Daniele Comberiati
1970: Reggio brucia! Ma poi tutto si placa...

 

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Il servizio era di quelli che ogni tanto le televisioni pubbliche commissionano. I cinquant'anni da..., dieci anni dopo il..., a due anni da...; in quel caso, l'evento non era neanche troppo eclatante: i quarant'anni dopo la rivolta di Reggio. Ma a chi poteva davvero importare?
L'uomo anziano con cui gli avevano detto di parlare aveva l'aria assonnata e a prima vista non sembrava aver nessuna voglia di discutere con loro. Prima mi finisco il caffè, gli aveva quasi gridato. Poi si era preso il cornetto, la gazzosa, il campari. E ancora non gli aveva detto una parola, anzi a malapena gli aveva rivolto uno sguardo. Faceva caldo, così si erano avvicinati alla sua sedia, che era l'unica a giovarsi dell'ombra della tenda arancione. Quando pensavano di avere buttato un'altra giornata, aveva iniziato a guardarne uno in particolare, con un'intensità imbarazzante.
- Chi è il capo? Sei tu? solo con il capo, parlo. Parlo con te, che mi fa fatica a parlare per tutti, poi i tuoi compari tengono una faccia da ciòti che erano anni che non la vedevo -. Così aveva iniziato a parlare - anzi a monologare - mentre gli altri amici si irritavano in silenzio e il giovane cercava di non perdersi neanche una parola.

- Bisogna partire dall'inizio, dottore mio, anzi da prima dell'inizio, che le cose tengono principio pure prima che noi le cominciamo a pensare. La rivolta di Reggio, se ci pensate bene, era cominciata già negli anni Cinquanta, vent'anni prima per essere precisi, e davanti a voi, che siete laureato all'università, precisi bisogna esserlo per forza! Tutto è cominciato quando queste montagne si sono svuotate: via! via! gridava la gente, che teneva fretta di scappare e di non tornarci più, manco da morta! Sempre erano migrati, direte voi, da più di cento anni almeno. E torto non ce n'avete, privessùre, ve lo dico a cuore aperto, solo che prima se ne andavano alla Merica, in Germania, in Belgio, e tenevano facce 'cchiù scure del carbone che andavano a scavare, col cuore rotto e la bocca ammutolita. Questi qui no, privessùre, questi tengono la faccia da emigranti di città, fanno pochi chilometri per andare a vivere a Catanzaro, a Cosenza, o proprio proprio a Reggio, perché pensano che l'Italia è cambiata, che la Calabria è cambiata, e anche se qua sui monti da mangiare per tutti non ce ne sta, basta scendere a valle, senza bisogno di partire alla Merica, per farci un poco di soldi. A Catanzaro, a Cosenza e a Reggio finiscono a fare la fame come e peggio che qua, però che vuole dottore, in una città qualcosa da fare c'è sempre, e se non si mangia almeno non ci si annoia. Solo che 'ste città calabre in pochi anni diventano strapiene di gente, e tanti altri montanari e pastori vogliono scendere giù, che gli amici e i parenti ci hanno raccontato tante di quelle panzane sulla ricchezza e sulla vita facile... È così che tutte 'ste città vogliono qualcosa: lo stato ci deve dare il capoluogo di regione, gridano a Reggio. Noi vi abbiamo aiutato dopo il terremoto, il capoluogo spetta a noi, sussurrano a Catanzaro. Cosenza all'inizio se ne sta zitta, tanto lo sa che prima o poi pure per lei arriva il tempo di riscuotere. Ci danno la bella università che vedete ancora oggi, come l'ha chiamata un vostro compaesano, un giornalista di Roma? Una "cattedrale nel deserto", che uno come me, che sono ignorante e ciòto, non ha capito quello che ci voleva dire e se l'ha capito non è proprio d'accordo: per il deserto passi pure, che intorno all'università non ci sta anima viva, ma funzionare funziona, privessùre, ve lo posso assicurare; solo che poi i laureati devono scapparsene al nord per trovare lavoro! A Reggio comunque erano sicuri: c'abbiamo avuto il terremoto, ora ci spetta la regione. Che è un po' il modo di ragionare qui da noi: ho sofferto prima, ora passo a riscuotere. Solo che non avevano fatto i conti, i reggini, con le altre città, che se il terremoto non ce l'avevano avuto, bene certo non erano state in quegli anni: così era una guerra a chi chiedeva il favore più grande e, sia detto tra noi e sottovoce qui nel bar di Mimì, a chi teneva più santi in paradiso, cioè politici a Roma. E in quella partita là, a Catanzaro non ce lo poteva battere a nessuno, che i catanzaresi tenevano più deputati e parlamentari a Roma che fìmmane per le strade, e la città sembrava forte quanto la squadra di calcio qualche anno più tardi, ve la ricordate privessùre? Quella di Ranieri e Palanca, che aveva fatto tre goal all'Olimpico contro la Roma e ci faceva prendere paura pure alla Juve di Agnelli -.

