Stefano Lazzarin
All'ombra del canone abbacinante. Dal fantastico 'intelligente' agli studi sulle scrittrici italiane

 

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Sommario
I.
II.
III.
IV.
V.
VI.
VII.
VIII.
IX.
Il canone del fantastico 'intelligente'
Quel che la luce lasciò in ombra
Gli studi sul fantastico delle scrittrici italiane
Fantastico 'anxiety-free'
Tre recenti imprese collettive
Angoscia dell'influenza, al femminile
La donna vista dalle donne
Fantastico, sacro, femminile
Il nodo irrisolto della specificità


 

§ II. Quel che la luce lasciò in ombra

I. Il canone del fantastico 'intelligente'

Del fantastico italiano si comincia a parlare tra la fine degli anni Settanta e l'inizio degli anni Ottanta, per ragioni molteplici che vanno dal tramonto della figura dell'intellettuale 'impegnato', con la conseguente fine dell'ipoteca ideologica sul fantastico (secondo quanto afferma Marco Belpoliti in un saggio brillante e discutibile),1 allo straordinario successo dell'Introduction à la littérature fantastique di Tzvetan Todorov, pubblicata in Francia nel 19702 e tradotta in italiano nel 1977.3 Nel quadro del rinnovato interesse per il fantastico si scopre allora l'esistenza di una tradizione italiana; e tale operazione di riscoperta va di pari passo con la formazione del canone oggi dominante, definito nel corso degli anni Ottanta da critici, teorici e antologisti.
Sono soprattutto quattro i protagonisti di questa storia: Italo Calvino, che fra il 1983 e il 1985 pubblica tre importanti saggi sul fantastico occidentale e italiano;4 Enrico Ghidetti e Leonardo Lattarulo, che nel 1984 danno alle stampe la silloge più nota di questa tradizione letteraria, i due volumi del Notturno italiano;5 e Gianfranco Contini, la cui antologia del magico-surreale italiano degli anni Trenta e Quaranta, Italie magique, pubblicata in francese nel 1946, viene tradotta in italiano nel 1988,6 e recepita - con una lettura decontestualizzante, e anzi passabilmente anacronistica - alla stregua di una raccolta di racconti fantastici del Novecento italiano.7 Per le loro caratteristiche strutturali, i tre modelli teorici forgiati o riproposti fra il 1983 e il 1988 - il magico-surreale 'intelligente' e 'ironico' di Contini, il fantastico 'intellettuale' di Calvino, il fantastico 'colto' e mainstream di Ghidetti e Lattarulo - risultano atti a saldarsi reciprocamente; si delinea allora un'immagine del fantastico italiano come tradizione intellettuale, ironica, perfino cerebrale: è il fantastico perfettamente padrone di sé e dei propri meccanismi, espedienti ed effetti, che si è lasciato alle spalle la vecchia questione ottocentesca della credenza e si rivolge ormai esclusivamente all'intelletto dei suoi lettori.
Ora, in questa sede non importa ricostruire il processo di elaborazione di questo canone del fantastico 'intelligente', né analizzarne dettagliatamente le premesse teoriche, critiche e storiche, né infine stabilire perché i tre 'ingredienti' fondamentali cui ho accennato - il magico-surreale di Contini, il fantastico intellettuale di Calvino, quello colto e mainstream di Ghidetti e Lattarulo - fossero destinati ad amalgamarsi.8 Fatto sta che si amalgamarono; e che il prestigio intellettuale di Contini, Calvino e Ghidetti-Lattarulo garantì al canone da essi proposto un riconoscimento unanime. Vale la pena di riflettere brevemente su questo punto. Contini è stato forse il più grande critico del Novecento italiano, sicuramente uno dei più grandi, dei più ammirati e imitati (come dimostra, se non altro, il famoso gioco di parole sul 'giardino dei finti Contini'); Calvino era probabilmente, in quello scorcio di secolo, lo scrittore italiano vivente più celebre all'estero, e rimane oggi, pur in tempi di riflusso della sua fortuna critica, fra gli scrittori del secondo Novecento maggiormente letti e apprezzati, nei confini della penisola e soprattutto fuori; Ghidetti e Lattarulo erano e sono due studiosi fra i più noti e stimati, il primo docente universitario - come si suol dire - di chiara fama, e il secondo bibliotecario alla Biblioteca Nazionale di Roma (Lattarulo è l'unica figura un po' en retrait del mio quartetto, ma questo non comporta, ovviamente, che fosse meno apprezzato dagli specialisti e appassionati di fantastico che andavano crescendo di numero nell'Italia negli anni Ottanta).9 La definizione del canone del fantastico italiano è il risultato dell'alleanza fra queste tre o quattro auctoritates estremamente influenti; l'ascendente di ognuna di esse, già notevole in sé, viene amplificato dalla convergenza teorica con le altre illustri reputazioni: l'impatto canonico di questo modello si accresce, insomma, secondo una progressione che non è più matematica, bensì geometrica.
Le conseguenze di questa concentrazione d'autorevolezza, se possiamo chiamarla in tal modo, sono facilmente intuibili. A partire dagli anni Novanta, si crea un consenso molto ampio fra gli specialisti: riconoscendo la fondatezza delle ipotesi teoriche, analisi critiche e proposte antologiche di Contini, Calvino e Ghidetti-Lattarulo, i critici italiani si rimandano la stessa immagine di un fantastico italiano sovranamente 'intelligente'. Sventata la minaccia della non-esistenza, che era aleggiata a lungo sulla nostra tradizione, almeno dai tempi del famoso e citatissimo saggio di Benedetto Croce su Arrigo Boito («Tanta rumorosa letteratura romantica, e nessun romantico [autentico] in Italia, tra il 1815 e il 1860!»),10 per il fantastico italiano si profila, non senza una sfumatura paradossale, il pericolo opposto: quello di un canone eccessivamente prestigioso, e di conseguenza troppo chiuso. Il fantastico 'intelligente' si trasforma a poco a poco in monolito: è una struttura interpretativa estremamente solida e articolata, senza faglie, ma che proprio per questo rischia di scoraggiare la pluralità delle letture e dei punti di vista. E invece, come sempre accade quando viene elaborato un qualsivoglia canone, la descrizione del fantastico italiano come tradizione 'intelligente' - a mio avviso esatta - è il frutto di un certo numero di scelte ermeneutiche, che avrebbero potuto essere diverse.

