Laura Rorato
Infanzia e guerra in «Guerra d'infanzia e di Spagna» di Fabrizia Ramondino e «Under the dust» («Sota la pols») di Jordi Coca

 

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Sommario
I.
II.
III.
IV.
«Guerra d'infanzia e di Spagna» e «Under the dust» («Sota la pols»), due romanzi a confronto
Le guerre viste con gli occhi dell'infanzia
Plurilinguismo e recupero del materno
Conclusioni



Accostare autori e testi di paesi diversi che non hanno mai avuto contatti di alcun tipo può essere un'operazione problematica in quanto si potrebbe correre il rischio di fornire interpretazioni decontestualizzate e quindi fuorvianti. Eppure, avendo casualmente letto la traduzione inglese di Sota la pols dello scrittore catalano Jordi Coca quasi contemporaneamente al romanzo Guerra d'inafanzia e di Spagna di Fabrizia Ramondino,1 rimasi talmente colpita da una serie di coincidenze, somiglianze e contrasti tra i due testi che decisi di intraprendere questa strada. Un breve riassunto di entrambe le opere ci aiuterà fin da subito a cogliere alcune affinità tematiche, soprattutto l'immagine dell'infanzia come guerra e della guerra come una condizione di infantilismo che impedisce la crescita dell'individuo su cui ci soffermeremo nel resto dell'articolo.

 

§ II. Le guerre viste con gli occhi dell'infanzia

I. «Guerra d'infanzia e di Spagna» e «Under the dust» («Sota la pols»), due romanzi a confronto

Guerra d'infanzia e di Spagna di Fabrizia Ramondino esce nel 2001 e assieme ad Althénopis (1981) e Storie di patio (1983) fa parte di una trilogia dedicata ai ricordi d'infanzia dell'autrice. Guerra d'infanzia e di Spagna è interamente ambientato a Maiorca dove il padre della scrittrice era stato inviato come console nel 1937. L'arco di tempo seguito dal romanzo è proprio quello del mandato del padre e termina con il rientro a Napoli della famiglia nel 1944. Come sottolinea succintamente la quarta di copertina, Guerra d'infanzia e di Spagna è soprattutto «una dura storia di formazione, fatta di passioni intense [...] di delusioni amarissime, di scoperte che svelano mondi e tutta intessuta di conflitti intimi, ma anche sociali ed epocali, mescolati senza soluzione di continuità, come le due guerre, una civile e l'altra mondiale, che senza sosta fanno rimbombare nel cielo i motori degli aerei da guerra».2

Sebbene l'edizione inglese del testo di Coca (da cui traiamo tutte le citazioni) sia del 2007, l'edizione originale in lingua catalana è del 2001. Under the dust narra la storia di un ragazzo che cresce a Barcellona durante la dittatura franchista ed è strettamente legato alle esperienze dello scrittore in quegli anni. A detta dello stesso autore, fa parte di una quadrilogia volta a illustrare cosa volesse dire vivere sotto la dittatura franchista in un paese come la Catalogna con forti tradizioni localiste e anarchiste che erano state totalmente annientate dal regime dittatoriale.3 Il romanzo si apre con un riferimento alla morte del fratello del protagonista (senza nome) che dice di essere nato nel 1936 e di aver avuto undici anni quando suo fratello era scomparso pochi mesi dopo la nascita nel 1947. A parte questo specifico riferimento temporale, non è chiaro quando si svolgano gli altri eventi narrati nel romanzo. Visto che il protagonista va ancora a scuola, possiamo dedurre che si svolgano tra gli ultimi anni '40 e i primi anni '50. Gli eventi della Guerra di Spagna, della Seconda guerra mondiale e della dittatura franchista, però, sono sempre presenti attraverso le ricostruzioni di altri personaggi.

