Maria Grazia Cossu
Scrivere con le immagini: l'esperienza di Lalla Romano

 

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Sommario
I.
II.
III.
IV.
Introduzione
Un amore profondo per la realtà
Immagini in funzione di parole
La fotografia come sintesi di un'esistenza


 

§ II. Un amore profondo per la realtà

I. Introduzione

L'esperienza comune insegna che le figure facilitano e rendono più efficace la trasmissione di significati e ciò, secondo Alberto Abruzzese, non dipende da un'egemonia del linguaggio iconico rispetto a quello verbale ma dalla loro costante e reciproca interazione, in quanto «il linguaggio iconico si integra al linguaggio verbale».1
Tuttavia, la straripante diffusione di immagini che caratterizza la civiltà contemporanea sembra determinare paradossalmente un altro problema, e cioè la progressiva diminuzione della loro presenza ed efficacia nell'ambito della creazione letteraria, in quanto appare sempre più difficile inventare e immaginare. Su questa condizione si è espresso anche Calvino quando, denunciando l'insostenibile «prevaricazione dei linguaggi massmediologici»2 sulla scrittura letteraria, inserisce la Visibilità fra i valori da consegnare alla posterità:

«Se ho incluso la Visibilità nel mio elenco di valori da salvare è per avvertire del pericolo che stiamo correndo di perdere una facoltà umana fondamentale: il potere di mettere a fuoco visioni a occhi chiusi, di far scaturire colori e forme dall'allineamento di caratteri alfabetici neri su una pagina bianca, di pensare per immagini».3

Fra gli autori che hanno sperimentato nella propria opera una pluralità di codici realizzando così la visualizzazione del racconto richiamata da Calvino, risulta particolarmente interessante l'esempio di Lalla Romano (1906- 2001), autrice colta e apprezzata dai maggiori intellettuali, artisti e scrittori del Novecento,4 la quale ha fondato la sua produzione su un singolare intreccio di memoria, scrittura e immagine: non solo fotografia, ma anche disegno e pittura.
Questa straordinaria capacità di esprimere visivamente la narrazione attraverso la rappresentazione di luoghi e figure familiari, è ben presente nell'immaginario dell'autrice fin dagli esordi della sua produzione, come dimostra l'incipit di Pomeriggio sul fiume, racconto del 1945, nel quale sono espresse le due modalità di rappresentazione - parola e immagine - e l'impossibilità di mantenerle distinte. La narratrice ammette, infatti, di riuscire a cogliere tutte le immagini rappresentate nel testo, non solo gli elementi visivi - i colori, le luci, i movimenti - ma anche le altre manifestazioni sensoriali invisibili, quali i suoni e gli odori:

«C'è un racconto, per esempio, che ho davanti agli occhi. Ecco la cosa terribile: lo vedo [...] Luce, persone, movimento, anche suono [...] e anche odore [...] E tutte queste cose, nette, solide, autonome. Cose ma io cerco parole [...] Non voglio che prendano il posto delle cose. Non dev'essere così, le cose non devono nascere prima. Prima le parole. Come nella delizia del leggere. Le parole creano le cose».5