 

§ III. Gli studi sul fantastico delle scrittrici italiane Torna al sommario dell'articolo

II. Quel che la luce lasciò in ombra

L'eccezionale valore paradigmatico immediatamente attribuito al canone di Contini, Calvino e Ghidetti-Lattarulo ebbe, tra i suoi effetti collaterali, quello di decretare l'estromissione dal campo d'interesse della critica di tutto ciò che in quel canone non figurava, o figurava in posizione marginale, minore, eccentrica. Le scelte compiute dai padri di quel canone, e l'abbacinante splendore della tradizione del fantastico 'intelligente' del Novecento, quello dei vari Papini, Bontempelli, Pirandello, Savinio, Landolfi, Buzzati, Vigolo, Primo Levi, Manganelli, Tabucchi, proiettarono un cono d'ombra sulle opere e gli autori che rientravano meno facilmente in quello schema, o che, magari, con quel canone facevano a pugni. Alcune interessanti 'zone' della tradizione fantastica italiana furono così condannate a un relativo oblio; se ne parlò, in ogni caso, molto meno degli autori e delle opere illuminati dallo sguardo di Contini, Calvino, Ghidetti-Lattarulo. Ricorderò tre di queste aree letterarie trascurate dagli studiosi, a mio parere le più vaste e significative.
La prima è la tradizione ottocentesca. Gli scrittori antologizzati da Contini appartengono, come detto sopra, a un paio di decenni di letteratura: per la precisione, dal 1921 di tre dei racconti palazzeschiani presenti in Italie magique - La bomba, Il gobbo e La veglia, raccolti nel Re bello11 - al 1945 del bontempelliano Nitta (nella raccolta Notti). I grandi auctores di Calvino sono tutti novecenteschi; si tratta degli scrittori 'fantastici' che erano già affermati quando lo stesso Calvino esordì sulla scena letteraria: Palazzeschi, Bontempelli, Buzzati, Landolfi,12 cui si può aggiungere Papini, la cui opera viene descritta, nella recensione calviniana al Notturno italiano, come il luogo esatto in cui l'Ottocento trapassa nel Novecento.13 Allestendo una famosa antologia di Racconti fantastici dell'Ottocento, Calvino non si fa del resto scrupolo di dichiarare: «Ho lasciato da parte gli autori italiani perché non mi piaceva farli figurare solo per obbligo di presenza: il fantastico resta nella letteratura italiana dell'Ottocento un campo veramente "minore"».14 Quanto al Notturno italiano, il primo volume dell'antologia di Ghidetti e Lattarulo - firmato dal solo Ghidetti - è riservato alla produzione ottocentesca; ma la relativa prefazione narra, sintomaticamente, la storia delle infinite difficoltà che il fantastico ha incontrato per acclimatarsi al di qua delle Alpi: «la vitalità di una veneranda tradizione classica e umanistica e la vicenda storica del Risorgimento hanno finito per costituire un argine pressoché insormontabile al diffondersi [in Italia] di quel genere tipicamente ottocentesco che è la narrazione fantastica».15 Fra scapigliati, veristi e isolati, e pur annoverando «una sua decorosa anche se marginale presenza», «il racconto fantastico in Italia nasc[erebbe] in ritardo e non p[otrebbe] vantare, nel corso dell'Ottocento, una tradizione paragonabile a quella di altre letterature europee».16 Questa impostazione risolutamente concentrata sul Novecento, da parte di tutti e quattro i padri del canone, non è certo priva di argomenti a favore - difficile negare che esista un dislivello qualitativo tra il fantastico italiano dell'Otto e del Novecento - ma ha orientato l'interesse degli studiosi, con esclusività perfino eccessiva, verso il secolo più recente. A conferma, mentre esistono ormai diversi libri sulla tradizione novecentesca,17 non ce n'è neppure uno che sia specificamente dedicato al fantastico italiano dell'Ottocento: i migliori studi sull'argomento - penso in particolare a quelli di Vittorio Roda18 - scelgono una periodizzazione a cavallo fra i due secoli.
La seconda zona rimasta a lungo off limits è quella del fantastico popolare. La visione del fantastico italiano come letteratura supremamente 'intelligente' è fondata su un preciso corpus letterario, che è quello della tradizione colta; meno sofisticato, meno cerebrale, meno interessato a sperimentalismi e raffinatezze, e più disposto a scommettere - alla maniera ottocentesca - sulla credenza da parte del lettore modello (nonché del lettore reale), il fantastico popolare è rimasto, perciò, ai margini dell'interesse dei critici. Gli auctores di Contini sono tutti letteratissimi: il risvolto di copertina di Italie magique assegna loro, come caratteristica «inéliminable», la «lucidité du contrôle»,19 mentre i cappelli introduttivi accennano all'«esprit très lucide et admirablement meublé» dell'uno (Landolfi)20 e al «penchant très intellectuel» o alla «curiosité cérébrale extrêmement instructive» dell'altro (Bontempelli).21 Calvino dichiara la propria predilezione per il fantastico del Novecento, nel quale si impone «un uso intellettuale (e non più emozionale [come nell'Ottocento])» del repertorio tradizionale: il fantastico diventa allora «gioco, ironia, ammicco»,22 e «la scommessa dell'immaginazione, dell'invenzione formale e concettuale», si fa «esplicita»; «il problema del "crederci o non crederci" ormai non si potrebbe più nemmeno porre».23 Quanto a Ghidetti e Lattarulo, basta scorrere l'indice del Notturno italiano per intuire come l'antologia si concentri sugli esiti colti del fantastico italiano, con una marcata predilezione, del resto, per quelli più visibilmente 'intellettuali', alla Calvino, o addirittura per quelli «esasperatamente intellettualistic[i]».24 Dal Notturno ottocentesco viene esclusa ad esempio la letteratura protoromantica, quella del romanzo storico di un Francesco Domenico Guerrazzi, ricco di episodi soprannaturali e fantasticheggianti, e della «scuola democratica» con tutte le sue «estese propaggini popolaresche»;25 in entrambi i volumi è assente la 'paraletteratura' o letteratura 'popolare' - Ghidetti e Lattarulo preferiscono la prima formulazione - il cui ruolo, come hanno dimostrato recenti ricerche, non fu irrilevante.26 Né Ghidetti e Lattarulo, e tanto meno Contini o Calvino, prendono in considerazione l'immensa produzione fantastica - anche se si tratta di un fantastico spesso ibrido, mescolato con il racconto d'avventura, la fantascienza, la letteratura d'orrore e il conte cruel - delle riviste popolari a grande diffusione, che tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento danno vita a un imponente fenomeno di serializzazione e massificazione della letteratura italiana, il cui esempio più notevole è rappresentato dalla «Domenica del Corriere».27
Se il privilegio concesso all''intelligenza' lascia nell'ombra il fantastico popolare, risolutamente 'emozionale', le scelte esplicite - e ancor più quelle implicite - di Contini, Calvino e Ghidetti-Lattarulo condannano le scrittrici a un ruolo minore, anzi minimo: il fantastico delle donne costituisce per l'appunto la terza zona d'ombra, forse la più estesa, nel canone del fantastico italiano. Basti, per il momento, una considerazione puramente quantitativa: fra gli otto auctores di Contini (Palazzeschi, Baldini, Lisi, Zavattini, Morovich, Moravia, Landolfi, Bontempelli) non c'è neppure una donna; e fra i cinquantasette autori selezionati da Ghidetti e Lattarulo nel Notturno italiano, ce ne sono soltanto due: Serao nel volume ottocentesco, Ortese in quello novecentesco.28 Sono cifre che in un certo senso si commentano da sole; tanto più che certi scrittori prescelti da Contini come esponenti del magico-surreale italiano appaiono oggi di statura modesta, e che alcuni di quelli che figurano nel Notturno erano e rimangono degli sconosciuti, o quasi. Intendo dire che la scoperta dei racconti fantastici di Roberto Bracco, Giulio Caprin o Persio Falchi ha senz'altro richiesto un lavoro di ricerca e di documentazione che Ghidetti e Lattarulo non si sono dati la briga di compiere per i primi racconti di Elsa Morante,29 o per le numerose opere fantastiche (o contaminate con il fantastico) di Paola Masino, la cui qualità letteraria mi sembra decisamente superiore. È vero che Ghidetti e Lattarulo precisano che l'«esclusione» di Morante «è dovuta soltanto ad un interdetto editoriale»;30 tuttavia, la loro lista di scrittori che avrebbero potuto rivendicare un posto nell'antologia, ma sono stati esclusi per ragioni di spazio, comporta nove nomi: e sono tutti uomini.31 Questa mancanza d'interesse per il fantastico femminile si ripercuote nelle opere critiche degli ultimi quindici anni, in cui le donne sono sempre sotto-rappresentate, e la maggior parte delle volte mancano completamente all'appello.32