Come molte opere di natura autobiografica o semiautobiografica, entrambi i romanzi sono scritti in prima persona (tranne il capitolo introduttivo di Guerra d'infanzia e di Spagna) e in entrambi il narratore è un bambino, una bambina benestante nel caso di Ramondino e un ragazzino povero in quello di Coca. Se in Ramondino, come già rilevato da diversi critici, la triade nonna-madre-figlia è particolarmente importante,4 in Coca è la triade nonno-padre-figlio a occupare un posto privilegiato. In entrambi i casi si tratta di romanzi in cui i luoghi assumono valenze metaforiche e affettive molto forti tanto da arrivare a ordinare, soprattutto in Ramondino, il flusso stesso dei ricordi che seguono un percorso spaziale più che temporale. L'isola di Maiorca, la casa di Son Batle «a forma di chiesa e convento» con il suo grande giardino, il patio, la zona dove viveva la servitù, poi ancora il collegio, la casa dal tetto verde o quella di Malaquìas sono i grandi protagonisti di Guerra d'infanzia e di Spagna.5 In Coca, invece, i luoghi più importanti sono la casa umida e fredda, a un solo piano, del protagonista, la scuola, la spiaggia, lo squallido salone del barbiere, la lavanderia, il magazzino di filati del padre oppure la casa di Roslìa, Gaspar e César6 che, come quella di Malaquìas in Ramondino, rappresenta la differenza o, più precisamente, il rifiuto a lasciarsi sopraffare dall'ideologia fascista.7 Entrambi i romanzi presentano un mondo lacerato da differenze sociali e linguistiche; in entrambi la lingua è estremamente importante e il plurilinguismo diventa «principio di poetica», come sottolineato da Farnetti a proposito di Ramondino.8 Inoltre, la figura paterna in entrambi i casi è autoritaria, anche se in Ramondino l'autorità del padre deriva dalla sua carica di console mentre in Coca dal carattere arrogante e violento del padre del protagonista, «accecato dall'ossessione di imporre la propria autorità su chi di noi gli stava intorno».9 Nonostante le differenze, in entrambi i casi si ha un forte contrasto tra l'immagine pubblica e quella privata dei due uomini; entrambi i romanzi terminano con l'arresto, anche se per motivi diversi, del padre e si potrebbe dire che entrambe le opere rappresentino un tentativo di sfida all'ordine patriarcale, pur nella consapevolezza della persistenza di tale modello nella cultura occidentale.10 Prima di soffermarci su questo tema, però, è importante partire dall'elemento più ovvio che accomuna i due testi, ovvero i riferimenti alla Guerra civile spagnola, alla Seconda guerra mondiale e alla guerra in senso lato, da intendersi come condizione psicologica di disagio, di lotte interiori ma anche di stallo. Il titolo dell'opera di Ramondino risulta particolarmente significativo a questo proposito in quanto, come suggerisce Farnetti, il binomio guerra/infanzia implica valenze che trascendono il dato autobiografico dell'autrice, la cui infanzia, trascorsa a Maiorca, era stata solcata dalla Guerra civile spagnola e da quella mondiale,11 per assumere invece un forte valore metaforico. Per Titita, la protagonista di Guerra d'infanzia e di Spagna, infatti, è l'infanzia a essere una guerra. Si tratta di una guerra con il proprio corpo che Titita percepisce per frammenti e solo raramente nella sua completezza; un corpo la cui ribellione si manifesta nelle varie malattie che di tanto in tanto affliggono la bambina. Particolarmente temuta, tra queste, è l'orticaria che dà a Titita l'impressione «di avere il corpo avvelenato e insieme a essa, ancora più intensa, quella di essere avvelenata dal suo stesso odio verso gli altri».12 Crescere per Titita significa anche trovarsi in perenne lotta con la madre: il capitolo intitolato La cicatrice non a caso si apre con un'immagine di madre e figlia che si guardano negli occhi «come belve pronte a sbranarsi».13 Tale rapporto di amore e odio risaliva a quando Titita era neonata e morsicava i seni della madre che continuava a darle il latte emettendo un «lamento ora dolce ora astioso».14 Problematico, inoltre, è il rapporto con il mondo degli adulti in generale e quello con le parole: sebbene il bilinguismo stimolasse la fantasia di Titita, la faceva anche sentire «sempre offesa e derubata, quasi le fossero continuamente strappate le cose più intime e care».15

