Stefano Visani
Padre e figlio

 

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Il bar era pieno. Il rumore dei clienti del mattino rinforzato dal fracasso dei filtri di caffè sbattuti sui cassetti di metallo come il maglio sull'incudine rendeva il posto intimo.
Eravamo in piedi vicino all'entrata di viale Marconi, stretti tra il muro, un lato morto del bancone che esibiva vecchie scatole di biscotti ed alcuni tavoli alti, su cui erano gettati giornali sgualciti di annunci e settimanali invecchiati.
Signori, non vi posso pagare - dissi d'un fiato.
Il Padre e il Figlio si guardarono in faccia sorpresi, ma meno di quanto mi aspettassi.
Il Padre era secco e adunco, il Figlio invece, tendeva a ingrassare, anche se ancora non se ne era accorto.
Che intende dire? Chiese il Padre strizzando gli occhi.
Che non ho la somma che vi devo.
Non ce l'ha... disse il Padre senza guardarmi e chiese una sedia, anche il Figlio allora andò a prendersi una sedia e ne portò anzi due (una per mano) e delle due una la porse a me, sorridendo.
Ci sedemmo.
Amico mio, cosa intendi, esattamente? Mi chiese il Figlio, sporgendosi verso di me.
Che non ho la somma che vi devo - ripetei, guardandomi le unghie.
Senti, Amico mio - disse lui, guardando un po' sopra di me, come se leggesse su di un gobbo - tu ci devi un bel po' di denaro, ancora... abbiamo un contratto... lo sai no? Disse.
Certo che lo so, ma non li ho. Risposi. Alzai un po' le spalle, senza accorgermene, non so perché: non ero certo nella posizione di sfidarli o di disinteressarmi alle pieghe che avrebbe potuto prendere la conversazione... Sentivo un senso di fastidio, di insano... che altro? Qualunque ne fosse il significato, il mio gesto per fortuna non venne colto.
Come sarebbe a dire che non li ha? Chiese il Padre.
Non li ho. Non li ho e basta.
Amico mio, intendi dire che non puoi ora disporre dell'intera cifra? Chiese il Figlio, disponibile. Perché se non si tratta che di questo possiamo ben dilazionarti il pagamento di qualche....sì, qualche mese, direi. Non credi anche tu, Babbo? Chiese il Figlio girando la testa verso il Padre con la lentezza con cui si consulta l'oracolo.
Qualche mese... forse - convenne questi di malavoglia.
No. Dissi io. Non credo che si tratti di questo.
Di questo cosa? chiese il Padre.
Di una dilazione...
E di che si tratterebbe dunque? - domandò subito il Figlio, prima che il Padre gli facesse fare una figuraccia in luogo pubblico.
Si tratta che quei soldi non li ho e non credo che li avrò tra qualche mese.
Si guardarono i due, a lungo, quasi che volessero sincerarsi a vicenda di aver sentito proprio le parole che mi erano uscite di bocca e che non si trattava invece di una qualche intermittenza fastidiosa, dell' inframmezzarsi nella nostra conversazione di quella di qualcun altro.
Poi il Padre ruppe l'imbarazzo.
Sta dicendo che non intende darci quello che ci deve?
Non sto dicendo che non voglio darveli, sto dicendo che non li ho.
Dal mio punto di vista - disse il Padre guardandosi le scarpe lucide, fatico a vedere la differenza.
Dal mio punto di vista, vi è una differenza enorme, signore! Sbottai.
Su su, non perdiamo la calma - suggerì il Figlio. Descrivici per bene la situazione, Amico mio.
C'è poco da descrivere - dissi. Io ci ho provato... con tutte le forze... ma non ci sono riuscito. E' stato un anno difficile, l'OCSE prevede che il Pil a fine anno avrà un calo dell'un per cento, siamo in piena recessione! In queste condizioni come potevo garantirvi un canone aumentato dell'otto rispetto all'anno scorso!?
