Tiziana Jacoponi
Storie di famiglia al femminile.
«La bestia nel cuore» di Cristina Comencini.

 

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Sommario
I.
II.
III.
IV.
Introduzione
Il libro
Il film
Conclusioni


 

§ II. Il libro

I. Introduzione

Nel 2004 esce per Feltrinelli La bestia nel cuore , di Cristina Comencini, giunta con questo romanzo alla sua quinta pubblicazione.1 La bestia nel cuore ottiene il Premio Letterario Castiglioncello 2004 e il Premio Speciale "Annamaria Ortese" della Giuria del Premio Rapallo-Carige, e nel 2005 diventa un film con la regia della stessa Comencini. Il film viene premiato a Venezia nel 20052 e candidato come film Italiano all'Oscar nel 20063.
In questa sede ci occuperemo del romanzo e dimostreremo come esso faccia parte di quella che definiamo cineletteratura, ovvero di come il mondo del cinema e della televisione abbia influenzato e contaminato la scrittura letteraria.
Focalizzeremo inoltre la nostra attenzione sul ruolo di Cristina Comencini, classe 1956, e sulla sua volontà di essere scrittrice: un settore dove non ha antecedenti illustri4, scostandosi così dal percorso intrapreso dai suoi illustri familiari.
Il suo esordio di sceneggiatrice, insieme a Suso Cecchi D'Amico5, l'ha aiutata a scegliere argomenti e temi di cui parlare, ed è in tal modo che che è riuscita ad imporsi come specialista in relazioni e dinamiche di famiglia al femminile, creando intorno ai suoi libri uno stuolo di lettori fedeli e attenti che la seguono in Italia e in Francia. È un esempio quasi unico nel panorama italiano contemporaneo6 di autrice-sceneggiatrice-regista.

 

§ III. Il film Torna al sommario dell'articolo

II. Il libro

Come parlare di un argomento scabroso senza sfociare nel "polpettone"? Come dar voce a un amore indicibile nell'Italia del XXI secolo che sembra aver dimenticato le conquiste sociali e politiche degli anni precedenti? Con La bestia nel cuore la Comencini si propone di raccontare i segreti, le speranze, le paure di una galleria di personaggi attraverso tre voci narranti: Sabina, Emilia, Franco.
Sabina, la protagonista, lavora come doppiatrice, vive nel mondo del cinema dietro le quinte, dopo un'esperienza come attrice. Ha ricordi vaghi e sconnessi della sua famiglia di origine: i genitori sono morti e suo fratello vive in America. Emilia, l'amica cieca, innamorata di Sabina, vive nel mondo delle parole, rintanata nella sua «cuccia». Ha cercato di conservare i ricordi visivi; ama Sabina ma non osa confessarlo.
Franco, il compagno di Sabina, è un attore disoccupato (e arrabbiato) alla ricerca di un ruolo vero. A questi tre interpreti vanno aggiunti Maria, la collega di Sabina, donna coraggiosa capace di rialzarsi dopo le batoste sentimentali, che però pare aver perso speranza nell'amore e nelle persone; il regista Daniele, che ha scelto di lavorare per la televisione per vivere ma che non ha dimenticato il mondo del teatro. Sono loro i deuteragonisti di questo romanzo corale che si sviluppa seguendo i pensieri e le azioni dei tre personaggi principali. La relazione fra Sabina e Franco è abbastanza serena fin quando Sabina, turbata da un sogno sgradevole che la porta ad interrogarsi sul suo passato, non vuole annunciargli di essere incinta. Poichè non riesce a confessare nemmeno a Emilia cosa la turba così profondamente, decide di passare il Natale in America, ospite del fratello. L'idea di dar forma a una famiglia la conduce allora a riflettere sulla propria di cui peraltro non ricorda più nulla. Quando il fratello le rivela che il padre, professore di greco e latino, ha abusato di loro bambini, con il silenzio complice della madre, per Sabina è un trauma che la spinge a indagare l'ambiguità della verità, ad affrontare i suoi demoni e le sue paure. La partenza di Sabina per gli USA costringe anche gli altri personaggi a fare luce dentro di sé, ad affrontare le proprie paure, a svelarsi. È cosi che Emilia arriva a confessare e rivelare la propria omosessualità uscendo allo scoperto e affrontando il mondo, fino a giungere all'accettazione della storia con Maria. Franco, dopo esitazioni, tradimenti e ripensamenti decide di farsi carico della futura paternità. Daniele, grazie all'incontro con Franco, e le sue riflessioni e prese di posizione trova il coraggio per lasciare la televisone e quindi la facilità per lanciarsi nel mondo del cinema.
Sabina decide di rivelare a Franco il segreto che si portava dentro e di accettare la realtà della sua infanzia. Il finale mozzafiato del romanzo ci restituisce i personaggi diversi, cambiati forse, più maturi e sicuramente meno ingenui.

