Ben Okri
L'arte perduta di incantare: narrazione e magia

 

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La poesia innanzitutto.
Questa poesia è intitolata Su Modena o piuttosto Di Modena.
Penso che sia importante, quando si viene in un posto nuovo, volere apprezzarlo, descriverlo, cancellarlo, distruggerlo, farlo esistere anche se non è esistito prima, donargli il proprio spazio, toglierlo dal proprio spazio; voglio agire su esso, fargli qualcosa.
Questo è un posto celebre e penso che mi sentirei diminuito se non scarabocchiassi il mio graffito nell'aria di questo luogo.

È scritto in rosso:

Birds in edges
On the rain brought
In the bag
From the rain cloud ringed island
Portraits in sun touched skin
And a gold covered green
And a face known for years
In silence smiling and tears
Raining in the square
When an old church
Groans sfumato in accretions
Transports some modest ardour
In stone and pink fading mood
Squares to dreaming
There is nothing left here but the music and the sin that is always forgiven
The sin of loving
And not speaking of it to one who should hear
Speak but do not shout of love
Speak it through the rain
And shelter it under the green
That is what the music should mean
1


Sono qui per parlare di qualcosa di più dinamico della poesia.
La narrazione. E la magia. E l'arte perduta di incantare. Penso che noi abbiamo perso il senso di quello che significa realmente la narrazione, penso che lo diamo troppo per scontato e credo che, poiché lo diamo per scontato, non ascoltiamo più nel modo giusto le storie.
La narrazione è una sorta di fuoco, non è aria, non è acqua e non è terra. È un fuoco, è ciò che brucia nel viaggio umano, è ciò che illumina nelle tenebre, è ciò che ci guida attraverso i secoli.
Se guardate all'intera parabola del mistero umano, si tratta esclusivamente di storia. L'uomo, la donna, nascono, vivono, soffrono, commettono pazzie, imparano un po' e poi muoiono. Ecco la storia.
Tutte le storie ci raccontano la stessa parabola ripetutamente. Per questo abbiamo smesso di sentirle chiaramente. I segni possono parlarci solo attraverso le storie. La matematica con le sue astrazioni può realmente aver fascino su noi soltanto con le sue particolari forme di narrazione. Gli edifici sono storie. Le stelle che fissiamo di notte sono storie. L'aria che ci lascia a volte perplessi per la sua assenza sono storie. Mentre siamo qui in questo luogo, vivi in questo corpo, siamo annegati in un mare di storie. Le storie ci vengono date per guidarci, non di certo per intrattenerci. L'intrattenimento è un inganno, inventato dal senso estetico, che cela qualcosa di molto più essenziale, cioè che tutti noi abbiamo un'unica, comune, inevitabile destinazione. Quando parlo di narrazione e magia parlo del fatto essenziale del vivere e dell'illusione che lo circonda. Perciò tutti i narratori portano una spada, essi tagliano i nostri occhi provocando il sangue e la verità in quello che noi vediamo. Questa è una cosa che vorrei fare stasera: farvi lasciare questa sala senza mai più dare per scontate le storie, come non dovremmo mai dare per scontata l'acqua, anche se ci pare banale. La semplice banalità dell'acqua costituisce la sua essenzialità, come per la vita stessa.
Perciò, prima di proseguire per la parte seguente di questa esposizione, (perdonate se approfitto per inserire qualche frase in italiano: è una tentazione a cui non sono in grado di resistere), vi leggerò un passo da The joy of story-telling2 per comunicarvi che cosa occorre per eseguire questo servizio essenziale per tutti noi: il servizio della narrazione così come era negli antichi antichi antichi giorni, l'età dell'oro che non è mai esistita.