A parte qualche minima differenza, lo stesso vale per il romanzo di Coca. Come Titita, il giovane protagonista di Under the dust è in guerra con il proprio corpo e con il cibo. Rappresentativo in questo senso è l'episodio in cui il bambino è costretto a finire contro voglia un piatto tutt'altro che appetitoso di patate bollite, sebbene l'aria della cucina fosse appestata dall'odore di uova marce dei peti del padre. La pallina di patate masticate che gli si accumula in bocca e non riesce a deglutire, se non facendo enorme violenza a se stesso («fui costretto a inserire quell'orribile polpa nel mio corpo»16), ricorda l'episodio del «vol-au-vent» in Ramondino. In questo caso Titita, tratta in inganno dal termine francese che suggeriva qualcosa di speciale, si era lasciata convincere ad assaggiare quel piatto misterioso, sebbene la pasta sfoglia non fosse più croccante ma unta e molle, e il tutto fosse condito con funghi, verdura che Titita detestava («socchiusi gli occhi, ingoiai, li riaprii [...]. Signorina, - dissi alzandomi da tavola - devo vomitare»).17 Se per il protagonista di Under the dust la vita familiare era un incubo, quella scolastica non era da meno: «non c'era niente di peggio di quel senso di vulnerabilità che provavo a scuola, quei giorni senza luce, quelle interminabili giornate invernali, oppresso da un'infinita solitudine».18 Vulnerabilità e solitudine derivano anche da un difficile rapporto con la lingua, soprattutto quella degli adulti che troppo spesso diventa strumento di esclusione piuttosto che di comunicazione. L'ansia nei confronti della lingua, inoltre, è legata anche alla violenza del padre che, a seconda del grado di irritazione, dava alle cose un nome diverso:

«se voleva dire a mia madre di spegnere la radio e diceva, "spegni quella pentola..." non c'era un gran pericolo. Se invece diceva, "spegni quella macchina..." potevamo cominciare a tremare. Forse era perché le macchine gli davano ai nervi [...]. Vabbè, la pentola era inoffensiva, la macchina non lo era».19

Il brano sopra citato sembra suggerire che se per i protagonisti di questi due romanzi l'infanzia è guerra, lo è in parte perché sono vittime di un sistema patriarcale che percepiscono come ostile e inadeguato alle proprie esigenze di sviluppo, di crescita e di ricerca di una propria identità. I riferimenti ai conflitti armati che avevano segnato l'infanzia di entrambi gli autori e alla dittatura franchista, nel caso di Coca servono da un lato a decostruire tale modello e dall'altro a sottolineare, come si è detto in precedenza, quanto sia difficile uscirne. A questo proposito è interessante notare come la figura del padre in Under the dust sia stata interpretata sia come metafora della dittatura franchista che come simbolo degli effetti deleteri che il regime totalitario di Francisco Franco aveva avuto su molti cittadini spagnoli.20 Sebbene entrambe le interpretazioni siano plausibili, la seconda risulta maggiormente efficace nel decostruire l'autorità patriarcale in quanto sottolinea la natura traumatica dell'esperienza della dittatura. Secondo Cornellà-Detrell, ad esempio, il comportamento aggressivo del padre del protagonista di Under the dust deriverebbe dalla sua incapacità di aderire al modello di mascolinità prediletto dal regime franchista mentre i vari silenzi e le omissioni che caratterizzano la narrazione del protagonista indicherebbero che il trauma della dittatura non è stato ancora del tutto assimilato per poter essere comunicato senza problemi.21

 

§ III. Plurilinguismo e recupero del materno Torna al sommario dell'articolo

II. Le guerre viste con gli occhi dell'infanzia

Per capire pienamente la simbologia legata alla guerra, visto che Guerra d'infanzia e di Spagna è ambientato a Maiorca, è utile ricordare alcuni dati storici, soprattutto riguardo la posizione di Maiorca durante la Guerra civile. A partire dal 1936, in seguito agli aiuti offerti da Mussolini ai rivoluzionari dell'esercito, e alla presenza dell'aviazione legionaria italiana, era stato necessario «istituire a Maiorca una rappresentanza diplomatica italiana ufficiale»,22 fatto che aveva permesso ai fascisti italiani di esercitare un controllo sempre maggiore sull'isola, tanto che a un certo punto il console onorario «fu sostituito da un console nominato direttamente da Ciano».23 Lo scrittore francese Georges Bernanos, ad esempio, ricorda il:

«potere dispotico di una camicia nera italiana, il sedicente conte Rossi (in realtà Arconaldo Rossi, il successore del Marchese de Zayas, capo della Falange locale), i cui squadroni della morte operavano ogni notte a Palma e nelle campagne circostanti e al quale tuttavia veniva reso omaggio nelle celebrazioni religiose che si svolgevano nell'isola».24

