Pierre Jourde, La Littérature sans estomac, Paris (Esprit des péninsules, 2002), Pocket («Agora»), 2003², pp. 412, € 7,00.
di Chantal Colomb

 

Scheda bibliografica Torna all'indice completo del numero Mostra indice delle sezioni Togli testata Salva il frame corrente senza immagini Stampa il frame corrente Apri in formato PDF



Come Julien Gracq a suo tempo, con La littérature à l'estomac, Pierre Jourde ci propone oggi un pamphlet che denuncia il sistema editoriale. Se Julien Gracq se la prendeva con i premi letterari, con il divismo degli scrittori e con la critica colpevole di pregiudicare il valore delle opere, Pierre Jourde non si accontenta di questo e si propone, attraverso l'analisi stilistica, di mettere in luce i trucchi del mestiere, un po' grossolani, usati dagli scrittori degli ultimi dieci anni per arrivare facilmente alla notorietà. A suo parere, al lettore vengono proposti libri costruiti con ricette a buon mercato ed è ingannato da una stampa compiacente e incapace di denunciare questa pseudoletteratura come un'impostura. Incensando le opere più piatte, la stampa diventa complice di una logica mercantile poco attenta al valore letterario delle opere che promuove. Il progetto di Pierre Jourde non è tanto di proporre una critica sociologica del sistema editoriale quanto di mettere in luce, attraverso l'analisi dei testi, la mediocrità delle opere proposte da editori di fama e approvate da una stampa priva di senso critico. Il pamphlet che occupa i tre quarti de La Littérature sans estomac è seguito dall'elogio di alcuni autori citati ad esempio per la qualità autentica delle loro opere, siano esse romanzi, opere teatrali o pagine di critica letteraria.
Il primo autore ad attirare gli strali di Jourde è Philippe Sollers, giudicato tanto più pericoloso poiché oltre che scrittore è anche critico per il Monde des livres, inserto settimanale di una certa autorità nella comunità letteraria, fino a quando la dimensione critica è scomparsa a favore della compiacenza con le pubblicazioni più mediocri. Sollers è considerato un punto di riferimento nel mondo delle Lettere e può, intervenendo su molti organi di stampa, esercitare una vera influenza sul lettore. I suoi gusti personali, in particolare verso ogni opera da lui considerata rivoluzionaria, si sostituiscono a un'analisi critica vera e propria e dettano spesso legge in un ambiente giornalistico che fa sempre più confusione fra propaganda e critica.
Gli editori e la stampa si prendono gioco di noi: Jourde prende come prova il successo di Truismes di Marie Darrieussecq (Troismi, Parma, Guanda, 1997), romanzo in cui l'autore fa subire una metamorfosi in scrofa a una profumiera giovane e stupida. L'intento della scrittrice consiste nel mettersi nei panni di una donna del popolo e nell'adottare il linguaggio rozzo di una classe sociale diversa dalla propria. Con il pretesto di imitare la lingua popolare, l'autrice ricorre a formule piatte come «ça me faisait», «je me disais» ou «ça m'a fait comme qui dirait» e aggiunge a questo svilimento dello stile una propensione all'utilizzo del tema del sangue e del lessico scatologico. Tutto ciò tradisce l'artificio di un'intellettuale che tenta maldestramente di avvicinarsi al popolo e Pierre Jourde pare stupirsi del fatto che gli editori abbiano potuto lasciarsi imbrogliare così facilmente.
A questa scrittura, dai trucchi facilmente riconoscibili, o «scrittura rossa» si contrappone la «scrittura bianca» di autori come Christian Bobin o Pascale Roze (premio Goncourt 1996), che smorzano trame, personaggi, sintassi, producendo in tal modo una «letteratura senza stomaco» e quindi senza valore. La prosa degli ultimi dieci anni è caratterizzata da un'estetica del vuoto e si compiace nel confezionare «romanzucoli disimpegnati e non impegnativi». In tal modo si giunge a una letteratura del «Meno di niente», come dice Bertrand Visage, per il quale la povertà del testo corrisponderebbe alla volontà di far entrare nella letteratura una forma di fraternità, poiché chiunque può avere provato le stesse sensazioni dell'autore davanti agli oggetti più comuni. Non si scambia forse la banalità per inventività? Bisogna riconoscere, come fa Visage, in questa tendenza una vera e propria scuola letteraria? Per Pierre Jourde questa letteratura non è altro che il risultato di una «scrittura greggia» che non bisogna affatto incoraggiare perché, se La Première Gorgée de bière di Philippe Delerm (La prima sorsata di birra e altri piccoli piaceri della vita, Roma, Frassinelli, 1998) può al limite meritare il successo ottenuto, è solo a condizione che il minimalismo non diventi una ricetta per una letteratura a buon mercato.
Il caso di Michel Houellebecq, autore di Particules élémentaires e di Plateforme (Le particelle elementari e Piattaforma. Nel centro del mondo, Milano, Bompiani, 2001 e 2003) lascia Jourde dubbioso perché, se i suoi romanzi hanno il merito di «fare del realismo senza psicologismo», è spesso difficile dire se la responsabilità delle idee razziste proposte nel testo (in particolare sull'Islam) sia del narratore o dell'autore. La lettura di Houellebecq provoca disagio, dal momento che non si sa se l'opera permetta, grazie alla sua sincerità e all'umorismo, di andare oltre la mediocrità di cui parla o se non faccia altro che tendere una trappola al lettore, attirandolo in un universo di bassezze e frustrazioni.
A tutta questa produzione letteraria, se non vuota almeno discutibile, Pierre Jourde contrappone la vera letteratura, quella di Pierre Echenoz o di Claude Louis-Combet, di Valère Novarina o di Eric Chevillard. Se Jourde riconosce l'illeggibilità dell'opera teatrale di Valère Novarina, le attribuisce la capacità di creare un senso di familiarità con lo spettatore, tanto più sorprendente quanto più l'opera lo trasporta in un mondo che gli è completamente estraneo. A mano a mano che la sua marginalità diminuisce ed aumenta la sua notorietà, Valère Novarina assurge al rango dei grandi scrittori a differenza di tanti autori che cercano di raggiungere la fama prima di aver trovato uno stile. Eric Chevillard, contrariamente a tanti scribacchini, riesce nei suoi racconti a eliminare la storia, la società e la psicologia, rompendo la continuità narrativa e prendendo le distanze dal realismo. Il racconto può allora narrare avventure che non sono mai avvenute e descrivere i fenomeni in negativo. Novarina e Chevillard fanno vacillare le nostre certezze ed è questo che li contrappone alla maggior parte degli autori alla moda e che li rende scrittori. Il vero lavoro della scrittura consiste non nel riprodurre il reale ma nel cambiarlo. Per Jourde ciò non è possibile se l'opera non riesce a creare le proprie leggi, il proprio linguaggio e di conseguenza la propria forma di realismo. La littérature sans estomac ci ricorda che ogni scrittore degno di tale nome dovrebbe considerare tutto questo come una necessità.

 

Precedente Successivo Scheda bibliografica Torna all'inizio della recensione Torna all'indice completo del numero Mostra indice delle sezioni


Bollettino '900 - Electronic Journal of '900 Italian Literature - © 2005

<http://www3.unibo.it/boll900/numeri/2005-i/Colomb.html>

Giugno-dicembre 2005, n. 1-2