Jean Clément
Elementi di poetica ipertestuale

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Sommario
I.   L'ipertesto
II.  Dispositivi di lettura e lavoro del lettore
III. Il singolare e il multiplo
IV. Narratore e narratario
V.   Tempo e spazio
VI. Conclusione


§ II. Dispositivi di lettura e lavoro del lettore

I. L'ipertesto

L'ipertesto può essere considerato al tempo stesso come una tecnologia intellettuale e materiale. Da un punto di vista intellettuale, è l'espressione di una forma di pensiero di tipo analogico che si manifesta per associazioni, richiami, paralleli, digressioni, commenti, esemplificazioni ecc. Spesso, in un discorso lineare, questi diversi elementi, a volte eterogenei rispetto al discorso principale e tra loro, trovano posto con difficoltà nel corpo del testo, nonostante gli ausili della retorica. Per questo motivo, nel corso dei secoli, la cultura scritta ha messo a punto dei dispositivi (rinvii, note a piè di pagina o di chiusura, indici, parentesi, cambiamenti del tipo di carattere, impaginazioni complesse, ecc.) destinati a facilitare i percorsi non lineari, che meglio si prestano a rendere la complessità del pensiero o dell'argomentazione. L'insieme di questi procedimenti di scrittura costituisce quella che proporrei di chiamare una «protoipertestualità». La recente introduzione del supporto digitale e delle tecnologie che lo accompagnano (schermo, mouse, link) fornisce al pensiero e al discorso ipertestuale un nuovo dispositivo che li trasforma essi stessi in strumenti, con due conseguenze: da una parte, tale dispositivo alleggerisce il compito del lettore (tutte le operazioni ipertestuali sono infatti disponibili con un semplice clic); dall'altra, attribuisce a quest'ultimo una certa responsabilità nella costruzione del discorso (le scelte del lettore determinano in parte il testo che deve leggere). Lo sviluppo rapido di queste tecniche digitali, dal dischetto a Internet, ha contribuito a favorire nuove forme del discorso, alle quali ormai la scrittura creativa presta attenzione. La pubblicazione di Afternoon A Story di Michael Joyce nel 1985 segna la nascita della letteratura ipertestuale moderna. Intendo esaminarne qui alcune caratteristiche, concentrandomi in modo particolare sui problemi della narrazione: l'importanza del dispositivo di lettura, l'attività del lettore, gli effetti della non-linearità, il posto centrale del narratario, il primato della dimensione spaziale sulla dimensione temporale.

 