 

§ IV. Fantastico 'anxiety-free' Torna al sommario dell'articolo

III. Gli studi sul fantastico delle scrittrici italiane

In questa sede, non ritornerò né sul privilegio concesso alla tradizione novecentesca nei confronti di quella ottocentesca, né sulla rimozione del fantastico popolare, avendolo già fatto in una precedente occasione.33 Mi concentrerò invece, in ossequio al tema dell'odierna giornata di studi, sulla negligenza che ha colpito il fantastico scritto da donne, e su quello che viceversa si sta facendo, oggi, in questo cantiere.
Cominciamo con il dire che le scrittrici fantastiche italiane, almeno negli ultimi due o tre decenni, sono state vittima non tanto di condanne esplicite, quanto piuttosto di omissioni sornione. Antonio Gramsci definì Carolina Invernizio un'«onesta gallina della letteratura popolare»;34 qualche decennio dopo, l'influente Harold Bloom ha bollato l'intera critica di impostazione gender e femminista con l'etichetta di 'scuola del risentimento', il cui unico scopo sarebbe distruggere l'eccellenza somma e inconfutabile dei grandi ingegni le cui opere formano il canone occidentale:35 ingegni che risultano in misura preponderante, è quasi superfluo precisarlo, maschili (le eccezioni ricordate da Bloom non sono numerose e confermano, nell'insieme, la regola). Quelle di Gramsci e Bloom sono, per l'appunto, prese di posizione esplicite, polemiche, anzi provocatorie: la loro dismisura lascia, per così dire, pochi dubbi ermeneutici. Ma come dicevo, negli ultimi due o tre decenni non è questa la casistica più abbondante, neppure in Italia. Esistono ancora, certo, sorprendenti esempi di arretratezza culturale; menzionerò il caso di Gianfranco De Turris che, in quella che è peraltro la prima e l'unica antologia del fantastico femminile italiano finora pubblicata, dopo aver deplorato le «violente condanne [...] strumentali e "politiche"» pronunciate contro la letteratura fantastica per la sua presunta «misoginia»,36 non esita a dichiarare:

«Oggi, al passo con le mode culturali ed i costumi, la donna rivendica un maggiore protagonismo, ma in che senso? e per raggiungere quale scopo? Dopo un femminismo "d'assalto" che viene ormai giudicato deleterio, controproducente e superato (non si contano più i mea culpa di tante capintesta di qualche anno fa...), oggi esso si presenta in un duplice aspetto: in alcune componenti ancora contro l'uomo; in genere però alla ricerca di una precisa posizione accanto all'uomo, intendendo con questo termine la ricerca di una complementarietà secondo i dettami di Madre Natura ([di] cui ci si ricorda soltanto quando fa comodo)».37

Si tratta, lo si vede, di un caso limite. Di solito, i critici non dichiarano esplicitamente l'inessenzialità del fantastico femminile, o degli approcci gender al fantastico scritto da donne, bensì si limitano - e forse è cosa peggiore - a lasciare tacitamente le scrittrici in disparte, o ad accogliere l'una o l'altra di esse quasi per l'«obbligo di presenza» di cui parlava Calvino in relazione al fantastico ottocentesco italiano,38 o forse per un'estensione del principio delle 'pari opportunità' al campo della storia letteraria...
Così, non ci sono scrittrici canoniche nel campo del fantastico italiano, o per l'esattezza ce n'è soltanto una, Anna Maria Ortese: non a caso la sola donna, come si è detto, a figurare nel Notturno italiano novecentesco di Ghidetti e Lattarulo. Elsa Morante appartiene sì al canone novecentesco, ma non in virtù dei suoi racconti fantastici, bensì dei romanzi; d'altra parte, se è vero che i testi fantastici di Paola Masino e Matilde Serao hanno conosciuto una certa fortuna negli ultimi due o tre decenni - Serao soprattutto oltremanica e oltreoceano, Masino soprattutto negli ultimi anni - resta il fatto che nessuna delle due può dirsi, nel campo del fantastico, un'autrice canonica. E nondimeno Ortese, Morante, Masino e Serao si sono giovate del recente interesse per il fantastico femminile italiano, e del fatto che questo sia diventato uno dei cantieri in cui attualmente si lavora di più, e uno di quelli che promettono le scoperte più interessanti.
Su Ortese, i lavori migliori sono quelli di Marie-Anne Rubat du Mérac,39 Monica Farnetti (una monografia e un articolo),40 Caterina De Caprio,41 Flora Ghezzo,42 alcuni dei saggi raccolti nel collettivo La perturbante,43 due articoli di Cosetta Seno Reed confluiti in un libro più recente,44 e le monografie di Rosamaria Scarfò e Vilma De Gasperin,45 che tuttavia, dedicate come sono alla tematica dell'alterità, sorvolano entrambe abbastanza rapidamente sulla questione dell'appartenenza generica.
Se Ortese è in assoluto la scrittrice italiana più spesso inserita nella costellazione del fantastico femminile, Serao, apprezzata soprattutto in ambito angloamericano, viene considerata per lo più un'esponente del gotico, con una scelta terminologica che è lungi dal sorprendere: molta bibliografia di lingua inglese designa con il termine 'gothic' - gothic literature, gothic genre - quel che la critica francese definisce littérature fantastique. I lavori più significativi sul fantastico (o sul gothic) di Serao sono quelli di Ursula Fanning;46 ma non andranno dimenticati i contributi di Nancy Harrowitz,47 Vittorio Roda,48 Rosaria Taglialatela e Mariadomenica Verde,49 né le utili indicazioni che provengono da saggi che non vertono specificamente su Serao.50
Quanto a Morante, i contributi relativi non affrontano quasi mai direttamente la questione del fantastico, ma toccano, in compenso, molti nodi cruciali anche per lo studioso (e l'appassionato) di fantastico. Così, Marco Bardini e Marilena Ermilli hanno indagato sui fantasmi creati dalla fantasia di Elisa De Salvi, la protagonista di Menzogna e sortilegio (1948);51 Monica Farnetti sugli spazi onirici;52 Claudia Zudini e Beatrice Laghezza sui doppi di Morante;53 Elena Porciani sulla ricca panoplia dei temi onirici.54 Inoltre, un capitolo su Morante figura in un libro - del resto di qualità non eccelsa - specificamente dedicato al fantastico 'femminile': quello già nominato di Gloria Alpini.55
Masino è un'altra scrittrice che in anni recenti, e nell'ambito della rinnovata attenzione per il fantastico, ha suscitato vari interventi critici. Lo studio più approfondito e originale del fantastico masiniano è stato fornito da Beatrice Manetti, negli atti del convegno di Cagliari del 2006: fra l'altro questo saggio, benché sia limitato al corpus di una sola scrittrice, costituisce uno dei tentativi più convincenti di delineare una problematica del fantastico femminile da una prospettiva gender.56 Altri studi tentano di collocare Masino all'interno di una tradizione del fantastico femminile: da questo punto di vista meritano una segnalazione particolare gli studi gender di Flora Ghezzo, Barbara Garbin e Beatrice Laghezza, tutti di qualità.57 Rita Guerricchio, Silvana Cirillo e Fulvia Airoldi Namer riflettono invece sull'opportunità o no di assegnare l'opera di Masino a un filone 'surrealista' o magico-realista della letteratura italiana del Novecento;58 mentre Marinella Mascia Galateria e Marina Morbiducci si concentrano sul romanzo fantastico Monte Ignoso (1931).59 Ma la problematica del fantastico viene sfiorata in altri studi, importanti o perfino decisivi nella bibliografia su Masino, come l'articolo di Fulvia Airoldi Namer sull'immaginario della terra e della discesa,60 quello di Allison A. Cooper sulle prime opere di Masino,61 e il libro di Louise Rozier sul mito e l'allegoria.62
Non sono molti i nomi che potrebbero essere aggiunti a quelli già pronunciati, ma vale la pena di ricordare almeno Neera (pseudonimo di Anna Radius Zuccari, 1846-1918), le cui opere gotiche o fantastiche hanno ispirato recentemente le letture gender di Mariarosa Mettifogo e Olivia Santovetti.63 Chiuderemo questa breve panoramica della ricerca sulle scrittrici del fantastico registrando l'esistenza di due antologie settoriali: L'orrore al femminile, curata da Elinor Childe e John G. Pinamonte e uscita addirittura negli anni Ottanta, il cui corpus comparatistico comprende diversi testi italiani;64 e L'altro volto della luna, a cura di Gianfranco De Turris, che come già accennato ha il pregio di essere l'unica antologia interamente dedicata al fantastico femminile italiano - sia pure inteso in senso ampio, e circoscritto cronologicamente agli anni Ottanta - ma anche il difetto di una postura ideologica non esente da ombre.65