«In my cabin looking out over the primordial waters my mind made journeys back to the time when the sea was a god and when fire was a new deity, a deity that brought out terror and story telling from the hearts of the emergent humanity. I seemed then to travel back to those unrecorded ages when communities and families sat huddled beneath the undeciphered sky, gazing into the mistery of fire, with all the terrors of the world looking about them in the darkness which was also a god.
The fire was the home then of the living soul and the refuge of the unknown shapes of monsters of the growing dark. It was terror that brought out the mistery from which humans gazed into the fire and so their only hope. It was uncertainty, the unknown, the darkness and the unquenchable fire in the human brests which made that a time of dread enchantments. And the masters of enchantments, of bringing the dark sky and the howling dark within the realm of the bearable, the masters of keeping terror at bay were the story tellers.
The earliest story tellers were magies, seers, bards, griots and shamans. They were, it would seem, old as time and as terrifying to gaze upon as the misteries with which they wrestled. I can see them now the old masters. I can see them standing on the other side of the flames, speaking in the voices of lions, of thunder, of monsters, of heroes, heroines, of the earth or fire itself. For they had to contain all voices within them, had to be all things and nothing. They had to have the ability to become lighting, to become a future homeland, to be the dreaded guide to the favour land where the community was settled and fructified. They had to be good to fight in advance all the daemons they would encounter and summon of all the courage needed on the way to prophesy about all the requisite qualities that they ensure their arrival at the dreamt lands.
The old masters had to be good to tell stories that make sleep possible on those inhuman nights, stories that would count out terror with enchantment or with a greater terror.
I can see them beyond the flames, telling of the hero's battle with the fabulous beast, the beast that is in the hero.
I can hear and see them as they rise storms before their people's eyes, make great snakes appear before their mesmerized gazes, as they take them to the deep of the sea and show them great monster-fishes, in whose belly sits the last of the human kind.
I can hear their deep voice rising in the dark, imitating the growl of two-headed beasts with resonant names and I can see that terror-stricken community gather even closed together under the dreadful spell of the ritual stories».3


[Silenzio]

Se vi guardate intorno adesso, dietro di voi, magari dentro di voi, all'indietro nella storia e nel futuro, se chiudete gli occhi e pensate all'universo, forse sarete d'accordo che la prima cosa di cui prendete coscienza è il senso del buio. Il buio sembra essere la condizione primordiale, la nostra prima condizione. Non è per nulla che la stessa Bibbia parli del tutto che emerge dal caos e dalle tenebre. È da quest'oscurità che comincia la possibilità delle storie. Quello che ci lascia perplessi nelle nostre vite e ci rende necessario l'atto di creare è il sospetto che le tenebre siano più grandi di noi, e la speranza e il sogno che ci sia qualcosa in noi che potrebbe essere più grande delle tenebre. Ecco dove inizia la magia, il mago trasforma le tenebre in luce. È la più grande magia in assoluto e quella più difficile, è una magia che tutti noi dobbiamo padroneggiare, altrimenti siamo dannati e condannati alla disperazione.


[Silenzio]

Dobbiamo lavorare col silenzio, dobbiamo lavorare con il vuoto e la pagina vuota e la mente vuota, col dubbio, la noia, l'incertezza, la perdita della fede, la paralisi, l'impotenza, l'ignoranza.
In questo preciso momento stiamo tutti scolpendo il silenzio: la prima condizione della magia.
Quelli che vogliono risposte non hanno ancora imparato la domanda.
Avete notato come tutti abbiano paura di rimanere in silenzio? Ho piuttosto paura anch'io qui ora a guardarvi. Guardo quella dolce fanciulla che è davanti a me e cerco di resistere al potere della sua irrequietezza e al suo effetto devastante. Il sorriso di quella bambina che vuole che il mondo sia eccitante può distruggere con la sua bellezza l'intero universo attorno a lei. Io devo trovare il modo di resistere.
Anche voi siete tutti colonne portanti di questo spazio come lo sono io. Più che parlarvi della magia e dell'arte perduta di incantare, forse è meglio se tutti noi la viviamo per poi capire perché è andata persa e in che maniera possiamo ritrovarla.