§ III. Il singolare e il multiplo Torna al sommario dell'articolo

II. Dispositivi di lettura e lavoro del lettore

Il supporto materiale scritto ha rappresentato spesso, nella storia della letteratura, una fonte d'ispirazione e un'occasione di rinnovamento. Mi limiterò a riportare alcuni esempi che riguardano esclusivamente l'epoca moderna, caratterizzata dalla cultura del libro a stampa. Fin dal 1760, il romanzo di Sterne, Life and Opinions of Tristram Shandy Gentleman, promuove un'arte della digressione e dell'allusione, che spinge il lettore a saltare le pagine ed i capitoli e si prende gioco delle convenzioni di stampa (pagine nere o chiazzate, nuovi segni di punteggiatura, ideogrammi, ecc.). I Cent mille milliards de poèmes di Raymond Queneau (1961) propongono al lettore un dispositivo di lettura combinatoria, a base di linguette intercambiabili sulle quali sono scritti uno per uno i versi di un insieme di dieci sonetti. Nel suo romanzo Pale Fire (1962), Nabokov decide d'invertire il rapporto abituale tra le note e il testo; in tal modo, più di duecento pagine fanno da commento ad un poema di novecentonovantanove versi, e le note diventano il supporto dell'invenzione a discapito del testo. Il Dizionario dei Khazari, di Milorad Pavic (1988),1 si presenta come un «romanzo-lessico» che raccoglie la sfida di un racconto sotto forma di voci di un'enciclopedia, che il lettore è invitato a scorrere da un rinvio all'altro, per spiegare la scomparsa, avvenuta nel XX secolo, di un misterioso popolo Khazaro.
Tutti questi libri hanno in comune il fatto di porre al centro della comunicazione letteraria la questione del dispositivo di lettura. Il testo letterario, come ora meglio sappiamo grazie anche agli studi di Umberto Eco sulla ricezione, è accessibile solo attraverso la mediazione di un lettore, la cui attività di lettura può essere considerata come una sorta di collaborazione alla ri-creazione del testo. Da questo punto di vista un ipertesto non è diverso da un testo classico; rispetto ad esso, però, aggiunge un'altra dimensione. Ciò che viene sollecitato nel lettore non è più soltanto un lavoro di interpretazione o d'immaginazione destinato a restare puramente noematico, ma, a seconda dei casi, un'attività di costruzione o di coproduzione, un lavoro di genesi o di realizzazione del testo stesso. Il lettore interagisce, viene condotto a manipolare un dispositivo che produce ciò che gli è dato da leggere. Il libro classico può essere considerato come il grado zero di questo dispositivo, poiché ci obbliga soltanto a girare le pagine. Nel caso dell'ipertesto, le operazioni richieste possono essere molto più complesse, e due lettori non leggeranno forse mai lo stesso testo. Per caratterizzare questa letteratura, vorrei riprendere la definizione di letteratura ergodica (ergon: lavoro, in greco), che Espen Aarseth2 trae dal campo della matematica, segnalando che questa letteratura non si limita agli ipertesti stricto sensu, ma comprende anche i generatori di testi e la poesia animata, dal momento che questi fanno ricorso, in un modo o in un altro, all'attività di un interattore.

 

§ IV. Narratore e narratario Torna al sommario dell'articolo

III. Il singolare e il multiplo

Dal punto di vista dell'autore, la scelta di un dispositivo ergodico comporta, se non addirittura la scomparsa dell'autore in quanto tale, la perdita volontaria di una parte dei suoi poteri di scrittore, e l'abbandono di una concezione classica della letteratura, considerata come espressione di singoli sentimenti o di un pensiero costituito.
All'origine di questa scelta possono trovarsi motivazioni diverse. Può esservi, ad esempio, la volontà di smitizzare la creazione letteraria o di denunciare le convenzioni narrative. Questo è ciò che avviene chiaramente nell'opera di Sterne o di Diderot3 o, più di recente, in quella di Michael Joyce4 o di Jean-Pierre Balpe.5 Per i primi, tale ridiscussione assume i toni dell'ironia contestatrice, per i secondi assume un carattere più esistenziale o addirittura tragico. Nell'ambito della poesia, l'attività di Philippe Bootz6 si colloca chiaramente in una prospettiva di impegno ideologico. Per Jacques Roubaud, in Le grand incendie de Londres,7 si tratta invece di una forma di aporia inerente alla funzione narrativa in sé. Tutti gli scrittori si trovano ad un certo punto davanti alla difficoltà di scegliere tra le molte linee di un racconto, come testimoniano, ad esempio, gli scartafacci delle prime pagine della Recherche, che riproducono una sorta di balbuzie narrativa. Per Roubaud, non solo questa scelta è dolorosa, ma si oppone al suo desiderio di veridicità: per lui, scegliere è tradire. Da ciò deriva la predilezione, evidente nel sottotitolo del suo libro: Récit, avec incises et bifurcations (Racconto con incisi e biforcazioni), per una forma di discorso ipertestuale che deleghi al lettore la scelta dei percorsi.
Alcuni autori trovano infine nell'ipertesto una forma narrativa che rende giustizia al loro desiderio di vivere una molteplicità di percorsi possibili attraverso storie inventate. Così, François Coulon, in 20% d'amour en plus,8 propone un racconto in prima persona che, dopo una scelta aleatoria tra tre falsi incipit, si ramifica sotto forma di arborescenza narrativa, fino ad offrire al lettore ottanta finali possibili. Il suo personaggio si moltiplica per mezzo di metamorfosi, ognuna delle quali incarna una delle vite sognate dall'autore. Questo desiderio di vivere vite multiple è anche l'istanza narrativa di Sale Temps,9 dramma interattivo sotto forma di fotoromanzo sul tema di Faust. Il personaggio, che muore all'inizio della storia, si vede offrire una seconda possibilità, se riesce a ricostruire il suo percorso lungo le strade di Parigi alla ricerca di Marguerite.
L'ipertesto è qui metafora del destino e del desiderio di sfuggire alla linearità del tempo, motivo che si ritrovava già nel racconto di Borges Il giardino dei sentieri che si biforcano10 o in alcuni racconti di Alan Lightman.11
Da un punto di vista strutturale, questa molteplicità che contravviene alla linearità del racconto può assumere diverse forme, riconducibili a quattro grandi tipologie. Le prime due sono arborescenti e multilineari. In alcuni casi, le linee narrative sono costantemente divergenti, come nel racconto di Borges, April March. In altri, esse possono coincidere, e si hanno allora più varianti di una stessa storia, come nei libri della collezione «Un livre dont vous êtes le héros».12
Gli altri due tipi hanno carattere combinatorio. Il primo permette di mantenere una coerenza enunciativa attraverso la suddivisione della struttura testuale in classi di elementi combinabili in un ordine stabilito: è il caso di Cent mille milliards de poèmes13 di Raymond Queneau o, più generalmente, dei generatori automatici di testo. Il secondo riduce il testo ad una sequenza di frammenti che possono essere letti in un ordine qualsiasi, come in Composition n° 1 di Marc Saporta.14