 

§ V. Tre recenti imprese collettive Torna al sommario dell'articolo

IV. Fantastico 'anxiety-free'

Nonostante questo fervore di indagini, il panorama rimane ancora abbastanza frammentario, per non dire parcellizzato: le scrittrici fantastiche italiane cominciano sì a godere di una certa attenzione critica, ma continuano a mancare quasi del tutto gli studi che concepiscano il fantastico femminile italiano alla stregua di una tradizione, o almeno di un insieme, coerente, come si è fatto da un quindicennio a questa parte per la tradizione maschile.66 (Per inciso, 'insieme coerente' non significa automaticamente 'dotato di caratteristiche specifiche': su questo punto ritornerò sotto.) Di seguito, mi soffermerò su quanto è già stato fatto in quest'ambito, seguendo l'ordine cronologico di pubblicazione dei vari contributi.
Il primo nome da fare è quello di Monica Farnetti, cui spetta il merito di aver cercato per prima, in una serie di studi pubblicati a partire dalla seconda metà degli anni Novanta, di definire la specificità di un approccio 'femminile' del fantastico.67 Il testo forse più chiaro in tal senso è quello che porta il trasparente titolo Anxiety-free: Rereadings of the Freudian "Uncanny", presentato al convegno londinese del 2003 e pubblicato nel 2007. Farnetti parte qui dall'analisi di un ricco corpus di narrazioni fantastiche di scrittrici per individuare due specificità del perturbante femminile rispetto a quello tradizionale (maschile): il rapporto empatico e non angoscioso con l'Altro («empathy replaces the anxiety theorized by Freud»);68 e il potenziamento dell'io che queste storie mettono in scena, anziché la diminuzione o distruzione che caratterizzano quasi infallibilmente i racconti del perturbante maschile: l'esperienza dell'Unheimliche sarebbe per le protagoniste delle narrazioni femminili «an opportunity of empowerment».69 Un terzo elemento distintivo sarebbe costituito dal rapporto privilegiato delle scrittrici - e dei personaggi femminili destinati a rappresentarle all'interno della finzione - con il mostro: il «female thinking of the Monster» sarebbe «an untraditional, noninstitutionalized, mode of thought», che segnerebbe «the triumph of experience over logic» e la rivincita del desiderio sullo «scientific intellectualism» che ha dominato la tradizione occidentale.70
Le stesse tesi vengono esposte nel seminario sul tema La perturbante, tenutosi prima a Venezia (Fondazione Giorgio Cini, 1 febbraio 2002) e poi a Firenze, per iniziativa di un gruppo di studiose appartenenti alla Società Italiana delle Letterate; gli atti sono stati pubblicati (2003) a cura della stessa Farnetti, di Eleonora Chiti e di Uta Treder.71 Nei quindici contributi che compongono il volume - tra cui uno di Farnetti, anch'esso dal titolo eloquente: Empatia, euforia, angoscia, ironia. Modelli femminili del perturbante72 - si cerca di definire una 'via femminile' al perturbante: una tipologia dell'Unheimliche in cui l'angoscia e il terrore cedano il passo a varie forme di empatia, appunto. Laddove «il perturbante, se maneggiato da penna maschile», risulterebbe «per suo tratto costitutivo foriero di rovina e di annientamento», e «fondamentali per la fortuna di questo genere letterario» declinato al maschile sarebbero «la paura e il brivido del lettore che spesso vengono esplicitamente annunciati e destati nella cornice»,73 le scrittrici si comporterebbero in modo del tutto diverso: «nel fantastico femminile - di donne che dovrebbero "canonicamente" custodire il domestico - accade [...] che l'estraneità si dimostri amata, accolta, prediletta, riconosciuta come parte di sé».74 Il fenomeno sarebbe eminentemente gender, visto che «il perturbante [freudianamente inteso] è [...] legato al sesso maschile, come tutta la psicoanalisi», e che viceversa «una donna abita il proprio corpo in modo diverso [dall'uomo]»: «difficilmente può venir colpita dal complesso di castrazione come Nathanael, il protagonista di Der Sandmann, [sicché] dal côté femminile il perturbante deve essere per forza rifunzionalizzato e quindi presentarsi nei testi scritti da donne come un'altra cosa».75
Ho citato l'introduzione al volume, firmata da Chiti e Treder, ma potrei attingere direttamente al saggio di Farnetti e la sostanza rimarrebbe la stessa: è chiaro che le studiose del seminario sulla Perturbante stanno facendo propria la teoria del perturbante empatico, proponendone una serie di applicazioni a concreti casi letterari. Aggiungerei due considerazioni. La prima: per questa sua programmatica volontà di ridiscutere il famoso saggio freudiano,76 La perturbante costituisce una sorta di dittico insieme al numero monografico di «Nuova Prosa» che vorrebbe Definire il fantastico.77 La seconda: sebbene, a mio avviso, questo tipo di approccio non sia esente da critiche,78 non si può negare che possieda una certa capacità di fecondare altre ricerche: in effetti, le tesi di Farnetti sono state riprese, in anni più vicini a noi, da varie studiose, e per esempio da Silvia Zangrandi, che ne ha tratto spunto per un'indagine sulla rappresentazione della dimora nella letteratura fantastica femminile italiana.79

 

