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Non avevo mai pensato di tradire Greta. Per meglio dire, non ci avevo mai pensato prima. Mi sembrava già miracoloso aver incontrato lei, essermene innamorato dal primo istante e averla portata a casa mia. Non avevo mai portato a casa nessuna. Del resto, fino a qualche mese prima, abitavo coi miei, nonostante avessi i miei trentaquattro anni. Mia madre aveva imposto le sue regole e i suoi divieti. Posso capirlo, era casa sua, lei diceva che non voleva affezionarsi a una e poi soffrire del distacco, che alla prima ne sarebbero seguite tante altre e che per lei era meglio se gestivo tutto fuori casa, dove lei non poteva vedere. In realtà io non sono mai stato un tipo promiscuo, né uno che si prende le sbandate. I miei mi hanno sempre fatto torto, giudicandomi così. Non prendo le cose alla leggera, specie per gli affetti. E l'ho dimostrato con lei. Con Greta. Non era una relazione qualsiasi che cercavo. E' vero che in quella casa grande mi sentivo solo. Avevo bisogno di qualcuno con cui scambiare quattro chiacchiere al mattino, a colazione, qualcuno che mi dormisse accanto la notte e che mi aspettasse quando tornavo stanco dal lavoro. E lei era tutto questo. E molto di più. Naturalmente.
Mi piaceva come guardava le cose, con quello sguardo acuto e penetrante. Il suo intuito, i suoi sensi sviluppati, la sua altezzosità. Aveva quel modo di sorprendersi di fronte ad ogni novità e nello stesso tempo niente riusciva davvero a scuoterla: sembrava che tutto avesse visto, tutto avesse capito. E da un pezzo. Era elegante, questo è innegabile. Nel portamento. Nell'incedere. Ma un'eleganza mista a languida indolenza, a una certa lascivia, a una stanchezza invitante che a volte sembrava sopraffarla, ma che lei, a dire il vero, inscenava per ottenere da me tutto quello che voleva, ben conscia del suo potere. Capricciosa anche, non lo nego. Ma con una fierezza di fondo che si faceva perdonare ogni intemperanza con una scrollata di spalle.
Mi dispiace averla fatta soffrire. Non ho pensato a lei quando ho incontrato Sofia. Sono rimasto stordito dalla sua avvenenza, dalla sua sensualità. Forse giocava il fatto che rispondesse più ai miei canoni estetici. Sai, quando fin da ragazzo, cresci pensando che vai pazzo per il nero, per il suo alone stregonesco, per il suo riflesso lucido sotto il sole, per gli occhi verdi e improvvisamente l'oggetto dei tuoi sogni si materializza sotto il tuo sguardo. E non devi solo stare a guardare, ma per la prima volta inspiegabilmente questi occhi verdi è te che fissano e quel nero lucido lo puoi toccare, ci puoi passare le mani in mezzo. Ecco questa è una tentazione irresistibile, è un risarcimento a tutte le sofferenze giovanili, ai sogni proibiti durati anni. Ecco quello che penso è che se avessi vissuto un adolescenza meno frustrata e inibita, forse ora non mi troverei a non saper rinunciare a tutto ciò che mi si offre. E francamente non so neppure se mi andasse veramente di allacciare un rapporto con questa pantera, ma tutto sommato non mi sento neanche troppo in colpa, perché l'ho fatto per lui. Sì, l'ho fatto per quel ragazzino che non poteva avere niente di quello che desiderava. Sì, per lui.
Eccomi alle prese con un'attrazione per un'altra quando fino a poco tempo fa non avevo pensieri che per Greta, non desideravo che lei, non avrei mai creduto che un'altra potesse distogliermi dall'adorazione con cui passavo il tempo a contemplarla, spesso mentre dormiva. Anzi soprattutto mentre dormiva. Greta ha un carattere forte, dominante, è molto volitiva e mi piaceva scorgerla nei momenti più fragili, quando si stiracchiava, quando distendeva i muscoli del viso e sembrava più buona, quando non poteva respingermi, né lanciarmi quelle occhiate fiere che sapevano ferirmi. Appena sveglia invece me la coccolavo, l'accarezzavo e lei sorrideva contenta e si abbandonava al mio amore.
Avrei potuto stare più attento, non farmi scoprire, ma gli entusiasmi, si sa, si fa fatica a celarli. E poi c'è un altro aspetto forse più perverso. In cuor mio, credo, forse io desideravo, mi illudevo che potessero conoscersi e diventare amiche, tanto mi sembrava che si compenetrassero, colmandosi a vicenda, formando l'ideale femmineo che io sognavo. Di certo Sofia era meno intelligente, meno di classe, anche perché notevolmente più giovane, ma aveva una dolcezza innata e una carica erotica che avrebbe coinvolto chiunque. Era più vaga, forse, più persa, nello sguardo, nei gesti, e per questo irresistibile. Suscitava sentimenti forti, gridava aiuto e bisogno di protezione e nessuno avrebbe resistito a quel grido specie perché proveniva da un faccino così carino.