Oltre a queste grandi categorie, esiste nell'ipertesto un'altra distinzione, quella che oppone i link unidirezionali ai link bidirezionali. Da un punto di vista tecnico ed ergonomico, i primi permettono di passare da una schermata all'altra, mentre i secondi provocano l'apertura di una seconda finestra (fenêtre jaillissante o pop-up window) senza abbandonare lo schermo principale. Da un punto di vista discorsivo, i link unidirezionali determinano lo sviluppo narrativo, mentre i link bidirezionali autorizzano quelle che la retorica classica chiama «digressioni».15 Per caratterizzare questa opposizione tra discorso principale e discorso secondario, Mark Bernstein16 suggerisce i termini di episodicworld e mirrorworld:

Mirrorworlds provide a parallel or intertextual narrative that adopts a different voice or contrasting perspective. The Mirrorworld echoes a central theme or exposition, either amplifying it or elaborating it in ways impractical within the main thread.17

La stessa distinzione è ripresa da Jacques Roubaud in Le grand incendie de Londres nei termini di «biforcazione» (bifurcation) e «inciso» (incise). Le biforcazioni sono dei link unidirezionali che determinano la o le linee del racconto. Gli incisi sono dei link bidirezionali che non modificano la linea portante del racconto e che tornano al punto di partenza.

Inoltrandomi nella prosa mi imbatto, quasi ad ogni passo, nell'impossibilità di mantenerla su un'unica linea, di dirigerla in un solo senso.
In ogni momento sento il bisogno, come quando si racconta veramente per qualcuno, tanto più se si racconta (come ora, nel mio caso) a qualcuno che è lontano, che rischia di rimanere stupito da molti nomi e circostanze (ed è dunque necessario riavvicinarli a lui per mezzo di una spiegazione, a rischio di non essere capiti), sento il bisogno quindi di spiegare, di fermarmi ad attaccare al filo sottile della narrazione la lampada di un chiarimento indispensabile. Per questo basta forse una parentesi, marca naturale di quella che sarebbe, per la voce, un'interruzione del tono dell'inciso digressivo; ma accade spesso che l'ampiezza considerevole dello sviluppo incidentale che essa contiene renda estremamente ardua la sua introduzione, con il rischio di una eccessiva rottura della continuità.
C'è di più (ed è anche questa una cosa centrale per ogni racconto): non c'è nessun motivo per cui, io, dopo aver aperto una parentesi ed essermi impegnato in questa parentesi aperta, non senta di nuovo lo stesso bisogno di una parentesi, una nuova parentesi che presenta come la precedente la stessa contraddizione fra l'obbligo della chiarezza e l'ostacolo di una rottura, che la prima parentesi aveva provocato nello svolgersi principale del racconto; e via di seguito (potenzialmente all'infinito).
Ma non è tutto: l'incertezza dissipata dall'apertura di una parentesi, che genera delle righe chiarificatrici, delle precisazioni, dei rimandi, delle rettifiche, degli annunci, non è la sola e nemmeno la principale causa di digressioni. Il racconto potrebbe dover essere interrotto momentaneamente per tutt'altra ragione, forse ancor più fondamentale, lungo il cammino forestiero della prosa. Perché si arriva, come un cavaliere di re Artù, a una radura. E due nuovi sentieri si aprono tra gli alberi, oppure tre o molti di più. Bisogna scegliere. Ma come scegliere? La natura stessa di ciò che racconto, come la sua veridicità, anteriore all'intenzione del raccontare («così è stato», «così è», «te l'ho detto», «così fu») e, forse ancor di più, la natura stessa dell'operazione del racconto rendono inevitabili di fatto questi crocevia, questi incroci multipli sulla carta, questi spazi di esitazione, in cui non c'è forse nessuna «via giusta».