§ VI. Angoscia dell'influenza, al femminile Torna al sommario dell'articolo

V. Tre recenti imprese collettive

Nei suoi saggi, Farnetti fornisce a più riprese lunghe liste di testi che apparterrebbero al fantastico femminile quale da lei definito; possiamo dunque ammettere che, ai suoi occhi, i racconti e romanzi scritti da donne formino una vicenda unitaria, una storia del fantastico femminile italiano che varrebbe la pena di ricostruire nel suo sviluppo e nelle sue fasi più o meno rilevanti e memorabili. Un punto di vista analogo è sotteso a tre imprese collettive, due atti di convegno e un numero di rivista, che hanno visto la luce negli ultimi otto anni. La prima è il convegno londinese del 2003 sul gotico e sul fantastico italiano, cui ho accennato precedentemente: negli atti, cinque saggi su undici sono dedicati a scrittrici come Serao, Ortese (due interventi), Rossana Ombres e Paola Capriolo,80 senza contare lo studio di Farnetti già menzionato sul perturbante femminile anxiety-free. Questa forte presenza 'quantitativa' viene inoltre confermata dalla scelta strutturale di riservare una delle tre sezioni del volume al Female Fantastic in the Twentieth Century.81 Nell'introduzione generale della miscellanea, Francesca Billiani giustifica tale decisione di limitarsi quasi esclusivamente, per quanto riguarda il Novecento, al fantastico prodotto da donne in termini che devono parecchio, ancora una volta, alla teorizzazione di Farnetti:

«Despite this twentieth-century proliferation [del fantastico], the focus of this volume is on a single category, the feminine fantastic, which, while often neglected by critics, has had a significant impact in Italy. The choice to use the fantastic made by women writers such as Paola Capriolo, Anna Maria Ortese, and Rossana Ombres is, nevertheless, not merely gender-based. It also aims to convey a different sensibility, in sympathetic dialogue with the irrational side of reality, embodied in the figure of the monster and various other creatures, real and imaginary. In a nutshell, this sensibilité enters into dialogue with an Other which is no longer disquieting, but becomes a familiar being with whom to empathize».82

La seconda occasione di riflessione collettiva cui alludevo è il convegno di Dubrovnik sul doppio, tenutosi nel 2004, ma i cui atti sono stati pubblicati soltanto nel 2008.83 Anche qui compare una sezione specifica sulla letteratura scritta da donne: si tratta di quattro saggi dedicati al Doppio femminile, che vertono rispettivamente su Anna Banti, la donna futurista, Paola Masino e Rosa Rosà.84 È probabile che la delimitazione di uno spazio riservato alla letteratura femminile possa essere considerata un gesto dai significati sostanzialmente opposti, di riconoscimento o viceversa di marginalizzazione, quasi si stessero fissando i confini di una sorta di 'riserva indiana' della scrittura; ma di nuovo, e a prescindere dal segno di valore positivo o negativo che le si voglia assegnare, questa opzione mi sembra riveli, dal punto di vista storiografico, la consapevolezza dell'esistenza di una tradizione letteraria dai caratteri comuni. Questo vale, penso, anche per la terza impresa collettiva di cui parlavo in precedenza: il recentissimo (2015) numero monografico sul tema L'autorité des genres della rivista di comparatistica dell'Université Jean Monnet di Saint-Etienne, i «Cahiers du CELEC», dove due contributi su sei sono dedicati, in tutto o in parte, al fantastico femminile.85

 

§ VII. La donna vista dalle donne Torna al sommario dell'articolo

VI. Angoscia dell'influenza, al femminile

Le prime monografie interamente dedicate al fantastico femminile sono venute a confermare la recente tendenza critica a guardare alle scrittrici come a un gruppo (relativamente) omogeneo. Nello stesso 2007 in cui escono gli atti del convegno londinese, viene pubblicato anche un volume di Danielle E. Hipkins sulle 'tracce del fantastico' nelle autrici italiane contemporanee (Paola Capriolo, Francesca Duranti, Rossana Ombres); nel 2009 esce il libro di Gloria Alpini già menzionato, con capitoli dedicati a Serao, Ada Negri, Morante, Ortese e Capriolo.86
La proposta interpretativa di Hipkins appare fondata su tre nozioni fondamentali. La prima è l'angoscia d'influenza teorizzata da Harold Bloom,87 che nel caso delle scrittrici italiane assumerebbe tratti specifici in relazione alla «millennial exclusion of women from artistic production».88 In Italia non ci sarebbe soltanto il «generic sense of epigonality associated with the post-modern period», che caratterizza tutta la letteratura novecentesca dopo una certa data, e al quale non sfuggono neppure gli autori fantastici; il sentimento di «late arrival» è comune alle donne e agli uomini: ma l'anxiety of influence che colpisce il soggetto femminile non può essere la stessa del soggetto maschile, visto che le donne «lack female predecessors and have always and only been regarded as readers».89 Si tratta dunque, ribadisce Hipkins, di «a different kind of inhibition from that generic sense of epigonality associated with the post-modern period»,90 di un'angoscia che colpisce specificamente le donne in quanto protagoniste emarginate della storia letteraria. Questa nozione di 'perturbante femminile' si colloca agli antipodi rispetto al «female use of the fantastic that is 'anxiety-free'»,91 in cui Monica Farnetti riconosce, come abbiamo visto, la specificità della tradizione in esame: non l'assenza d'angoscia caratterizza il fantastico femminile, bensì il fatto che l'angoscia abbia come oggetto il canone letterario, o per essere più esatti «a male-authored canon».92 La scelta generica medesima sarebbe dovuta alla volontà delle scrittrici di dialogare (e scontrarsi) con il canone maschile: fra tutti i generi e modi di discorso, il fantastico è precisamente quello che permette al soggetto femminile un «dialogue with the male-authored text»,93 e con il sistema conoscitivo e assiologico di cui il testo 'maschile' rappresenta il veicolo. Il fantastico, scrive Hipkins, «offers the dizzying possibility of reconfiguring the reality paradigm, and is thus widely associated with an invitation to transgression».94 Pure l'intertestualità, che nei testi fantastici scritti da donne risulta sempre molto intensa, sarebbe «an engagement with male-authored texts»:95 un dialogo-confronto-conflitto con la tradizione maschile; così nel caso delle tre scrittrici studiate in dettaglio da Hipkins: «they all [...] share [...] a self-conscious interest in a dialogue with a predominantly male-authored 'high' literary discourse».96
Sebbene appartengano a generazioni diverse - nata nel 1962, Capriolo è nettamente più giovane di Duranti (1935) e Ombres (1931) - le tre scrittrici seguono percorsi paralleli, ai quali la studiosa applica una griglia di lettura fondata su altre due nozioni decisive: quelle di 'spazio' e 'traccia'. In una prima fase della loro carriera letteraria, Ombres, Duranti e Capriolo inscenano simboliche «limitations of the female body, often in the form of terrifying spatial enclosures»;97 il corpo rinchiuso delle protagoniste e lo spazio fantastico in cui si aggirano problematizzano «her own relationship [di ciascuna scrittrice] to literary space as a female writer, approaching the canon [...] from a position of alterity».98 Lo spazio è una metafora perfetta della «women's relation to the canon»:99 «the enclosed space[s]» - Hipkins menziona veri e propri cronotopi del gotico come «prison, labyrinth, grave, cave» - coincidono «with women's hitherto limited space within literature».100 In una fase più matura dell'opera delle tre scrittrici, invece, lo spazio si amplia e il fantastico si diluisce, mentre l'angoscia cede il passo a una maggiore confidenza creativa nei confronti della tradizione:

«All three writers begin by exploring the hermetic, fantastic space of enclosure with a critical, or troubled, eye, eventually opting for wider national, and often international spaces, in which only a 'fantastic trace' remains. This movement mirrors the writers' own increasingly confident distance from the male-authored literary models and demonstrates the creative input that the three writers bring to the literary canon».101

Il fatto che in Capriolo, Duranti e Ombres «we can discern broadly similar developments» induce Hipkins a ritenere che sia «worth considering women writers as a group in order to illuminate new literary patterns determined by their gender identity»;102 saremmo di fronte, insomma, a un «clear leanage of a female tradition of the fantastic»:103 una tradizione dotata di caratteri comuni, in grado non tanto di costituire un anti-canone, quanto di modificare dall'interno il canone esistente.