Sebbene a una prima lettura i riferimenti alla Guerra civile spagnola in Guerra d'infanzia e di Spagna possano sembrare quasi secondari, non lo sono affatto e servono a introdurre una dimensione altra nella vita tutto sommato tranquilla della protagonista. Come tutto ciò che caratterizza l'esperienza di Titita, anche la guerra (sia quella civile che quella mondiale) ha più di un significato. Per dei bambini, naturalmente, la guerra è spesso un gioco, un gioco fantasioso come quello di Titita e Carlito secondo cui:

«La guerra era una belva metallica, che si torceva nella neve e nel fango, e che io e Carlito chiamavamo "Strangoladenti". E così ci travestivamo da Strega Trema e Orco Strangoladenti e ci davamo battaglia, armati di fronde d'alberi e coperchi».25

Oppure un gioco più realistico, e forse proprio per questo più inquietante, come quello dei figli della servitù che si divertono a impersonare le varie fazioni coinvolte nella Guerra civile spagnola:

«I bambini in cortile giocavano alla Guerra. Giocavano ad ammazzare i Rojos e i sense Déu. Se una madre li chiamava per farsi aiutare rispondevano con insolenza: Calla o et denunciaréa la Guardia Civil».26

La brevissima descrizione di questo gioco rivela l'assurdità di una guerra come quella civile che aveva lacerato la Spagna tra il 1936 e il 1939, caratterizzata dalla presenza di varie formazioni politiche, sia a destra che a sinistra, intente il più delle volte a lottare tra di loro e da «uccisioni indiscriminate di nemici reali e potenziali, nonché regolamenti di conti personali» spesso legati a differenze di classe.27 Sebbene tutto sia visto dal punto di vista di un bambino, Ramondino non esita a fornire dettagliate descrizioni degli orrori della guerra, come testimonia il capitolo dedicato alla storia del bambino di Guernica che non parla «non tanto per la paura che s'è preso, ma per l'orrore che, se parlasse, sarebbe costretto a raccontare al mondo».28 Altrettanto significativa è la descrizione della nonna di una Napoli devastata dai bombardamenti, in cui si parla di muri sventrati, da cui escono frotte di topi, e di bambole tra le rovine. Come la polvere di Under the dust, quelle immagini ricordano e rappresentano «tutti i morti che sono stati rimossi dalle macerie all'alba» e trasmettono a Titita un «senso diffuso di morte»,29 nonostante le proteste di mamita che cerca di minimizzare, raccomandando alla figlia di non prendere troppo sul serio la nonna in quanto un po' esaltata e forse affetta da arteriosclerosi.

Per Titita, però, la guerra è essenzialmente una lingua,30 una lingua aggressiva costituita da «una sfilza di vocaboli di metallo: cacciatorpediniere, incrociatori; mezzi blindati, colonne di truppe [...] bombardieri, proiettili traccianti incendiari»31 o di nomi di città e di terre sconosciute. Oltre a essere una lingua, secondo Titita la guerra è anche una voce, una voce che significativamente viene scritta con la v maiuscola come a volerne sottolineare la natura autorevole. Si tratta di «una voce che parlava alla radio»32 e trasmetteva messaggi propagandistici e paternalistici volti a rassicurare il popolo italiano circa il coraggio e il valore dei propri soldati:

«Avete piegato sino alla più cocente umiliazione l'orgoglio di quella che fu un giorno la dominatrice dei mari, ne avete diminuito prestigio e potenza. Il popolo italiano è fiero di voi».33

Se il tono autoritario di questa Voce dalla V maiuscola, simile quasi a quella del padreterno, non incoraggia uno spirto critico nei confronti del modello patriarcale su cui si fonda lo stato fascista, lo stesso non vale per l'associazione guerra = voce di papito. La descrizione che Titita ci dà della voce paterna è particolarmente interessante:

«Ora era la voce di papito che, seduto nel divano sotto il grande paralume - centinaia di falene, in quelle sere estive, entravano e si appiattivano sulla parete illuminata, formando una tappezzeria di fremiti, una carta geografica mobile e agitata - leggeva ad alta voce i titoli di prima pagina del giornale [...].
"Stalingrado bombardata fino a notte divampa di numerosi incendi [...]. I combattimenti continuano senza posa per stroncare la fanatica resistenza opposta dai Bolscevichi che di ogni via e di ogni casa hanno fatto una ridotta fortificata... Tra le rovine della città si combatte corpo a corpo... Sanguinosa mischia nella città devastata..."». 34