Sul piano della produzione testuale, tale affermazione rappresenta un'intuizione precoce in quanto la Romano sembra già in grado di prefigurare le potenzialità narrative di una scrittura che sappia accostare creativamente il codice iconico e verbale, sia nella fase di composizione che di fruizione dell'opera.
Per l'attualità delle forme e dei contenuti e per la pregnanza e l'incisività di un linguaggio semplice ma ricco di immagini e di colori, la prosa di Lalla Romano possiede una valenza evocativa carica però di intime contraddizioni che ne caratterizzano il percorso, e lo stesso Spinazzola ha descritto Lalla come una donna «alle prese con i turbamenti, anzi i turbini emotivi di una femminilità ancestrale».6 Proprio da questo apparente contrasto fra la modernità di un'esperienza ricca ed esaltante e le tensioni che emergono da una scrittura talvolta allusiva, le diverse forme di espressione nelle quali la scrittrice si è cimentata - la parola e l'immagine, il racconto autobiografico, la fotografia e la pittura - risultano fondamentali per indagare il percorso di elaborazione del vissuto familiare e domestico affidato ai romanzi del poema familiare e ai cataloghi fotografici e pittorici.
Secondo Giulio Ferroni,7 Lalla Romano è una delle autrici più interessanti del panorama letterario femminile per la spiccata sensibilità con cui ha indagato fra le pieghe della quotidianità mettendo in luce le gioie e le difficoltà delle relazioni umane, facendo rivivere nel variegato corpus della sua opera, la nostalgia degli affetti dell'infanzia e i paesaggi struggenti dell'anima. In particolare, la scrittrice:

«ha saputo sentire la memoria del passato come qualcosa di «presente», senza rivestirla di profumi sottili e preziosi, senza caricarla di una fascinosa «aura» poetica; ha messo in luce i modi in cui il passato si modifica inevitabilmente nel suo stesso farsi «racconto», e ha narrato le trasformazioni, le contraddizioni, le difficoltà di comprensione che sempre si presentano nel rapporto con una realtà che muta e quasi ci sfugge nell'atto stesso in cui la viviamo».8

 

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II. Un amore profondo per la realtà

Per ricostruire le tappe del percorso più «strettamente autobiografico»9 della Romano occorre ripercorrere non cronologicamente la maggior parte delle sue opere. La penombra che abbiamo attraversato (1964), descrive gli anni della infanzia a Demonte; Dall'ombra (1999), recupera gli anni della fanciullezza e della prima giovinezza a Cuneo; Una giovinezza inventata (1979), racconta il periodo universitario a Torino; Maria (1953), rievoca la figura della domestica, ma getta ampi squarci sui primi anni di matrimonio e sull'infanzia del figlio Piero; Diario di Grecia (1960), descrive le emozioni di una vacanza col marito Innocenzo; Le parole tra noi leggere (1969), è incentrato ancora sul personaggio di Piero e narra la sua vita fino ai primi anni di matrimonio; L'ospite (1973), e Inseparabile (1981), sono dedicati al nipote Emiliano; Nei mari estremi (1987), ripercorre la vita del marito fino alla sua morte; Le lune di Hvar (1991), riproduce alcuni taccuini di viaggio in Istria e Dalmazia insieme al nuovo compagno Antonio Ria, al quale si deve la pubblicazione della maggior parte dei cataloghi e degli album fotografici della Romano.
Anche se le sue opere riproducono personaggi e vicende relative alla propria famiglia, la rievocazione memoriale10 asseconda le suggestioni prodotte da un'ispirazione libera e creativa e l'autrice spiega che esse «sono un po' come una metafora, come un paradigma che può accostarsi alla vita di tutti [...] solo a questo patto l'autobiografia può avere valore di conoscenza».11 I motivi autobiografici costituiscono quindi un'esigenza interna alla scrittura,12 in quanto esprimono «la memoria della vita personale di uno scrittore che usa la prima persona»,13 una verità quindi che, oltrepassando l'esperienza del singolo, assume quasi una valenza universale.
La memoria permette all'individuo di recuperare il proprio passato attraverso frammenti essenziali e autentici come «un'emozione, un sentimento»,14 in quanto l'eccesso di elementi rievocativi si addice alla cronaca e non alla poesia. E poiché la memoria è fatta anche di dimenticanze, l'autrice spiega le finalità letterarie della propria opera «con la scrittura io voglio fermare ciò che la memoria ha conservato, perché è la memoria la prima che sceglie [...] scrivendo restituisco alla vita quello che il tempo porta via».15
Invece, per quanto riguarda l'impiego della fantasia, la Romano ritiene che essa non consista solo nell'immaginazione, nell'inventare trame, storie, personaggi ma «nell'emozione, e nel trovare le parole giuste per dirla [...] nella scelta delle parole, nella punteggiatura, negli spazi, nei silenzi».16
Le immagini costituiscono comunque l'elemento fondante della scrittura di Lalla Romano che le considera «alla stregua delle parole, una forma non di comunicazione ma di rivelazione».17 Scrittura, pittura e fotografia attraversano reciprocamente la sua produzione divenendo, di volta in volta, una l'origine e il complemento dell'altra. Infatti, sebbene la composizione dei romanzi preceda la pubblicazione dei cataloghi, la rievocazione memoriale è quasi sempre sostenuta dall'esistenza di immagini che guidano la descrizione ecfrastica di luoghi e personaggi; d'altra parte, gli album riescono a soddisfare il versante visivo della narrazione e ad arricchirlo porgendo, in originale, l'illustrazione di alcuni episodi già noti al lettore.
Ciò che accomuna l'uso sapiente delle diverse tecniche artistiche di cui dà prova l'autrice è, secondo Giulio Einaudi, l'amore profondo per la realtà, evidente nel garbo con cui la Romano riesce a «comunicare le cose, i luoghi, le persone insieme ai sentimenti, un amore che affiora nei quadri e che è caratteristica della sua opera letteraria».18 Ma in questa rappresentazione fortemente emotiva di figure e paesaggi radicati profondamente nella propria esistenza, si cela però anche la paura di una loro perdita irreparabile:

«E' il suo amore per le cose, forse amore e timore al tempo stesso: timore che le "cose" possano perdersi, che la memoria le sfianchi, le dissolva. E' per questo che Lalla può dire che se ha dipinto lo ha fatto per sé. E anche se ha scritto è stato uno scrivere per sé, per conservare paesaggi e figure al vero, senza distrarsi».19

Pur nel passaggio coerente fra le diverse tecniche, l'opera letteraria, fotografica o pittorica assolve sempre al medesimo scopo e si costruisce sotto lo sguardo attento ed impietoso dell'autrice e del suo pubblico: infatti è per entrambi che ella si sforza di fissare l'istante, rendendo pubblico ciò che quasi sempre è soltanto un'esperienza privata, consapevole che questo processo avviene attraverso un rimando incrociato di sguardi nei quali «la voglia di rendere partecipi gli altri di ciò che vien dipingendo è non meno importante. Intimità e pubblico si confondono».20 Nel descrivere i tratti salienti della pittura di Lalla Romano, Antonio Ria rintraccia una durezza di stile che è in fondo anche una nota dominante della personalità dell'autrice:

«una fermezza che qualcuno potrebbe chiamare spietatezza, ma che, casomai, è una spietatezza che Lalla ha verso se stessa. E' uno stile che ho sempre visto nella sua vita, nel suo scrivere e nel suo dipingere».21

Esistono numerose consonanze che collegano la scrittura letteraria dell'autrice piemontese alla pratica artistica come, ad esempio la frequente presenza di dettagli narrativi e pittorici densi di notazioni impressionistiche quasi che entrambi contribuiscano a definire, in un linguaggio composito ma pur sempre unitario, un personaggio, un luogo dell'anima, un' atmosfera da cui scaturisce un ricordo indelebile. Più di tutto però, Francesco Porzio evidenzia:

«il clima poetico comune, la ricerca di una rivelazione da cui entrambi scaturiscono: una sospensione che isola nel flusso della vita un ordine segreto [...]. La radice comune con la pittura non è tanto nel carattere visivo della narrazione ma in quanto di inespresso e definitivo è sotteso a entrambi».22

Inoltre, il codice verbale e iconico di queste rappresentazioni possiede anche una grammatica e una sintassi comune fatta di forme, colori, figure evocative rapide e leggere che, secondo Mirella Bandini, costruiscono una sintesi armoniosa di immagini e parole:

«La misura, l'equilibrio, la stessa costruzione sintattica della sua scrittura rispecchiano sempre l'organizzazione formale dei suoi quadri, la sua visione pittorica e sintetica del reale, la sua sensibilità coloristica. La sua prosa duttile e sciolta si accende di tocchi cromatici, le descrizioni rapide, concise dei luoghi e delle persone sono fatte con l'occhio del pittore; la sua memoria letteraria è costituita principalmente da percezioni, sensazioni essenzialmente visive. Questa meravigliosa sintesi tra l'Immagine e la Parola è presente in tutta la sua produzione poetica e narrativa [...] e le tematiche della sua pittura ritornano, si mescolano, riaffiorano nella sua scrittura».23

Sguardo e scrittura costituiscono dunque le coordinate fondamentali dell'opera letteraria e artistica di Lalla Romano la quale ha così sintetizzato la propria poetica: «in realtà io dipingo sempre mentre guardo: allo stesso modo scrivo sempre».24
Per quanto riguarda il disegno e la pittura, queste arti furono una grande passione di Lalla fin dalla sua giovinezza quando, nella Torino degli ani Venti, divenne allieva di Felice Casorati, come si legge in molte pagine illuminanti di Una giovinezza inventata. I cataloghi di queste opere hanno permesso di ricostruire a posteriori la nascita e la maturazione della sensibilità artistica della Romano. Appare comunque significativo osservare come i soggetti rimangano sostanzialmente gli stessi dell'opera letteraria, pur nella varietà degli stili e dei tratti: figure umane, numerosi ritratti di famiglia, paesaggi, oggetti della quotidianità come nature morte e vasi di fiori.
In maniera analoga, si possono individuare una serie di convergenze anche tra pittura e fotografia: Segre, ad esempio, riconosce che anche negli album fotografici l'autrice mette in atto «una sensibilità pittorica non comune»,25 in quanto la scelta delle fotografie confluite nei cataloghi fotografici Romanzo di figure o La treccia di Tatiana (quest'ultimo una raccolta di scatti che raccontano un pomeriggio trascorso con alcuni amici nel giardino di una villa), e la loro disposizione nel testo corrispondono al flusso di reminescenze memoriali e visive sollecitate dal racconto. In particolare, in queste opere la Romano intende interpretare in chiave personale il rapporto tra letteratura e immagini per «aprirsi a prospettive nuove»,26 dando vita a «un romanzo di tipo nuovo» in quanto l'immagine viene a trovarsi in posizione privilegiata con un ruolo narrativo rispetto al testo letterario della didascalia, che svolge invece una funzione illustrativa e non informativa: in tal modo cambia anche la prospettiva di lettura delle immagini stesse poiché «anche la fotografia è scrittura»,27 per cui esse diventano simboli o metafore dell'esistenza.

 

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III. Immagini in funzione di parole