 

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VII. La donna vista dalle donne

Un altro studio complessivo sulla tradizione italiana del fantastico 'scritto da donne' è quello di Gloria Alpini, che risulta però molto meno persuasivo di quello di Hipkins. Nella fattispecie, l'etichetta 'fantastico femminile' campeggia addirittura nel titolo: le scrittrici italiane contemporanee di Hipkins hanno lasciato spazio al genere cui appartengono le opere di Serao, Negri, Morante, Ortese e Capriolo. Forse nessun altro studio oggi esistente ha, nell'ambito di cui ci stiamo occupando, le ambizioni storico-teoriche e la portata sistematica di The Female Fantastic. Il corpus letterario di Hipkins è relativamente poco ampio, la periodizzazione copre soltanto l'area contemporanea: l'analisi, pur dettagliata e puntuale, si concentra, come detto, su Ombres, Duranti e Capriolo; nei loro recenti articoli sulle scrittrici fantastiche italiane, Beatrice Manetti e Beatrice Laghezza sono costrette, dallo spazio ristretto che contraddistingue per definizione un intervento su rivista, a limitarsi a un piccolo numero di casi esemplari: Masino, Morante e Ombres per Manetti, Serao, Masino e Morante per Laghezza.104 È vero che sia Hipkins sia Manetti delineano, nelle sezioni introduttive dei rispettivi lavori, quella «ricognizione esaustiva» della tradizione femminile italiana che ancora ci manca,105 ma appunto non possono far altro che delineare o accennare. Alpini ha invece a disposizione lo spazio di una monografia. Mutuando dallo studio di Hipkins - e da altri dedicati, in gran parte o in tutto, alla tradizione 'maschile'106 - il principio strutturale dei capitoli monografico-analitici, la studiosa sottopone a disamina cinque scrittrici, che rappresentano non soltanto Distinct Styles of Female Fantastic,107 ma diverse epoche del medesimo. Insomma: con The Female Fantastic siamo di fronte, per la prima volta, a un abbozzo di storia del fantastico femminile italiano per campioni significativi. L'idea era senz'altro buona, e tuttavia il libro di Alpini rappresenta un'occasione mancata: la rendono tale alcune aporie teoriche - per esempio la scelta di concepire il 'modo' fantastico non nei termini rigorosi di Remo Ceserani,108 bensì come una specie di super-modalità letteraria comprendente «a number of distinct genres such as myth, legend, epic, folk tales, fairy tales, the Gothic, science fiction, the marvellous and the Fantastic»109 - e soprattutto una scelta ideologica.
Alpini traccia l'immagine, questa abbastanza convincente, di un fantastico femminile italiano fortemente trasgressivo, scelto dalle scrittrici perché permetteva loro di decostruire le false immagini della donna messe in circolazione dalla cultura maschile: «The Female Fantastic involves a 'poetics of perversity' that does not celebrate but rather rejects and 'perverts'/distorts/misrepresents/changes the traditional representation of women as something perfect/abstract/idealised. Thus, the female voice chooses paradoxically the Fantastic to assert that a woman is no fantastic, silent creature».110 In questa chiave, il fantastico femminile diventa una sorta di controcanto demistificante rispetto agli stereotipi 'patriarcali', «a "poetics of perversion" that deconstructs male perceptions of female identity rooted in patriarchal models of femininity»;111 e nel contempo, lo specchio di una realtà - la donna vista dalle donne - che non aveva in precedenza trovato voce che la esprimesse: «The reasons behind the birth of the Female Fantastic are to be found in a kind of reaction against straight paths and given models of femininity. The Female Fantastic paradoxically mirrors the emerging reality of a New Woman and becomes an instrument of distribution for a new female conscience subtracted from the mystification of phallocratic culture».112 E ancora: «the Female Fantastic fills in the lack of a discourse by woman on herself as a 'real' creature».113
Ognuna a suo modo, le scrittrici studiate nella seconda parte del volume lavorano in questa direzione; il quadro che ne esce potrebbe risultare probante, se solo Alpini guardasse ai fenomeni che descrive da una prospettiva un po' meno militante. La studiosa si lascia letteralmente abbagliare dall'ideologia; per esempio laddove critica Anne Richter114 e Monica Farnetti115 per aver fatto ricorso a teorie della letteratura e del fantastico elaborate da uomini, e legate a sistemi ideologici viziati all'origine, perché di matrice 'patriarcale' e 'logocentrica':

«Unfortunately, we shall see that critics such as Richter and Farnetti cannot help but turn to male theoretical paradigms to elaborate their theories. Thus, Richter, under the influence of Jung, reduces the Female Fantastic to the recovery of female archetypes celebrated as liberating models of female identity. However, [...] myth is, in fact, an alienating mode of representation of women. [...] [W]e shall also see that there is a risk in associating the Female Fantastic with 'the irrational' as Richter and Farnetti do under the influence of Jung and Lacan».116

Dobbiamo forse dedurne che soltanto le donne possono parlare del fantastico scritto da donne, e che teorici quali Tzvetan Todorov e Jaime Alazraki,117 colpevoli di aver elaborato male paradigms, non hanno nulla da dire alle studiose del fantastico femminile? Alpini sembrerebbe pensarla proprio così:

«in order to counteract the general tendency of enclosing this genre within an exclusively male-centred analysis (prevalent with modern critics such as Nodier, Freud, Todorov and Alazraki [...]) [...] we shall shift the attention onto women's theoretical contributions to the study of fantastic literature from a 'female' perspective focusing on some major critics (Ellen Moers, Ann[e] Richter, Monica Farnetti and Rosalba Campra) who regard le fantastique féminin as a mode of representation of women».118

A me pare che la lettura gender dei testi letterari, come tutte le griglie interpretative, sia giustificata quando risulta economica: quando cioè - se è lecito esprimersi in termini così sommari - fa dire cose interessanti ai testi che esamina. Alpini, invece, riesce nell'impresa di ridurre uno dei più bei racconti della letteratura italiana, La moglie di Gogol di Landolfi (nella raccolta Ombre, 1954), a una testimonianza del maschilismo dello scrittore: «Indeed, in Ghidetti's anthology [il Notturno novecentesco], the status of woman has not changed much within the male imaginary. A short story, written in 1954 [appunto La moglie di Gogol], still tells us about a man who is happy with his supremacy and cannot accept that his wife/doll/rebel starts showing: "velleità d'indipendenza [...]"».119

 

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VIII. Fantastico, sacro, femminile

