Francesco Capello
Musiche per generazioni: una lettura extravagante di Tondelli

 

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Sommario
I.
II.
III.
Tondelli e la musica: definizione di un problema
Rito individuale ed esperienza collettiva
Rock, mode e postmoderno



 

Sono cose che fanno parte della mia generazione, quella che io chiamo Rock'n'Roll.

P.V. Tondelli, «Il Piccolo», 3/07/1985

 

§ II. Rito individuale ed esperienza collettiva

I. Tondelli e la musica: definizione di un problema

Le numerose iniziative pubbliche promosse negli ultimi quindici anni in primo luogo dal Centro di Documentazione «Pier Vittorio Tondelli» hanno spesso assunto la forma di «dibattiti e convegni che, prendendo spunto dalla presentazione di un libro, si sono poi allargati a letture di pagine tondelliane accompagnate il più delle volte dalle musiche preferite dall'autore».1
L'assiduo proporsi del binomio di musica e letteratura non desta meraviglia quando si consideri la particolare rilevanza che esso ha acquisito fin dal Tondelli degli esordi, e sotto più di un aspetto. In questo senso i percorsi critici finora più praticati2 hanno portato a mettere in luce la funzione ispiratrice della musica nell'atto stesso della scrittura tondelliana, soprattutto sulla scorta delle molte indicazioni fornite in merito dallo stesso autore in alcuni saggi brevi3 e nel corso delle lunghe conversazioni-interviste con Fulvio Panzeri, Angelo Mainardi e Giuseppe Marchetti.4
Questa specifica attenzione riservata al ruolo della musica nell'attività creativa di Tondelli ha offerto il destro per sottolineare di volta in volta la parentela, la discendenza o la dipendenza del "nipotino di Kerouac" dai riconosciuti modelli della beat generation come pure i rapporti con la contemporanea corrente Brat Pack.5
Un campo di indagine6 altrettanto fiorente invita poi alla ricognizione delle tracce lasciate da specifici generi musicali sui singoli romanzi, eccedendo forse nel giungere a postulare che «la musica […] arrivi addirittura a determinare la natura dei personaggi»;7 anche in questo caso, comunque, Tondelli è stato prodigo di indizi e ha talora rivelato i nessi che a suo avviso maggiormente caratterizzano il legame tra i suoi romanzi e l'esperienza musicale:

«L'unica intenzione comune ai miei tre libri è quella di produrre un testo che abbia un andamento interno ritmico, analogo a certi ritmi musicali scelti di volta in volta. Rimini è proprio la prima sinfonia, in cui ci sono gli "adagi", i "lenti", i "prestissimo", e c'è il finale rossiniano. Proviamo a vedere Rimini dal punto di vista di una partitura. Rimini è una grossa partitura, così come Pao Pao è una ballata di dodici mesi, una toccata e fuga. Molto probabilmente il mio prossimo libro, tra due o tre anni, sarà un affresco della vita contemporanea di una certa mondanità, scritto secco come un pezzo di jazz».8

E altrove:

«Camere separate, un po' come Pao Pao, è più una jam session che un romanzo. Pao Pao era una jam session su dei motivi di ricordo, Camere separate è su dei movimenti un po' musicali. Avevo in mente la musica d'ambiente o Steve Reich, alcune cose di Brian Eno, Philip Glass, una musica iterativa. Si tratta di ridire le stesse cose ma mai nello stesso modo, di andare sempre sugli stessi temi aggiungendovi ogni volta uno scavo ulteriore. Come nella musica d'ambiente, che in fondo è una musica interiore».9

Per parte mia tenterò di spostare l'attenzione su un aspetto meno frequentato della questione, non dunque sulle già chiarite influenze musicali all'interno dell'opera e in special modo dei romanzi di Tondelli, quanto piuttosto sulle sue considerazioni a proposito della musica e del suo valore, sembra di poter dire, "generazionale" più volte ribadito nei saggi.

 

§ III. Rock, mode e postmoderno Torna al sommario dell'articolo

II. Rito individuale ed esperienza collettiva

Gli spazi in cui Tondelli si riserva di discutere di musica da critico musicale o semplicemente manifesta le sue predilezioni senza altro aggiungere sono per verità assai ristretti: si va poco oltre la nota colonna sonora proposta come accompagnamento per la lettura di Rimini, alcune sporadiche considerazioni fatte nel corso di interviste e brani disseminati nel vasto corpo dei saggi, da cui in ogni caso si stenta a individuare una coerente Weltanschauung musicale dello scrittore.10
Più numerosi e interessanti sono i passi in cui vengono messi in luce i legami della musica rock con la società giovanile, a livello individuale o su più vasta scala e tanto in termini di influssi esercitati quanto di influenze subite.