Quando si incontrarono la prima volta fui io a volerlo. La sala era grande, io accompagnavo Sofia e subito mi trovai gli occhi di Greta piantati addosso come artigli. Quel modo di guardare noncurante, ma più fermo e incollato di un radar, ovunque ci muovessimo, ci squadrava, e per tutta la sera lei, la rivale, rimase fissa nel suo mirino, mentre, incurante, rideva, giocava, si divertiva, inconsapevole delle emozioni che stava suscitando. Nel momento in cui si affrontarono, un momento durato ore, l'arguzia affilata di Greta era pronta a umiliare la sua vittima, ma non mi aspettavo arrivasse a un affronto diretto, crudele quanto inopportuno.
Dopo quel giorno, decisi che nella misura in cui fossi stato attratto dall'altra, avrei prestato più attenzioni a Greta, ma la vedevo farsi più fredda, distante. Mi studiava con la coda dell'occhio, quando mi avvicinavo a lei, con una scusa si scostava e si allontanava, con quell'aria altera di disgusto. Non sosteneva più il mio sguardo e credo che quello fosse il suo modo per farmi capire che la mia finta sollecitudine la infastidiva, perché mascherava molto goffamente un mio diminuito interesse per lei. Lei, davvero troppo sensibile per non avvertirlo. E' strano come quando spostiamo il campo d'inquadratura della nostra passione e della cura, perdiamo di vista quanto l'orizzonte di prima ci avesse affascinato e lo vorremmo più rozzo, più ordinario. Ci farebbe comodo scoprire di esserci sbagliati, di aver perso la testa per un nulla mediocre. Ma io non volevo rinunciare a lei, metterla da parte. Avrei solo voluto che si dileguasse momentaneamente o che tollerasse il mio sbandamento, il mio sdilinquirmi per una più giovane. No, la verità è che volevo averla come alleata, come complice in questa follia, volevo che anche lei si innamorasse di Sofia.
Sapevo che non sarebbe mai potuto succedere, ma non riuscivo più a sopportare la sua aria indagatrice, il suo investigare, il suo annusarmi. Un giorno fui poco accorto. Tornai da lei senza controllare se avevo odori sospetti addosso. Si sa, la fretta, la distrazione. Ma lei no, non era distratta. Si accorse subito del profumo dell'altra e come avesse ricevuto una frustata in faccia, si allontanò da me, piena di odio e di risentimento. Come si faceva a nascondere un sentimento tanto evidente. Ero diventato meno attento. Per quanto usassi delle precauzioni, avessi delle premure per lei, dentro di me non potevo negare che ora non era più lei la sola e il filo che ci legava e che aveva reso il nostro rapporto esclusivo e quasi telepatico, si era spezzato e forse non si sarebbe ricucito mai più. Eppure sognavo di poterla abbracciare ancora, di tenermela vicina, di sussurrarle quelle parole dolci che erano il nostro linguaggio, ma tutte le volte che mi avvicinavo, lei si irrigidiva e io, per rispetto, lasciavo stare.
La nostra storia andava avanti così. Io con il mio trastullo, lei sempre più seccata, silenziosa, piena di rancore.
Finché una sera d'estate, credevo che lei non fosse in casa, ero steso sul letto, la finestra spalancata, e Sofia stesa, addosso a me, scomposta e avvinghiata come ogni notte, il suo viso nell'incavo del mio collo, il suo respiro forte e regolare. Fui svegliato da un rumore, aprii gli occhi e la vidi. Sulla soglia. Con quello sguardo accusatore e beffardo e una luce strana negli occhi. Decisi di non muovermi. Temevo il peggio. E lei, invece, piano piano, con quel suo passo ondeggiante e lento, si avvicinò sicura al letto. Nel buio. Si stese, sensuale e precisa, incuneandosi tra me e l'altra. Lei non si svegliò neppure, anzi aggiustandosi, assunse la stessa posizione di prima, solo che ora non era più me che abbracciava. Greta aveva ripreso possesso del suo posto accanto a me e questo sembrava piacerle molto. Me ne accorsi dalle sue fusa rumorose.
Il veterinario del resto me l'aveva detto che quelle due sarebbero andate d'accordo.

Bollettino '900 - Electronic Journal of '900 Italian Literature - © 2009
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Giugno-dicembre 2009, n. 1-2
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