Julio Monteiro Martins
La visita

 

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mi accorgo
che ho sperato di rinascere:
e che la forma giusta,
invece, per me, era poi questa
che mi porto addosso.

E. Sanguineti, Postkarten

 

Ero sdraiato sul pavimento del corridoio già da parecchi giorni. Sotto il mio corpo un materassino di gommapiuma, e a coprirmi un lenzuolo stretto con le iniziali dell'ospedale stampate in un blu sbiadito.
Siccome secondo il medico la malattia che mi avevano diagnosticato, e che non sono mai riuscito a capire esattamente cosa fosse, non poteva essere curata ed era di lenta ma sicura progressione, quelli dell'ospedale avevano deciso di sistemarmi nel corridoio, vicino all'entrata principale, in modo da non disturbare il loro lavoro con la marea di pazienti più o meno gravi che gremivano le stanze. Per me, era lo stesso.
Quella mattina però qualcosa di molto bello stava per accadere nella mia immobile vita di degente. Un infermiere che conoscevo mi si avvicinò e puntando il dito verso la porta principale disse contento: «Indovina chi è venuto a trovarti?». Alzai la testa e vidi una minuta figura di donna dalla faccia raggrinzita, con una piccola borsa appesa al braccio, avanzare nel corridoio. Si sedette accanto a me su una sedia portata dall'infermiere e, sorridendo, mi passò la mano sulla fronte.
- Nonna! Che fai qui? Da quanto tempo non ci vediamo, nonna! Ma non eri malata?
- Sì, infatti. Ma non lo sono più. Ora sto bene.
- Che bello, nonna! Ma come hai fatto a trovarmi qui? Sono così lontano da casa... E poi nessuno sa che sono finito in questo posto...
- Guarda qui.
Aprì la borsa e prese un foglio di giornale, che dispiegò dinanzi a me. Era una copia recente di un giornale della mia città, scritta nella mia madrelingua. In un angolo della pagina, sopra il mio nome e il nome della città dove vivevo ora, c'era una mia foto, una foto così strana che solo dopo un po' ne riconobbi me stesso molto giovane, con i capelli folti e ricciuti, ma con il volto completamente deformato perché il fotografo l'aveva scattata da un angolo improprio, quasi verticale, così che la fronte e il naso, enormi, coprivano la bocca, mentre il mento spuntava piccolino in fondo.
- Ma perché hanno scelto proprio questa foto, che non ho mai visto?
- Sicuramente era l'unica che avevano ancora in archivio, dopo tanti anni. Credo che l'abbiano trovata per caso, in fondo a un cassetto della redazione e abbiano deciso di pubblicarla. Forse è stato qualche giornalista anziano che ancora si ricordava di te.
- E con questa foto sul giornale sei riuscita a rintracciarmi qui?
- Eh, sì!
- Mi dispiace riceverti in questo stato, nonna, con queste lenzuola logore... Mi vergogno un po'.
- Non preoccuparti, tesoro. Sono felice di rivederti. Ma ora devo andare. C'è mia zia che mi aspetta a casa sua. Poverina, è così anziana, non immagini nemmeno.
- Quale zia? Loló?
- No, zia Marietta, ti ricordi?
- Più o meno. E quando torni a trovarmi?
- Mah. Ora che so dove sei sarà più facile. Vedrai che torno. Porto con me il giornale, va bene? Così, se mi scordo dove ti sei cacciato, guardo di nuovo la foto. Sai, la memoria a volte fa dei brutti scherzi.
- Va bene nonna, portalo via. Tanto non voglio più vedere questa foto. Non ero mica così. Non avevo quel nasone.
- Eri bellissimo, davvero. Bellissimo! Sono stati degli scemi quelli del giornale a buttare via tutte le tue foto.
- Eh sì. Che peccato.
- Ti ho fatto ridere un po', vero? O almeno sorridere?
- Sì nonna. Grazie.
- Stai bene, bambino mio.
- Torna appena puoi, nonna.
- Tornerò, senz'altro - disse, e mi baciò sulla fronte, riscaldandomi dalla testa ai piedi.
Il collo che mi faceva male per lo sforzo alla fine cedette, e la mia testa ricadde sul materassino. Guardavo il soffitto, la lampada bianca un po' sporca, e pensavo solo che mia nonna Gizelda non era più lì con me, che non sapevo nemmeno io dov'ero esattamente in quel momento, chi erano tutte quelle persone, cosa mi stava succedendo, o cosa mi sarebbe successo da quel momento in poi.

 

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Giugno-dicembre 2007, n. 1-2


 

 

 

 

 

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