La vera alternativa al fantastico 'empatico' di Farnetti e all'angoscia correlata all'atto dello scrivere su cui riflette Hipkins non è fornita dal grigio determinismo gender di Alpini, che scade in caricatura, bensì da un articolo di Manetti uscito nel mese di agosto 2015 (anche se il numero dei «California Italian Studies» che lo ospita è datato 2014). Donne al cospetto dell'angelo si può considerare come la continuazione di uno studio di qualche anno precedente, che verteva su Masino:120 Manetti riprende le ipotesi formulate in quel saggio, approfondendo l'inchiesta sul piano per così dire 'quantitativo' - l'analisi si estende a Morante e Ombres - ma anche 'qualitativo', per il tentativo di individuare una tradizione del fantastico delle scrittrici italiane e una loro specificità. Il punto di partenza, e l'obbiettivo polemico, è rappresentato dalla nozione di fantastico femminile anxiety-free proposta da Farnetti. Pur riconoscendo la «fecondità di questa ipotesi interpretativa, fondata [...] su un ampio corpus di testi che spazia dalla seconda metà dell'Ottocento agli anni Ottanta del Novecento», Manetti ritiene che essa presenti «almeno due elementi discutibili: uno per così dire 'interno', riconducibile cioè a una lettura parziale e lievemente tendenziosa del testo freudiano; l'altro 'esterno', che consiste nel trascurare i diversi contesti storico-letterari in cui hanno operato le scrittrici».121 In primo luogo, «nel testo di Freud l'accenno al corpo della donna come fonte di inquietante estraneità chiude in modo cursorio una ricognizione più ampia, che prende in esame molte altre manifestazioni del perturbante, dal motivo del sosia a quello della coincidenza fatale, dall'onnipotenza dei pensieri connessa con l'animismo al ritorno dei morti e alla follia»:122 la «supposta coincidenza tra la donna e il perturbante» postulata da Freud non è dunque un argomento dal valore assoluto, ma un'intuizione che compare in un passo specifico, che va messa in relazione con altri argomenti dotati di importanza analoga, e che a sua volta rimanda ad altro («il corpo sessuato della donna risulta sì, agli occhi di Freud, l'Altro da sé percepito con angoscia da un soggetto maschile, ma solo in quanto "accesso all'antica patria (Heimat) [...] in cui ognuno ha dimorato un tempo e che è anzi la sua prima dimora"»).123 In secondo luogo, e soprattutto, la teoria di Farnetti appare «problematic[a]» anche dal punto di vista del «contesto storico-letterario»: «Uno sguardo d'insieme al fantastico novecentesco italiano [...] mostra infatti come la tensione alla riconciliazione con l'alterità e alla riduzione al minimo dell'antagonismo tra categorie opposte (sogno-veglia, reale-irreale, coscienza-inconscio, sé-altro da sé) siano tratti caratteristici non solo del fantastico femminile ma del fantastico tout court».124 In sostanza, come avviene spesso negli studi sul fantastico femminile, Farnetti scambia per tratti distintivi quelli che sono soltanto tratti ricorrenti (su questo punto ritornerò). «Se accettiamo questi paradigmi come caratteristici del fantastico italiano novecentesco», rileva giustamente Manetti, «la prima conseguenza è che quello femminile perde la sua specificità e novità, per risultare perfettamente omogeneo alla tendenza dominante».125
Come uscire, allora, dall'impasse? Manetti propone di ricorrere a un saggio di Elaine Showalter,126 che

«applica alla letteratura il modello antropologico della relazione tra gruppo dominante e gruppo silenzioso, secondo il quale le due sfere non sono complementari ma si intersecano parzialmente l'una con l'altra, per cui il gruppo silenzioso si trova da un lato a condividere una parte considerevole della cultura del gruppo dominante, pur mantenendo una zona inaccessibile ai paradigmi culturali e al linguaggio di quest'ultimo. "La scrittura femminile", conclude Showalter, sarebbe dunque costituita da "un discorso a due voci, [...] che contiene una storia 'dominante' e una 'silenziosa'"».127

La «zona inaccessibile» cui allude Manetti e la «storia [...] 'silenziosa'» di Showalter racchiuderebbero dunque la specificità del fantastico femminile, quella parte della letteratura fantastica scritta da donne che non coincide con la «tendenza dominante»:128 si tratterebbe di un particolare uso del sacro «nella sua funzione peculiare di momento fondativo o di motore del fantastico».129 Innestando sulle osservazioni di Farnetti e Showalter la teoria del sacro enunciata da Rudolf Otto in un famoso libro,130 Manetti osserva che il fantastico scritto da donne appare strutturato come l'esperienza del mysterium tremendum: il sacro quale viene descritto da Otto è un'esperienza costitutivamente ambivalente, che contiene al tempo stesso la fascinazione e l'orrore; analogamente, il fantastico femminile, nella fattispecie quello italiano, incorpora sia la nozione classica (freudiana) del perturbante come elemento spaventoso e distruttivo, sia una percezione maggiormente positiva dell'altro, che tende a considerarlo un'opportunità di arricchimento spirituale dell'io.

«Il recupero di temi, immagini e schemi narrativi mutuati dalla sfera del sacro» - scrive ancora Manetti - «permette alle scrittrici del fantastico novecentesco di stare allo stesso tempo dentro e fuori il discorso dominante: e cioè di rovesciare gli assunti della tradizione ottocentesca del genere, individuando nel perturbante non solo ciò che frena e annienta ma anche ciò che libera e affascina, e insieme di salvaguardare, rinnovandolo, l'elemento inquietante, potenzialmente distruttivo e sempre pericoloso, di quella liberazione e fascinazione».131

Questa ipotesi alimenta le analisi della seconda parte dell'articolo, dove Manetti si sofferma su quelle che sono evidentemente, ai suoi occhi, tre autrici di massima importanza nel canone novecentesco, se non forse le più importanti. Nonostante le differenze, le narrazioni fantastiche di Masino, Morante e Ombres scaturiscono tutte da una profonda conoscenza della tradizione giudeocristiana, e specialmente delle Sacre Scritture: ed è proprio attingendo temi, immagini, schemi narrativi dal repertorio letterario del sacro che le tre scrittrici riescono a rinnovare il canone del fantastico.

 

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IX. Il nodo irrisolto della specificità