Volendo estrapolare dalla vasta produzione artistica e letteraria dell'autrice, alcuni esempi concreti e insieme illuminanti delle tecniche con cui la Romano ha realizzato questa singolare commistione poetica di immagine e parola, si può prendere in esame il romanzo La penombra che abbiamo attraversato, racconto del viaggio memoriale nell'Eden di Demonte, alla ricerca della figura materna recentemente scomparsa e dei luoghi incantati dell'infanzia dove, per contrasto, diviene più struggente il motivo della sua assenza: la Romano vi allude di continuo, attraverso rapide notazioni con le quali è possibile visualizzare gli ultimi istanti di vita della madre.
Il romanzo presuppone la presenza di un materiale fotografico anteriore con il quale stabilisce un fitto gioco di rimandi intertestuali: si tratta degli scatti di Roberto Romano,28 un dilettante che, nel contesto storico-artistico dell'epoca, mostra però una notevole sensibilità per la fotografia con cui fissa i tratti più significativi del proprio mondo familiare e sociale.
La penombra si ricollega dunque alla prima opera fotografica, Lettura di un'immagine, che riproduce le piccole stampe originali dell' album di famiglia che Lalla Romano ha ricevuto dalla madre come dono di nozze. Grazie al ritrovamento delle lastre fotografiche originali, l'autrice pubblica successivamente Romanzo di figure che, con alcune aggiunte, ripropone le immagini precedenti ma in una veste fotografica e filologica più accurata; Nuovo romanzo di figure e Ritorno a Ponte Stura nascono invece dal recupero di ulteriori materiali.29
Il valore poetico e documentario degli album fotografici è straordinario in quanto questi si saldano strettamente alla scrittura e rappresentano la realizzazione visiva dell'opera letteraria della Romano, perché l'immagine30 fotografica attesta, in maniera inconfutabile, l'autenticità di un episodio; inoltre, per il suo impatto visivo, rispetto alla scrittura essa esercita una suggestione immediata sul lettore.
Nell'intervista già citata ad Antonio Ria, l'autrice spiega di aver risolto la questione della creazione artistica su più codici, scegliendo di accoglierli entrambi nell'opera «il compito della letteratura è creare poesia non solo in versi [...] io recupero l'immagine nella funzione di parola».31 In fondo questo è il senso dell'operazione condotta in Lettura di un' immagine nella cui Premessa l'autrice dichiara «in questo libro le immagini sono il testo e lo scritto un'illustrazione»,32 quasi a chiarire immediatamente la funzione subalterna riservata alle didascalie, che pure corredano ogni album fotografico, rispetto alla forte pregnanza semantica affidata invece alla fotografia. In questa prospettiva si collocano alcuni significativi interventi33 dedicati al rapporto immagine - scrittura, fenomeno indagato soprattutto in relazione al primo elemento del binomio, nel quale la dimensione iconica del testo è affidata soprattutto alla fotografia - anziché al disegno e all'opera pittorica - intesa come una tecnica accessoria con cui la Romano accresce discorsivamente i significati della propria scrittura.
Sia la fotografia che la scrittura consentono infatti una lettura speculare di sé e del mondo: entrambe riflettono la realtà duplicandola e se si volesse individuare nell'opera della Romano la traccia più remota di un'intuizione poetica relativa alla possibilità di uno sdoppiamento fra il sé reale e il sé riflesso dalla scrittura - fotografica o autobiografica - si potrebbe pensare ad un episodio, raccontato dall'autrice in Un sogno del Nord (SN), che sarebbe avvenuto durante l'adolescenza. Assorta di fronte ad uno specchio nella contemplazione del proprio viso riflesso e circondato dalla cornice, Lalla vive la scoperta di Narciso come una straordinaria e personale illuminazione che, metaforicamente, sembra sospingerla al centro del proprio mondo poetico:

«Vedevo, anzi guardavo, come si guarda un quadro, la mia faccia incorniciata, un po' sotto in su: lo specchio doveva essere inclinato. Avvenne qualcosa di simile a quando ebbi la rivelazione dei miei primi amori [...] Ora l'immagine era la mia, ma il richiamo era della stessa natura, con mio grande stupore. L'avventura di Narciso? (SN, pp. 1653-1654)».

Altrettanto illuminanti sono i disegni dell'autrice. Nell'introduzione al catalogo, Antonio Ria34 scrive che i disegni di Lalla Romano, ritrovati per la maggior parte in occasione dell'allestimento della mostra tenutasi a Milano nel 1994:

«erano gelosamente custoditi dall'autrice in vecchi carnets, album, bloc-notes. Mai visti da nessuno. Non certo dimenticati da Lalla, che al rivederli, dopo decenni ricorda i particolari del momento, del luogo, dell'occasione [...]. I disegni in fondo sono ancor più una cosa personale, riservata dell'autrice. Un fatto privato. Di appunti, di ricordi, di emozioni (D, p. IX)».

