Monica Jansen
Le vite precarie di Andrea Bajani

 

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Sommario
I.
II.
III.
IV.
V.
VI.
VII.
Raccontare il precariato
Le ragioni del precariato
Bajani e le colpe del precariato
Liberarsi dei padri per riappropriarsi del futuro
L'anima tragicomica del precariato
Il precariato secondo i "pionieri del Far east"
Bibliografia



§ II. Le ragioni del precariato

I. Raccontare il precariato

Apparentemente i giovani in Italia hanno un problema e questo si chiama lavoro. «Da dove cominciare nonno? Da dove? Dal lavoro. Da dove se no?» dice Federico Mello nel suo libro nato come blog L'Italia spiegata a mio nonno (2007). Sulla quarta di copertina viene inoltre messo in evidenza che si tratta di un'«emergenza generazionale». Mello è nato nel 1977. Altri esponenti della sua generazione che si sentono in dovere di spiegare la loro condizione precaria sono Michela Murgia (1972), Fabrizio Buratto (1974) e Andrea Bajani (1975) per nominarne alcuni. Murgia, sarda, racconta in Il mondo deve sapere. Romanzo tragicomico di una telefonista precaria delle sue esperienze nel call center di una ditta americana con «un modello lavorativo a metà tra berlusconismo e Scientology» (copertina). Narrazione scaturita da un diario blog che ha riscontrato una largo eco, tanto da trasformarla in commedia teatrale e da ispirare un film.1 Sul suo blog l'autrice smentisce però l'idea che si tratterebbe di un libro politico contro il precariato: «C'è la denuncia? No, le denunce si fanno ai magistrati con nomi e cognomi, non alle amiche o agli editori. C'è invece il racconto di un mondo che si critica da solo semplicemente esistendo. Se raccontarlo ne mette in luce le assurdità, allora il mio libro è una critica».2
Il call center sta diventando un topos del precariato nella letteratura e nel cinema italiano. Melania Mazzucco nel suo romanzo epocale Un giorno perfetto (2005) narra tra l'altro la tragica vicenda della quarantenne Emma Tempesta, separata con due figli, che perde il posto in un call center semplicemente perché troppo vecchia; commenta il manager che l'ha dovuta licenziare:

«Il suo rendimento era piuttosto alto, eppure Emma Tempesta era stata sacrificata. Ragioni squisitamente anagrafiche. La compagnia preferiva personale più giovane e più flessibile, al quale offrire un contratto di formazione. Ancora meno oneroso del contratto con cui era stata assunta la donna. Gli dispiaceva per lei, ma che poteva farci? Il mercato del lavoro andava così».3

Il 28 marzo 2008 è uscito nelle sale Tutta la vita davanti di Paolo Virzì, film «apocalittico allegro» ambientato in un call center perché, a detta del regista, «il call center è l'emblema di una certa gioventù, dell'estraniazione totale rispetto a contenuti, principi e battaglie». Oltre ad un'osservazione sul campo, il regista si è servito degli appunti di Michela Murgia: «Molte delle situazioni che vedete sullo schermo ce le ha raccontate lei».4
A quella del call center, ultima spiaggia per chi rischia di rimanere disoccupato,5 si potrebbe aggiungere l'allegoria della mega-impresa globalizzata, dei dirigenti superpotenti che, come se fossero "Dio" in persona, pongono e dispongono dell'universo neoliberista. Ne troviamo un esempio eloquente in un altro romanzo epocale, Caos calmo (2005) di Sandro Veronesi, in cui il protagonista Pietro Paladini, rinchiusosi dopo la morte della moglie dentro la macchina parcheggiata davanti alla scuola di sua figlia, riceve nel suo «ricettacolo del dolore», oltre ai colleghi sofferenti per l'imminente fusione della ditta, anche i due magnati Boesson e Steiner, che risultano essere altrettanto afflitti dalle paure paranoiche che comporta il capitalismo selvaggio.
Nel segno della precarietà stanno anche i curricula poliedrici dei giovani autori sopra nominati. Buratto accompagna il suo Curriculum atipico di un trentenne tipico (2007) con il seguente cv:

«È stato fotografo, critico cinematografico, disoccupato, giornalista per la carta stampata e il web, studente in corsi del Fondo Sociale Europeo, stagista, operatore di ripresa, disoccupato, assistente universitario, docente in corsi del Fondo Sociale Europeo, disoccupato, grafico, redattore televisivo, ecologista, obiettore di coscienza, bambino, feto, spermatozoo». (Copertina)

