Stefano Zampieri, Alberto Savinio e la filosofia. Materiali per una vita filosofica, Milano, IPOC, 2011, pp. 144

di Eleonora Conti

 

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Stefano Zampieri, docente di scuola superiore, consulente filosofico, già autore di un sito dedicato ad Alberto Savinio (purtroppo al momento non fruibile e da tempo non aggiornato) e di due interessanti messe a punto sullo stato degli studi dedicati all'autore (Il punto su Savinio e Savinio a scuola, in «Bollettino '900», giugno-dicembre 2002: <http://www3.unibo.it/boll900/numeri/2002-i>), torna sull'artista con una monografia che intende offrire riflessioni e materiali per affrontarlo da una prospettiva filosofica.
Infatti, precisa Zampieri, scopo del saggio è entrare nel sistema dell'esistenza di Savinio per fissare i confini di un'esperienza del mondo, per mostrare «il filosofico dell'esperienza di Savinio, in cui arte ed esistenza non si distinguono» (p. 7), essendo l'arte il punto di vista sul mondo. L'adozione di questo punto di vista filosofico (da non confondere - avverte il critico - con una prospettiva biografica o psicologistica) salvaguarda l'individualità dell'artista perché la fa reagire con l'impersonalità del linguaggio, della cultura, della storia e della tradizione (p. 9). Un'analisi tutta interna all'opera, dunque, nella convinzione che solo da questa prospettiva si possa ricavare lo sguardo e l'esperienza dell'autore su ciò che lo circonda, e che solo in minima parte ricorre al discorso critico già esistente intorno a Savinio. Questa impostazione in parte costituisce pregio del saggio (riportare l'attenzione sull'oggetto artistico), ma si rivela anche un suo punto debole, perché, data l'abbondanza di letteratura critica intorno a Savinio (come Zampieri ben sa per aver stilato in passato bilanci bibliografici sull'autore), tornare sui macrotemi che informano la sua opera provoca talora un effetto di déjà-lu. In definitiva però, questo contributo finisce per essere una messa a punto che invita alla rilettura dell'autore a sessant'anni dalla morte (1952) e ad aggirarsi con l'atteggiamento del flâneur nel ricco giardino della produzione saviniana, in cerca di nuovi spunti critici di lettura. Seguiremo qui, dunque, nel breve spazio di una nota critica, i percorsi che ci ha suggerito la lettura del volume di Zampieri.