In 20% d'amour en plus, François Coulon utilizza sistematicamente i link bidirezionali. Servendosi di procedure proprie del fumetto, l'autore ha ancorato i link di questo tipo a degli oggetti o a dei personaggi. Cliccando su di essi, il lettore fa apparire una finestra che può, a seconda dei casi, produrre un effetto di zoom e/o fare apparire una grande varietà di digressioni: commenti della voce fuori campo del narratore, citazioni che servono da contrappunto al racconto principale, considerazioni metatestuali dell'autore in contrasto col tono della narrazione, ecc.

 

§ V. Tempo e spazio Torna al sommario dell'articolo

IV. Narratore e narratario

Al di là della tentazione del multiplo, la scelta di un dispositivo ergodico risponde anche all'antico desiderio di coinvolgere il lettore nell'elaborazione dell'opera e di aprire un dialogo con lui. Questo può assumere molte forme già presenti nel libro tradizionale, fra cui la più classica è l'avvertenza al lettore. Prima di cominciare il racconto o, più generalmente, di sottoporre il testo alla lettura, l'autore sente il bisogno di ricreare artificialmente certe condizioni della comunicazione orale, per giustificare meglio il suo intento o per indicare in quale stato d'animo deve porsi il lettore prima di affrontare la lettura dell'opera. È quel che fa Jean-Jacques Rousseau nell'incipit delle Confessioni («Chiunque siate voi, che il mio destino o la mia fiducia hanno reso arbitro di questo scritto, per le mie sventure, per le vostre viscere, e a nome dell'intera specie umana, vi scongiuro […]»),18 o Baudelaire ne I fiori del male («Ipocrita lettore, che mi somigli, fratello!»).19 Nella letteratura ergodica, questa introduzione può assumere la forma di «istruzioni per l'uso». L'autore non indica più al lettore il modo di leggere il testo, bensì il metodo o il dispositivo di lettura da utilizzare per avere accesso al testo stesso. Ecco, ad esempio, come Julio Cortazar presenta Marelle al lettore:

A suo modo, questo libro è molti libri, ma in particolare due libri. Il lettore è invitato a scegliere tra le due seguenti possibilità: il primo libro si legge come si leggono di solito i libri e finisce al capitolo 56, lì dove tre graziose stelline rappresentano la parola fine […] Il secondo libro si legge cominciando dal capitolo 73 e continuando la lettura nell'ordine indicato alla fine di ogni capitolo.20

O come Milorad Pavic raccomanda di leggere il suo «romanzo-lessico»:

Così il lettore potrà utilizzare quest'opera nel modo che preferirà. Alcuni cercheranno una parola o un nome, come in un dizionario qualunque, altri leggeranno questo libro come un libro qualsiasi, dall'inizio alla fine, d'un sol fiato, per avere una visione globale della questione khazara e dei personaggi, degli oggetti e dei fatti che sono in relazione ad essi. Si può sfogliare questo libro da sinistra a destra o da destra a sinistra […]. Il Dizionario khazaro può essere letto in diagonale per ottenere un prospettiva attraverso i tre libri - islamico, cristiano ed ebraico […].
Il lettore non deve però scoraggiarsi per via di tutte queste raccomandazioni. Può semplicemente saltare questa introduzione e leggere come mangia: servendosi dell'occhio destro come di una forchetta e dell'occhio sinistro come di un coltello, buttando le ossa in terra.