Realizzati su fogli sottilissimi e spesso anche su materiali di riciclo di piccole dimensioni, essi rappresentano «esempi sparsi di un'attività continua, e di continuo moltiplicata» (D, p. IX), quasi delle annotazioni rapide, che assecondano l'urgenza dell'ispirazione. Essi affidano «alla leggerezza delle linee, alla segretezza degli appunti» (D p. IX), le figure che popolano i romanzi della Romano: il marito Innocenzo, il figlio Piero e la madre. Nell'intervista rilasciata in occasione della mostra, Lalla Romano afferma di considerare quei disegni «proprio come appunti di frasi [...] appunti presi dal vero, tratti che rispondono alla fisionomia di una persona, rispetto a quelli più calligrafici» (D, p. 88).
Con la loro realistica immediatezza, questi disegni permettono dunque di penetrare intimamente nell'immaginario pittorico e poetico dell'artista: si tratta infatti di segni primitivi che indicano l'avvio dell'elaborazione umana e artistica di un evento personale, talvolta anche molto doloroso, come quello raffigurato con tratti rapidi ed essenziali in due disegni a biro, di straordinaria intensità, intitolati la madre morta, risalenti al 1960, che riproducono i contorni di un viso ormai irrigidito nella sua posa funerea, colto di profilo e col mento leggermente sollevato e gli occhi chiusi.35
L'episodio presente in L'Ospite (O), ritorna costantemente in molte pagine di Lalla indotto dalla rievocazione di altre emozioni della vita familiare culminanti nel ricordo degli ultimi giorni di vita della madre: «questo tempo con Emiliano mi fa pensare a quando la mamma moriva» (O, p. 438). L'evento viene richiamato attraverso l'epifania proustiana della luce d'autunno:

«C'era pure questa luce calma limpida, sempre uguale. Anche allora era autunno [...] Ora, un anno dopo, quella luce d'estate declinante è tornata, con la sua fatale bellezza ( e una di noi se n'è andata, silenziosamente) (O, p. 438)».

L'autrice assume l'immagine della madre morente come metafora di un tempo che precipita inarrestabile, ora lentissimo, ora vertiginoso, travolgendo ogni cosa fino a decretarne la conclusione e perciò, la perdita; condizione questa non irrimediabile sul piano ideale se interviene a riscattarla la funzione consolatrice della memoria, intesa come dimensione proustiana del tempo ritrovato:

«Anche allora avevo l'impressione di essere sommersa da qualcosa di enorme. Sapevo che tutto sarebbe finito e che non ci sarebbe stato mai più. Però anche volevo che finisse per ritrovare lei come era (O, p. 438)».

Per questo, per conservare per sempre l'immagine materna, opera sul passato, fissandolo come eterno presente per ritrovare la figura che è stata «quella di prima, e per sempre» (O, p. 438). Tale operazione è resa possibile dalla memoria ma anche dalla fotografia, componente fondamentale dell'universo poetico della Romano che la utilizza in funzione accessoria, come aide-mémoire ma anche come supporto visivo della scrittura.
Come viene ricordato in L'Inseparabile (I), l'immagine gioiosa della madre36 troneggia sulla superficie della porta di casa, quasi a suggerire in maniera evidente la sospensione della figura materna sulla soglia metaforica che separa i vivi e i defunti

«All'interno della porta ho attaccato il grande manifesto dell'Immagine: mia madre giovane vestita di bianco, col suo vitino di vespa, l'ombrellino bianco: la fotografia che mio padre le fece sullo sfondo selvaggio del bosco in cima al castello di Demonte (I, p. 86)».