L'universo di Savinio è un tutto coerente che si dipana attraverso le opere, rinforzato dai legami fra letteratura, pittura e musica. Dalla disamina di Zampieri risultano ribaditi alcuni punti fermi che costituiscono gli assi portanti della sua visione del mondo. In primo luogo il concetto di «realtà allargata», che permette all'oggetto di sfuggire alle limitazioni del tempo e dello spazio e di essere immerso in una dimensione metafisica, grazie al potere della memoria e dello sguardo dell'artista; in secondo luogo, l'orizzontalità dell'esperienza, ossia l'assenza di modelli a cui rifarsi per costruire la propria esperienza di uomo moderno. In effetti, l'espressione adottata da Savinio nei suoi testi per alludere ai maestri è quella di «ospiti metafisici» che ognuno alberga in sé «emendati e purificati», come Nivasio Dolcemare sottolinea in Maupassant e "l'Altro". Solo così l'uomo nuovo può incamminarsi verso il futuro, scevro da fede e nostalgia, sottratto a ogni sudditanza intellettuale.
I modelli, gli ospiti metafisici di Savinio, appartengono a una dimensione atemporale, sono immersi nella gelatina della storia e numerosi di essi sono filosofi (i presocratici, Voltaire, Nietzsche, Schopenhauer): grecità e illuminismo si configurano in particolare come matrici del pensiero saviniano, come aveva già rilevato un suo importante ammiratore, Leonardo Sciascia (che ne curò le edizioni degli interventi giornalistici e molto altro), il quale ne aveva fatto a sua volta i punti fermi del proprio intellettuale ideale: un uomo che fosse al contempo un abile "divagatore", un conversatore alla Stendhal, un intelligente e fantasioso filologo, addirittura un freddurista con uno spiccato gusto per etimologie, dizionari ed enciclopedie (molti scritti di Sciascia stanno a dimostrare questo profondo debito verso Savinio, da La scomparsa di Majorana ai dizionari-enciclopedici Occhio di capra e Alfabeto pirandelliano).
A ritrovare nelle pagine di Zampieri la passione di Savinio per la prospettiva mobile che questi definisce «microscopio-telescopio» e che enuncia fin da Hermaphrodito, vien da pensare al volterriano "micromega", un gusto tutto illuminista del rovesciare la realtà proprio per rimetterla in prospettiva, una presa di distanza utile a meglio comprendere il proprio qui e ora. Il novello eroe capace di puntare uno sguardo inedito sulla realtà, fino a vedere la "surrealtà", è indicato da Savinio nell'amico e mentore Guillaume Apollinaire. È un'amicizia speciale quella con l'«uomo-isola» e «artista-fanciullo» Apollinaire, guru dei numerosi italiens de Paris (da Soffici a Marinetti a Ungaretti a Severini), e fin dai primi anni Venti Savinio gli dedica ricordi e scritti che hanno anche lo scopo di ribadire, contenendo una velata polemica anti-bretoniana, la giustezza dell'interpretazione apollinairiana del termine "surrealtà" (ad esempio nel testo In poetae memoriam, uscito nel 1924 sul fascicolo della rivista parigina «L'Esprit Nouveau», dedicato ad Apollinaire).1
E a ribadire la tenace intertestualità e coerenza dell'opera saviniana spicca su tutti il tema del poeta-fanciullo che, attraversando l'opera di numerosi autori italiani del Novecento (da Pascoli a Bontempelli a Calvino), implica tutta una serie di conseguenze teoriche che accomunano alcuni dei principali personaggi di Savinio: forse su tutti spicca Capitano Ulisse, libero dal desiderio e dunque sempre pronto a partire e ad esercitare la sua umana e inesauribile curiosità, uomo-isola al pari di Apollinaire, appartenente alla «felice razza degli antidiluviani» (Savinio, 1924). Liberi dal desiderio e dal vincolo della procreazione, esseri completi e autosufficienti sono, nell'idea di Savinio, l'ermafrodito, l'artista e il fanciullo. Le conseguenze sull'immagine della famiglia piccolo-borghese sono terribili: basta sfogliare le pagine dei racconti di Casa «La Vita» per constatarlo. Una polemica altrettanto radicale di quella condotta in quegli anni dai romanzi e dai drammi teatrali di Pirandello, che Savinio definirà «padre e maestro», nella dedica a una copia del romanzo La casa ispirata, del 1925, come ricorda Alessandro Tinterri (Savinio e l'"Altro", Genova, Il Melangolo, 1999).

Un'analisi di Savinio non può trascurare il suo rapporto con la psicoanalisi che egli interpreta come la svolta che ha permesso all'uomo di tornare padrone di se stesso, autosufficiente, libero da autorità esterne, grazie alla liberazione dell'uomo dall'anima e al ritorno a Psiche. Questo passaggio è interpretato da Savinio come un ritorno alla felicità presocratica. Anche nell'interpretazione del sogno come spettacolo, Savinio, pur grato a Freud, ne prende le distanze: il sogno non è dunque per l'artista manifestazione di un passato traumatico o espressione di un sogno insoddisfatto, ma prefigurazione di un possibile ancora da realizzare.

Il risalto che Zampieri dà a Maupassant nella trattazione saviniana (e, vien da dire, in una delle forme più originali e amate da Savinio, quella della vita rielaborata e immaginata, della biografia-autobiografica, Maupassant e l'"Altro" - ma si pensi anche a Vita di Enrico Ibsen) finisce per valorizzare i debiti tematici che Savinio contrae nei suoi confronti. Ripensando a un racconto fantastico come Qui sait?, col potente esodo notturno dei mobili dalla casa del protagonista, quasi esseri dotati di vita propria, non si può non andare con la memoria ad alcuni dei racconti più originali di Tutta la Vita, come Poltromamma e Poltrondamore, in cui i mobili si animano e godono di vita propria, indipendente da quella degli umani che vivono sotto il loro stesso tetto e che credono di vantare qualche diritto di proprietà nei loro confronti. Nel mondo di Savinio, infatti, non ci sono gradazioni di importanza: uomini donne bambini animali piante oggetti stanno tutti sullo stesso piano. Se è vero, come ricorda Zampieri, che molto di Savinio e del suo sistema filosofico è contenuto nelle sue raccolte di Scritti dispersi (raccolti e prefati con entusiasmo e ammirazione, per la prima volta da Sciascia), ci viene in mente un indimenticabile articolo degli anni Quaranta dal titolo Come vanno trattati i bambini, gli animali, le piante («La Lettura», 31 agosto 1946, ora nel volume degli Scritti dispersi (1943-1952), ripubblicati da Paola Italia, nel 2004 per Adelphi).