Andrea Bajani si esprime con il lessico specialistico attribuito al fenomeno.6 Sul risvolto di Mi spezzo ma non m'impiego. Guida di viaggio per lavoratori flessibili (2006) si legge: «Andrea Bajani è nato a Roma nel 1975 e vive a Torino. È stato un lavoratore in nero, un co.co.co, un co.pro, un lavoratore interinale e infine una Partita Iva senza che la sostanza del suo impiego subisse mutamenti».7
Si è anche parlato in proposito della «generazione 1000 euro», come il titolo di un fortunato blog lanciato nel 2006 e dedicato ai cosiddetti lavoratori flessibili nel campo della libera professione. Nel frattempo ne sono stati tratti un libro (2006) e un film (2009), dato che paradossalmente il precariato vende. Oltre ai giovani, gli altri gruppi sociali minacciati dal precariato sono le donne e gli immigrati. In L'Italia spiegata a mio nonno Mello menziona il paradosso secondo cui, nonostante meno donne in Italia partecipino al mercato del lavoro, nascono meno bambini che nel resto dell'Europa, proprio a causa dell'insicurezza lavorativa che rende difficile conciliare lavoro e maternità:

«Più donne al lavoro vuol dire più figli, ma non solo; vuol dire anche bambini meno poveri e meno povertà in generale. Mamme lavoratrici vuol dire, però, che il lavoro femminile è reso realmente praticabile in quanto tutelato, flessibile, assistito da sussidi e servizi pubblici».8

Per avere un'idea di quanto critico sia in Italia il cosiddetto "precariato rosa", basta leggere le testimonianze nella sezione «La donna è mobile» lasciate sul blog del comico Beppe Grillo e raccolte nel volume Schiavi moderni (2007). Esclama una delle donne sul blog di Grillo: «Con quale faccia tosta ci dicono che l'Italia è un paese di vecchi? Credono forse che io e tante altre donne non moriamo dalla voglia di fare un figlio ma non possiamo?»9
Mentre gli immigrati a partire dagli anni Ottanta cercano di costruirsi una vita migliore in Italia, i giovani italiani fuggono invece dal loro paese perché non riescono a sfondare nel mercato del lavoro. Anche a loro è dedicata una sezione di testimonianze sul blog di Grillo, raggruppate sotto il titolo «Cervelli in fuga». È curioso inoltre l'opuscolo Senza permesso. Avventure di una badante rumena (2007), ovvero il "finto" diario di una badante romena, scritto dalla poetessa Cetta Petrollo, in un altrettanto "finto" italo-romeno. Petrollo dedica il suo libro, oltre a chi cerca di barcamenarsi nella clandestinità, «anche agli assicuratori senza contratto, ai ricercatori a progetto, agli architetti pagati a ora, ai callcenteristi e ai tanti giovani precari italiani». Racconta così la giovane romena Silvia la storia di Caterina, figlia della signora Mafalda presso cui lavora e tipico "cervello in fuga"10:

«Mercoledì prosimo viene in Italia Caterina la figlia di Mafalda quale vive in Australia e addeso parla più inglese che italiano. Caterina lavora quale fisica in grande machina quale è spettometro. Una volta machina vicino Roma e anche in Nord d'Italia poi niente euro per ricerca e Caterina quale è spezialist su machina è andata in Australia. [...] Lei vuole essere profesoresa e guadagnare moltisimi euro ma in Australia non e facile e poi Australia no bela quale Italia anche se televisione dice che vita è più bela che qua».11

 

§ III. Bajani e le colpe del precariato Torna al sommario dell'articolo

II. Le ragioni del precariato

Il fenomeno del precariato sarebbe stato creato dal governo Berlusconi e dalla Legge Biagi del 2001 e continua da allora a dividere la destra e la sinistra italiana sulla gravità e sulle misure da prendere.12 Secondo lo scrittore Andrea Bajani la Legge 30 (o Legge Biagi)13 sarebbe creata per rendere invisibile, poiché mascherata sotto la formula magica della flessibilità del lavoro, l'esistenza del precariato che colpisce invece milioni di italiani. Quanti siano effettivamente i precari è difficile da stabilire fino a quando non si sa con certezza chi sia definibile come "precario": secondo la Legge 30 «lavoratore è "qualsiasi persona che lavora e che è in cerca di un lavoro"».14 Se si prendono in considerazione solo i titolari di contratti di lavoro "temporanei", l'Istat nel 2005 ne calcola due milioni su sedici milioni e mezzo di "occupati dipendenti". Se si calcola invece anche la categoria dei lavori "atipici", i sindacati ci aggiungono addirittura un altro milione.15 Poco importa, conclude Bajani nella sua "guida": «Sono tanti o sono pochi. Sono milioni in ogni caso. Il numero esatto, poco importa. Sono milioni di uomini e donne che vivono in una situazione di costante incertezza. E se i milioni sono pochi, vorrà dire che questo libro è stato scritto per una ristretta cerchia di persone».16
Duri attacchi alla liberalizzazione del mercato del lavoro vengono anche formulati da Grillo negli interventi che riguardano «il precario nell'Italia delle meraviglie» inseriti in Schiavi moderni, in cui l'origine del problema viene direttamente ricondotta alla legge Biagi: «La legge Biagi ha introdotto in Italia il precariato. Una moderna peste bubbonica che colpisce i lavoratori, specie in giovane età. Prima non c'era, adesso c'è».17 A sei anni dalla morte dell'ex ministro del lavoro, ucciso dalle nuove Brigate Rosse, viene però riconosciuta anche la portata innovativa della legge sostenuta dal dialogo sociale tra imprese e sindacati. Enrico Marro, riassumendo sul «Corriere della Sera» il convegno commemorativo al Senato, afferma che «identificare Biagi con la precarietà, come fa la sinistra radicale, è un falso storico».18 Applicando bene la legge forse non ci sono soltanto motivi per disperare, come afferma Aris Accornero, professore emerito di Sociologia industriale presso l'Università La Sapienza di Roma. In San Precario lavora per noi (2006) egli argomenta che «l'impiego temporaneo è accettabile se non diventa eterno, se non intrappola chi lavora. E chi si rende più flessibile deve semmai trarne qualche vantaggio, non rimetterci: la flessibilità è una risorsa, e da necessità può diventare opportunità» (copertina). Flessibilità equivale a precarietà quando la transizione dal "fordismo" al "postfordismo" non viene gestita accuratamente sul piano sociale e legislativo, per cui conclude Accornero:

«Se il fordismo è andato in crisi perché la sua rigidità era arrivata all'estremo, il post-fordismo potrebbe andare in crisi perché ha portato all'estremo la flessibilità; e forse potrebbe implodere anche più rapidamente del modello taylor-fordista. Per questo, gestire con oculatezza la flessibilità del lavoro ed evitare la sua precarizzazione, serve a tutti e aiuta il Paese».19

Bisogna dunque, secondo Marco Revelli nella sua recensione al libro di Accornero, «lavorare alla definizione di una giusta misura della flessibilità» superando posizioni di carattere «ideologico del "flessibile è bello"».20 La necessità di tale proposito viene confermata dalle testimonianze raccolte da Grillo di chi ha lasciato l'Italia per impiegarsi altrove: «La mia fortuna è stata approdare in un Paese come l'Inghilterra dove la flessibilità ha forme più umane. Ad essere onesta, io nella flessibilità ci credo ma non nello stile italiano ovviamente».21
Espressione dello stesso spirito di potenziare invece le risorse della precarietà potrebbe essere l'antologia di Angela Padrone («un cognome che mi perseguita»), che con Precari e contenti. Storie di giovani che ce l'hanno fatta (2007) difende la legge Biagi da sinistra, mettendo in luce la faccia positiva della medaglia.22 La sua raccolta di testimonianze contrasta fortemente con il libro di interviste condotte e commentate dallo scrittore ex 'cannibale' Aldo Nove, intitolato Mi chiamo Roberta, ho 40 anni, guadagno 250 euro al mese (2006), in cui viene tracciato il panorama desolante di una generazione di adulti priva di futuro, costretti a rimanere bambini. Per citare la Roberta del titolo: «Ti senti irrisolta emotivamente. Ti senti una bambina di quarant'anni. Non credo che anche solo una generazione fa le cose fossero così».23

 

§ IV. Liberarsi dei padri per riappropriarsi del futuro Torna al sommario dell'articolo

III. Bajani e le colpe del precariato

Nel quadro delle narrazioni che si impegnano a raccontare il precariato spicca l'opera di Andrea Bajani che, oltre alla guida per lavoratori flessibili sopra nominata, ha scritto due brevi romanzi di notevole interesse, Cordiali saluti (2005) e Se consideri le colpe (2007), in cui il mondo del lavoro aziendale viene intrecciato con le tragedie di vite individuali. Bajani può essere definito un autore "schierato" che lega il suo nome a numerose iniziative di critica all'attuale società occidentale di produzione e di consumo globalizzato. Dopo i suoi primi romanzi, Morto un papa (2002) e Qui non ci sono perdenti (2003), il suo nome ritorna nelle antologie Scrivere sul fronte occidentale (2003) e Lavoro da morire (2009). È tra i fondatori di «Nazione Indiana», un blog concepito come un libero luogo di scambio di idee senza "ghetti" di "qualifica professionale", al quale contribuisce regolarmente. Oltre a prestare la sua penna di scrittore a varie cause che riguardano il lavoro precario e insicuro - il racconto Tanto si doveva in commemorazione di un infortunio sul lavoro scritto per la collana «Morti bianche» pubblicata dall'INAIL (Istituto Nazionale per l'Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro) e ripresa in Lavoro da morire - collabora anche con diversi giornali richiamando l'attenzione su questioni attuali di "emergenza". Possiamo dunque chiederci come Bajani concepisca il suo impegno di scrittore che sembra cominciare dal mondo del lavoro.
Forse una prima indicazione potremmo trovarla nel racconto Tanto si doveva nel quale l'autore sottolinea la differenza tra la verità clinica dei referti di obitorio e la verità umana della finzione cui si arriva attraverso la congettura:

«Io li ho tutti davanti, questi scampoli di vocabolario, queste parole confezionate per non avere emozioni. È con questi pochi pezzi e con queste parole che io scrivo di te. Ed è come tirare a indovinarti, come se tu fossi un nuovo inquilino dall'altra parte del muro, e io, da dentro il mio appartamento, azzardassi ipotesi, tentassi congetture su te senza averti mai incrociato per le scale, in ascensore, o di passaggio nell'androne. Io posso farlo solo restando da questa parte del muro, scommettendo sui movimenti che fai, sui rumori che sento nel tuo appartamento, sulle serrande tirate su e giù, la musica, il numero delle voci nella tua cucina, il telefono che suona, le litigate che si spostano in casa. Lo faccio con la certezza di sbagliarmi, ed è l'unico privilegio che ho».24