Il libro è diviso in 4 parti come nella tragedia greca7, ed è strutturato secondo uno schema di cui non si possono definire le forme con precisione. Si trovano usati e mescolati stili e registri diversi, come è ormai tipico nel romanzo contemporaneo in cui il genere serve da pretesto narrativo. Qui si alternano lo stile del romanzo poliziesco8 con quello del romance erotico9 e continue sono le contaminazioni esplicite tra citazione letteraria e citazione filmica o televisiva.
Il narratore diegetico, onnisciente parla in prima o in terza persona; i personaggi sono osservati dagli altri. Il romanzo inizia con la citazione del doppiaggio di un film di cui non viene fornita nessuna indicazione esplicita:

«"Aiuto! Cosa vuole? Ah! No! Ah! Dio mio, mi lasci, non mi faccia male!Mi lasci andare!..."
"Stai zitta troia! Apri le gambe..." »10

E prosegue parlando di televisone.11 Il tempo narrativo è frazionato, l'autrice ricorre all'uso di improvvise accelerazioni, tecniche di dissolvenza o primi piani tipici del linguaggio cinematografico. Nelle parti dialogiche, poi, i personaggi spesso parlano con la voce dell'altro; quando siamo nel mondo di Emilia, (l' amica cieca), parlano le parole dei libri,12 mentre nel mondo di Sabina e Franco dominano le immagini i rumori. Nello sviluppo dell'intreccio compaiono molti flash back, il cambiamento continuo dello spazio focale, l'alternarsi dei primi piani dei personaggi, le variazioni di linguaggio e di stile, monologhi alternati a dialoghi talora frizzanti sembrano essere confezionati per un soggetto cinematografico, con a volte anche precise indicazioni di luoghi: «Questa mattina il Parco dei daini»13. Molteplici sono gli indugi su gesti minimi («Franco si rade in fretta è già in ritardo»14) e costanti sono i flash back come «Dall'infanzia li univa la passione per Omero».15 È come se la Comencini, attraverso la coloritura emotiva del linguaggio e l'insistenza del fuoco narrativo sugli intrecci affettivi e sui grandi sentmenti universali, volesse instaurare un patto con il lettore per introdurlo nel mondo dello spettacolo mostrando cosa avviene dietro le quinte. Inoltre in tutto il romanzo c'è una tensione costante, una critica più o meno velata al mondo della televisione, alla società italiana, alla difficoltà di mantenersi integri in un sistema che vede l'individuo perdere la propria identità pur di farsi riconoscere ed aver diritto al suo "posto al sole".