La responsabilità mi pareva troppo grande: riportare le persone indietro all'incanto degli antenati. Quattro bicchieri di vino, un giorno, un giorno per le vie di Modena, e sono giunto a una consapevolezza molto semplice che potrebbe liberarmi completamente.
Mi sono reso conto che non possiamo tornare indietro, non possiamo riportare nessuno all'antica arte degli antenati e all'arte perduta di incantare, non si può tornare indietro. L'arte è andata perduta, la parabola è perduta, non esiste più, è finita, fine della storia. Solo una cosa resta da fare: ritrovare una nuova arte di incantare, andare avanti, prendere ciò che è morto nel passato, le sue ceneri, la sua aria vuota, l'eco del suo passato e andare avanti, trovare gli antenati nel futuro.
Io devo trovare nuovi modi di essere africano, storie, esperienze imparate in ordine, una nuova impostazione.
Bisogna che il passato africano sia reincarnato in nuove possibilità. Come pure l'Europa. Orfeo canta ancora.


Ben Okri: Cosa volete da me?
Cosa volete vedere?

Pubblico: Quello che non possiamo vedere.

Okri: Qui è dove comincia la narrazione. È a questo punto che la storia ti parla, non quello che riesci a vedere nell'altro, ma quello che non sei in grado di vedere, quello che non sai.


Noi partiamo dal nulla. Tutte le storie iniziano prima dell'inizio. È importante quello che ho appena cercato di sottolineare. Prima di una storia ci sono storie, una segreta esistenza prima della prima parola sulla pagina, prima del primo "In principio". Ci dovrebbe indurre a riflettere sulla vita umana, questa storia che preesiste all'inizio della storia.
Ogni principio di romanzo mi fa pensare che sto leggendo l'inizio della mia propria storia, e mi chiedo della storia che è cominciata prima che la mia storia cominciasse. A volte mi domandano se sia più importante il momento prima di cominciare o il dopo, prima che la storia inizi o dopo che la storia si è conclusa. Io ribatto che quello che succede prima è più importante. Determina tutto.
Abbiamo perso l'arte di incantare perché abbiamo perso la strada, perso la nostra strada nella storia, ci siamo persi in spiegazioni erronee, ci siamo persi nelle nostre certezze circa la vita, la materia, la morte, certezze che sono errori, abbiamo perso i nostri terrori. L'anima si risveglia nel terrore delle tenebre, perchè la tenebra è un'illusione. Tempo, spazio, materia, storia, morte, paura sono illusioni. L'incanto ci porta oltre l'illusione, ci ricorda l'unica storia reale da narrare, la storia di come trascendere il terrore delle cose, il terrore della morte, e trovare indizi di qualche cosa che redime, una luce nelle tenebre della nostra mortalità. Solo una storia da narrare, ma milioni di variazioni. Nati nelle tenebre, viaggiamo verso la luce, episodi sulla via epica dalle tenebre alla luce.
L'arte perduta non è mai stata perduta, semplicemente siamo diventati troppo stupidi nella nostra certezza. Le nostre limitate scoperte della scienza ci hanno resi più ciechi e più sciocchi e abbiamo gettato via il valore che avevamo posto sulla luce e abbiamo vissuto in un buio civilizzato. Le sofferenze spettacolari, che avrebbero potuto risvegliarci nuovamente con la loro sfida, le abbiamo in parte eliminate e lasciate ad altri. La stasi ci asfissia con la mancanza di realtà. Moriamo interiormente per le sfide che non siamo più in grado di affrontare.
Non avevamo storie da raccontare perché avevamo limitato la gamma delle nostre esperienze comuni e delle avventure nel successo pratico della nostra civiltà.
Per avere storie bisogna vivere, fallire e fare errori. Il fallimento deve essere trasformato in illuminazione. L'arte dell'incanto torna quando ci rendiamo conto che ciascuno di noi deve diventare Orfeo e scendere negli inferi della nostra epoca che pullula di mali dimenticati e portare indietro le nostre anime, portare indietro i nostri ideali, riportare alla coscienza utilizzando il potere dell'armonia e restituire all'umanità la sua bellezza dimenticata e il posto che ha tra gli dei, il suo posto nel regno del cielo che è sempre stato la nostra patria terrestre, nei nostri corpi nelle nostre menti.


