Flavio Pintarelli
Semiosi e identità in «Altai»

 

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Sommario
I.
II.
III.
IV.
Dimensione allegorica e semisimbolica
Centrie periferie, soglie e barriere
Percezione, sguardo, veggenza
Bibliografia


 

§ II. Centrie periferie, soglie e barriere

I. Dimensione allegorica e semisimbolica

La prima parte di Altai (2009), l'ultimo romanzo collettivo dell'ensamble narrativo conosciuto col nome di Wu Ming, si apre con la descrizione degli effetti di un attentato incendiario nell'Arsenale di Venezia.1 Questo atto terroristico fungerà da motore narrativo per tutta la sezione della vicenda intitolata Mi star ("Io sono" nella lingua franca dei porti dell'Adriatico): la fuga del protagonista Emanuele De Zante/Manuel Cardoso da Venezia verso Istanbul.
All'interno di questo breve paragrafo ci si concentrerà in particolare sul riconoscimento e sull'analisi di alcune figure di particolare interesse che permetteranno di specificare la dimensione allegorica del romanzo. La presenza di una dimensione allegorica è una delle caratteristiche che accomuna la nebulosa di opere letterarie che Wu Ming 1, in un saggio ampiamente dibattuto, ha designato con l'acronimo NIE, New Italian Epic. Qui l'allegoria è definita come l'interrelazione tra tre differenti piani temporali:

« - il tempo rappresentato nell'opera (che è sempre un passato, anche quando l'ambientazione è contemporanea);
   - il presente in cui l'opera è stata scritta (che, anch'esso, è già diventato passato);
   - il presente in cui l'opera viene fruita, in qualunque momento questo accada: stasera o la prossima settimana, nel 2050 o tra diecimila anni».2

Come si vedrà, sarà a partire da una serie di figure che si potranno cominciare a tracciare delle linee capaci di connettere queste tre dimensioni temporali in Altai, rivelandone così la dimensione allegorica.
Si comincerà con l'individuare la prima di queste figure:

«La seconda esplosione disperse il gregge in una nube di ceneri e grida. Balzai al centro della calle per scansare una valanga di tegole, alzai gli occhi e le vidi. Due gondole volavano nel cielo di Venezia. Avevano ali di fiamma e parabole incerte, come di uccelli feriti. Una andò a schiantarsi sul campanile che batteva incessante l'allarme degli incendi. L'altra scomparve alla vista, oltre il sipario dei tetti».3

Figura 1
Foto 1.