Si tratta dunque di stabilire, attraverso il linguaggio letterario, un contatto di empatia capace di trasformare l'alienazione della morte in un rapporto di vicinanza. Recensendo il romanzo Se consideri le colpe, Marcello Benfante osserva che per Bajani la tragedia umana si nasconde dietro i numeri: «Se il male diventa un numero si banalizza, scompare dietro l'oggettività dei calcoli, di una sorta di inconfutabile matematica dei valori di scambio».25 È dunque compito dello scrittore svelarne l'identità e indicare come questa non sia un'alterità oggettivata dalla quale si può prendere la distanza:

«Quando si prende in mano uno specchietto, la prima cosa che colpisce è quanto luccica quando un raggio di sole ci finisce contro. La seconda cosa è la faccia che ci si vede dentro, guardandosi. Solo così ci si può rendere conto di quando la propria faccia è diventata identica a quella di un altro»

scrive Bajani in I pionieri del Far East,26 narrando del suo viaggio in Romania per conoscere la realtà degli imprenditori italiani che vi hanno spostato la loro produzione. Nei suoi caratteri di fondo, conclude Bajani, la "neocolonizzazione" liberista del "Far East" non è molto dissimile dalla colonizzazione del "Far West":

«Quante volte avevo sentito dire in quel mese, a noi italiani, che gli avevamo tolto il Medioevo dalla testa? Troppe per non pensare agli indiani dietro i cespugli, e agli anelli infilati in tutte le loro parti del corpo. [...] E pensavo alla differenza tra colonialismo di un tempo, che in qualche modo lasciava che i selvaggi vivessero da selvaggi, e quello che avevo sotto gli occhi, che aveva bisogno di omologare i conquistati ai propri consumi».27

Ciò che cambia quindi è l'invadenza omologante del sistema neocapitalista globalizzato.
Espressioni di questo tipo rendono possibile associare la critica di Bajani a quella di una nuova generazione di trentenni non più cresciuti con il libretto rosso di Mao ma con No Logo di Klein e Empire di Negri e Hardt, due vademecum che devono molto alla "controcultura" anticapitalista degli anni Settanta. Per capire la centralità attuale della battaglia del lavoro bisogna infatti rivolgersi alla generazione antagonista precedente,28 i figli del Sessantotto che hanno vissuto la loro rivolta nel presente di allora senza porsi però il problema del futuro ricambio generazionale. Sono stati loro, a detta di Alessandro Bertante, autore del provocatorio pamphlet Contro il '68 (2007), ad aver lasciato in eredità «un mondo del lavoro disgregato e selvaggio, dove l'ormai capillare e consolidata diffusione del precariato è solo l'aspetto più appariscente di una crisi etica e esistenziale che in realtà è cominciata proprio con la loro sconfitta».29

 

§ V. L'anima tragicomica del precariato Torna al sommario dell'articolo

IV. Liberarsi dei padri per riappropriarsi del futuro

Per potersi riconquistare un futuro la nuova generazione dovrebbe liberarsi dell'esperienza negativa della precedente, dato che si tratta di «una falsa coscienza che, ponendo l'accento sulla sostanziale inutilità della lotta politica rivoluzionaria e le sue inevitabili derive, impedisce di fatto la nascita di un nuovo conflitto che poggi su reali bisogni sociali».30 Anzi, bisogna liberarsi «dell'ingombrante memoria dei padri. Dei loro sogni e dei loro sensi di colpa».31 «Noi dobbiamo essere i genitori», è l'appello fatto da Wu Ming 1 a Londra nel 2008 e ora raccolto in New Italian Epic: «Noi dobbiamo essere i genitori, i capostititi, i nuovi fondatori. Abbiamo bisogno di riappropriarci di un senso del futuro, perché sotto il sole sta accadendo qualcosa di radicalmente nuovo. È un pericolo senza precedenti [...] e il disincanto non è la soluzione migliore».32
Colpisce nelle opere di Bajani la disgregazione della struttura familiare. In alcune narrazioni la madre abbandona la famiglia per realizzare la sua vita sognata, lasciando indietro i padri con i figli, padri che spesso fanno fatica a identificarsi con il loro ruolo e con la loro prole. Nel breve racconto Natale scritto per la rivista Slow food, una madre lascia figlio e marito nell'apice famigliare della cena natalizia; il padre, sublimando i suoi sentimenti di disperazione in un riso nervoso, porta il figlio ad un Autogrill oltre la frontiera, insieme un non-luogo ed un luogo di transito, punto estremo di straniamento e di nuovo inizio.33 In Cordiali saluti il vero padre, colpito da una grave malattia e abbandonato dalla moglie, lascia i suoi due figli alla cura di un giovane collega che prende in prestito il suo ruolo. Un altro padre putativo lo troviamo in Se consideri le colpe, dove la madre che ha concepito il piccolo Lorenzo in un momento di "sbadatezza", parte con il suo socio d'affari lasciando il figlio nelle mani di un amante. Sembra dunque che i legami di sangue vengano spezzati volontariamente proprio dalle "generatrici" che rifiutano la cura materna del loro frutto, creando così una generazione orfana di padri, di madri e di utopie. Il valore della "libertà" individuale, diritto conquistato dai figli del '68 in generale e dal movimento femminista in particolare, entra in collisione con i doveri della procreazione. I padri d'altro canto sembrano incapaci di stabilire un rapporto di affetto con un figlio sentito come estraneo. Privati della loro "autorità", altra conquista del '68, sembrano essere ridotti ad una sterile inanità. Spetta allora ai figli ricrearsi una prospettiva ex novo, aprire nuovi spazi per far ricrescere un futuro. Altra caratteristica delle narrazioni di Bajani prese in esame è il finale aperto in cui viene solo abbozzato il gesto di ribellione del giovane protagonista mirato a conquistarsi un nuovo destino ancora in fieri.