Mio caro, perché dunque hai firmato il contratto e accettato il canone se non ti sembrava ragionevole? disse il Figlio, senza scomporsi.
Voi lo sapete bene perché - dissi guardandoli severamente. Entrambi mi fissavano in silenzio. Il Padre incassò un po' la testa nelle spalle e si intrecciò le mani in grembo come se volesse dire "sentiamo un po'", ma non disse nulla.
Dovevo accettare per forza, se no perdevo il lavoro... continuai. Per voi noleggiare una struttura come quella è solo una frazione del business.... per me è tutto, io ci vivo da quell'affare, non ne ho altri quindici come voi da cui riscuotere i noleggi.
Quattordici - mi corresse il Padre guardando verso una giovane donna che entrava perentoriamente dall'ingresso principale.
Inoltre... è stato un anno difficile anche per me... personalmente, intendo. Voi lo sapete - dissi alzando lo sguardo prima sul riporto candido del Padre e poi sugli occhi slavati del Figlio. Ho avuto un lutto in famiglia, sono stato malato a lungo... lo sapete.
E quindi cosa intende fare? Tagliò corto il Padre.
Cosa intendo fare... - ripetei.
Sì Amico mio, che intendi fare? Mi chiese il Figlio e iniziò a toccarsi il bordo dell'occhio destro.
E che dovrei fare!? Se non li ho non li ho. Io non ho possedimenti, né terre, né case... non vi è nulla di valore che possa vendere per pagarvi...Che altro potrei darvi? il mio orologio, la mia macchina... - dissi, prima sporgendo il polso nella loro direzione e poi facendo il gesto di tastarmi le tasche della giacca per cercare le chiavi, ma non come se volessi veramente trovarle.
Andiamo - disse il Padre, immusonito, torcendo il busto con scatti secchi come se gli avessi infilato un insetto nella camicia - non siamo mica usurai, non vogliamo le sue cose, vogliamo solo i soldi che ci deve, la parte rimanente del canone concordato che lei non ci ha versato... è già in ritardo di due mesi e non le abbiamo chiesto nemmeno gli interessi!
Volete solo i soldi? Chiesi.
Sì. Disse il Padre.
I soldi e nient'altro?
Esattamente. Precisò.
Tirai fuori il portafoglio e ci guardai dentro a lungo.
Posso darvi venti euro - dissi.
Il figlio spalancò gli occhi che teneva di solito un po' socchiusi come se non volesse vedere il reale tutto intero ma solo, magari,a mezzo busto, lasciando un po' di spazio per altro.
Non gliel'avevo mai visto fare.
Amico mio, ma tu ce ne devi ventimila... - disse.
Ho solo questi... dissi porgendogli la banconota celeste che se ne stava rintanata nel portafoglio tra un vespaio di scontrini e bigliettini che sarebbero dovuti servire - pensavo - a nasconderla ancora un po'.
Il Figlio mise avanti una mano abbronzata e la inclinò lievemente verso l'alto mostrandomi i polpastrelli e, di sbieco, una piccola porzione del palmo. Un gesto che voleva dire "fermati!".
Non scherziamo. Disse poi, con una smorfia incerta sulla faccia.
Non sto scherzando.
Il Padre si agitava sulla sedia. Appena vista la banconota si era avviato in lui un cambiamento: sembrava più rosso ed alto, nonostante fosse ancora seduto, gli occhi gli si erano stretti dell'altro e il riporto gli scivolava lento sul cranio liscio.
Amico mio, qui la situazione è seria - disse il Figlio senza guardarmi e guardò invece il Padre con un'aria costernata ma senza chiedergli nulla e Lui intanto sembrava ancora crescere e gonfiarsi, con le mani stringeva a tal punto i braccioli della sedia che vidi le unghie sbiancarglisi e per un attimo pensai che li avrebbe mandati in pezzi come ci si sbrindellano i vestiti quando ci trasformiamo in un grosso supereroe.
