Federica Colleoni e Monica Jansen
Culture di resistenza nell'Italia contemporanea: immaginare la precarietà

 

Scheda bibliografica Torna all'indice completo del numero Mostra indice delle sezioni Togli testata Salva il frame corrente senza immagini Stampa il frame corrente Apri in formato PDF



Questo numero speciale di «Bollettino '900» è nato da una sessione tenutasi durante il convegno biennale della Society of Italian Studies a Londra, Royal Holloway, il 17 aprile 2009. Siamo partiti dal presupposto che nell'Italia postfordista, in cui il soggetto forte dell'operaio appartiene al passato e le comunità sono formate piuttosto in base a linee di affinità che di credenze politiche, alle culture testuali e audiovisive spettasse il ruolo di dare corpo e voce a questi nuovi soggetti sociali. Con il termine precarietà, dunque, si intende qui anche una condizione che influenza tutte le forme di soggettività individuale e collettiva attuali, una condizione che fa riferimento a identità "glocali", ossia locali ma connesse con esperienze globali esperite in modo indiretto.
Con la designazione di "laboratorio Italia", Michael Hardt ha indicato proprio nel paese in cui il Sessantotto si è trascinato più a lungo, il contesto ideale per andare alla ricerca di reminiscenze del modo anni Settanta di "fare società" e per studiare le nuove forme di resistenza attraverso l'autonarrazione, altra eredità sessantottina. Il "disobbediente" degli anni Novanta non coincide però con il "creativo" del '77, come ci dimostra Silvia Casilio nel suo contributo sui "garantiti" e "non garantiti" nell'Italia degli anni Settanta. Bisogna fare le debite distinzioni tra il "rifiuto del lavoro" del movimento operaio sostenuto dalla sinistra extra-parlamentare della seconda metà degli anni Sessanta, e il "fronte del rifiuto" formato invece dagli emarginati alla fine degli anni Settanta quando la disoccupazione aumenta di pari passo con la paura per la disgregazione del collettivo. Diverso è poi il precariato attuale, il quale ha costretto all'introduzione di un nuovo lessico e in cui il soggetto sociale è reso invisibile dall'assenza del lavoro che viene somministrato con i placebo del co.pro e della partita IVA. Claudia Boscolo e Franca Roverselli notano come dopo l'introduzione nel 2001 della Legge 30, o Legge Biagi, nasca «una nuova e potente letteratura del lavoro», per riprendere una citazione di Aldo Nove. E nasce anche un potenziamento della scrittura in Rete, "liquida" e trasversale e quindi adatta a fotografare il reale immediato. La Rete, in combinazione con il fumetto, è una cultura specifica di resistenza che secondo i suoi fautori può raggiungere anche forme di culture jamming o di "TAZ", ossia Zone Autonome Temporanee. Proprio grazie alla sua comunicazione diretta, che coinvolge anche il lettore come editore, il "fumetto contro" può diventare «un'arma vincente», a detta di Valerio Evangelisti. Ne parla Inge Lanslots con l'esempio dello Sherwood Comix Festival, non a caso promosso dalla Radio Sherwood del '77 a Padova.
Ciò che sembra essere comune ai vari contributi è uno scarto generazionale tra chi viveva il lavoro come un'identità, chi lo contestava e chi ne sentiva la mancanza. Nei film analizzati da Federica Colleoni si trova l'impegno autoriale ma anche la difficoltà a narrare una condizione lavorativa ed esistenziale di fronte a cui i protagonisti devono trovare nuove forme di identificazione, nuovi linguaggi, nuove strategie di sopravvivenza. Si tratta di film europei che mostrano condizioni di insicurezza che colpiscono impiegati, operai, stagisti, donne, giovani, immigrati. Queste ultime sono categorie particolarmente soggette a quella che Slavoj Žižek definisce "violenza sistemica", una violenza che riduce a un'astrazione ideologica le realtà sociali su cui la logica capitalista produce invece effetti molto concreti, per non dire devastanti. Anche nei libri di Andrea Bajani analizzati da Monica Jansen vengono messi in luce i punti dolenti del lavoro di oggi, dalle morti bianche alla disgregazione famigliare, dagli effetti negativi sull'equilibrio emotivo causati dalla perdita di lavoro alla "neocolonizzazione" liberista del "Far East" d'Europa. Il viaggio di fuga dal neocapitalismo in crisi del protagonista di Se consideri le colpe lo conduce verso un altrove, la Romania, in cui uomini e donne cercano un'emancipazione attraverso modelli occidentali che li ingabbiano. Eppure la speranza di un mondo "altro" non abbandona il protagonista stesso. È la speranza di riuscire, attraverso atti di ribellione piccoli e grandi, a controbilanciare lo strapotere di chi impone stili di vita e di (non) lavoro.
Forme di resistenza sono, allora, tutte queste realtà di cui si è detto, dall'eredità dei creativi dei Settanta all'arte fumettistica, dall'impegno di chi ostinatamente continua a scrivere del lavoro a un cinema europeo transnazionale che sappia raccontare la precarietà diffusa. Si tratta di una resistenza che a volte sfrutta la qualità stessa transitoria, temporanea, fluida, delle nuove modalità comunicative, espressive. Immaginare la precarietà significa aprirsi ad immaginare il mondo in cui viviamo, essendo essa stessa ormai la sua cifra distintiva, il suo tratto dominante.

 

Precedente Successivo Scheda bibliografica Torna all'inizio dell'articolo Torna all'indice completo del numero Mostra indice delle sezioni


Bollettino '900 - Electronic Newsletter of '900 Italian Literature - © 2009

<http://www3.unibo.it/boll900/numeri/2009-i/ColleoniJansen.html>

Giugno-dicembre 2009, n. 1-2


 

 

 

 

 

Free counter and web stats