 

§ VI. Il precariato secondo i pionieri del Far East Torna al sommario dell'articolo

V. L'anima tragicomica del precariato

Per i suoi romanzi e racconti, Bajani spesso prende avvio da un evento catastrofico dopo il quale il narratore diventa in un certo modo il cronista delle colpe, sia individuali che collettive, condivise da una determinata comunità. Nelle sue supposizioni la voce narrante si rivolge a un "tu" assente e spettrale. Come ad un prete, al narratore compete ristabilire il dialogo con l'anima che continua dopo la morte del corpo. Così si legge nel racconto Tanto si doveva:

«Se consideri le colpe, ha detto forse il prete nel corso del tuo funerale, e poi si sarà fermato a guardarti. Se consideri le colpe, avrà ripetuto di fronte alla tua bara arenata in mezzo alla chiesa, chi potrà sussistere. Però il prete non si occupa dei fatti, bisogna dire. Non si occupa né dei fatti né di come funziona il corpo dell'uomo e qual è il punto in cui poi non funziona più. Il prete si occupa di come funziona l'anima, e l'anima per lui continua a funzionare per sempre, nel bene o nel male».34

Il presupposto dell'esistenza di una verità "oltre" i fatti permette di tracciare un parallelo con la dimensione "metafisica" del romanzo poliziesco nella definizione di Leonardo Sciascia: «Nella sua forma più originale ed autonoma, il romanzo poliziesco presuppone una metafisica: l'esistenza di un mondo "al di là del fisico", di Dio, della Grazia - e di quella Grazia che i teologi chiamano illuminante».35
Vengono ad opporsi un piano fattuale, dove vigono le leggi di competività del libero mercato e dunque la cancellazione di ogni ombra ingombrante, a un piano sentimentale che richiede invece un riscatto morale a livello individuale. In termini filosofici si oppongono l'essere come valore di scambio all'essere che si ricostituisce nella sua morte, in bilico tra i due poli di alienazione e di appartenenza. Le scritture di Bajani cercano di ritrovare un equilibrio tra i due termini.
Non sempre però questo tentativo di Bajani di creare una logica paradossale degli opposti viene considerato positivamente dalla critica: mentre Paccagnini sul «Corriere della Sera» a proposito di Cordiali saluti giudica artificiosa l'opposizione creata tra mondo del lavoro e vita privata,36 Benfante su «Lo straniero» è pienamente convinto della capacità di Bajani di coniugare una scrittura di denuncia con il racconto di una formazione sentimentale: «Con voce sommessa e intensa, come un grido silenzioso, soffocato da una pudicizia del dolore, che è una limpida lezione di concisione e di precisione, Bajani ritrae insieme, in contraltare, lo squallore degli affaristi riciclati e la grazia di un addio filiale».37 Se consideri le colpe ha vinto nel 2008 il premio «Mondello-Città di Palermo» ex equo con Una storia romantica di Antonio Scurati.
Il protagonista di Cordiali saluti ha il compito di scrivere lettere di licenziamento per un'azienda in piena riorganizzazione. Ironicamente gli viene offerto il posto del direttore vendite che, appena licenziato, lo introduce nella sua vita privata offrendogli in pratica di fare da padre ai suoi due bambini. In questo modo si apre per il protagonista una realtà parallela che richiede valori contrari a quelli richiesti dall'azienda. Malato di fegato, l'ex direttore vendite finisce in ospedale per subire un trapianto con conseguenze purtroppo mortali. La moglie si era già allontanata dalla famiglia e si tiene a distanza dalla tragedia. L'io narrante si trova così diviso tra una realtà "costruttiva" e privata, nella quale ha la responsabilità di prendersi cura di due bambini, e una realtà "distruttiva" e professionale, in cui con la retorica mistificante delle sue lettere trasmette ai «licenziandi» il messaggio fatale dell'azienda che, nonostante la ricchezza umana e la devozione professionale delle persone in questione, è costretta a scartarle. L'espulsione dalla catena produttiva viene sempre corredata dai «Cordiali saluti» alla fine di ogni lettera personalizzata. L'eliminazione viene così edulcorata perché l'azienda tiene alla serenità dei suoi dipendenti «in via di espulsione»: «occorreva tenere conto del dato emozionale, e produrre lettere che fossero la diretta emanazione di quel dato».38 Il tono sentimentale delle lettere è quindi strettamente funzionale alla gestione aziendale delle risorse umane, che sono invece esenti da ogni vincolo affettivo che ostacoli la produttività. Il sempre innovativo direttore del personale con la parola magica di Hoteling introduce a tale scopo ai dipendenti dell'azienda un metodo di purificazione per liberarsi dall'«affezione improduttiva allo spazio del lavoro»: «Hoteling è purezza ed efficacia, pulizia, igiene e rapidità».39
Ermanno Paccagnini nella sua recensione oppone il protagonista nel suo ruolo di «Killer», come viene chiamato dai colleghi, al protagonista nei panni di padre adottivo, soprannominato «ramarro» dai bambini. Vengono così ad affiancarsi due tipi di linguaggio, uno grottesco e uno fiabesco, il contrasto tra i quali viene evidenziato nel libro quando una delle lettere di licenziamento - «Gentile Giacomo Quirino [...] Cordiali saluti» - viene affiancata alla lettera dell'io narrante alla bambina - «Cara Martina [...] Il tuo ramarro».40 È possibile scorgere nella contrapposizione un percorso di «umanizzazione», come fa Paccagnini. Il protagonista non esprime però mai i suoi sentimenti, subisce i due ruoli assegnatigli passivamente per passare in conclusione ad una specie di vendetta privata. Mentre il direttore del personale legge durante il funerale dell'ex direttore vendite il discorso preparatogli dall'io-narrante che finisce però con le parole smascheranti «Mi dispiace, no», questi s'imbarca su un aereo per andare incontro a un nuovo futuro incognito:

«Tutto finiva così, con la faccia attonita del direttore del personale di fronte al proprio dispiacere, gli sguardi tra i banchi di chi ha finalmente capito, la mia faccia ora sulla pista oltre l'oblò. Poi i motori accesi e le luci sull'asfalto che disegnavano la strada da fare per levarsi in volo. Noi eravamo tutti allacciati contro i sedili, aspettavamo di essere portati via. L'aereo poi si era alzato e aveva puntato contro il cielo».41

Paccagnini, definendo lo stile di Bajani come grottesco, lo associa a scrittori degli anni Sessanta del romanzo industriale come Volponi, Ottieri e Balestrini. Una vena satirica si scorge senz'altro nel direttore del personale, che mette in scena il continuo cambiare di filosofie aziendiali completamente gratuite, non offrendo nessun miglioramento della condizione dei lavoratori. Bajani osserva in Mi spezzo ma non m'impiego che il romanzo è stato recepito come un libro sul precariato grazie al «clima di incertezza» che la trama riesce a comunicare.42 L'incertezza viene trasmessa però piuttosto da un registro tragicomico che include l'empatia nell'ironia. Anche stilisticamente dunque si avverte il passaggio da una logica "fordista" contrastiva ad una logica "postfordista" di tipo fluido.

 

§ VII. Bibliografia Torna al sommario dell'articolo

VI. Il precariato secondo i "pionieri del Far East"

In Se consideri le colpe il mondo del lavoro viene esportato altrove e il romanzo si sofferma sulla realtà recente degli imprenditori italiani in Romania, i cosiddetti «pionieri del Far East» descritti da Bajani su «Nazione indiana». Come ricorda l'autore nei «Ringraziamenti» alla fine del romanzo: «Questo è un libro che arriva da lontano. Per pensarlo, prima, e scriverlo, poi, c'è voluto un tempo lungo, un tempo fatto di viaggi tra l'Italia e la Romania, di incontri importanti, di smarrimenti perenni».43
Anche qui il ritratto di rapporti aziendali privi di umanità viene combinato con un'accorata vicenda personale, questa volta di una madre imprenditrice, Lula, che abbandona il figlio Lorenzo per realizzare il suo sogno altrove. Lula preferisce alla vincolante sicurezza della famiglia, che lei stessa da piccola ha vissuto come un trauma, il rischio del libero mercato per promuovere la sua invenzione, una macchina a forma di uovo che aiuta a dimagrire. L'uovo potrebbe simbolizzare l'illusione di un mondo perfetto che nasconde invece il corpo in sfacelo di un occidente in decadenza. Come osserva Benfante su «Lo Straniero»:

«Il falso progresso della democrazia dietetica millantato a mascherare l'osceno imbroglio di una tecnologia inutile [...] subisce la nemesi di una terribile metamorfosi. E l'uovo miracoloso, la capsula fantascientifica di un futuro snello e seducente, simbolo di rinascita e rigenerazione, si converte nel suo opposto, la bara matrioska di un trapasso verso l'ignoto, 'scatola nera' di un ultimo viaggio nell'altrove supremo...».44