Io me ne stavo lì con la banconota in mano, il braccio allungato verso di loro.
Il Figlio si girò di nuovo verso di me, impacciato.
Sì... voglio dire - iniziò. Ma non completò.
Prendili prendili! - Lo interruppe il Padre, con una voce acuta e fastidiosa. Meglio che niente. PRENDILI!!
Il Figlio fece finta di non sentirlo, nemmeno lo guardò, provò a inventarsi di nuovo un sorrisetto e continuò il discorso come niente fosse. Andiamo Amico mio - disse - metti via quei soldi, non scherziamo - ripetè.
Mettili via subito, ti prego. Aggiunse, quasi allarmato.
Ti ho detto di prenderli, sciocco. Si era messo a urlare il Padre. Prendili, prendiglieli finchè li ha, se no andrà a finire che non vedremo nemmeno quelli!
Ma Babbo! protestò il Figlio, girandosi di scatto.
Il Padre allora, che era ormai quasi viola, si alzò in piedi con un guizzo, facendo ribaltare la sedia. Alcune persone si girarono verso di noi. PRENDILI SUBITO, IDIOTA! Disse, furibondo.
Il Figlio mi guardò, smarrito, senza più nascondere il terrore che gli montava. Ma non riuscì a muoversi.
Disse solo, con un filo di voce: ti prego, mettili via.
Il Padre, o meglio quello che ne restava: enorme, viola-verde, ricoperto di artigli e ventose, con un balzo poderoso arrivò sino al soffitto e lì si appiccicò appena a sinistra del lampadario, guardando nella mia direzione, furente.
Io, a bocca aperta e con la banconota in mano non sapevo più che fare.
Ma non ebbi il tempo di pensarci perché Egli contorse il muso in un'orribile smorfia, spalancò la bocca e da quella gli schizzò fuori ad invidiabile velocità una lingua lunghissima, color porpora, setosa e lucente e a sua volta tutta maculata di piccole ventose. Con quella in un attimo arrivò alla banconota, ci si avvinghiò e me la strappò dalle mani.
Io, per altro, non feci alcuna resistenza.
La lingua poi ondeggiò verso il Figlio e gliela mise in mano; questi, evitando bene di incrociare lo sguardo con la cosa appesa al soffitto, staccò delicatamente la banconota dalle ventose umide, la ripulì con una manica della giacca, la ripiegò in due e se la mise in tasca, senza dir nulla.
A questo punto solo, il Padre abbandonò la posizione di agguato, ridiscese con grazia dal soffitto e si rimise a sedere. Il colore iniziò a tornare al consueto venerando pallore e le dimensioni a ridursi.
Mi alzai, incerto. Mi guardai intorno, dal bancone arrivavano sguardi incuriositi che ci sfioravano appena e poi volavano via, come uccellini distratti. Sembrava che solo noi due, io e il Figlio, avessimo assistito alla scena.
Voltai le spalle ai due e barcollando feci per muovermi in direzione della porta ma una mano leggera mi raggiunse, afferrandomi con delicatezza un gomito. Era il Figlio. Mi fermai e senza voltarmi lo sentii dire: naturalmente lo consideriamo un acconto, poi avremo altre occasioni per discutere sulle modalità del saldo, nei prossimi giorni. Mi lasciò e io mi diressi verso l'uscita, senza voltarmi.
Quando ero quasi sulla porta la voce del Figlio mi raggiunse ancora, tranquilla.
Amico mio mi raccomando, lascia stare per i caffè, facciamo noi!
Uscii dal bar con le orecchie che mi ronzavano, la vista diradata come se gli occhi fossero senz'aria e mi incamminai lungo il viale quasi in mezzo alla carreggiata, senza accorgermene.
Suonando i clacson, le auto mi sfioravano e con esse le maledizioni mute dei loro guidatori, di là dai finestrini.

 

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