'ha più niente da dire mentre in realtà da dire ce l'avrebbe anche ed è lì che pensa però fare uscire delle parole no, non gli viene proprio. E non capisce se non vuole o non può. O entrambe. Che a guardarci adesso questa frase qua potrebbe anche essere scritta come una roba alla Umberto Tozzi "non so se non posso volere o non voglio potere" ma a me Umberto Tozzi mi è sempre sembrato unto come il fratello maniaco del Pacciani, che sarà per colpa di quella storia del "guerriero di carta igienica", e allora adesso la metto qui come battuta come facevo a quindici anni che mi inventavo delle frasi e le scrivevo sui diari e sulle porte dei cessi che io credevo che erano mezze poesie tanto poi sotto ci scrivevo "jim morrison" e via andare di Sturm und Drang.
Poi oggi ripensavo proprio a questa mia teoria, quella del numero tot di parole a disposizione, e pensavo che secondo me uno c'ha un limite di parole sia in orizzontale che in verticale. Che, adesso provo a spiegarmi, voglio dire che uno c'ha un numero tot di parole a disposizione da dire in un giorno ed un altro numero tot di parole a disposizione da dire ad ogni persona. Allora capita che te sei lì che parli con una persona come c'hai sempre parlato e ci parli sempre e d'improvviso muto che non c'hai più parole che ti escono. Che sembra quasi come quelle brutte scene dei film "oramai non abbiamo più nulla da dirci" che però in un certo senso è vero.
Ecco. Secondo me uno dovrebbe badare bene a cosa fa quando e lì che parla con una persona e finisce il suo numero tot di parole a disposizione, siano quelle per il giorno o quelle per quella persona lì. Che un conto è prendere su e andare via, e un conto è stare lì che si sta bene lo stesso.

 

 

 

Gosso

Se te per esempio mangi la piadina, non una di quelle robe da finarlini che dentro tipo c'è squacquerone e rucola, ma una di quelle più rustiche tipo con del porco dentro, del prosciutto o via di lì, allora a te ti succede una cosa inevitabile.
Se la piadina è fatta bene allora a te ti si aggrappa lì nella gola, che si ferma che te quasi dici 'desso soffoco è stato bello ci vediamo di là. E questa roba lì piantata nella gola poi ti cresce e cresce sempre di più e te pensi boia miseria vè che modo idiota di farsi seppellire. Son robe che se uno non le prova poi non se le immagina. Non riesce a capire cosa vuol dire avere una roba piantata lì. Di traverso. Di sghiscio nella gola. E te dopo un po' sei convinto che ti si vede anche da fuori, come fanno i serpenti quando mangiano le uova, che da fuori a te ti si veda tipo una palla fatta di strutto e porco che è nel mezzo del tuo collo, forse un po' più in giù, tipo dove comincia il petto.
E senti che a respirare a te ti viene il fiatone ma non puoi tossire perché tanto poi sai che è peggio che il gosso, che si chiama gosso quella roba che c'hai lì immalgata nella gola, farebbe un saltino un po' in su ma poi tornerebbe giù lì a piantarsi come una roba che vuole stare lì, che anche se la forza di gravità tirerebbe da un'altra parte, lei no, lei vuole stare lì.
Allora pian pianino te ti spaventi che poi dici boia quanto ci può stare il cervello senza averci l'ossigeno poi ti accorgi che in realtà a quello lì un po' di ossigeno c'arriva solo che è passato l'ossigeno tipo da una strettoia fatta di strutto e porco e allora è un po' marcio quell'ossigeno lì che pian pianino arriva al cervello, che ci arriva piano come se anche a l'aria ad andare in su gli venisse il fiatone.
Di solito poi arriva tipo un gran bicchiere di Sangiovese che piglia su il gosso e via che risolve la situazione.
Ecco se uno adesso mi dice te c'hai il magone, io allora gli dico che no. Che c'ho il gosso. E che son tre anni che non posso bere vino.

 

 

 

Meglio parlar da soli che male accompagnati

Che la vita è quella roba che guardi mentre torni a casa da una roba che ti ha fatto sentire un po' più sporco ed un po' orgoglioso insieme e allora ti accorgi che accanto a te c'è uno che parla da solo. Ma non farfuglia o bisbiglia. Lui proprio parla, a voce alta, che te a un certo punto pensi c'avrà l'auricolare e invece no.
Poi ti ricordi che anche mentre entravi in stazione c'era uno che parlava da solo. E anche mentre ti infilavi nel sottopassaggio con la tua solita paura che prima o poi tutto ti cade addosso c'era uno che parlava da solo.

Secondo me ultimamente c'è più gente che parla da sola. Che una volta ce n'era di meno. Invece adesso ad ogni angolo ce n'è uno. Secondo me sono venuti fuori quando sono venuti fuori gli auricolari.
C'ha una sua logica. Te fai finta di essere uno che parla da solo che è sempre stata una cosa socialmente inaccettabile soprattutto da certe parti. A un certo punto vedi della gente che va in giro e che parla a voce alta e tutti intorno che non se lo filano nemmeno che è una cosa normale anzi che quasi quasi chi lo fa è uno sborone. Secondo me te se sei uno che un minimo minimo c'hai sempre avuto la passione di parlare da solo prendi coraggio che dici ciò... se lo fa lui e nessuno dice niente allora lo posso fare finalmente davvero anche io.

E allora cominci, così, piano piano. Prima in un angolo, poi ti metti lì al semaforo. Poi via via c'hai sempre più coraggio e allora dopo un po' non hai più ritegno. Passi davanti alla fermata dell'autobus declamando l'apertura dell'Edipo Re oppure mentre sei in coda al supermercato dici la tua dichiarazione d'amore alla tua compagna di classe delle medie che l'avevi preparata da mesi e avevi deciso che gliel'avresti fatta in gita ma poi siete andati in gita a Como allora te hai vomitato che c'erano le curve e sei dovuto stare tutta la gita nel primo sedile con la professoressa di educazione artistica che nessuno ci voleva stare perché c'aveva due cosce grosse come delle mortadelle e da sola occupava già quasi due sedili e la tua dichiarazione ce l'hai ancora lì imparata a memoria che non gliel'hai mai fatta. Alla tua compagna di classe. Che credo si chiamasse Marcella e suo babbo faceva il carrozziere. Era famosa perché era una delle prime che c'ha avuto i genitori separati. Poi magari un giorno vi racconto di quando facevo finta che i miei genitori erano separati, così, solo per darmi un tono e quando lo ha saputo mio babbo ha detto pensa te che noi stiamo insieme solo per non farti star male.

E se fosse che in realtà quella gente lì in realtà non parla da sola ma parlano tra di loro? C'hai mai pensato che magari te sei lì che pensi che loro stanno parlando da sole come fanno i matti e invece c'hanno una conversazione a mezzo solo che c'hanno un udito sviluppatissimo e si ascoltano anche se uno sta alla fermata dell'autobus e l'altro nel parco e uno a sedere nella panchina che è davanti al portabiciclette.
Son robe che se uno ci pensa poi gli passa anche la voglia di lavorare.

 

Precedente Successivo Scheda bibliografica Torna all'inizio del racconto Torna all'indice completo del numero Mostra indice delle sezioni Altri testi pubblicati in «Bollettino '900»


Bollettino '900 - Electronic Journal of '900 Italian Literature - © 2014

<http://www3.unibo.it/boll900/numeri/2014-i/Muccinelli.html>

Giugno-dicembre 2014, n. 1-2