«Ai nostri tempi delle mele, in anni a cavallo fra il 1968 e il 1971, usciti dalla scuola dell'obbligo e non ancora liceali, in provincia usavamo moltissimo le feste da ballo del sabato sera. Il problema era allora quello se tenere accesa o spenta la luce, se distribuire alcolici o meno (ma non si sarebbe andati comunque al di là di qualche birra o Martini bianco), se toccare le rotondità profumate delle ragazze, o se baciare in bocca, pratica ritenuta comunque lasciva e da grandi.
Colonne sonore di quei party, inevitabilmente, gli slow che andavano da Heloise di Barry Ryan a If dei Pink Floyd, a I talk to the wind dei King Crimson, a Michelle dei Beatles, per altri ritenuti vecchi e decrepiti miti dei nostri fratelli maggiori. E naturalmente Lucio Battisti».11

Tondelli si autorappresenta così rievocando uno scenario adolescenziale all'interno del quale il ruolo della musica quasi si esaurisce nel galeotto compito di creare un'atmosfera adatta per il conseguimento di prevedibilissimi fini entro uno specifico contesto sociale. È pure interessante rilevare come lo stacco tra la scoppiettante generazione che trascorse l'adolescenza tra i primi Sessanta e il Flower Power e quella, più cupa, che la visse alle soglie del decennio successivo, sia adombrato nella notazione sul declinante prestigio sociale dei Beatles, ormai ritenuti superati e fuori moda in piena nouvelle vague di rock progressivo.
Altri elementi significativi che intrecciano musica e crescita emergono in un riferimento a Lucio Battisti fatto poche righe più sotto:

«quell'idolo che travolgeva le mie amiche e che a me piaceva non tanto come personaggio, ma proprio per le sue musiche, i temi dell'amore felice e sospirante, una certa sua modernità di perdizione, il ritmo, diciamo pure la poesia [...] Battisti lo si abbandonò poi, verso il 1977, non perché le sue canzoni non piacessero, ma forse perché si era cresciuti e già era il tempo di Francesco Guccini, di Francesco De Gregori, di Antonello Venditti, degli Inti Illimani...».12

Nella lettura tondelliana la parabola della fortuna di Battisti è dunque legata a doppio filo con l'affacciarsi e il rapido imporsi di un "altro tempo": e laddove dal punto di vista dei contenuti questo tempo sembra ancora, almeno fenomenologicamente, da collocarsi entro il quadro ideologico degli Anni '70, le modalità dell'avvicendamento prefigurano quelle che Tondelli riconoscerà come caratteristiche della mentalità postmoderna negli anni Ottanta. Le ragioni del declino della popolarità di Battisti nella seconda metà dei Settanta sono individuate in fattori di ambito del tutto estraneo a quello musicale: agli occhi di Tondelli l'abbandono del cantautore è determinato anche e soprattutto, come si anticipava, dalla crescita di una generazione.

«Lucio Battisti fu comunque, in quei primi anni settanta, il più compiuto esempio di una musica leggera d'autore che, da un lato non tendeva alla monocromia e il folk dei cantautori e, dall'altro, rifluiva dall'establishment canoro italiano, ripetitivo e melodico. Riempiva gli stadi e i palazzetti come anni dopo succederà solo a Claudio Baglioni. Una grande figura di professionista in anni in cui di professionismo non si parlava forse tanto».13

Battisti sembrerebbe così preconizzare il modello dell'artista professionista destinato a raggiungere un pieno sviluppo agli albori degli anni Ottanta, un modello a più riprese indicato da Tondelli come corollario dell'irrefrenabile impulso all'efficientismo produttivo commerciale ed aziendale.
Ecco come Tondelli ritrae la sua generazione riflessa nella propria immagine di "ragazzo cresciuto" alla fine degli anni Settanta, ancora una volta attingendo a piene mani da un ben individuato immaginario musicale:

«Avrebbe praticato l'arte macrobiotica; la sua stanza avrebbe sempre profumato di incensi indiani e cinesi ed echeggiato la musica di Peter Gabriel, Leonard Cohen, Banco, Francesco Guccini, Tim Buckley, Claudio Lolli, Claudio Rocchi, Pink Floyd, Fabrizio De Andrè, Bob Dylan, Carol King, Patti Smith. Il giorno in cui Pier Paolo Pasolini fu ammazzato, si sarebbe raccolto in silenzio, a casa di un'amica, e insieme avrebbero ascoltato, commossi, un inno di Francesco De Gregori: Pablo. Il giorno in cui venne celebrata la morte di Demetrio Stratos, sarebbe stato all'Arena di Milano, insieme a migliaia di altri ragazzi: e già in quell'occasione gli parve di fiutare nell'aria qualcosa di nuovo, un po' di ottimismo dopo la bagarre e le guerre giovanili che avevano strozzato la metà di quegli anni, e che nel suo ricordo prendevano l'immagine della festa fallimentare del parco Lambro».14

A queste coordinate culturali se ne aggiungono diverse altre, dal culto del cinema d'essai al lavoro nelle cooperative ai reading di poesia alle riesumazioni e visioni collettive dei cinegiornali Luce: ciò che più conta agli occhi di Tondelli è però che

«essere giovani, in quel decennio, significò una cosa importantissima: essere presi in considerazione, avere la consapevolezza che il destino della società si giocava (ed era giocato) sulle proprie spalle. I ragazzi erano la "piazza"».15

Alla luce di questo giovanilismo imperante viene interpretato il degenerare nella violenza del movimento di contestazione studentesca.
Il 1977, anno cruciale per la storia della musica16 come per la società italiana,17 è riconosciuto da Tondelli come uno spartiacque generazionale:

«Si doveva sempre gridare allo scandalo, si era sempre dalla parte degli oppressi e degli sfruttati [...] E, in più, un atteggiamento romantico e sognatore, un sentimento di solidarietà diffusa, una predisposizione attenta alla sostanza delle cose e degli uomini [...] Insomma, per farla breve, cosa volete che importasse allora di un farfallino, un papillon, un foulard o una cravatta? Erano soltanto sciocchezze, che non meritavano un attimo del nostro tempo [...] Già nel 1977 ci si congeda da quell'atteggiamento di scontro frontale, e di posizioni contrapposte, riguardo alla realtà: se molti si dileguano per strade violente, moltissimi altri scelgono un modo di vivere laterale, una specie di scrollata di spalle [...] Molti intraprendono strade creative nella consapevolezza che l'individualità può allargare molto di più i circuiti di solidarietà e conoscenza che non l'opposto».18

Ancora una volta la musica rock è proposta come utile filigrana attraverso cui osservare questi mutamenti:

«In questo senso, la stagione dei grandi e ultimi concerti degli anni settanta rappresenta un rito di passaggio: c'è ancora la forte tendenza a sentirsi uniti, ma gli eroi che si celebrano sono, come Patti Smith o Bob Marley, eroi solitari. Poetici proprio perché solitari. Da qui un nuovo interesse per l'arte che esploderà nel 1980 con l'entrata sulla scena italiana, in forma massiccia, del fenomeno inglese del new dandy. È ormai avviato il decennio della rinascita rock e dell'immagine».19

Musica rock e società hanno vissuto secondo Tondelli uno sviluppo parallelo anche sotto uno degli aspetti che in modo più dolente ha contraddistinto gli anni Settanta: l'imporsi della dipendenza da eroina come fenomeno di vasta portata e il successivo ridimensionamento sul finire del decennio sono infatti tendenze che hanno riguardato in ugual misura i beniamini della scena musicale e molti loro coetanei. La posizione di Tondelli in merito è più che mai "tra letteratura e musica",20 e se le appassionate celebrazioni dei gremiti spalti di celebrità artistiche stroncate o provate dalla tossicodipendenza21 rivelano forse tracce di romanticismo tardoadolescenziale, è altrettanto vero che non spingere lo sguardo più oltre potrebbe generare equivoci.
Motivo di inquietudine per Tondelli è soprattutto constatare che, con la fine di certo maledettismo,22 la musica rock abbia fatto il suo ingresso in una torpida fase di acquiescenza alla superficialità:

«Spariti i maledetti e le ubriacone, i poeti e i demoni, è rimasta una musica che non pensa più ai contenuti, alle rivolte, alle proposte. Una musica che, per continuare ad esserci e vendere, ha bisogno di prendere dall'esterno i grandi temi, siano essi la tragedia del Sahel o la catastrofe ecologica del pianeta. "Quando fallisce tutto il resto, non ci resta che frustare gli occhi dei cavalli e portarli a dormire e piangere". Così Jim Morrison in Soft Parade. A un'arte che pretenda di insegnarci gli orrori e le nefandezze del bon ton, continuiamo a preferire un'arte che ci riveli il buio e le nostre zone di paura e, in sostanza, le libertà mai scontate del vivere e del morire».23

Lo svuotamento di contenuti che interessa la musica rock è accostata da Tondelli ad un parallelo processo di cui le Cronache degli anni Ottanta offrono una continua testimonianza all'interno della società italiana ed europea: in questo senso, la musica viene a costituire per Tondelli un vero e proprio stetoscopio antropologico, uno strumento niente affatto rudimentale che suggerisce e consente di rilevare non solo gusti e tendenze, ma un più radicale avvicendamento di coordinate ed orizzonti culturali i cui elementi fondanti rinviano alla rivoluzione antropologica già indicata dal Pasolini corsaro agli inizi del decennio precedente.
La musica costituisce allora un punto di osservazione essenziale per ricostruire quel «po' di filologia dei nostri giovani», secondo le parole scritte sulle dediche di molte delle copie di Un Weekend postmoderno destinate agli amici.24
La cesura individuata da Tondelli nell'universo giovanile sul crinale tra gli anni Settanta e gli Ottanta si manifesta comunque in gran parte sul versante del progressivo disimpegno politico.25
Lo scrittore, che ha più volte rivendicato la propria posizione di non appartenenza ad un determinato gruppo politico, non smentisce questa inclinazione in materia di musica: è pur vero che Tondelli si dimostra estremamente attento ai contenuti sociali delle canzoni di denuncia e più in generale alla potenzialità eversiva della musica rock, ma sono d'altra parte assai rare le osservazioni in merito riferite a questioni o gruppi di specifica connotazione politica.26
Un'apparente eccezione è costituita dall'articolo Punk, falce e martello apparso nel 1984, in cui l'interesse di Tondelli si concentra sui CCCP, leader band riconosciuta del filosovietismo italiano; in realtà anche in questo caso le questioni politico-ideologiche rimangono decisamente ai margini rispetto a quelle socio-culturali:

«Il filosovietismo anni ottanta, così come si sta configurando nel panorama delle voglie e dei discorsi giovanili, appare soprattutto come un problema di identità culturale, un voler fare i conti con duemila anni di cultura europea che pochi decenni di divisione non basteranno certo a cancellare».27

L'intervista al carismatico - e non ancora camaleontico - cantante del gruppo Giovanni Ferretti serve in qualche misura da conferma. Proclamava infatti Ferretti:

«Eravamo stanchi di tutto questo vivere all'americana, di mode americane e cose del genere. [...] All'effimero occidentale, preferiamo il duraturo; alla plastica, l'acciaio. Alle discoteche, i mausolei, alla break dance, il cambio della guardia».

Come già nel caso del coinvolgimento giovanile nella vita politica, le coordinate politiche tondelliane non sono da ricercarsi nell'ambito dell'esplicitazione, ma vanno individuate nella scelta - e in taluni casi nella scelta omessa - dell'oggetto di osservazione e narrazione, e nelle categorie interpretative attraverso cui viene letto il rapporto di tale oggetto con il modello di realtà proposto dallo scrittore.

 

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III. Rock, mode e postmoderno

Il forsennato irrompere di mode di ogni genere continuamente nuove e inutili costituisce agli occhi di Tondelli l'elemento aberrante, e al tempo stesso caratterizzante, del postmoderno anni Ottanta; si tratta di un processo che non sembra peraltro risparmiare alcun aspetto della convivenza sociale ed interessa il vestiario come il gergo, il cinema e ancor più la musica - soprattutto, ognuno di questi ambiti risulta strettamente associato agli altri. In occasione della Great Japan Exhibition allestita nel 1982 alla Royal Academy of Arts Tondelli non manca di rilevare 'quel po' di Oriente' di cui si costellano il paesaggio urbano e quello umano:

«Il successo dell'esposizione [...] sembra ripercuotersi in altri avvenimenti, primo tra tutti un certo look giovanile che ora adotta, come ultimissimo grido della moda, chimono, ventagli, acconciature e biacche. Molti spilloni d'avorio, o pettinini di lacca, non solo fra i capelli, come usano tradizionalmente gheisce e cortigiane, ma addirittura infilati al lobo dell'orecchio in certi azzardatissimi dandy. Adozione pure delle scale musicali della tradizione giapponese, delle particolari sonorità, di ritmi, nei più recenti successi della disco-music. Giovani in delirio per i Japan di David Sylvian e per il loro Lives [sic] in Tokio. Fans per il bellissimo Ryuichi Sakamoto e il suo rock del Sol Levante. Feste di gheisce e samurai nelle discoteche più alla moda, opening e vernissages a base di raffinatezze, uova di pesce, bocconcini di salmone crudo, involtini di alghe, "tempura" croccanti. E tea parties nei sushi bar».28

Mostre, mode, eventi mondani, cinema29 e soprattutto musica sono dunque gli scenari privilegiati del frenetico intercalarsi di correnti e controcorrenti, delle quali Tondelli mette in evidenza due principali caratteri canonicamente postmoderni: la sostituibilità (o ininfluenza dei contenuti) e la disponibilità alla contaminazione indiscriminata:

«Il tratto caratteristico del "postmoderno di mezzo" risiede dunque nel vorticoso missaggio di tutti i look preesistenti e nel trovare proprio nelle sovrapposizioni nuovi stimoli estetici. Tutto [...] in funzione della sublimità del sembiante».30

È ancora il rock, i cui confini con la pura musica di consumo si fanno fatalmente più labili, ad offrire il più adatto territorio di ricognizione:

«Basta notare come si è rivoluzionata la musica rock, il suo modo di proporsi: sempre più musica da guardare e da toccare e vestire, sempre più colonna sonora accessoria e sempre meno musica d'orecchio. Ogni gruppo ha il suo look e ogni gruppo il suo video. La fauna del "postmoderno di mezzo", sempre con il telecomando a portata di mano, cambia programma ogni centottanta secondi».31

Di tutto ciò Tondelli fornisce esempi,

«le pettinature di questi, che vengono chiamati anche new dandy e che le nostre riviste danno ormai per tramontati, insieme alla musica e al fascino del loro gruppo leader, Adam and the Ants, non appaiono nei signorini così eccentriche come nelle signorine»;32

e romanzate testimonianze autobiografiche,

«Il mio parrucchiere ventenne Richard, che di teste giovanili se ne intende, è abbastanza d'accordo con me quando affermo che i ragazzi di oggi mi sembrano molto conservatori, frivoli, tradizionalisti. Mi risponde con una frase molto intelligente: "Vengono qui ogni mese, per farsi la testa come questo o quel cantante. In realtà, è la faccia che vogliono"».33

Con poche ma significative eccezioni34 gli adolescenti dei primi anni Ottanta appaiono a Tondelli predisposti ad un rapporto alienato con il reale che trova sfogo nell'acritica adesione ai più svariati modelli proposti dai mezzi di comunicazione di massa:

«Per una certa fascia di ragazzi sembrerebbe allora importantissimo - direbbe il tuttologo che è in me - rifiutare la propria individualità per uniformarsi alla massa dal momento che la rockstar, come il divo o il campione di calcio, diventa un punto di riferimento valido per tutti. Il fatto è che ormai un divo vale l'altro. Di più, uno scalza l'altro a velocità vertiginosa. Ecco allora il frenetico passare da una moda all'altra».35

La musica, come già accennato, non attraversa indenne lo scintillante tourbillon di tendenze e ultimi gridi, al quale viene piuttosto funzionalizzata.
La stretta interrelazione tra un particolare genere di musica e l'appartenenza ad un gruppo sociale o a un fenomeno di costume non è naturalmente una realtà creata dagli anni Ottanta,36 e anche nel caso specifico del rock essa si può agevolmente osservare nei due decenni precedenti: allo stesso modo in cui la musica psichedelica fa parte del più vasto contesto hippy i Duran Duran o gli Spandau Ballet possono essere definiti gruppi "paninari". Ciò che caratterizza in modo specifico gli anni Ottanta è però l'esclusività di tale appartenenza, l'adeguamento ai ritmi convulsi delle mode che si avvicendano, si fronteggiano, si combattono, si riesumano, si fondono: come si è visto, è in questo segno che Tondelli legge realtà estremamente frazionata e mutevole di molti adolescenti di quegli anni, per altro verso assai uniformi nel loro comune atteggiamento di passività recettiva.
Un ulteriore diffuso fenomeno affermatosi accanto al pastiche e al Kitsch che spesso ne deriva è quello del revival, che Tondelli interpreta come plagio esteriore, svuotato e caricaturale del modello originale:

«A Londra [...] questi punk, che anche da noi ormai si riciclano negli angoli dei portici e nelle discoteche, sono veramente quella "spazzatura" che ci aveva inorriditi a King's Road, nel 1976, o non forse anch'essi già revival, visto che lo slogan che preferiscono citare nei giubbotti, non fra tre, ma fra tremila spille, è sempre quello: PUNK NO DEATH?».37

Ecco come Tondelli presenta il pubblico di un concerto dei Police già nel 1980:

«Moltissimi hanno i capelli lunghi e i vestiti stracciati; ci sono baleromani, molti punk e altrettanti giovani inguainati in pantaloni di pelle nera, braccialetti con borchie dorate, anelli ai lobi, distintivi e spilloni. Ci sono studenti dall'aria timida, hippy, creativi; ci sono i sopravvissuti dell'epoca dei grandi concerti rock degli anni settanta, che ora hanno trent'anni e se ne stanno dignitosamente seduti a chiacchierare: si vede che la sanno lunga. Ci sono ragazzine vestite di pezze colorate, altre svestite, altre in tute aderentissime, altre con i sottanoni; ci sono ragazzi in jeans a tubo, altri in jeans stinti, altri in "denim" di classe; ci sono quelli un po' mod con giacchettina nera, camicia dal collo arrotondato, cravattino a stilo e occhiali da sole...».38

In questo panorama da epoca successiva al diluvio, uno status del tutto particolare è conferito ancora nel 1986 ai giovani di Modena: pur riconoscendo come

«la frammentazione degli atteggiamenti giovanili tipica degli anni ottanta, con la conseguente formazione di bande e tribù (i dark, i dandy, i punk, i rockabilly) sia arrivata anche qui [...] la gran massa di giovani è quella con la vespa accessoriata, i capelli lunghi, gli stivalacci sdruciti, un po' di marijuana in tasca, le cartine per rollare…».39

Questa singolarità di Modena, che Tondelli definisce insieme a Reggio Emilia e a certe sacche del mantovano la provincia più freak d'Italia, viene spiegata facendo riferimento alla stessa realtà emiliana:

«questi percorsi fra la città e la provincia, fra la metropoli e la sperduta cittadina dell'appennino: percorsi che lanciano, naturalmente, il mito e il sogno all'interno di un'esistenza un po' grigia e nebbiosa, ma pungolata continuamente dalla modernità e dalla ricerca di evasione».40

La ricerca dei contenuti e del senso è stimolata, nella particolare contingenza emiliana, da una situazione di positiva tensione tra poli: ciò che sembra invece precluso ai giovani che si muovono entro i monocromi recinti del conformismo consumistico.
Tondelli si riferisce a questo giovane universo a sé con evidente sentimento di partecipazione e indica il contesto emiliano come l'unica realtà in grado di spiegare il "fenomeno Vasco Rossi", nei termini di una diretta possibilità di identificazione con gli eroi dei suoi testi;41 questo sentimento assume a tratti i toni dell'encomio e di una pur motivata rivendicazione quando viene fatto notare che

«in pochi chilometri quadrati, fra Reggio e l'appennino tosco-emiliano, si concentrano esperienze diversissime, ma tutte approdate al successo internazionale: Vasco Rossi, cantore dell'inestinguibile anima rockettara della regione; i CCCP- Fedeli alla linea, con il loro punk filosovietico [...] Tutti lì, fra Reggio, Modena e Bologna: i Nomadi, l'Equipe 84, Francesco Guccini, Lucio Dalla, Claudio Lolli, gli Skiantos, i Ladri di biciclette, Ligabue...».42

Eppure, e prevedibilmente, nemmeno la più radicale provincia emiliana riesce a garantire a lungo la sopravvivenza di uno status quo ante che appare, alla fine del "decennio postmoderno", drasticamente irrelato al mondo circostante e alle sue deterministiche leggi di diffusione di prodotti anche culturali: è con il tono del rimpianto che nel 1988 Tondelli si volge al suo personale "mondo di ieri" avventurandosi ad analizzare, si direbbe quasi con l'ausilio della sociologia dei costumi, i termini di un mutamento avvertito come irrecuperabile Ancora una volta la musica rock è ad un tempo oggetto e strumento di osservazione:

«Tutta la cultura musicale dei cantautori, da Francesco Guccini a Lucio Dalla, da Paolo Conte a Francesco De Gregori, da Claudio Lolli ad Antonello Venditti, a Fabrizio De Andrè, a Luigi Tenco, si prestava ad essere eseguita con una chitarra ed una armonica (e magari due congas) nelle osterie, in piccoli luoghi, fra amici. Il ritorno del rock prevedeva invece altri riti e altri spazi: impianti di amplificazione ad alta fedeltà; bevande più forti; non tavolacci da dieci persone, ma sgabelli individuali, o piccoli tavoli per due o tre persone al massimo; un ascolto totalizzante, che tendeva a smorzare la conversazione in favore dell'ascolto. Le osterie cominciarono a puzzare di vecchio, sorsero i videobar e le birrerie [...] Molte osterie allora scelsero di chiudere o di trasformarsi- aumentando i prezzi e gettando i vecchi arredi contadini in luoghi spurii: un manifesto di una rockstar alla parete, un registratore gracchiante, un rubinetto per la birra [...] Il motto: "Birreria è più rock"».43


Tondelli si rivela osservatore particolarmente acuto anche quando in un articolo del 1984 profetizza con buon anticipo e precisione gli sviluppi dell'allora giovane mercato (una consona scelta terminologica) dei video musicali. 44
Commentando il video promozionale del singolo Relax dei Frankie goes to Hollywood e il contemporaneo China Girl di David Bowie, egli constata come

«ormai l'erotismo e, più in generale, le immagini sexy siano divenute fondamentali nella produzione dei videoclip, come insomma se il particolare di un muscolo gonfio, di una tetta velata, di una coscia sfrontata fossero elementi decisivi nella riuscita commerciale e pubblicitaria di un pezzo musicale. E tutto senza dover mettere in gioco i vecchi termini della questione: sex & drug & rock'n'roll».45

I video musicali, osserva Tondelli, hanno poco a poco affiancato e sostituito i 45 giri come principale mezzo di promozione dei singoli giovandosi del connubio tra immediata fruibilità e compresenza di diversi mezzi espressivi:

«parrebbe quasi il sogno di arte totale delle avanguardie: cinema, musica, teatro, poesia, computer art che interagiscono nello spazio di pochi minuti».46

L'incontrastato affermarsi di un tale mezzo di diffusione, afferma Tondelli profetizzando un ruolo predominante di MTV nella distribuzione di vera e propria merce musicale, influisce però negativamente sulla qualità dei contenuti, sempre più volti a valorizzare il divismo e aspetti eccessivamente eteronomi rispetto a un "messaggio" musicale divenuto prima carente, poi innecessario.
Resta però vero che lo sguardo di Tondelli, ideologico ma non ideologizzato, si mantiene ugualmente distante dall'apocalittica di maniera e dalle seduzioni della semplificazione, tratti costitutivi e imparentati di un'epoca analizzata e rappresentata talora empaticamente ma avvertita nella sostanza come geneticamente estranea. Le coordinate di questo sguardo emergono nella seguente retrospettiva degli anni Ottanta offerta alle soglie del decennio successivo, che ha anche il tono di un equilibrato bilancio:

«Se ripensiamo al decennio appena trascorso, saranno solamente le figure di yuppie e paninari, quiz televisivi e sfilate di moda a occupare la nostra immaginazione? Saranno stati solamente gli anni dei pensieri deboli e dei fisici robustissimi di Rambo e di Schwarzenegger? Della disco dance e dell'acid music? Delle vacanze di massa a Ibiza o a Malindi? Delle discoteche e dell'agriturismo? Evidentemente no. Così come sarebbe una follia ricordare gli anni Settanta solamente per il terrorismo diffuso e gli scontri di piazza, altrettanto ipocrita sarebbe vedere gli Ottanta esclusivamente come una megadiscoteca in cui tutti ballano, ridono, bevono, si insultano, si spogliano, tirano mattina e magari capottano con la BMW di papà, parlando al telefonino cellulare».47

 

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Giugno-dicembre 2007, n. 1-2


 

 

 

 

 

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