Questa immagine si caratterizza in particolare per l'opposizione che si determina tra la verticalità del campanile e l'orizzontalità della gondola che vi si infrange contro. A questa opposizione di carattere topologico, verticalità/orizzontalità, corrisponde un'opposizione tra due categorie temporali: consuetudine/eccezionalità.
Questo poiché alla verticalità del campanile si può associare l'immutabilità del tempo (non a caso, per molti secoli, il campanile ha assolto alla funzione di regolare il tempo e scandire la vita delle comunità) mentre all'orizzontalità della gondola l'eccezionalità di un avvenimento imprevisto, quale appunto l'attentato; idea suggerita anche dal fatto che la gondola si trova al di fuori del proprio elemento, l'acqua, e dunque letteralmente fuori posto.
Ci si trova qui a contatto con quello che in semiotica viene definito un «sistema semisimbolico»,4 cioè un sistema testuale locale di correlazione tra categorie formali e categorie del contenuto, il cui statuto semiotico si trova a metà strada tra quello del segno (in cui i piani dell'espressione e del contenuto sono commutabili ma non-conformi) e quello del simbolo (in cui i piani dell'espressione e del contenuto sono non-commutabili ma conformi).
A livello della teoria semiotica il semisimbolico consente, da una parte, di evitare la riduzione del testo ad un sistema chiuso, mera ripetizione di un «senso già dato», e, dall'altra parte, di consegnare il simbolico ad una «dimensione articolatoria» che ne rafforza l'ancoraggio al testo.5
Sul piano temporale ed allegorico tale figura si può collegare ad una delle immagini che, per effetto delle strategie mediatiche di gestione dell'evento, hanno rappresentato e rappresentano ancora l'attentato terroristico al World Trade Center di New York dell'11 settembre 2001: in particolare l'immagine dello schianto del secondo velivolo sulla seconda torre, l'immagine che le televisioni di tutto il mondo hanno potuto mostrare in diretta.6
A livello del piano dell'espressione, la struttura formale è la medesima: ad un elemento verticale (il grattacielo) si oppone un elemento orizzontale (l'aeroplano). Ma anche a livello del piano del contenuto si registra la medesima opposizione tra consuetudine ed eccezionalità:7 l'azzeramento di due elementi caratteristici dello skyline newyorchese è stato un fatto eccezionale. A rafforzare questo schema interviene un'altra coppia di opposizioni formali-contenutistiche: quella tra l'alto ed il basso che fa riferimento alla gondola ed al velivolo. La prima, infatti, si solleva dall'acqua per librarsi in aria, abbandonando così il suo elemento abituale per muoversi in maniera eccezionale, mentre il secondo compie la medesima azione, ma in direzione opposta. Pertanto l'opposizione alto/basso contribuisce a rafforzare l'opposizione consuetudine/eccezionalità.
Infine, a sigillare l'affinità tra le due immagini, vi è una nota di carattere semantico: di un aeroplano si può infatti dire che solca i cieli, come di un'imbarcazione si può dire che vola sull'acqua. La somiglianza tra le caratteristiche fisiche dei due elementi è un ulteriore elemento di conferma di quanto si sta qui sostenendo e cioè che l'immagine di Altai sia un richiamo diretto al presente in cui l'opera è stata scritta, presente dominato dall'immagine dell'11 settembre e dalle implicazioni storiche, politiche e culturali determinate da questo evento.
L'immagine della gondola schiantata contro il campanile non è l'unica immagine che lega il primo capitolo di Altai all'11 settembre. La figura della cenere che, dopo lo scoppio, ricade sugli uomini e sugli edifici richiama direttamente le immagini che le televisioni di tutto il mondo hanno mostrato dopo il crollo delle due Torri Gemelle: strade e persone completamente ricoperti da uno strato di polvere grigiastra.8

Figura 2
Foto 2.

Sulla base di quanto mostrato finora si vuole azzardare un'ipotesi: il sostrato a partire da cui Altai costruisce il proprio discorso, che come si vedrà è un discorso sull'identità, può essere ricondotto all'idea del Clash of Civilization, e cioè quella teoria, elaborata dal politologo statunitense Samuel P. Huntington, che individuava nelle differenze tra identità culturali e religiose la fonte primaria del conflitto nell'epoca successiva alla Guerra Fredda. La teoria del Clash of Civilization fu anche il frame principale in cui vennero racchiuse la maggior parte delle scelte politiche e militari dell'Occidente dopo l'11 settembre, in particolare in quella che fu definita dall'amministrazione americana la War on Terror, la guerra al terrorismo.
Non può perciò essere un caso se il romanzo si conclude al termine della battaglia di Lepanto, poiché a proposito di questo fatto storico vi è la diffusa convinzione che abbia rappresentato una netta affermazione dell'Occidente cristiano contro l'Oriente islamista. La Lega Nord ha più volte invocato una "nuova Lepanto" dimostrando così di non aver alcuna conoscenza delle ragioni e soprattutto delle conseguenze storiche di quell'evento.
Dice a questo proposito Wu Ming 1:

«pochi giorni dopo l'uscita di Altai, «La Padania» uscì con il titolo cubitale: «UN'ALTRA LEPANTO PER FERMARE L'ISLAM». È evidente che la Lega Nord non sa nulla di quella battaglia, o meglio, di quella guerra, che l'Occidente "perse". Il catenaccio dell'articolo diceva, tra le altre cose, che «La battaglia di Lepanto fermò l'ondata islamica in Occidente». A parte il fatto che in Occidente non vi era alcuna ondata islamica (e che in ogni caso l'Islam dell'impero ottomano non era quello di Al Qaeda), andrebbe spiegato a questi analfabeti storici che nel secolo successivo l'impero ottomano toccò il culmine della propria potenza, e che nel 1683 (centododici anni dopo Lepanto) i turchi arrivarono alle porte di Vienna. Ma «La Padania» non ha fatto altro che riportare una vulgata plurisecolare, costruita dalla propaganda successiva alla battaglia. Quindi, pur trattandosi di un episodio famosissimo, resta pochissimo conosciuto al di fuori delle cerchie di specialisti. C'è differenza tra 'famoso' e 'conosciuto'».9

Insomma nel primo capitolo di Altai vengono dispiegate le due dimensioni entro cui prende vita la vicenda raccontata: quella allegorica, come si è visto, la si può cogliere nelle figure costruite dal testo e che ancorano quest'ultimo al presente storico in cui è stato scritto; mentre la dimensione epica10 la si coglie nel richiamo allo "scontro di civiltà" che prefigura una crisi storica di vaste proporzioni.

 

§ III. Percezione, sguardo, veggenza Torna al sommario dell'articolo

II. Centrie periferie, soglie e barriere

La trama di Altai si incentra sulle vicende dell'agente segreto veneziano Emanuele De Zante, giudeo convertito al soldo della Serenissima. De Zante si ritrova ad essere vittima delle trame del consigliere Bartolomeo Nordio, il quale lo trasforma nel capro espiatorio dell'attentato all'Arsenale, ed è perciò costretto a fuggire, braccato dagli agenti della Repubblica.
La fuga condurrà De Zante fino ad Istanbul, proprio nelle braccia del nemico pubblico numero uno della Repubblica di Venezia, Giuseppe Nasi, ebreo, uomo d'affari e consigliere del Sultano. Durante il viaggio De Zante ritrova i luoghi della sua infanzia ritornando a contatto con la fede giudaica dalla quale si era allontanato in gioventù.
Una volta giunto ad Istanbul, De Zante si mette al servizio di Nasi decidendo di abbracciare nuovamente la fede giudaica ed adottando il suo primo nome: Manuel Cardoso.
Si è voluto qui condensare brevemente la trama della prima parte del libro per mettere in evidenza come quello della fuga sia un espediente narrativo atto a dare conto del graduale distacco del protagonista dalla sua identità veneziana e dell'altrettanto graduale costruirsi della sua nuova identità. La riflessione sull'identità sembra perciò essere il filo rosso che unisce Altai a Q il romanzo che aveva dato vita, dieci anni prima, all'universo narrativo in cui si svolgono le vicende del romanzo che si sta qui analizzando.
In Q il protagonista era un uomo dai mille volti che cambiava identità ad ogni nuova avventura, mentre in Altai il protagonista abbandona, spinto dalla necessità, la propria identità per abbracciarne una del tutto opposta. Ciò che si cercherà di fare qui è di indagare i meccanismi che rendono possibile questo cambio di identità e quali conseguenze esso determini.