A parte la scomparsa della V maiuscola, l'autorità di questa voce viene subito messa in discussione dalla presenza delle falene che, sia per l'elevato numero sia per l'incessante movimento, non possono che creare un elemento di disturbo e distrarre chi ascolta da ciò che essa ci comunica. Inoltre, se paragoniamo le due voci dal punto di vista contenutistico,vediamo che i messaggi di papito sono assai meno rassicuranti e incoraggianti rispetto a quelli radiofonici. Questi ultimi parlano di battaglie difficili, sanguinose e dall'esito incerto che ci spingono a dubitare del messaggio precedente o almeno a percepirne alcune contraddizioni. Se la guerra è simbolo di un'autorità patriarcale, il binomio guerra = voce di papito è problematico anche da un altro punto di vista. La figura del padre, infatti, nonostante la propria carica di console, è assai poco autoritaria. Contrariamente alle apparenze, in casa è mamita che prende le decisioni e il marito spesso la segue, lieto di lasciarla fare.35 Si tratta di un uomo che ama le cerimonie e che per avere un'identità ha bisogno di far propri gli slogan della propaganda fascista, di riempirsi la bocca di maiuscole (come racconta Titita), «la "Nostra Nazione", il "Nostro Paese" e di citazioni di versi altisonanti».36 Amante della bella vita, e conscio che la propria fortuna era legata alle sorti del fascismo, quando si rende conto che l'Italia sta per perdere la guerra e che presto i suoi titoli e i suoi risparmi sarebbero stati privi di valore, cerca di riasserire la propria autorità almeno all'interno della famiglia. Come tutti i deboli, però, lo fa ricorrendo alla violenza: sculaccia per la prima volta i figli e arriva addirittura a dare uno schiaffo alla moglie.37Tuttavia, la più forte accusa al sistema patriarcale, basato sull'imposizione di un'autorità cieca e indiscutibile, viene dal vecchio Malaquìas quando parla del proprio figlio che si era arruolato nella Falange ed era diventato un assassino. Con grande lucidità Malaquìas si assume la responsabilità del destino del figlio e dice che, essendo stato lui stesso un padre violento, capace di portare a casa solo «noia e tristezza o furia»,38 il figlio non aveva potuto che essere attratto da modelli autoritari violenti come quelli che imperversavano durante la Guerra civile. Malaquìas si sente anche responsabile della morte della moglie, principale vittima della sua violenza, e prova compassione per la figlia che teme possa aver fatto la stessa fine della madre.39

I temi appena affrontati, soprattutto quello della violenza domestica e l'idea che i figli ripetano gli errori dei padri poiché incapaci di immaginare modelli alternativi, sono molto presenti anche in Under the dust. I riferimenti alla guerra (sia civile che mondiale) e alla violenza politica sono numerosissimi. Attraverso la descrizione degli atti di violenza spesso gratuiti e feroci dei falangisti sembra che Coca voglia denunciare non solo una certa situazione politica che aveva preso piede durante la Guerra civile, e che si era consolidata durante la dittatura franchista, ma soprattutto il sistema patriarcale su cui ogni regime totalitario si fonda. Come nel romanzo di Ramondino, la decostruzione di tale sistema si manifesta nella figura del padre e in quella di una famiglia poco funzionale qual è quella del protagonista di Under the dust.40 Come in Guerra d'infanzia e di Spagna, abbiamo un forte contrasto tra immagine pubblica e privata del padre ma, a differenza dell'opera di Ramondino, qui ci troviamo di fronte a un uomo la cui autorità si afferma solo all'interno della famiglia. Si tratta di un uomo che, almeno in privato, sembra non aver rispetto per nessuno, come testimoniano le poderose pernacchie che oltre a imbarazzare il figlio appestano l'aria della casa in cui vivono. Alla violenza sia verbale che fisica del padre fa da contrappunto quella politica di cui abbiamo appena parlato. In entrambi i casi viene a crearsi un regime di terrore capace solo di generare altre forme di violenza. Sofferenza, paura, morte e vergogna sono termini ricorrenti in tutto il romanzo e nel seguente brano il giovane protagonista sottolinea come la paura fosse endemica sia nella sfera pubblica che in quella privata:

«Tutti avevano paura. Mia madre ed io, mio padre, Joanet che se la faceva sotto, e poi naturalmente c'era Daniel che lavorava come apprendista vetraio adesso che il padre era in prigione; era dimagrito molto e aveva un peso e dei crampi allo stomaco. Ma più di tutto io avevo paura di mio padre. Quell'incertezza nei suoi occhi, il modo imprevedibile di fare le cose, le maniere dure con noi, la totale e potente imposizione della sua volontà, le minacce e, in seguito a tutto ciò, la solitudine che ci costringeva a sopportare... La percepivo come un'enorme zona di sofferenza attorno a lui, una distesa di dolore e pena da cui non si poteva fuggire».41