 

§ IV. Conclusioni Torna al sommario dell'articolo

III. Il film16

Cristina Comencini ci dà direttamente il suo punto di vista su scrittura e cinema, sulle loro differenze e sulle loro intersezioni:

«Il mio ultimo romanzo, la bestia nel cuore,è diventato un film17: Ne ho scritti altri quattro,ho realizzato sette film ,e non ho mai avuto voglia di mischiare le due carriere.»18

«Il cinema è un lavoro di grande immaginazione, un lavoro collettivo e anche di rapporti umani. Quello che amo del cinema, oltre alla stesura della sceneggiatura, è il rapporto con gli attori e la recitazione. Ma la scrittura è un'attività primaria per me. Spesso ho pensato che non fosse giusto fare entrambe le cose, perché sono veramente difficili, ma ogni volta che faccio un film mi viene subito dopo il desiderio di scrivere un libro. Quindi continuo a fare sia cinema che letteratura.»19

L'inizio del film è promettente, con l'angosciosa carrellata in soggettiva nella vecchia casa, l'arredamento borghese, gli oggetti abbandonati alla polvere; è il passato in un presente senza tempo. La casa dorme, immobile, in attesa che qualcuno la svegli. E anche i ricordi, gli incubi, le ossessioni dormono, finchè qualcosa le desta, risvegliando d'improvviso la bestia nascosta nel cuore. Sabina e Daniele, i due fratelli portano nel loro vissuto i segni di un rapporto ambiguo e malato. All'inizio il racconto, sfumato, viene narrato con continue ellissi, lunghe panoramiche, un uso abbondante di primi piani e di soggettive in interni. Gli attori danno ad ogni personaggio un impronta particolare. Film corale, affronta il tema della pedofilia e delle molestie familiari con grande pudore; i toni si mantengono sempre adeguati alle situazioni e il dramma viene stemperato grazie ai brevi siparietti comici di Angela Finocchiaro ed alla parodia di una fiction che Alessio Boni (nei panni di Franco, compagno di Sabina) accetta, a malincuore, di interpretare. La bellezza di alcune sequenze, tra cui quella d'apertura nel cimitero, l'incubo rivelatore, le fughe lungo il buio corridoio della casa dell'infanzia e il drammatico confronto tra Sabina e il fratello sotto i lampi dei fuochi d'artificio, fanno perdonare un'eccessiva lunghezza, causata da alcuni rallentamenti del ritmo nella parte centrale del film.
All'interno di un cast ben diretto e molto affiatato, che raccoglie "la meglio gioventù" del cinema italiano, spicca Giovanna Mezzogiorno in una prova attoriale più asciutta ed equilibrata rispetto al suo solito. Luigi Lo Cascio, nei panni del fratello emigrato negli USA, è un po' troppo ingessato nello sforzo di dar vita ad un uomo traumatizzato che non riesce a superare né ad esternare i propri traumi. Tra i vari ruoli il più complesso è sicuramente quello della non vedente Emilia, interpretata da Stefania Rocca, capace di dare credibilità ad una giovane lesbica che ha perso la vista da dieci anni, ma che si sforza di essere autosufficiente e indipendente. Alessio Boni, nei panni del compagno di Sabina, si limita a svolgere il compito affidatogli senza variare mai registro interpretativo. Il linguaggio filmico che la Comencini usa per dar corpo alla sua narrazione è frutto di una ricerca espressiva non solo funzionale ma anche autentica e sincera.
A livello stilistico, il film sembra oscillare tra due poli. Da un lato, c'è il pudore, che nega diretta visibilità a qualsivoglia forma di violenza: gli abusi sessuali, infatti, sono raccontati, come se i protagonisti fossero personaggi di una tragedia greca - o, al limite, sono rimodellati, pur in forma di incubo, dal procedimento onirico. Estrema discrezione, quindi, per non dare in pasto allo spettatore immagini di violenza insopportabile, nella convinzione - oseremmo dire - che la rappresentazione a dismisura diretta del sopruso e dell'angherìa vada sempre troppo a braccetto con la stilizzazione della maniera, a discapito dell'efficacia e della persuasività.
Infatti, se il pudore impedisce la rappresentazione della violenza in atto, dall'altro alcune assai convincenti modalità stilistiche la rendono in potenza, cioè nel suo essere diventata modalità dell'anima, pericolo che incombe, sempre e comunque, su ogni attimo di vita di buona parte dei personaggi. Un esempio di queste soluzioni stilistiche è il rendersi monoforma dei toni di recitazione di Sabina e Daniele: la prima tenderà sempre più al sussurro, alla parola detta a mezza voce, spezzettata e appena comprensibile; il secondo, dalle prime sequenze che lo ritraggono, giungerà alfine, nella scena madre del confronto con la sorella, a scolpire le parole, quasi a volerle rendere pietra su cui e con cui fissare e aggredire il passato. Ancora, la luce bianca, da maschera antica, che illumina il personaggio di Emilia, come se la giovane donna fosse una sfinge che porta dentro sé la maledizione di un passato non più recuperabile; luce che si riflette sulla smorfia ironica e nevrotica che percorre ogni espressione del volto di Maria; o gli occhi invasati di Daniele quando il suo sogno di opera d'arte (che la pratica della fiction televisiva impedisce) si fissa sulla la realizzazione di un film. La Comencini, cerca di restituire, con mezzi stilistici evocativi - la voce, la luce, lo sguardo, i movimenti di macchina - una violenza vera, a volte terrorizzata e a volte raggelante, tra il soggetto personaggio e il soggetto spettatore. Nella trasposizione dal libro al film, a nostro parere si perde la vis polemica erotica del romanzo e si insiste invece sul ruolo del dramma familiare: il film infatti è essenzialmente incentrato sullo svelamento del segreto ignobile da far venire alla luce.
Adattando per la prima volta un suo romanzo allo schermo, la Comencini sceglie la via del racconto popolare, quasi del romanzo d'appendice, sovraccarico nelle tinte come nel disegno psicologico dei personaggi, ma aggiungendovi una bellezza e un eleganza nella scelta delle immagini che quasi fanno perdonare questa lunghezza narrativa.