Impossibile poi non accennare al problema della lingua di Savinio. Zampieri associa il plurilinguismo che caratterizza la scrittura saviniana all'espressionismo gaddiano, per la concretezza del suo linguaggio, al contempo misterioso e aderente al reale. Già Paola Italia, nel suo Pellegrino appassionato (Palermo, Sellerio, 2005), aveva ricostruito le fonti letterarie della lingua dello scrittore, nel periodo del suo tardivo apprendistato della lingua italiana (per lui lingua straniera, avendo esordito in francese ed avendo il greco come lingua madre), ed ha abbondantemente esemplificato il metodo con cui Savinio, negli anni Dieci e Venti, ricopiava meticolosamente le espressioni più colorite o rare o corpose che lo colpivano nei testi di Soffici, Aretino, Pulci. Un apprendistato tardivo ma necessario per essere accolto sulle riviste italiane degli anni Dieci ed apprezzato dagli esigenti Papini e Prezzolini, e di cui si ricavano le tracce negli scritti di quegli anni.
Spazzato via ogni dubbio circa la distanza ideologica di Savinio dal futurismo (ribadita fin dal saggio di Luca Pietromarchi Dal manichino all'uomo di ferro, 1984), «la sola concessione che egli riconosce all'immediatezza è l'influsso creativo della casualità, ovvero il lapsus calami», precisa Zampieri (p. 47), ma si potrebbe riconoscere in tale passione anche un retaggio del suo passato dada e di surrealista di matrice apollinairiana. In sostanza un linguaggio «antipoetico» (p. 63) e una prosa dall'andatura errante, in cui la nota a margine finisce per essere il vero centro della pagina (p. 67) e «mai la narrazione si fa argomentazione mai pretende di fissarsi in una storia; sempre si libra sulle parole, prendendo spunto ora da una ora dall'altra, per indicare una possibilità, una esistenza, un fatto, una sensazione, una semplice battuta» (pp. 67-68).

È soprattutto nel capitolo dedicato all'Utopia del presente che emerge più chiaramente il sistema filosofico di Savinio, unito alla sua personale concezione dell'uomo nuovo, ossia non borghese, in grado di tessere rapporti orizzontali fino a concepire un cristianesimo senza Dio, perché la condizione ideale è quella della perfetta autonomia e il vero sentimento cristiano è, paradossalmente, per Savinio, un legame metafisico fra le cose, in cui l'uomo-isola, allargato oltre sé nelle cose stesse, si libera da ogni autoritarismo. Ne deriva, nel desiderio profondo di un'Europa libera da ogni fascismo, un'utopia del presente "immediata e insieme inattuale", per usare un termine nietzscheano, debitrice alla grecità presocratica e all'umanesimo, che non può sposare le ragioni rivoluzionarie del Surrealismo di Breton, perché punta piuttosto a un «supercivismo», che rappresenta il naturale contesto della metafisica saviniana.

Qualche margine di miglioramento poteva essere ritagliato per la bibliografia delle opere di Savinio con cui si chiude il volumetto, incompleta e ferma al 2002 (col testo dei Dieci processi, per Sellerio). Infatti sia Adelphi che Sellerio hanno continuato in questi ultimi anni a rieditare i volumi di Savinio (Tragedia dell'infanzia ha conosciuto una nuova edizione Adelphi nel 2001 a cura di P. Italia), a riaggiornare i testi già pubblicati (con una nuova edizione degli Scritti dispersi (1943-1952) a cura di P. Italia nel 2004) e a riunire scritti pubblicati in rivista (La nascita di Venere. Scritti sull'arte, Adelphi, 2007, che raccoglie i testi usciti su «Valori Plastici»), dando l'idea di un processo in fieri e dell'attualità delle riflessioni saviniane per il nostro presente. Un elemento che forse meritava di essere meglio valorizzato, volendo suggerire nuovi spunti per una aggiornata disamina filosofica di Savinio.

 

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Giugno-dicembre 2012, n. 1-2


 

 

 

 

 

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