Pierluigi Pellini, Le toppe della poesia, Roma, Vecchiarelli, 2004, pp. 289, € 25,00.
di Tiziana de Rogatis

 

Scheda bibliografica Torna all'indice completo del numero Mostra indice delle sezioni Togli testata Salva il frame corrente senza immagini Stampa il frame corrente Apri in formato PDF



L'aspetto più avvincente del libro di Pierluigi Pellini, Le toppe della poesia, sta nella prospettiva strabica del discorso, che giustappone la competenza appassionata su un canone poetico (il sottotitolo recita: saggi su Montale, Sereni, Fortini, Orelli) ad una costante critica dei valori. Un metodo volutamente impuro - ricavato dalla sovrapposizione della critica tematica, dell'intertestualità e del commento puntuale - orienta la costruzione dei sei saggi che, insieme all'Appendice, compongono il volume. La contaminazione genera un discorso sempre duplice: ad un tempo radicato nell'autore prescelto e diluito in un orizzonte ermeneutico più ampio. In particolare viene costantemente sottoposta a verifica l'intertestualità linguistica e il suo bisogno di legittimazione, spesso interno ad un'ideologia formalista e scientista. Di contro, Pellini sostiene che la quantità delle fonti lessicali rischia di tradursi in un dato inerte se non viene riattivata da una qualità complessiva di tipo interpretativo: meno oggettiva, dunque, del mero accertamento di prestiti, calchi e fonti ma proprio per questo capace di trascendere lo specialismo in una prospettiva superiore. Non si può, insomma, risolvere il senso della poesia in «piacere erudito delle agnizioni» (p. 54) e neanche si può stabilire come unico giudizio di valore, tanto più rigido quanto più implicito, la densità intertestuale di un autore.

Da questa premessa discende la scelta di ricostruire nel secondo saggio (Sereni, le «toppe», la poesia) la costellazione tematica che dà anche il titolo al volume: quella delle «toppe», appunto. Attraverso i testi di diversi poeti, Pellini ripercorre la complessa trama di questa metafora individuandone le costanti, come pure le continue metamorfosi e variazioni. Il percorso intertestuale si snoda con meticolosa attenzione da Tiziano Rossi a Orelli e Luzi, spazia a lungo su Sereni e si conclude, infine, con Montale e Saba, padri della genealogia. Ma la mappa delle agnizioni descrive contemporaneamente un paesaggio più ampio, dal quale l'immagine - vero e proprio battito pulsante del discorso - emerge a tratti per poi esserne riassorbita. Così, chiarire i due esiti del temine nella poesia di Sereni - individuare, insomma, la progressiva parabola delle «toppe» dal valore metaforico di 'chiazze', 'macchie' a quello letterale-allegorico di 'riparo' e 'precaria protezione' - è in realtà il taglio obliquo che permette di accedere a diversi nodi della poetica sereniana. Se nel testo conclusivo degli Strumenti umani, La spiaggia, le già enigmatiche «toppe solari» diventano, con ulteriore slittamento, «toppe d'inesistenza» è perché a queste macchie di luce, epifaniche e imprevedibili nella loro vibrante intensità, è affidato il compito profetico di riscattare le energie umane e di riconvertire - sono parole di Sereni opportunamente citate nel saggio - «i cento futuri del passato». Al contrario, in Di taglio e cucito, inclusa in Stella variabile, la «toppa» è solo il prosaico rammendo di un giocattolo. Tuttavia, l'abbassamento referenziale del termine è riscattato da un sovrasenso allegorico: Di taglio e cucito è un testo metapoetico - e non elegiaco delle virtù domestiche della moglie/cucitrice (elegia peraltro «pelosa e francamente maschilista», come non manca di notare Pellini) - che racconta contemporaneamente i limiti e la forza paradossale del genere lirico nella modernità. La poesia è - proprio come la «toppa» - fragile riparazione, elemento residuale, contingenza precaria, lavoro artigianale. Sereni declina così nella sua lingua poetica la baudelairiana perdita dell'aura, ma prende anche congedo dall'aspirazione alla forma e al decoro implicita nella sua poetica di classicismo moderno.