Il dialogo tra autore e lettore in margine alla narrazione non si limita sempre all'introduzione dell'opera, ma si può ritrovare nel corpo del testo sotto forma di conversazione, mostrando così il desiderio di associare il lettore al processo narrativo. Ma nel libro, nessun dispositivo permette all'autore di sentire, dietro la pagina, la risposta del lettore. Eccone due esempi:

IL MARCHESE DES ARCIS: Se non avete niente di meglio o di più divertente da fare, vi racconterò la storia del mio segretario; non è comune.
IL PADRONE: L'ascolterò volentieri.
Ti sento, lettore: mi dici: «E gli amori di Jacques?…»
Credi che non ne sia curioso quanto te? Hai dimenticato che a Jacques piaceva parlare e soprattutto parlare di se stesso; mania generale della gente della sua condizione […].21

Comunque, a coloro i quali non amano riandare tanto indietro in queste cose, non posso dar miglior consiglio che di saltare il resto del capitolo, scritto, lo dichiaro subito, solo per i curiosi e gl'indiscreti.22

Alcuni autori hanno tentato di andare oltre, associando il lettore non soltanto alla narrazione, ma al racconto stesso. È, ad esempio, l'effetto ricercato da Michel Butor in Modification:

Affondato nella scanalatura ove si congiungono il sedile e la spalliera, è quel libro che hai comprato alla partenza, che non hai letto ma conservato per tutto il viaggio come un segno di te stesso, che hai dimenticato lasciando lo scompartimento prima, che hai lasciato cadere dormendo e che è scivolato a poco a poco sotto il tuo corpo […].23

Ma è forse Italo Calvino che ha spinto al limite questo procedimento, in Se una notte d'inverno un viaggiatore; eccone l'incipit e l'explicit:

Stai per cominciare a leggere il nuovo romanzo Se una notte d'inverno un viaggiatore di Italo Calvino. Rilassati. Raccogliti. Allontana da te ogni altro pensiero. Lascia che il mondo che ti circonda sfumi nell'indistinto. La porta è meglio chiuderla; di là c'è sempre la televisione accesa. Dillo subito agli altri: «No, non voglio vedere la televisione!». Alza la voce, se no non ti sentono: «Sto leggendo! Non voglio essere disturbato!» Forse non ti hanno sentito, con tutto quel chiasso; dillo più forte, grida: «Sto cominciando a leggere il nuovo romanzo di Italo Calvino!» O se non vuoi non dirlo; speriamo che ti lascino in pace. […]
Ora siete marito e moglie, Lettore e Lettrice. Un grande letto matrimoniale accoglie le vostre letture parallele.
Ludmilla chiude il suo libro, spegne la sua luce, abbandona il capo sul guanciale, dice: - Spegni anche tu. Non sei stanco di leggere?
E tu: - Ancora un momento. Sto per finire Se una notte d'inverno un viaggiatore di Italo Calvino.24

Qui il narratario diventa personaggio, entra nella storia. Ma, come ha mostrato Jürgen Habermas,25 questo tentativo è destinato a fallire, perché gli atti delle parole letterarie non hanno un carattere illocutorio, il lettore-personaggio è prigioniero di una storia che non ha scritto.
Passare dal racconto al gioco è il solo modo di attribuire al lettore un ruolo non solo al livello del racconto, ma a quello della storia in sé. Così, nei giochi d'avventura non si tratta più soltanto di fare delle scelte di lettura, ma di interagire con un programma per produrre una concatenazione di avvenimenti che costituiscono la storia inventata. Questa interazione può assumere diverse forme: verbali, come in Zork, un gioco d'avventura diffuso negli anni '80 in Lisp, capace di interpretare comandi in linguaggio naturale; oppure cinestesiche, per mezzo di un joystick, di un mouse o di sensori più sofisticati che si trovano in certe installazioni.