Verso la fine del romanzo, inoltre, la paura viene addirittura definita una malattia:

«La paura in cui vivevamo avvolgeva ogni cosa, propagandosi come una malattia, ed era viva perché riguardava sia eventi passati che ciò che stava accadendo e ciò che sarebbe potuto succedere. E non eravamo solo noi [...]. Era un'immensa e reale paura che sentivamo nell'aria che respiravamo e ci lasciava paralizzati».42

Si tratta di un ambiente che annienta qualsiasi forma di immaginazione, in cui i figli non fanno altro che ripetere gli errori dei padri come testimonia la storia dei compagni di scuola del protagonista (ed in particolare di Jaume). Molti di loro prima formano una banda che terrorizza i bambini più piccoli e poi si uniscono alla Falange, finendo per terrorizzare il resto della comunità, convinti che la violenza sia l'unica soluzione per qualsiasi problema o anche solo per sfuggire alla noia:

«Jaume era animalesco tanto quanto suo padre, sempre pieno di arie quando lo incontravamo, ci diceva che gli avevano promesso un lavoro e che quando fosse stato abbastanza grande avrebbe avuto un fucile, se la passava che era una meraviglia, faceva merenda ogni pomeriggio, praticava il tiro con l'arco e stava imparando un sacco di cose che gli sarebbero state veramente utili».43

Sebbene il protagonista sia molto critico nei confronti del padre, nonostante questi avesse sempre deplorato la violenza politica, inclusa quella di stampo anarchico che aveva portato all'arresto e alla morte del nonno, ne prova anche compassione e lo presenta come vittima di un sistema da cui non vede vie di uscita. Come nel caso del padre di Titita, ci troviamo difronte a un uomo fondamentalmente debole che ricorre alla violenza per mascherare il proprio disagio e incapacità ad affrontare le difficoltà e gli ostacoli della vita, quali ad esempio la malattia. Il giovane protagonista di Under the dust racconta, infatti, come ogni volta che qualche familiare si ammalava il padre arrivasse addirittura a piangere come un bambino e come quest'immagine potesse persino far temporaneamente dimenticare quella violenta ed aggressiva che solitamente lo caratterizzava.44 Il sistema patriarcale autoritario sembra quindi produrre infantilismo: oltre al brano appena citato, in cui il comportamento del padre viene esplicitamente definito infantile, la mancanza di pudore nei confronti di certi fenomeni corporei, quali ad esempio la flatulenza di cui si è parlato precedentemente, è un'altra caratteristica prettamente infantile. Anche nel caso del padre di Titita si può parlare di infantilismo, soprattutto quando, verso la fine del romanzo, vorrebbe sperperare gli ultimi risparmi in feste lussuose che la moglie, invece, gli impedisce di organizzare, ritenendole inutili e volgari. Il grado di infantilismo aumenta ulteriormente nel momento in cui la famiglia è costretta a lasciare Maiorca: sulla nave che sta per riportarli in Italia, nonostante le proteste della moglie, spreca soldi in dolciumi e giocattoli e fa bere persino ai bambini «una delle più famose marche di champagne».45

 

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III. Plurilinguismo e recupero del materno

In entrambi i romanzi, il tentativo di opposizione al sistema patriarcale si manifesta per mezzo di un'apertura verso ciò che è altro/diverso (il giardino, il mondo dei servi, il vecchio Malaquìas nel caso di Ramondino; il mondo di Rosalia, Gaspar, César e Edit in Coca) e tramite il recupero del materno, inteso non solo come figura materna ma anche come madre lingua. Farnetti illustra chiaramente la vicinanza tra la matrice della vita e quella della parola e come «si debba venire a patti con la madre lingua per avere libertà di pensiero e di parola».46 Nel caso di Guerra d'infanzia e di Spagna, per madre lingua va intesa non solo la lingua della madre ma anche quella che Titita apprende dalla balia Dida, cioè il maiorchino. Anche in Under the dust la scoperta dell'importanza della lingua non viene tanto dalla madre biologica ma da Rosalia, donna che il giovane protagonista vorrebbe delle volte avere come madre. Rosalia, infatti, parla varie lingue - francese, castigliano, catalano, italiano e persino un po' di russo e riesce sempre a far vedere al protagonista le cose da un diverso punto di vista, persino il tanto temuto trasloco.47