Erano cose che sapevano già, anche se gliele avevano raccontate in un altro modo, molto meno colorito. Quando apparve chiaro che a Reggio il capoluogo non l'avrebbero dato mai, la città esplose. Sembrava un nuovo terremoto, scaturito stavolta dai sommovimenti delle persone e non della terra. Il popolo si ribellava, il popolo si sollevava, il popolo decideva come agire e contro chi andare. Il popolo, e solo il popolo, era l'artefice della rivolta, forse una delle poche e vere rivolte popolari italiane di quel periodo, lontana dalle manifestazioni di studenti e operai imbevuti di volantini sul marxismo-leninismo, diversa anche dal terrorismo che di lì a poco avrebbe insanguinato l'Italia. Una rivolta e non una rivoluzione, senza programma e con un solo obiettivo: riprendersi la regione. Adriano Sofri scese a Reggio per provare a capitanare la sommossa, con il suo stuolo di intellettuali di Lotta Continua, che rimasero assai delusi nel comprendere che ai reggini non interessava cambiare l'ordine del mondo, risollevarsi dallo sfruttamento dei padroni, ambire a una vita migliore per tutti. Loro volevano il capoluogo, solo il capoluogo: dopo, avevano assicurato, sarebbero rientrati nei ranghi. Mentre i neofascisti si avvicinavano alla sinistra extraparlamentare, un treno espresso col nome da autostrada deragliava. La rivolta popolare era iniziata, la città faceva barricate, scontri, impediva alla polizia, allo Stato Italiano, di entrare nei quartieri. Che tutto quello stesse succedendo in Calabria, in una delle regioni più arretrate d'Italia, non riusciva a crederlo nessuno.
La gente per le strade, dopo anni di sottomissioni, si sentiva al centro della storia: - Si è dimostrato un valore - urlò un manifestante alla folla eccitata - le cose qui da noi si decidono a Catanzaro, non a Reggio. I comunisti hanno preso le distanze da noi: dicono che il capoluogo non serve a niente, che è solo un pennacchio. Ma per una città come la nostra, una città che non c'ha industrie, che non c'ha lavoro, non ci sono altre cose, non c'è niente, almeno un pennacchio può essere una cosa importante, no? -
Le donne preparavano il cibo per i militanti, fra le barricate i ragazzi diventavano uomini e gli anziani saggi. Un vecchio seduto al bar arringava un gruppo di giovani sulla parte teorica della rivolta: - Il capoluogo è un grappolo d'uva a cui c'è attaccato u lavoru, l'emigrazioni... per cui si parla del capoluogo, ma per cominciare a dire che qua da noi per fare un'operazione dobbiamo andare a Milano, per l'università a Napoli o a Catania. A Catanzaro e a Cosenza si sono mossi, gli uomini politici si sono mossi, qui da noi invece no. Perché Reggio è sempre stata sotto a una cappa -.
La fine dell'innocenza, brutale ma al momento passata quasi inavvertita, fu nascosta sul Treno del sole Palermo-Torino: una bomba sulla Freccia del Sud, una bomba del popolo, della rivolta, forse, chissà, dei neofascisti o dei servizi deviati. Ottomila poliziotti assediano una città che non diventerà mai capoluogo e rispondono con le cariche a molotov e a sassi. Ma la bomba su quel treno, cattiveria nascosta in un vagone, sancì più degli intrugli di governo la debolezza del sud: dopo il tritolo sui binari, era chiaro che presto o tardi i reggini sarebbero stati abbandonati.
Un giovane di allora ha diviso la sua vita in prima e dopo, come se l'attentato fosse stato anche verso di lui, verso i suoi affetti e le sue conquiste: - E 'na sera io ho assistito al grande botto. Mi ricordo come fosse ieri: ero fermo, mia mamma mi aveva fatto un panino con i peperoni e lo stavo mangiando, sento 'na botta incredibile, delle sirene, la polizia. Una botta che non avevo mai sentito in vita mia: tritolo! Poi ho visto delle persone insanguinate e allora la cosa s'è fatta proprio critica e ho detto: "ma ccà chi sta succedendo? la guerra?" Eh, la cosa s'incominciava a fare dura... -
La "cosa" continuò per alcune settimane, ma era finita la speranza. Reggio non divenne capoluogo, la destra fascista s'impossessò della rivolta e i manifestanti vennero repressi nel sangue.