Se un nuovo interesse critico sta portando alla riscoperta di scrittrici e opere fantastiche, se con Farnetti, Hipkins e Manetti disponiamo ormai delle prime indagini complessive sul fantastico femminile, se infine gli studi gender si possono ormai dire fiorenti, va riconosciuto però che non sempre questo filone critico si attesta su un livello di qualità accettabile. Un esempio emblematico mi sembra fornito da un libro di Annamaria Cavalli che vorrebbe, leggiamo nell'Introduzione, «sondare gli spazi ideologici, psicologici e metaforici, attingendo i quali l'uomo da sempre tenta di varcare la soglia che lo separa dall'oltre. [...] Il fantastico, il sogno e la sfera del femminile rispondono a questo intento di collegamento con l'aldilà e col mistero e l'ombra che lo avvolgono. Quello che interessa qui analizzare è la loro manifestazione letteraria, colta in alcuni 'campioni' significativi».132 Nel tentativo di far coincidere, come recitano i titoli delle sezioni in cui si articola questo studio, Il fantastico, Il sogno, Il femminile, Cavalli non approda se non a una generosa confusione, al punto che la materia stessa del suo libro le pare, conclusivamente, «tanto variegata e sfuggente sotto il profilo teorico da risultare quasi imprendibile».133 E lo è davvero: ma non perché l'oggetto teorico - il fantastico, o il fantastico femminile - sia intrinsecamente inafferrabile, bensì perché l'hanno reso tale le scelte ermeneutiche compiute.
Soprattutto, rimangono tuttora irrisolti, a mio avviso, alcuni nodi interpretativi fondamentali, soggiacenti alle analisi testuali e ai tentativi di definizione sopra citati (nonché ad altri saggi d'analisi e teoria del fantastico femminile, meno efficaci, che ho tralasciato di menzionare). Queste, che possiamo chiamare difficoltà teoriche e aporie logiche ricorrenti nella bibliografia sul fantastico femminile italiano, mi paiono quasi sempre riconducibili all'abolizione della differenza che separa tratti caratterizzanti e tratti specifici: in altri termini, la maggior parte degli studi sul fantastico femminile presenta come peculiare della scrittura delle donne, e dunque distintivo, ciò che in realtà è soltanto caratteristico, e come tale non basta a tracciare una frontiera teorica 'forte' tra maschile e femminile.
Un buon esempio ci è fornito proprio dagli studi di Farnetti, di cui pure abbiamo riconosciuto precedentemente l'importanza. L'«empathetic relation, mediated by pietas, tenderness, and desire for creatures, worlds, and levels of experience different to the self, that characterizes responses to this experience [l'esperienza del perturbante] in women's writing»,134 secondo la definizione proposta nel saggio Anxiety-free: Rereadings of the Freudian "Uncanny" (2007), non sembra, in effetti, esclusiva della scrittura femminile. Farnetti elenca numerose forme di «empathetic relationship with the "strange"» da parte del soggetto femminile quale viene rappresentato nei testi fantastici:

«pietas for spirits and other despised creatures [...]; the loving choice of a specter for a husband [...]; tenderness towards friendly spirits and anthropomorphic lovers and playmates [...]; intimacy and a relationship of equals between young girls and dolls [...]; the humanization of the natural and the supernatural [...]; a serene fluctuation between sleep and waking [...]; and an affectionate complicity between death and beauty».135

Ma nessuno di questi temi risulta confinato ai testi delle scrittrici, con il che viene a cadere il postulato gender dell'argomentazione, e dunque, senza rimedio, la possibilità di definire su queste basi il fantastico femminile medesimo. Per fare soltanto un esempio concreto, basterà ricordare che la compassione nei confronti del drago è attestata in tutto un filone della letteratura fantastica maschile del Novecento, da Dino Buzzati a Giorgio Manganelli,136 che ha prodotto testi memorabili e soprattutto difficilmente distinguibili, per un eventuale lettore che non ne conoscesse gli autori, da quelli delle scrittrici.
Ancora più scoperta è l'aporia nel saggio (2012) di Silvia Zangrandi - pure menzionato sopra - sulla rappresentazione dello spazio della casa nella letteratura femminile. Lavorando su un corpus comparatistico che accanto a testi stranieri comprende vari esempi italiani (Anna Maria Ortese, Laura Pugno, Paola Masino, Paola Capriolo, Benedetta Cappa Marinetti), Zangrandi muove dal duplice presupposto - ispirato al volume La perturbante - che «[l']Unheimliche freudiano, punto nevralgico dal quale far partire ogni riflessione sulla produzione fantastica, si dimostr[i] insufficiente a trattare del fantastico al femminile poiché il fantastico delle donne sta "nello spazio dell'utopia, della libertà e del divenire"»,137 e che il fantastico femminile presenti tratti specifici che lo distinguono da quello maschile. Si tratterebbe allora di individuare gli «elementi comuni» di un «fantastico al femminile», concepito come alternativo al perturbante di matrice freudiana.138 Ma di nuovo, quelli che la studiosa indica come tali - le varie costanti della rappresentazione della dimora, e inoltre: «l'eccentricità della letteratura femminile intesa come essere fuori dal centro e, in ambito letterario, fuori dalla tradizione e dal canone», «la scrittura considerata come pratica di conoscenza», «il sogno che non si oppone alla veglia ma si confonde in essa diventando addirittura il collegamento tra ciò che è tangibile e ciò che è impalpabile, funzionale a costruire un discorso sulla realtà», «l'apertura e la disponibilità nella relazione con l'altro da sé, con lo straniero, con il diverso, sia esso essere umano, animale o vegetale, reale o appartenente a sfere diverse dal sensibile», «la collocazione dello straordinario nel quotidiano dove scenari urbani si aprono a eventi che si allontanano dal reale», «la donna come custode del domestico»139 - sono certo tratti ricorrenti, ma non distintivi: in altri termini, essi non bastano a circoscrivere, come pretenderebbe di fare l'autrice, un fantastico 'delle donne' specifico e delimitato rispetto a quello 'degli uomini'. Né del resto sarebbe sufficiente una lista di temi come quelli che precedono a definire un qualsivoglia fantastico, anche al di fuori della prospettiva gender scelta da Zangrandi: come ricorda infatti Remo Ceserani, non esistono «temi che poss[a]no essere isolati e considerati esclusivi [...] di una specifica modalità letteraria».140
Concluderò su un terzo esempio recente (2010): l'articolo di Cosetta Seno Reed Ortese e il fantastico: una prospettiva femminile. La studiosa ritiene che il fantastico ortesiano vada «correttamente interpretato in senso 'femminile', e cioè modificando di segno e di significato quel 'perturbante' freudiano che costituisce il cardine di questo genere letterario»141 (riconosciamo qui, per l'ennesima volta, l'influsso della teoria del fantastico anxiety-free di Farnetti). Sarebbe perciò opportuno «intersecare i problemi della narrazione fantastica, e in particolare di quella ortesiana, con i problemi di gender»,142 e considerare l'«universo letterario ortesiano» come l'«espressione [...] di un discorso femminista ante litteram».143 Fin qui, il lettore puntiglioso non avrà molto da obbiettare; quando però Seno Reed fornisce una descrizione un po' più dettagliata del fantastico ortesiano, diventa impossibile non dissentire. Non si tratta, in effetti, di una caratterizzazione dell'universo fantastico della scrittrice, quanto del suo universo letterario:

«Il fantastico ortesiano cerca in sintesi di rintracciare il 'non detto' e l'invisibile della cultura dominante, ciò che è stato reso in qualche modo 'assente'[,] e diviene dunque anche una lettura che 'accoglie' i 'nuovi mostri' della società contemporanea[,] quelli che, nel fantastico di matrice romantica, erano i fantasmi, i vampiri, le streghe, i mostri, e che ora sono divenuti elementi sociali 'molesti' e che intaccano, con la loro stessa presenza, la facciata ottimista del progresso: ad esempio i poveri, gli emarginati, i deformi, i 'diversi' di ogni tipo, le stesse donne in cerca di identità e di emancipazione».144

A mio avviso, non basta che un testo dedichi spazio e conceda voce a un'«umanità dolente e 'perturbante'», e da sempre «culturalmente invisibile»,145 per poterlo assegnare al fantastico: queste sono cose che ha sempre fatto, e molto bene, anche la letteratura di modo mimetico-realistico.
In conclusione, se è vero, forse, che «c'è un modo femminile di fare le cose» pure nell'ambito del fantastico,146 per il momento la critica non è ancora riuscita a definirlo precisamente. Ma non è inutile cercare il bandolo della matassa, dato che nel frattempo si scoprono o valorizzano autrici e opere che, indubbiamente, meritano il nostro interesse.

 

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