Gli strumenti umani sono poi al centro del terzo saggio incluso nel volume (Le varianti di Zenna e il matto di Bedero): qui è particolarmente riuscita l'innovativa lettura di Ancora sulla strada di Zenna, condotta attraverso uno studio sistematico della varianti ed un confronto intertestuale con il dettato classicista di Kavafis. Il commento - sempre esaustivo della lettera materiale e aderente agli aspetti metrici e retorici - articola con ritmo incalzante «l'ambivalenza [...] sistematica e sistematicamente perseguita» dal testo (p. 131), forma poetica della più generale ambivalenza di Sereni verso la modernità. L'explication du texte è uno dei punti di forza dell'intero volume e Pellini può a buon diritto manifestare la sua diffidenza verso quei commenti che non sciolgono i nodi del testo e li eludono, semmai, con gratuiti rinvii intertestuali (p. 8). Il valore del suo contributo non sarà quindi intaccato da quello che - almeno a me - sembra l'unico momento meno convincente del suo esercizio di lettura: è il caso dell'analisi del Muro, discutibile forse proprio nella sua interpretazione complessiva. Nella poesia, lungi dall'esserci «pacificata accettazione (laica e materialista) della datità del reale» e «messaggio rasserenante» del padre morto (p. 116), prevalgono piuttosto un rassegnato nichilismo e la percezione del risentimento paterno verso il figlio ancora vivente.
Ancora un testo decisivo degli Strumenti umani, Intervista a un suicida, al centro del quarto saggio, Brevi note su Dante nella poesia del Novecento italiano: questa volta l'explication du texte assume come prospettiva privilegiata il dantismo sereniano e la complessa mediazione che consente al poeta questo recupero. Il plastico realismo e la polifonia della Commedia arrivano infatti a Sereni attraverso la rilettura critica e la riattivazione poetica di Eliot e Montale. E d'altronde, anche la repressione dell'io lirico, su cui più volte Pellini richiama l'attenzione interpretandola come necessaria premessa dell'orientamento narrativo sereniano, è un tratto tipico della linea modernista e dantesca inaugurata da Browning e continuata proprio da Eliot e Montale.

Ma anche dagli altri saggi vengono contributi e spunti importanti. Nel primo, dedicato all'ultimo Montale, con analisi di testi da Satura, Quaderno di quattro anni, Altri versi, giustamente si contesta quel biografismo ipertrofico che antepone l'identificazione delle diverse figure femminili del canzoniere montaliano alla costellazione tematica e alla domanda di senso posta da ogni singolo testo. Nel quinto, due costellazioni decisive in Fortini, Le stagioni e gli amici, - come recita il titolo stesso dell'intervento - orientano la lettura dei testi e svelano il nucleo vitale dell'ideologia fortiniana: la tensione irrisolta tra categorie irriducibili («[...] testimonianza individuale e intervento collettivo, [...] utopia e politica, [...] ansia religiosa e dialettica materialistica», p. 207), in un'oscillazione continua tra la polarità e il paradosso. Nel sesto (Il san buco e i sentieri da capre), al centro dell'analisi è la poesia di Giorgio Orelli, esponente di quella linea lombarda che ha proprio in Sereni il suo rappresentante più autorevole.
Infine, vale la pena sottolineare uno scritto contenuto nell'Appendice, Le botteghe dei poeti: qui la vis polemica di Pellini si produce in un vero e proprio pezzo di bravura contestando, con una pointe comica a tratti esilarante, l'orfismo d'accatto di alcuni poeti contemporanei e la politica culturale della «Talpa libri» del «Manifesto». Si tratta di un intervento breve, ma rivelatore della tensione politica che anima, in modi più o meno espliciti, tutti i saggi del volume e sembra quasi costringere i poeti di questo canone ormai consacrato ad una rinnovata e irriverente presenza tra noi.

 

Precedente Successivo Scheda bibliografica Torna all'inizio della recensione Torna all'indice completo del numero Mostra indice delle sezioni


Bollettino '900 - Electronic Journal of '900 Italian Literature - © 2005

<http://www3.unibo.it/boll900/numeri/2005-i/DeRogatis.html>

Giugno-dicembre 2005, n. 1-2