Di tutto quello che era successo, serbavano solo un piccolo ricordo, un ritaglio di giornale o un servizio alla televisione; un sindaco che erge una lapide per un uomo politico di destra, o un suo avversario politico che propone un monumento ai caduti, non riuscivano neanche a ricordare bene. Sulla pietra era scritto: "Leader del boia chi molla, senatore della Repubblica, giornalista e sindacalista. Una vita al servizio di Reggio e del suo comprensorio con le mani pulite". Era un monumento per Ciccio Franco, capo della rivolta. Si era dopo tangentopoli, e nessuno disdegnava la retorica.

Dei mesi di rivolta, tenevano solo quello: il sangue di un sud troppo lontano dalla loro città e dalla loro vita non faceva rumore, come silenziosi erano i carrarmati e gli spari della polizia, e per nulla caotiche le corse e rincorse dei cittadini in preda al panico e alla rabbia, e senza voce i politicanti e i capirivolta intenti a giri e accordi che nessun governo avrebbe, a parole, mai accettato.

Il vecchio continuava a parlare, ma con una voce diversa stavolta: - Io, per me, tengo alcuni ricordi personali di fotografie e di immagini viste alla televisione: ce n'aiu tante, di foto a cui pensare, foto che i giornali di qua facevano vedere continuamente, in quei giorni, e che ora so' sepolte più dei morti a cui fate le scritte. Una macchina in fiamme, un'Alfasud, rivoltata e piena di fumo mentre i manifestanti se ne scappano in mutande, che quell'anno l'estate s'era dimenticata di andarsene via; i manichini dei politici appesi, come un altro funerale finto, che se ci stavate pure voi laggiù, privessùre, prendevate lavoro fino alla pensione!; maestri e professori seduti in terra, a protestare contro Roma e Catanzaro: sit-in, si chiamavano; un gruppo di giovani ciòti fino all'osso sacro che alzano il braccio per il saluto romano: ancora mi mette i brividi, quella foto, che la vedo dentro la testa e tengo subito paura; un arresto in mezzo alla piazza, teatrale come spesso ci capita: ai poliziotti, qui in Calabria, ci piace assai fare il teatro; cariche della celere a piedi; cariche della celere con le jeep; lanci di lacrimogeni sulla folla; lanci di petardi; qualche scritta divertente, fatta forse da uno che poteva diventare collega vostro, uno che magari vi toglieva pure il lavoro; su un cartello stava scritto: "Mancini cornuto, Reggio italiana"; bambini che corrono spaventati; carrarmati mentre le donne vanno a fare la spesa; carrarmati durante la festa di carnevale. E poi basta, che se tengo memoria non c'ho una testa vuota in cui può entrare tutto quello che vedo! L'ultima immagine: un ragazzo di diciotto anni, con la faccia da bambino ma l'aspetto di un uomo, che tiene in mano un cartello che però nella foto non si vede -.

Per il vecchio, era chiaro, la storia era finita lì. Aveva ricordato, e parlato, pure troppo. Non aveva più nulla da dire, o forse semplicemente non aveva più voglia. Furono i suoi giovani interlocutori, quasi all'unisono, a chiedergli: - Ma come? E i cinque anarchici? E l'omicidio De Mauro? E il golpe Borghese? -
- Ma quella è una storia senza senso, che non si ricorda più nessuno. E che dovrebbero ricordare poi? Una storia che manco si sa quanto è vera? Comunque adesso è tutto finito, no? E meno male, che anche se non c'abbiamo il capoluogo, vedete che bella città che teniamo? E poi ora ci fanno pure il ponte sullo stretto... -

Decidono che il grosso del lavoro è fatto. Salutano l'anziano signore e pagano il conto del bar. Prima di entrare in macchina ricevono una telefonata. È il loro capo. Hanno già finito? Il materiale è pronto? Non c'è tutta questa urgenza, in effetti. Una storia di tradimenti e infedeltà fra politici dello stesso schieramento prenderà il posto dell'approfondimento su Reggio. Ma non se la devono avere a male, è una notizia impossibile da non dare! E tenessero pure il materiale, che fra dieci anni sono i cinquant'anni dalla rivolta, e chissà che non possa tornare utile...

 

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Giugno-dicembre 2012, n. 1-2


 

 

 

 

 

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