Nei suoi studi dedicati alla fisionomia della cultura, il semiologo russo Jurij M. Lotman ha messo in evidenza come ogni formazione culturale oscilli costantemente tra un polo statico e un polo dinamico. Lotman propone, per visualizzare nello spazio la fisionomia della cultura, il concetto di semiosfera, concetto elaborato a partire da quello di biosfera, mutuato dai lavori del biologo russo Vernadskij.11 Come la biosfera, che rappresenta lo spazio all'interno del quale è possibile l'esistenza della vita sul pianeta terra, la semiosfera rappresenta analogamente quello spazio in cui è possibile la creazione e la comunicazione del senso - il continuum semiotico in cui agiscono sistemi di segni che non possono funzionare separatamente l'uno dall'altro.12 La semiosfera non appare come uno spazio omogeneo, privo di articolazioni al suo interno, al contrario, in essa si ritrovano svariati livelli, organizzati in semiosfere più piccole, isomorfe alla struttura principale ed obbedienti ai medesimi principi di funzionamento. In ogni semiosfera al polo statico corrisponde il centro, mentre al polo dinamico corrisponde la periferia. Al centro della semiosfera, la semiotica assume le sembianze della comunicazione e permette la trasmissione di un'informazione semplice e comprensibile da un mittente ad un destinatario; mentre alla periferia della semiosfera, la semiotica assume le sembianze di un processo di creazione di significati caratterizzati da una spiccata complessità. Col tempo, alcuni fenomeni apparsi alla periferia della semiosfera tenderanno a spostarsi verso il centro di essa, modificandosi da dinamici a statici (processo che si specifica nella creazione di un metalinguaggio, di una grammatica), mentre, viceversa, fenomeni da tempo presenti al centro della semiosfera tenderanno a spostarsi verso la sua periferia, venendo interessati da mutazioni formali e strutturali (a questo processo corrisponde un'allentarsi della presa del metalinguaggio).
Si vuole tentare qui di mettere al lavoro il modello elaborato da Lotman per dare conto di come potrebbe funzionare il meccanismo della semiosi in relazione alle vicende raccontate nel romanzo.
Come si è visto nel primo paragrafo l'allegoria che apre Altai fa direttamente riferimento all'ideologia dello scontro di civiltà ed alla sua retorica apertamente dualistica.
Si considereranno pertanto la Repubblica di Venezia e l'Impero ottomano come due distinte semiosfere confinanti, al cui centro si pongono le rispettive capitali: Venezia e Istanbul; mentre alla periferia le due città di confine toccate durante il viaggio: Ragusa e Salonicco.
La fuga di De Zante/Cardoso può pertanto essere definita come un processo di traduzione da una semiosfera all'altra; un processo dove ad essere tradotta è l'identità del protagonista.
Infatti ogni semiosfera prevede un sistema di soglie, limiti e barriere che provvede a regolare le comunicazioni con le semiosfere ad essa confinanti. Secondo Lotman la definizione dei confini è una caratteristica propria di ogni cultura, tuttavia il valore che il confine viene ad assumere nei confronti della cultura che lo istituisce è sempre di natura duplice, esso può essere:

  • Barriera che separa la cultura da ciò che essa, in base ad una serie di meccanismi semiotici (di cui il rovesciamento speculare è soltanto una delle possibilità), definisce come estraneo a sé, degradato, barbaro.
  • Limite poroso attraverso il quale si realizza uno scambio tra il "proprio" e ciò che gli è "estraneo".

Il secondo termine di questa dicotomia è, secondo Lotman, essenziale per la produzione di un significato nuovo, in quanto forza i termini interni alla semiosfera e li costringe a confrontarsi con quanto gli è esterno, in un processo di ibridazione.13
Anche Altai predispone il proprio sistema di soglie, limiti e barriere attraverso cui vengono regolati gli scambi e le comunicazioni tra le due semiosfere che sono state precedentemente individuate, sistema di cui si cercherà di tracciare il profilo.
La prima soglia14 che si incontra lungo la fuga di De Zante è il delta del fiume Po, dove l'uomo si reca per incontrare il proprio padre putativo, Tuone Jurman, contrabbandiere esperto della navigazione in Adriatico. Nonché l'unico in grado di traghettarlo lontano dagli occhi della Serenissima.
È interessante vedere come questa prima soglia sia caratterizzata in maniera speculare rispetto al centro della semiosfera di riferimento. Se infatti Venezia è la città in cui la terra ed il mare si incontrano entro un sistema ordinato che ne permette la separazione, il delta del Po appare al contrario come uno spazio in cui il mare e la terra si incontrano ma i cui rispettivi confini si diluiscono l'uno nell'altro.15
Lo stesso carattere di mescolanza abita le due soglie successive che il lettore incontra lungo la fuga: Ragusa e Salonicco. Una mescolanza che è qui di carattere etnico e linguistico.
La prima città, Ragusa, infatti, pur essendo soggetta all'influenza di Venezia, è una città libera «porto franco, né Oriente né Occidente, città di mezzo dove prima o poi tutti attraccavano, chi in cerca di riparo dal maltempo, chi a caccia di buoni affari, chi inseguito dal proprio destino».16
Le seconda città, Salonicco, invece, è posta alla periferia dell'Impero ottomano e viene definita la «Gerusalemme dei Balcani», poiché la comunità ebraica vi vive in pace e libera da qualsiasi oppressione.
Infine, Istanbul, meta ultima in cui si conclude la fuga del protagonista e dove questi prende coscienza della propria mutata identità. All'apparenza potrebbe sembrare che la capitale dell'Impero Ottomano presenti anch'essa le caratteristiche di mescolanza etnica e linguistica che caratterizzavano Ragusa e Salonicco. Tuttavia, in quanto centro della semiosfera, Istanbul possiede il proprio sistema grammaticale che regola e mette ordine tra la mescolanza. La topografia della città, infatti, risponde ad un criterio di separazione che ha i suoi elementi nei vari quartieri e zone della città (Ortaköy, Galata, Scutari, ecc.), a cui fanno riferimento di volta in volta diversi gruppi etnico-linguistici.
Riassumendo, il sistema di soglie e limiti messo a punto in Altai si presenta in questo modo: Venezia ed Istanbul, i centri delle semiosfere, fungono da limite primo ed ultimo nella fuga del protagonista. Il delta del Po, Ragusa e Salonicco sono, invece, le soglie che questi è costretto ad attraversare per poter giungere ad Istanbul, il luogo dove maturerà la sua nuova identità.
Se ne può trarre una prima conclusione e cioè che l'identità è un atto di semiosi e che questa, dunque, è passibile di essere rinegoziata. Tuttavia, per rinegoziare l'identità attraverso un atto di semiosi è necessario allontanarsi dal centro della semiosfera (e dunque dal metalinguaggio e dalla grammatica), dove è possibile solamente la comunicazione, verso la periferia, laddove è possibile intravedere le soglie che permettono di attraversare i confini tramite dinamiche di ibridazione, mescolamento e variazione. Dunque è soltanto attraversando un sistema regolato di soglie che è possibile dare vita all'elaborazione di nuovi significati.
Nel paragrafo successivo verranno analizzate le modalità attraverso cui Altai realizza l'ibridazione, la mescolanza e la variazione che determinano nel protagonista il cambio di identità.

 

§ IV. Bibliografia Torna al sommario dell'articolo

III. Percezione, sguardo, veggenza

Qual è la caratteristica che contraddistingue Emanuele De Zante/Manuel Cardoso? Quale elemento rende il protagonista una pedina fondamentale nel reticolo di intrighi che portano alla spedizione per la conquista di Cipro? La risposta è scontata: in quanto agente segreto caduto in disgrazia egli è a conoscenza di informazioni riservate, conoscenze che serviranno al giudeo Nasi per condurre in porto i propri piani.
Ci si ponga adesso un'altra domanda: qual è la caratteristica che contraddistingue una spia? Qui la risposta appare meno scontata, tuttavia si può a ragione affermare che la qualità più importante per una spia sia la capacità di percepire cose che altri non sono in grado di percepire. Un'agente segreto non sarebbe altro che un «professionista della percezione».
Ed in effetti è proprio questa capacità di percepire quei dettagli che si nascondono sotto la superficie delle cose che rende De Zante/Cardoso una pedina importante per i propri datori di lavoro.
Tuttavia, nel corso della vicenda, in accordo con le trasformazioni subite dall'identità del protagonista, anche la sua capacità di percepire subisce alcune modifiche. Tali modifiche riguardano la posizione in cui si viene a collocare il focolaio di percezione, la posizione da cui si esercita lo sguardo sulle cose che, nel passaggio da Venezia ad Istanbul, si modifica radicalmente. Per chiarire questo cambiamento viene usata una metafora; mentre riflette sulla propria situazione De Zante/Cardoso afferma:

«Finalmente capivo la vera differenza tra i due uomini che avevano indirizzato i miei passi da adulto. Il consigliere Nordio mi costringeva a cacciare per lui come un segugio, a muso basso tra le anguste calli di Venezia. Nasi, al contrario, mi aveva fatto alzare la testa e volare come un falco, come l'altai che avevo visto volteggiare fiero sui campi».17

Come già detto, ci troviamo qui di fronte a due modalità della visione, a due differenti posizioni da cui si può esercitare la percezione sulle cose. Il primo genere di sguardo, quello del «segugio a muso basso» è uno sguardo incorporato (embedded), soggettivo e, in una certa misura, empatico. Al contrario il secondo sguardo, quello del falco in volo, è uno sguardo astratto, oggettivo, distaccato, per certi versi cartografico.18
Si tratta di due posizioni irriducibili che presuppongono atteggiamenti altrettanto differenti nei confronti dell'oggetto della visione e svolgono una funzione analoga a quella svolta da Venezia ed Istanbul nella rappresentazione spaziale della fuga di De Zante/Cardoso, che abbiamo tratteggiato nel paragrafo precedente. La visione incorporata e quella cartografica rappresentano i limiti oltre i quali la visione non può spingersi ed allo stesso tempo stabiliscono le due posizioni entro le quali essa può oscillare.
Ciò che emerge in Altai rispetto agli statuti della visione, così come fin qui sono stati tracciati, è l'inadeguatezza che caratterizza entrambe le posizioni liminali da cui si può esercitare lo sguardo. La visione da segugio che De Zante riceve dal consigliere Nordio gli permette di percepire tutti i segni della cospirazione ordita alle sue spalle ma non di collegarli, se non con un ritardo che impedisce ogni contromossa, per ricavare una trama chiara degli eventi; allo stesso modo, la visione da falco che viene donata da Nasi a Cardoso, permette a questo di avere chiara davanti agli occhi la trama degli eventi ma gli impedisce di percepire i movimenti che, agitandosi sotto la superficie, lavorano in direzione contraria.
Dunque, in entrambi i casi, la posizione liminale da cui esercita la visione impedisce al protagonista di prolungare la propria percezione in un'azione capace di influire sulla situazione e di indirizzarla verso una soluzione positiva.
Nel primo caso è costretto a fuggire da Venezia senza neppure riuscire a recuperare i propri denari; nel secondo caso, invece, non è in grado di avvertire per tempo la flotta turca della trappola ordita dalla Lega Santa, la quale ha così la meglio nella battaglia di Lepanto.
A questo punto è possibile trarre una prima conclusione del ragionamento fatto fino a questo punto: così come le posizioni liminali da cui si esercita la visione sono inadeguate in quanto non sono in grado di dare vita ad azioni capaci di incidere e di modificare la situazione in cui il protagonista esercita lo sguardo, allo stesso modo le identità liminali, quella veneziana e quella giudaica, che corrispondono tanto ai centri della semiosfera quanto ai focolai di percezione descritti, sono identità inadeguate in quanto metalinguistiche, grammaticalizzate e pertanto incapaci di esprimere quella capacità di trasformazione e metamorfosi che impedisce all'identità di diventare un oggetto simulacrale in cui condensare un fantasma di comunità, come, ad esempio, quell'identità cristiana che la Lega Nord, e con essa molti movimenti dell'estrema destra europea, contrappone a quella islamica rievocando l'immaginario legato alla battaglia di Lepanto.
