José Luís Peixoto, Questa terra ora crudele, traduzione di Giulia Lanciani, Roma, La Nuova Frontiera, 2005, pp. 61, € 8,50.
di Silvia Cavalieri

 

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José Luís Peixoto è ben contento che Questa terra ora crudele sia la sua prima opera perché è praticamente sicuro che da questo breve libretto, scritto a soli ventidue anni, non prenderà mai le distanze: «Tanti autori rinnegano i loro esordi letterari e fanno di tutto per farli dimenticare; io, invece, che se leggo un testo che ho scritto una settimana fa già non mi ci riconosco più del tutto, ancora oggi non aggiungerei né toglierei una riga a Questa terra ora crudele», diceva lo scrittore portoghese, durante un incontro a Bologna, l'11 maggio 2005.
Il segreto del «permanere intatta» di questa opera sarà forse l'estrema autenticità della sua ispirazione, quell'urgenza espressiva che il lutto spesso genera (ma che, al tempo stesso, ostacola, dando origine spesso a un balbettio impotente o a scritture-sfogo che non riescono a farsi letteratura) coniugata con un «periodo di decantazione» di circa quattro anni, prima che Peixoto prendesse la decisione di pubblicarla, nel maggio del 2000, in un'edizione da lui stesso finanziata, che ottenne un grande successo in Portogallo e si esaurì in poco tempo. Il libro verrà poi ripubblicato, nel febbraio 2001, dalla Temas e Debates, la casa editrice lisboneta con cui è uscita la maggior parte dell'opera di questo autore, dopo il grande successo del suo primo romanzo, Nenhum Olhar,1 vincitore, fra l'altro, del prestigioso «Prémio Saramago».
Si tratta di un testo difficilmente classificabile secondo le scansioni canoniche, una sorta di lunga lettera al padre prematuramente scomparso, in cui si condensano il dolore straziante per questa perdita irreparabile e l'iniziazione del giovane autore alla vita adulta, l'assunzione su di sé dell'eredità morale che il padre gli ha lasciato e che lui si impegna a mantenere e a trasmettere. E la sovversione, nell'ordine delle traduzioni italiane, della cronologia reale delle opere di Peixoto fa sì che questo breve scritto - una sessantina di pagine scritte a caratteri grandi e righe rade che sembrano quasi un invito a soppesare ogni parola e trasmettono bene l'idea della cura con cui questo autore compone i suoi testi - si affacci sul panorama letterario nazionale come una conferma. Conferma non solo perché abbiamo la sensazione di trovarci davanti a una scrittura che debutta già matura, dotata dello stile inconfondibile che ha siglato uno dei successi più rapidi e repentini nella letteratura portoghese contemporanea, ma anche perché la promessa che il giovane figlio fa al padre defunto in Questa terra ora crudele, la promessa di non dimenticare e di riportare in vita il loro mondo («Lo porterò davvero, padre. Il mondo solare. Lo riconoscerò perché non l'ho dimenticato. E vi sarà di nuovo anche il tempo, e anche la vita. Senza di te e sempre con te.», p. 60), il lettore sa che è già stata mantenuta e che Peixoto ne rinnova l'adempimento con ogni suo scritto che vede la luce: il figlio diventa così «il ragazzo custode di vita che sempre hai voluto ch'io fossi» (p. 15) e lo fa con gli strumenti della letteratura, facendo della sua scrittura la testimonianza di un mondo in rovina, salvato dall'oblio del silenzio e riportato a nuova vita attraverso la parola. Lo scrittore allora, perduta la spensieratezza di un'infanzia felice e gonfia d'affetti, accetta la sua condizione di «bambino in rovina»2 e fa della sua scrittura una custode del passato, ribadendo la parentela stretta che intercorre fra letteratura e memoria, una memoria viva, carnale, «un miscuglio di carne e luce o ombra» (p. 16), dove luce e ombra, due elementi basilari nella poetica di Peixoto, non si elidono, ma si affiancano a delineare i tratti di un universo costituzionalmente ossimorico, dove le dicotomie astratte non esistono e tutto si fonde e si confonde in un caos che ricorda molto da vicino il mondo. E in effetti, la scrittura si allaccia, in questa prospettiva, sia alla vita (che nella sua versione più autentica è soprattutto amore) sia alla morte, come una trama di buio e di luce, che trova un'immagine molto poetica nel secondo romanzo di Peixoto, Una casa nel buio,3 in quella figura femminile che prende forma dentro al protagonista un giorno, a partire dai punti di luce che ci rimangono negli occhi quando li richiudiamo e continuiamo a vedere. La stretta relazione che intercorre fra questo personaggio e la scrittura è messa in evidenza lungo tutto il romanzo: lei è il testo, è il senso stesso delle parole, è attraverso la scrittura che il narratore le si avvicina fin quasi a sfiorarla ed è solo attraverso le parole da lui scritte che il loro amore è possibile. Lei stessa scomparirà tristemente a partire dal momento in cui il protagonista, crudelmente menomato delle braccia e delle gambe per opera dei soldati invasori, non potrà più scrivere. L'identificazione tra questa donna - la sola donna che il protagonista abbia mai veramente amato - e la scrittura è totale, come sottolinea anche Vincenzo Russo nella postfazione, ma vi è un particolare estremamente significativo che merita, a mio avviso, più attenzione: il momento in cui il narratore si reca al cimitero insieme al suo migliore amico, il principe di calicatri, per vedere il luogo in cui verrà sepolto il suo editore e rimane sconvolto davanti a una tomba con sopra la fotografia proprio della donna che lui ha dentro, con su stampata una data di morte che risale a molti anni prima (v. pp. 51-52). Questa scena trova una spiegazione plausibile proprio grazie alla parentela strettissima che intercorre tra la letteratura e la morte: la letteratura è frutto di un'indigenza ed è nel lutto che essa si genera. A partire da questo attraversamento del trauma prende vita e lei stessa si fa sostanza vivificante: la centralità della morte è evidente nel titolo portoghese di Questa terra ora crudele che è Morreste-me. La scelta di cambiare completamente il titolo, nella versione italiana, frutto forse anche, come sottolineava Paolo Nori durante l'incontro a Bologna, di una certa allergia della nostra editoria nei confronti della parola «morte», mi pare tuttavia condivisibile anche in virtù del fatto che una traduzione letterale come «Mi sei morto» perderebbe molta della densità che la particolare formazione del riflessivo in frase affermativa conferisce al portoghese: da un'unica sferzante parola a tre, con una notevole dispersione degli effetti. Il titolo scelto, estrapolato dalla prima frase dell'opera che ricorre altre volte nel corso del romanzo sempre in posizioni importanti, oltre ad avere un ritmo molto bello, ha il merito di porre al centro dell'attenzione il tema della crudeltà. Un tema cruciale nell'opera di questo autore, che si inserisce all'interno di una topica estremamente viva nell'ambito della letteratura portoghese, soprattutto contemporanea, che è quella della colpa: una colpa assurda e incontrastabile, un fardello che tutti gli uomini devono portare e di cui nessuno è veramente responsabile, come sottolineano le parole di Margaret Atwood che Peixoto ha scelto di mettere come epigrafe di Una casa nel buio e su cui scelgo di congedarmi:

Non dire così, dice lei. Non è colpa mia.
Neanche mia. Diciamo che ci tocca pagare
per i peccati dei nostri padri.
È inutilmente crudele, dice lei in tono freddo.
Quand'è che è utile la crudeltà? dice lui.
E in che quantità? Leggi i giornali
Non sono stato io a inventare il mondo.

 

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