 

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IV. Conclusioni

Cristina Comencini è l'esempio più rappresentativo di quello che abbiamo altrove definito cineletteratura al femminile, ovvero quella produzione in cui l'influenza del linguaggio cinematografico è preponderante sulla narrazione non solo a livello di registro stilistico ma anche a livello di scelta dei contenuti.
Privilegiando temi legati alla famiglia e alle relazioni personali, la struttura romanzesca degli ultimi anni20 sembra aver inglobato le caratteristiche della serie televisiva, contraddistinta da una dimensione narrativa in tempo reale. Negli ultimi anni la fiction italiana ha raccontato visivamente, la società e il cambiamento sociale, occupandosi della famiglia, captandone le trasformazioni.
Cristina Comencini, sin dal libro di esordio Le pagine strappate21, (Feltrinelli, 1994) ha intrapreso un viaggio nell universo familiare al femminile.
Le sue sono storie di depressione, di silenzi più rumorosi di un martello pneumatico, di odî feroci nascosti e celati da un'apparente sorriso, di mondi borghesi legati all'apparenza, ma che celano un segreto. In Passione di famiglia22 (Feltrinelli 1997), il titolo esplicita in parte e dall'altra acuisce la curiosità: vi si narrano le vicende tragicomiche di due sorelle che, come in una partita a poker avventurosa e interminabile, scartano e giocano le carte della loro vita, di quella delle loro dieci figlie e delle cinquanta nipoti, in una Napoli ironica e piena di colore, punteggiata da figure femminili portatrici di un destino di passione ed unite dal gioco. Al centro di una saga familiare che alterna commozione e comicità, dove gli uomini sono seduttori vigliacchi e perdigiorno, si sviluppa l'equivoco di un grande amore. Questo modo di raccontare a volte ironico a volte disincantato rivela Cristina Comencini non solo come sceneggiatrice e regista23 ma anche come autrice. Ci sembra importante sottolineare questa ambivalenza e questa sua apertura sul mondo della scrittura narrativa: alle prese con le descrizioni di universi femminili in continuo antagonismo con il mondo maschile, la Comencini parla di donne che provano difficoltà nel vivere in famiglia, ed è così capace di offrire una voce femminile alla cineletteratura.

 

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Giugno-dicembre 2007, n. 1-2


 

 

 

 

 

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