La madre, messa "in via di espulsione" dalla catena produttiva che credeva padroneggiare, abbandona il suo corpo alla putrefazione, mostrando così l'altra faccia del seducente capitalismo esportato altrove. Risponde il socio Anselmi alla domanda del figlio di come sia morta: «Si è lasciata morire. Mi ha guardato come fosse una sfida, quella verità, [...]. Non capisco, gli ho detto prendendolo per un braccio. Non c'è molto da capire, ha risposto liberandosi dalla stretta. È marcita da sola, si è distrutta giorno dopo giorno».45
La sua metamorfosi mostruosa rimane documentata nelle fotografie di Viarengo, un imprenditore italiano che ha mantenuto invece l'antica decenza dei rapporti umani con i suoi dipendenti e i suoi connazionali. Mentre Anselmi nega al corpo morto la parola, credendo ancora di potersi imporre alla vita, Viarengo, costruttore di bare, cura l'anima della defunta mantenendo in vita il dialogo con la "tu" deceduta:

«Ti sei lasciata marcire, mi ha spiegato Viarengo tenendo la mano sulla scatola che conteneva quelle fotografie, ti sei trattata male, l'alcol e chissà cos'altro. Premeva il braccio sul coperchio come se dentro ci fosse chiuso il vento, come per darmi prima il tempo di tenermi».46

La madre insieme al suo socio era partita un giorno per Bucarest, città simbolo della caduta del regime comunista di cui rimane soltanto il palazzo di Ceausescu, l'attrazione turistica principale della città e l'incarnazione del successo imprenditoriale del dittatore. Adesso, grazie al libero mercato, la ricchezza è a portata di mano di tutti i romeni e quindi ci sono di nuovo motivi per essere orgogliosi. Il protagonista visita il palazzo insieme al romeno Christian:

«Eravamo venuti lì per sapere di lui, di che cosa era stato capace, e invece lui era il vuoto intorno a cui la guida aveva costruito il suo discorso di tonnellate, di metri e di numeri. Come se tra il dolore e l'orgoglio ci si fosse messo di mezzo il pudore, come se il male si potesse esibire a patto di non nominarlo nemmeno una volta. [...] Mi ha detto Si vergognano, gli ho chiesto Di cosa? Si è fermato in mezzo alla strada. Ha guardato me, poi il palazzo. Poi ha detto Si vergognano di andarne fieri».47

In questo modo Ceausescu potrebbe rappresentare la strada romena per appropriarsi del modello capitalista.
Il libro inizia con la fine dell'epopea neocapitalista. Lorenzo atterra a Bucarest per seppellire la madre, morta sola come un cane. I cani randagi abbondano tra l'altro nella capitale romena dopo esser rimasti senza casa per far spazio al palazzo del dittatore megalomane. Nei flashback i ricordi del figlio, attaccato al telefono per ricevere le chiamate sempre più rade della madre, si collegano con le scoperte che lui fa in Romania ripercorrendo le tracce della madre imprenditrice. La zona di capanne industriali nasconde un mondo duro, in cui gli italiani si comportano come padroni in casa altrui e i romeni subiscono l'umiliazione in cambio di soldi. Anselmi, prototipo dell'arroganza dell'imprenditore italiano che compra potere e amicizia, ha lasciato Lula, la sua compagna d'impresa, per mettersi insieme a Monica, una giovane romena che rappresenta la nuova generazione pronta a perdere i propri sogni pur di realizzarsi economicamente. La ragazza cerca la sua emancipazione nell'omologazione al modello imprenditoriale che le viene offerto:

«Al telefono Anselmi mi aveva detto Guardala, quando guida la mia macchina, come si sente una regina. Monica guidava nervosa, si vedeva che controllava ogni gesto che faceva. Quando qualcuno davanti rallentava di colpo, si attaccava al clacson incattivita, lei che mi era sembrata così mite. Sbraitava, urlava Colione che sei, fuori dal finestrino, Colione. [...] Poi però quando alla radio passavano una canzone che le piaceva, all'improvviso cominciava a cantare con una voce sottile, si dimenticava di tutto, [...] anche di Anselmi. Le veniva fuori una voce senza grumi, uno sguardo largo».48

Nonostante i tentativi di distaccarsene, le azioni di Monica rimangono comunque legate alla sua identità culturale. Uno dei momenti più lirici del romanzo è quando la ragazza, aprendosi al protagonista, riscopre i suoi ricordi d'infanzia: «Non me le ricordavo più quelle canzoni. Tirava fuori le parole dalla bocca con un'espressione sorpresa e raggiante, come soldi dimenticati nelle tasche».49
Come in Cordiali saluti l'io narrante diventa ricettacolo del mondo in cui abita senza giudicarlo ma abbandonandolo alla fine per dirigersi altrove. Soltanto dopo aver commesso però il suo piccolo atto di ribellione: il regalo promessogli dalla madre, un piccolo pezzo di terreno, lo tiene fuori dalle avide grinfie di Anselmi, creando così un piccolo spazio per far crescere magari la possibilità di un altro mondo.