In entrambi i romanzi, il plurilinguismo diventa sinonimo di metamorfosi, non solo della «metamorfosi di una parola in un'altra, e di una cosa in un'altra»48 ma di tutte quelle metamorfosi che fanno parte della vita, che servono per crescere e sviluppare un senso di identità. In entrambi i romanzi, questo tipo di lingua apre ai protagonisti il mondo dell'immaginazione e della narrazione, li trasporta in una terra «di parole, di nuove storie, in una vita varia tutta da scoprire, con un passato, un presente e un futuro, con la speranza, con il buono e il cattivo, con ricordi, odori e sentimenti».49 Si tratta di una lingua che si oppone a quella del modello patriarcale, cioè sia alla lingua aggressiva e metallica della guerra descritta da Titita,50 sia a quella della violenza verbale del padre del protagonista di Under the dust, o delle sue barzellette volgari,51 ma anche alla lingua falsamente rassicurante della propaganda fascista nel romanzo di Ramondino o degli slogan falangisti in quello di Coca.52 Il tipo di lingua legato al modello patriarcale esclude la comunicazione in quanto non prevede il dialogo. Si tratta di una lingua statica incapace di abbracciare le differenze. Per il protagonista di Under the dust questa è la lingua che caratterizza il mondo degli adulti, un mondo in cui le persone dicono cose per ferire il prossimo, senza nessun motivo, un mondo in cui si bisbiglia per escludere gli altri dal proprio discorso, in cui nessuno è mai pronto a spiegare il significato delle parole e in cui le parole diventano vuote.53 Tutt'al più questo tipo di lingua può trasmettere un senso di gerarchia e autorità oppure, grazie agli aspetti ritualistici che caratterizzano la propaganda, un illusorio senso di sicurezza. Eppure, è proprio questo aspetto della retorica propagandistica a mostrare la persistenza del modello patriarcale e di quanto sia difficile staccarsene anche per chi ne percepisce chiaramente i limiti. Persino un ragazzino come il protagonista di Under the dust, proveniente da una famiglia di antiche simpatie anarchiche ma diffidente nei confronti di qualsiasi schieramento politico organizzato, prende in considerazione la possibilità di entrare nella Falange e scarta l'idea solo per timore della reazione che il padre avrebbe avuto quando l'avesse scoperto.54 Il protagonista di Under the dust vorrebbe crescere ma allo stesso tempo ha paura di diventare grande. Sebbene sembri diverso dagli altri ragazzi che frequenta, capace di abbracciare e immaginare mondi diversi, non appena con l'arresto del padre gli si prospetta la necessità di diventare adulto, si dimostra pronto a rinnegare il mondo di Rosalia, Gaspar, César e Edit che tanto aveva amato. Improvvisamente i suoi vecchi amici vengono definiti "strani" e la pressione ad adeguarsi alle aspettative della società prende il sopravvento. Desidera diventare il tipo di figlio che il padre avrebbe voluto avere e per questo è pronto a rinunciare a tutto ciò che gli era caro: «Volevo che tutto ciò che avevo pensato prima venisse ignorato, cancellato, che non contasse...».55 Nel caso di Ramondino, la sfida al sistema patriarcale dovrebbe venire dal recupero del rapporto madre-figlia, cioè della fase pre-edipica dello sviluppo dell'individuo. Come sottolineato da Giorgio (soprattutto a proposito di Althénopis), tale recupero non può che essere difficile in una società in cui qualsiasi discorso viene sempre ricondotto al modello psicanalitico freudiano.56 Sebbene il rapporto con la madre resti problematico, la figura di mamita, pur con tutti i suoi difetti, è molto più importante all'interno del romanzo rispetto a quella del padre. Vediamo, inoltre, che sebbene Titita sembri pronta ad accettare il tradizionale concetto dell'inferiorità della donna rispetto all'uomo, o meglio della donna come prodotto della creatività maschile, pensando alla madre viene colta da un dubbio circa la validità di tale teoria:

«Ma anche mamita, al centro della hall, era fatta di nebbia. L'aveva appena modellata l'uomo in livrea, mentre s'inchinava. Lei aveva acconsentito, aveva risposto infatti chinando leggermente il capo.
Ma chi era mamita? Solo una figura incerta e tremante fabbricata da un uomo con un soffio?»57

