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Note:


Incontro con Ben Okri, narratore, poeta e saggista nigeriano di lingua inglese, nell'ambito della rassegna «Parabole», organizzato dalla Biblioteca Civica Delfini. L'incontro si è tenuto a Modena al Teatro Storchi il 6 maggio 2001, ed è stato introdotto da Marco Cassini (minimum fax). Le presenti traduzioni sono a cura di Paul Angus, Michela Aveta e Claudia La Via. Versione inglese

1  «Uccelli che sorvolano / la pioggia portata / nella borsa / dall'isola circondata da nuvole piovose / ritratti sulla pelle sfiorata dal sole / e un prato ricoperto d'oro / e un viso conosciuto da anni / che sorride in silenzio e lacrime / che piovono sulla piazza / quando un'antica chiesa / si lamenta sfumando in crescendo / e trasporta un certo modesto ardore / alla pietra e un umore che si tinge di pallido rosa / si adatta a sognare / non e rimasto nulla qui se non la musica e il peccato che è sempre perdonato / il peccato di amare / e non confessarlo a chi dovrebbe udirlo / racconta l'amore non urlarlo / parlane attraverso la pioggia / e proteggilo sotto il verde / questo è ciò che la musica dovrebbe significare».

2  J. Masefield, The joy of story-telling, 1951.

3  «Osservando dalla mia cabina le acque primordiali, la mia mente viaggiava all'indietro fino al tempo in cui il mare era ancora un dio e il fuoco una nuova divinità, una divinità che faceva scaturire il terrore e le storie dai cuori di un'umanità agli albori. Mi sembrava quindi di tornare a quegli anni senza storia in cui le comunità e le famiglie sedevano strette insieme sotto un cielo inesplorato e fissavano il mistero del fuoco, con tutto il terrore del mondo celato intorno a loro nell'oscurità, una divinità anch'essa. Il fuoco allora era la dimora dell'anima vivente, proteggeva dalle figure e dai mostri sconosciuti del buio crescente. Fu il terrore a fare emergere il mistero da cui gli umani hanno fissato il fuoco scorgendovi la loro unica speranza. Furono l'incertezza, l'ignoto, l'oscurità e il fuoco inestinguibile nel cuore umano che fecero quell'epoca di terrore e incantesimi. E i maestri dell'incantesimo, quelli che rendevano tollerabili il cielo oscuro e l'oscurità ululante, i maestri che tenevano a bada il terrore, erano i narratori. I primi narratori erano maghi, veggenti, bardi, griot e sciamani. Essi erano pare vecchi quanto il tempo e spaventosi da guardare quanto i misteri con i quali lottavano. Mi sembra di vederli ora gli antichi maestri, li vedo dall'altro lato delle fiamme che parlano con le voci del leone, del tuono, dei mostri, degli eroi, di eroine, della terra o del fuoco stesso. Poiché dovevano contenere in sé tutte le voci, dovevano essere ogni cosa e niente. Dovevano avere l'abilità di diventare lampo, di diventare una patria futura, di essere le temute guide verso la terra favolosa in cui la comunità si sarebbe stabilita e avrebbe prosperato. Dovevano essere capaci di battere in anticipo tutti i demoni che avrebbero incontrato, e fare appello a tutto il coraggio richiesto lungo la strada per predire le qualità necessarie ad assicurare l'arrivo nella terra agognata. Gli antichi maestri dovevano essere capaci di raccontare storie che rendessero possibile il sonno in quelle notti atroci, storie che sgominassero il terrore con l'incanto o con un terrore più grande. Li vedo, al di là delle fiamme, raccontare della battaglia di un eroe con una bestia favolosa, la bestia che è nell'eroe. Riesco a sentirli e a vederli mentre provocano tempeste davanti agli occhi della loro gente, fanno apparire enormi serpenti davanti ai loro sguardi ipnotizzati, mentre li conducono nelle profondità del mare per mostrare loro enormi pesci mostruosi nel cui ventre ci sono gli ultimi superstiti del genere umano. Sento la loro voce profonda alzarsi nel buio, imitando il ringhio di mostri con due teste dai nomi melodiosi e vedo la comunità terrorizzata stringersi sempre più sotto il terribile incantesimo delle storie rituali».


Bollettino '900 - Electronic Journal of '900 Italian Literature - © 2005-2006

Giugno-dicembre 2005, n. 1-2