 

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VII. Bibliografia

  • Accornero, Aris - San Precario lavora per noi, Milano, Rizzoli, 2006.
  • Bajani, Andrea - Natale, «Slowfood», n. 15, 2003, <http:// editore. slowfood. it/ editore/ riviste/ slowfood/ IT/ 15/ articoli/ slowfood15_03. pdf> (22 luglio 2009).
  • Id. - Cordiali saluti, Torino, Einaudi, 2005.
  • Id. - Mi spezzo ma non m'impiego. Guida di viaggio per lavoratori flessibili, Torino, Einaudi, 2006.
  • Id. - Se consideri le colpe, Torino, Einaudi, 2007.
  • Id. - I pionieri del Far East, «Nazione indiana», 25 Ottobre 2007, <http:// www. nazioneindiana. com/ 2007/ 10/ 25/ i-pionieri-del-far-east/> (22 luglio 2009).
  • Id. - Tanto si doveva, n. 3 Morti bianche, Solal-progetti culturali, Gignod (Aosta), 2007, <http:// www. inail. it/ repository/ ContentManagement/ node/ N1488850399/ bajani_tantosidoveva. pdf> (22 luglio 2009); riprod. in Lavoro da morire. Racconti di un'Italia sfruttata, Torino, Einaudi, 2009, pp. 19-25.
  • Benfante, Marcello - Bajani: un de profundis a Bucarest, «Lo Straniero», n. 93, marzo 2008, <http:// insonnoeinveglia. splinder. com/ post/ 16403859> (22 luglio 2009).
  • Bertante, Alessandro - Contro il '68. La generazione infinita, Milano, Agenzia X, 2007.
  • Buratto, Fabrizio - Curriculum atipico di un trentenne tipico, Milano, Marsilio, 2007.
  • Cappelli, Valerio - Sabrina la pasionaria, in «Il Corriere della Sera», 15 marzo 2008, p. 31.
  • Casadio, Giovanna e Gianluca Luzi - In tv Berlusconi minimizza sui precari. Veltroni: invece è il dramma più grande, in «La Repubblica», 2 aprile 2008, p. 6.
  • «Generazione 1000 euro», <http://www.generazione1000.com/> (22 luglio 2009).
  • Leone, Raffaella e Andrea - Generazione 1000 euro, Roma, RAI cinema, 2009.
  • Incorvaia, Antonio e Alessandro Rimassa. - Generazione mille euro, Milano, Rizzoli, 2009. [2006]
  • Marro, Enrico - Lavoro, Marini loda Biagi, in «Corriere della Sera», 15 marzo 2008, p. 8.
  • Mazzucco, Melania - Un giorno perfetto, Milano, Mondadori, 2005.
  • Mello, Federico - L'Italia spiegata a mio nonno, Milano, Mondadori, 2007.
  • Murgia, Michela - Il mondo deve sapere. Romanzo tragicomico di una telefonista precaria, Milano, Isbn Edizioni, 2006.
  • Morgoglione, Claudia - Il call center? Un reality sadico. Virzì nell'inferno del precariato, «La Repubblica», 25 marzo 2008.
  • Nove, Aldo - Mi chiamo Roberta, ho 40 anni, guadagno 250 euro al mese, Torino, Einaudi, 2006.
  • Paccagnini, Ermanno - La licenzio, naturalmente per il suo bene, in «Il Corriere della Sera», 27 maggio 2005, p. 35.
  • Padrone, Angela - Precari e contenti. Storie di giovani che ce l'hanno fatta, Milano, Marsilio, 2007.
  • Id. - Angela Padrone difende la legge Biagi da sinistra, «Il Foglio», 19 settembre 2007, riprodotto su «Censurarossa», <http:// censurarossa. splinder. com/ post/ 13916629/ Si+pu%C3%B2+ essere+ precari+ e+ allo+> (22 luglio 2009).
  • Petrollo, Cetta - Senza permesso. Avventura di una badante rumena, Roma, Stampa Alternativa, 2007.
  • Quaquarelli, Lucia - Mi chiamo Roberta, ho 40 anni, guadagno 250 euro al mese... di Aldo Nove, «Narrativa - Nuova serie», n. 29, 2007, pp. 199-207.
  • Revelli, Marco - Un'analisi del precariato. Quando non ti fissi, «L'indice dei libri del mese», n. 10, 2006, p. 5.
  • Schiavi moderni. Il precario nell'Italia delle meraviglie dal blog www.beppegrillo.it, Casaleggio, 2007.
  • Sciascia, Leonardo - Opere 1971-1983, Milano, Bompiani, 2001.
  • Veronesi, Sandro - Caos calmo, Milano, Bompiani, 2005.
  • Virzì, Paolo - Tutta la vita davanti, Milano, Medusa, DVD, 2008.
  • Wu Ming - New Italian Epic. Letteratura, sguardo obliquo, ritorno al futuro, Torino, Einaudi, 2009.

 

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