Sebbene la bambina continui subito dopo a fantasticare su se stessa nel ruolo di oggetto che sta per essere "fabbricato" da un uomo, quella semplice domanda lascia intendere l'inadeguatezza di tale teoria se applicata alla madre. Anche in Under the dust, la madre del protagonista, nonostante le apparenze, rivela un carattere forte. Pur essendo vittima, come il figlio, delle perenni violenze del marito e pur essendo descritta con aggettivi quali fragile, vulnerabile e «persa in un mondo che non le apparteneva»58 alla fine del romanzo si dimostra indipendente e capace di gestire una situazione critica. Quando il marito viene arrestato, infatti, rifiuta categoricamente l'invito dei cognati a trasferirsi da loro. Sebbene non avesse mai osato contraddire il marito, trova il coraggio di dire di no allo zio Sebastià, uno dei più autoritari membri della famiglia a cui nessuno, prima di lei, si era mai opposto. Nonostante la stanchezza dovuta al suo stato di donna incinta, preferisce restare a casa da sola e prendersi cura anche delle faccende domestiche più pesanti pur di non doversi sottomettere ai parenti del marito.59

 

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IV. Conclusioni

Per concludere, la guerra e la violenza a essa connessa, simbolo del sistema patriarcale su cui si fonda tutto il mondo occidentale, rappresentano in entrambi i romanzi qui presi in esame un'infanzia coatta o, come direbbe Titita, l'impossibilità di fuga e cioè di crescita, dal momento che per Ramondino la vita è sempre un viaggio.60 Il protagonista di Under the dust è ancora più esplicito in proposito: ritiene che la costante esposizione ad atti di violenza da parte del padre, volti a inculcargli un profondo senso di inferiorità, gli impediranno di diventare adulto: «ma delle volte con mio padre era come se [...] il suo modo di essere mi impedisse di crescere».61 I riferimenti alla Guerra civile spagnola e soprattutto al franchismo sono particolarmente adatti a sostenere un simile discorso. Come afferma Alfonso Botti, infatti, il franchismo:

«è il regime che chiude in una gabbia la società, la società spagnola negli anni quaranta e cinquanta, e che sopporta le impetuose trasformazioni sociali degli anni sessanta. Il franchismo insomma si presenta come una sorta di compendio dei regimi illiberali e antidemocratici contemporanei».62

Browne usa toni ancora più duri nel giudicare le conseguenze della Guerra civile sull'intera nazione:

«La guerra civile riportò il paese indietro, in un'età oscura di repressione. I suoi poeti erano morti o si trovavano in esilio, il suo musicista più insigne, Casals, e il suo pittore più grande, Picasso, vivevano all'estero. La Spagna era la reietta d'Europa nel dopoguerra. La tensione palpitante e vitale che l'aveva animata si placò e così rimase per molti anni. [...] L'atteggiamento franchista nei confronti delle arti, della stampa e della politica rimase lo stesso; i grises, le forze di sicurezza così chiamate dal colore grigio dei loro abiti, continuarono ad esercitare una dura pressione sui dissidenti».63

La sporcizia e l'abbrutimento fisico dei personaggi di Rosalia, Gaspar, César ed Edit nel romanzo di Coca illustrano chiaramente lo stato di degrado in cui era caduta la cultura durante la dittatura franchista. Si tratta,infatti, di persone colte e istruite, costrette a vivere ai margini della società poiché considerate strane dal resto della comunità che, tranne il giovane protagonista, non le capisce a fa di tutto per evitarle. In questo contesto si chiarisce l'importanza simbolica della "polvere" del titolo del romanzo di Coca. Con grande semplicità il titolo allude all'arretratezza in cui era caduto il paese durante la dittatura (simboleggiata anche dalla mania del padre del protagonista di portare a casa e conservare oggetti vecchi e inutili), alla povertà ma anche e soprattutto al grigiore culturale e morale che avevano impedito al paese di crescere. I due romanzi, tuttavia, non si limitano solo a offrirci una critica del periodo storico in cui sono ambientati. Bensì, ci aiutano a riflettere sul rapporto adulto/bambino, a decostruire un concetto troppo autoritario della funzione genitoriale e a sfatare il mito dell'infanzia come fase idilliaca della vita umana.

 

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Giugno-dicembre 2013, n. 1-2