È pertanto necessario domandarsi, a questo punto, se esista, in Altai, un momento in cui lo sguardo del protagonista (e conseguentemente la sua identità) può essere considerato libero di muoversi all'interno dei limiti imposti dalla visione.
Nella fuga che conduce De Zante/Cardoso da Venezia ad Istanbul si può identificare questo momento di liberazione dello sguardo a cui corrisponde una liberazione ed una sperimentazione da e con l'identità.
Nell'allontanarsi dal cuore della Repubblica, più che ad una precisa volontà, De Zante/Cardoso pare affidarsi al caso, di cui i dadi che porta nella tasca sono un simbolo inequivocabile. Questa situazione costringe il protagonista ad una sorta di inazione, ad un'impossibilità di agire in prima persona e di prendere l'iniziativa che ne lega il destino all'intervento necessario di una terza parte: dapprima il vecchio contrabbandiere Tuone Jurman, e poi gli agenti di Jossef Nasi, i giudei Del Soto e Del Burgo.
De Zante/Cardoso sembra così accedere a quella condizione che Gilles Delezue chiama «veggenza».
Con il termine 'veggenza' il filosofo francese si riferisce a quella condizione, che accomuna i personaggi del neorealismo cinematografico italiano, in cui, di fronte ad una situazione ottica e sonora pura, la percezione è impossibilitata a tradursi in azione dando così origine ad una zona di indiscernibilità, in cui reale ed immaginario, oggettivo e soggettivo, reale e virtuale si confondono e si scambiano costantemente di posto.19
Il sistema di soglie che regolano il passaggio dalla semiosfera veneziana a quella ottomana pare pertanto configurarsi come una zona di indiscernibilità, in cui a scambiarsi costantemente di posto sono le identità che confliggono20 nel personaggio di De Zante/Cardoso; e cioè l'identità paterna, veneziana e cristiana, e quella materna, spagnola e giudaica.
È interessante vedere come viene realizzato, dal punto di vista stilistico, il ri-affiorare dell'identità materna e giudaica che il protagonista riscopre durante il suo viaggio verso Istanbul. Tale movimento si determina costantemente a partire dalla descrizione di una serie di dati sensoriali che risvegliano nel protagonista ricordi sopiti dell'infanzia.
Prenderemo come esempio la descrizione dell'arrivo a Salonicco, penultima tappa del viaggio di De Zante/Cardoso verso la capitale dell'Impero ottomano. Il capitolo (I,14) si apre con un'impressione di carattere visivo in cui vengono descritti gli sgargianti colori delle case della città,21 che il personaggio osserva dal mare, a bordo di una chiatta. Poco dopo viene ricordato che Salonicco, anticamente San Demetrio, era definita «la Gerusalemme dei Balcani [...] capitale dei sefarditi nell'impero ottomano. Una delle roccaforti di Nasi».22 In seguito ad un breve flashback in cui De Zante/Cardoso ripercorre il viaggio da Ragusa a Salonicco, vi è un breve paragrafo su cui è il caso di soffermarsi:

«Dopo l'approdo in un anfratto del porto, fui spinto dentro un carro, verso il luogo di soggiorno deciso per me. Le strade erano affollate, gli odori forti, gli urti e i sobbalzi frastornanti. Per mia fortuna ero digiuno da molte ore, altrimenti avrei dato di stomaco.
- Mi ozo en tu culo! - udii gridare qualcuno. Il ricordo del medesimo scongiuro sulle labbra dell'Abecassi mi colpì come un ceffone.
Il viaggio mi aveva spossato, la nausea mi assestava i colpi finali. Ero a Salonicco per la prima volta nella mia vita, e vi giungevo con l'anima piegata».23

In questo paragrafo si susseguono quattro diverse impressioni sensoriali: una visiva («le strade affollate»), una olfattiva («gli odori forti»), una tattile («gli urti e i sobbalzi frastornanti») ed infine una uditiva (il grido). La progressione della sequenza ha come effetto quello di far affiorare con violenza il ricordo del protagonista, questo infatti emerge come sintesi della sequenza di percezioni sensoriali che lo colpiscono. L'anima piegata con cui De Zante/Cardoso raggiunge Salonicco non è soltanto piegata dai malesseri fisici dovuti alle scomodità del viaggio, ma è anche piegata dal continuo riaffiorare della sua identità giudaica scatenato dalla messe di percezioni sensoriali a cui esso viene sottoposto. Il paragrafo successivo conferma questa dinamica in cui percezione sensoriale, ricordo e identità sono elementi che si presuppongono gli uni con gli altri.24
Ciò che accade in base alla dinamica descritta qui sopra, che ritroviamo con particolare costanza in tutta la prima parte del romanzo, è una sorta di trasformazione che coinvolge il personaggio senza che questo abbia una coscienza chiara della trasformazione in atto. Infatti, De Zante/Cardoso riconoscerà in maniera cosciente il mutamento della propria identità soltanto in seguito, una volta giunto ad Istanbul.25
In questa trasformazione «inavvertita» si deve, ad avviso di chi scrive, individuare l'obliquità dello sguardo che è una delle caratteristiche costitutive delle opere che gravitano nella nebulosa definita New Italian Epic. Lo sguardo obliquo rappresenterebbe il luogo in cui, con maggiore frequenza, viene a realizzarsi la «fusione di etica e stile»; con questa espressione dovrebbero essere perciò individuati sia gli slittamenti da un punto di vista all'altro realizzati tramite il «discorso libero indiretto»,26 sia i punti di vista inconsueti,27 sia i punti di vista di sintesi, di oggetti inanimati o disincarnati.
Per come è stata realizzata in Altai, l'obliquità dello sguardo si avvicina molto a quello «stile indiretto libero» teorizzato da Pasolini a proposito del cosiddetto «cinema di poesia».28 Come quello sguardo obliquo anche la «soggettiva indiretta libera» si può definire nei termini di un procedimento stilistico in grado di raddoppiare lo sguardo del personaggio sovrapponendo ad esso lo sguardo della macchina da presa (e quindi del regista) che consente pertanto al primo sguardo di trasformarsi e riflettersi.29In questo modo il focolaio di percezione (lo sguardo) di De Zante/Cardoso viene doppiato dal focolaio di percezione (lo sguardo) della macchina da presa (in questo caso la scrittura di Wu Ming) che se ne fa carico e lo trasforma: dalle sintesi percettive e sensoriali emerge quell'incessante lavorio di trasformazione dell'identità che caratterizza la prima parte del romanzo e che avrà fine con l'arrivo del protagonista nella Capitale ottomana.30
Lo spazio di indiscernibilità che si apre a partire dall'uso dello sguardo obliquo o "stile indiretto libero" è anche l'unico spazio realmente liberato dai simulacri e dai fantasmi dell'identità e della comunità che porteranno il protagonista alla rovina.
Al di fuori dell'atto di semiosi che la trasforma, l'identità non esiste, se non in una pericolosa forma grammaticalizzata, normativa e simulacrale.

 

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IV. Bibliografia

  • Deleuze, Gilles - L'immagine-movimento. Cinema 1, J.P. Manganaro(trad. it. di), Milano, Ubulibri, 1984.
  • Deleuze, Gilles - L'immagine-tempo. Cinema 2, L. Rempello (trad. it. di), Milano, Ubulibri, 1989.
  • Dinoi, Marco - Lo sguardo e l'evento. I media, la memoria, il cinema, Firenze, Le Lettere, 2008.
  • Grande, Maurizio - Pasolini e lo stile del libero indiretto, in R. De Gaetano (a cura di), Il cinema in profondità di campo, Roma, Bulzoni, 2003.
  • Lancioni, Tarcisio - Immagini narrate. Semiotica figurativa e testo letterario, Milano, Mondadori Università, 2009.
  • Lotman, Jurij M. - La semiosfera. L'asimmetria e il dialogo nelle strutture pensanti, S. Salvestroni (trad. it. di), Venezia, Marsilio, 1992.
  • Pasolini, Pier Paolo - Il cinema di poesia, in Empirismo eretico, Milano, Garzanti, 1972.
  • Wu Ming, Altai, Torino, Einaudi, 2009.
  • Wu Ming, New Italian Epic. Letteratura, sguardo obliquo, ritorno al futuro, Torino, Einaudi, 2009.
  • Zillberberg, Claude - Soglie, limiti, valori, in P. Fabbri e G. Marrone (a cura di), Semiotica in nuce. Volume II. Teoria del discorso, Roma, Meltemi, 2001.

 

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Giugno-dicembre 2012, n. 1-2


 

 

 

 

 

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