Sebbene la Romano tenti di riportare la figura ad una dimensione reale, sottolineando il colore bianco dell'abito e dell'ombrellino, per l'eleganza quasi eterea delle forme che si stagliano su un paesaggio naturale fortemente simbolico, la donna della fotografia continua a conservare una propria angelica indeterminatezza, suscitata sopratutto dal contrasto fra il suo valore documentale - la foto è stata scattata dal padre sullo sfondo del castello di Demonte - e la presenza dei paesaggi senza tempo dell'infanzia. Inoltre viene presentata al lettore con deferenza e devozione: è definita l'Immagine, a tutti gli effetti innominabile perché sacra. Agli occhi della figlia, la figura sembra aver ormai perduto i connotati meramente familiari e affettivi per assurgere a una esistenza di pura astrazione, la cui presenza continua ad essere percepita nei modi di una intensa relazione spirituale.

 

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IV. La fotografia come sintesi di un'esistenza

In un interessante articolo pubblicato sulla rivista L'Asino d'oro, Remo Ceserani illustra gli effetti prodotti dalla fotografia sulle forme di percezione verbale e/o visuale della realtà e sui codici, verbale e iconico, della comunicazione:

«Il procedimento fotografico ha offerto alla letteratura anzitutto una vasta gamma di nuovi campi metaforici [...] inoltre, ha investito i modi stessi del rapporto del soggetto con la realtà, della percepibilità e percezione soggettiva, della riproducibilità della realtà in figure e parole: Esso infine ha anche toccato alcune strutture profonde, antropologiche, dell'uomo, della sua vita mentale, dell'esperienza della morte, delle sue capacità di comunicare o di influire sulla vita [...] fino a [...] influenzare i modi di percezione della memoria e della realtà interiore o esteriore».37

Secondo Ceserani, l'immagine influisce dunque sulla memoria e, soprattutto, sulla elaborazione del vissuto personale e perfino dell'idea della morte, come sostengono anche altri importanti studiosi come Walter Benjamin,38 Susan Sontag39 e Roland Barthes40 i quali hanno approfondito le applicazioni di questo medium tecnologico alla pratica artistica e letteraria,41 ed è singolare come queste riflessioni concordino pienamente con la poetica di Lalla Romano.
Com'è noto, l'«alleanza strumentale»42 fra scrittura e immagine è evidente fin dal Naturalismo ma il discorso di Benjamin verte sulla svalutazione a cui va incontro l'opera d'arte a causa della possibilità di una sua riproducibilità tecnica derivante dall'esigenza di «rendere le cose, spazialmente e umanamente più vicine»,43 e questo ha determinato un ribaltamento della scala dei valori per cui, al valore cultuale dell'arte, si sostituisce progressivamente quello espositivo. Secondo lo studioso, infatti, tale svalutazione provocherebbe la perdita dell'aura, ossia dell'essenza più intima dell'opera artistica racchiusa nella sua unicità e autenticità, e legata alla presenza «hic e nunc»44 dell'originale. Ciò non accade, invece, nel caso della fotografia e del suo soggetto privilegiato, il volto umano nel quale, nonostante l'impiego di uno strumento tecnologico, l'aura si mantiene intatta:

«Nel culto del ricordo dei cari lontani o defunti il valore cultuale del quadro trova il suo ultimo rifugio. Nell'espressione fuggevole di un volto umano, dalle prime fotografie, emana per l'ultima volta l'aura. E' questo che ne costituisce la sua malinconica e incomparabile bellezza».45

Susan Sontag si sofferma invece sul significato della fotografia nell'immaginario occidentale e nella vita contemporanea e pone la questione nei termini di un desiderio di possedere l'oggetto raffigurato: «fotografare significa infatti appropriarsi della cosa che si fotografa»,46 una riproduzione soggettiva della realtà che rappresenta comunque «un'interpretazione del mondo esattamente quanto i quadri e i disegni»,47 fondamentale però quando la fotografia si riferisce alle relazioni affettive e alla vita familiare:

«Attraverso le fotografie, ogni famiglia si costruisce una cronaca illustrata di se stessa, un corredo portatile di immagini che attestano la sua compattezza [...]La fotografia diventa così un rito della vita familiare [...] Quelle tracce spettrali che sono le fotografie ci danno la presenza simbolica dei parenti dispersi».48

Proprio nell'ambito della vita personale del soggetto, la pratica fotografica asseconda il desiderio narcisistico di ogni individuo di sentirsi amato e di esserlo sempre stato, circondato dai propri congiunti in un mondo rassicurante, perché queste immagini «oltre a dare all'individuo il possesso immaginario di un passato reale, lo aiutano a impadronirsi di uno spazio nel quale vive insicuro».49
La fotografia conferisce alla persona o all'evento riprodotti «una sorta di immortalità»50 che li preserva dall'oblio, e ciò è fondamentale soprattutto nei riguardi dei propri cari; perché la presenza delle loro immagini negli album di famiglia «esorcizza in parte l'angoscia e il rimorso che proviamo per la loro scomparsa».51 Per questo la Sontag definisce la fotografia «un'arte elegiaca, un'arte crepuscolare»52 che asseconda la nostra epoca malata di nostalgia, in quanto fornisce una riproduzione melanconica della realtà che suggerisce insieme «una pseudopresenza e l'indicazione di un'assenza».53 Come testimonianza di qualcosa che non esiste più, essa possiede un valore informativo «simile a quello della narrativa»,54 tuttavia, la conoscenza che si raggiunge attraverso il medium fotografico sarà sempre, secondo la Sontag, solo «una forma di sentimentalismo»55.
Alle stesse suggestioni si riallaccia in parte anche Roland Barthes in un saggio sulla ricezione estetica della fotografia dove, fra le altre cose, definisce l'«in sé»56 della fotografia, un elemento essenziale che la distingue dalla «comunità delle immagini»57 e che determinerebbe una «astuta dissociazione della coscienza d'identità»58 dell'individuo il quale, nell'istante in cui si percepisce come «soggetto che sta per diventare oggetto»,59 si accorge di vivere «una microesperienza della morte».60
Ciò che qui sembra opportuno evidenziare è che tutta la riflessione barthesiana prenda le mosse dalla scomparsa recente della madre, episodio che avrebbe spinto lo studioso a rievocarne la presenza ricercandone l'immagine nelle fotografie, fino a ritrovare il suo volto più autentico in una vecchia foto dove appare ancora bambina:

«Così io ho ripercorso una vita, non già la mia, ma quella di chi amavo. Partito dalla sua ultima immagine, scattata l'estate prima della sua morte (così stanca, cosi nobile, seduta davanti alla porta della nostra casa, attorniata dai miei amici), ripercorrendo tre quarti di secolo sono arrivato all'immagine di una bambina: io guardo al supremo bene dell'infanzia, della madre, della madre-bambina: certo in quel momento io la perdevo due volte: nella sua stanchezza finale e nella sua prima foto, che per me era l'ultima; ma è anche in quel momento che tutto si capovolgeva e che finalmente io la ritrovavo come in se stessa...».61

Questo è il significato più intimo dell'«in sé» della fotografia, ma si potrebbe obiettare che esso risulta eccessivamente privato e soggettivo, come può esserlo la relazione affettiva fra un figlio e la propria madre. Proprio per questo motivo, a differenza di Lalla Romano, alla fine del libro lo studioso si rifiuta di mostrare quest'immagine. E' però assai significativo che entrambi gli autori affidino il racconto della loro dolorosa esperienza al racconto di sé e all'immagine, quasi a sottolineare che l'elaborazione letteraria di siffatte vicende personali non possa avvenire soltanto attraverso la dimensione verbale, perché la straripante carica emotiva presente in certe esperienze umane esige al contempo la visualizzazione iconica dell'evento.

 

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Giugno-dicembre 2012, n. 1-2


 

 

 

 

 

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