Tocca a voi.

Pubblico: Cosa ne ha fatto di Euridice?
Okri: Lei è sempre stata speciale, è la parte migliore di noi. Nessuna divisione è stata mai intesa.

Pubblico: L'incantare non è un modo per reinventare il tempo? Il legame tra il tempo e l'incantare.
Okri: Penso che l'incanto incanti il tempo, che non è altro che un'illusione. Così l'incanto ci incanta e ci rende possibile percepire l'illusione del tempo. Ci dà la possibilità di intravedere qualcosa che è al di là, qualcosa che non vediamo chiaramente ma che ci perseguita per il resto della nostra vita, e finché manteniamo vivo questo qualcosa nella nostra mente, quella breve esperienza di una cosa miracolosa, un unicorno, finché riusciamo a mantenere questo nella nostra mente, vivo in noi, siamo salvati dalla mostruosità dell'illusione del tempo. Vale a dire ci viene donato un piccolo ma prezioso diamante di speranza, una meraviglia che non avete avuto bisogno di mettere la mano nel fuoco per tirar fuori, che ci è data in dono.

Pubblico: Ci viene regalato però dobbiamo cercare, vero?
Okri: Non è sempre necessario cercare per trovare, talvolta semplicemente troviamo, a volte ci viene semplicemente donato, e poi, dopo aver ricevuto questo regalo, dobbiamo meritarcelo, e comprenderlo, e trovare che uso farne nella nostra vita. Quando qualcosa ci viene donato in questo modo, è un enigma o un lampo di eternità, un sogno, una visione, qualcosa che si può presentare a noi in maniere diverse, un libro che stai leggendo, una cosa che dice un bambino, la parole incompiute di qualcuno che sta morendo o il frammento di una canzone pop che hai sentito andando allo stadio. L'incanto sta nascosto nella vita, non solo nei libri. Dobbiamo renderci conto che esistono già nella vita in modo da riconoscerli nei libri e viceversa.

Pubblico: Come scrive di solito? A mano libera? O col computer?
Okri: Mi piace come lo ha detto. A mano libera, la mano è letteralmente libera. Io credo nell'antica arte del rabdomante. Non ho mai sentito di nessun rabdomante col computer, con tutto il dovuto rispetto per coloro che ne fanno uso.

Secondo lei perché sono rimasto in silenzio durante questo incontro?

Anche perché il mondo è pieno di troppo rumore, e lo strumento di cui lei ha parlato è una delle fonti di questo rumore. Rumori nelle nostre orecchie, nei nostri occhi; ci sono i rumori negli occhi, sa, rumori nei nostri sensi, rumori nella nostra testa, troppo rumore, non è possibile la magia con il troppo rumore. Meno media più magia, meno media più autoscoperta. Non ci occorrono tutti quei media. Sono importanti ma non ce ne occorrono così tanti. Ci sono più media che umanità.

Pubblico: Qual è la strada per riuscire a scrivere qualcosa che non sia solo rumore?

Okri: Hai intenzione di scrivere?

Pubblico: Sì, volevo sapere come si fa a trovare la strada giusta per riuscire a scrivere qualcosa di magico, per estrapolare, da quello che lei ha chiamato rumore, l'essenziale

Okri: Hai intenzione di scrivere?

Pubblico: Mi piace scrivere.

Okri: Ma devi davvero?

Pubblico: Sinceramente sì.

Okri: Ma devi proprio?

Pubblico: Ok, allora no.

Okri: Perché hai mollato?

Pubblico: Perchè me l'hanno suggerito dietro.

Okri: Hai mollato la tua voglia di scrivere solamente perché te lo ha suggerito qualcuno dietro?

Pubblico: No.

Okri: Quindi la tua vera risposta è?

Pubblico: Sì.

Okri: Allora troverai la strada.

 

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Giugno-dicembre 2005, n. 1-2