 

§ VI. Conclusione Torna al sommario dell'articolo

V. Tempo e spazio

Le due caratteristiche ora esaminate, cioè la moltiplicazione delle linee narrative e il posto centrale del narratario, contribuiscono a confondere i riferimenti temporali della fiction, a vantaggio di uno sviluppo spettacolare della sua dimensione spaziale.
Dal punto di vista temporale, occorre innanzitutto distinguere tra fiction multilineari e non-lineari. Sono naturalmente queste ultime a porre dei problemi, poiché, nel racconto, la temporalità è fortemente correlata alla linearità. Certo, come ha osservato Gérard Genette,26 è necessario distinguere il tempo della storia dal tempo del racconto. Nel Discours du récit egli mette in evidenza i diversi procedimenti (analessi, prolessi ecc.) attraverso i quali il tempo del racconto e il tempo della storia possono essere sfalsati l'uno rispetto all'altro. Ci limiteremo qui a ricordare il più conosciuto, che consiste nel far cominciare un racconto in medias res, vale a dire a metà della storia. Il problema è che questi sfasamenti, in cui consiste in gran parte l'arte del racconto lineare, non resistono alla struttura ipertestuale. Infatti, al di fuori delle fiction multilineari, l'ordine nel quale vengono letti i frammenti di una storia è sottoposto alle scelte del lettore e non è quindi prevedibile dall'autore. Per questo motivo, l'ipertesto tende a favorire una forma di «acronia», considerata da Genette come un modo di situare gli avvenimenti riportati non in relazione ad una storia cronologicamente ordinata, anche a costo di trasformarla, ma ad uno spazio geografico. Un chiaro esempio di questa acronia si trova in certi passi della Recherche di Marcel Proust, come quello in cui l'autore ricollega degli aneddoti del passato al ricordo di ogni fermata del treno «transatlantique», oppure nelle ultime cinquanta pagine di Combray, che riportano gli avvenimenti in funzione delle tappe della passeggiata (a Meséglise, a Guermantes).
Sale Temps illustra bene questa tendenza nella fiction interattiva. L'azione si svolge nell'arco di una sola giornata e consiste in un percorso nella città, fatto dal personaggio principale alla ricerca delle ragioni che l'hanno fatto morire all'inizio del racconto. L'azione si svolge al presente, ma i ritorni al passato avvengono a partire dagli incontri con personaggi o oggetti che gli restituiscono una parte della memoria svanita. Così il passato si ricompone come un mosaico, in ordine sparso, se non indifferente, come se i frammenti di una storia riapparissero in superficie.
Come si può vedere, la frammentazione temporale porta ad una maggiore pregnanza dello spazio nel racconto. La maggior parte delle fictions interattive si svolge in luoghi chiusi: un castello, un'isola, una foresta, un treno in movimento, ecc. Ciò dipende principalmente da due ragioni: i limiti dell'intelligenza artificiale delle macchine e la natura del supporto informatico. Quello che le macchine, in quanto dispositivi della fiction interattiva, sanno forse fare meglio, è interpretare le decisioni dell'interagente in termini di spostamento nello spazio: girare a sinistra, a destra, prendere un oggetto, ecc. Difficilmente riescono ad andare oltre: ecco perché sono perfette nel gioco degli scacchi.
D'altra parte, i progressi delle interfacce, lo sviluppo delle tecniche dell'immagine, la programmazione degli spazi navigabili nelle tre dimensioni hanno contribuito a trasformare la pagina-schermo in uno schermo-palcoscenico. Nel suo libro Computers as Theatre, Brenda Laurel27 ha mostrato come oramai l'interattività non si valuti più soltanto in funzione di variabili come l'estensione, la frequenza o la portata delle scelte possibili per l'utilizzatore, ma esenzialmente in termini di immersione, sentimento di appartenenza al mondo virtuale dello schermo. E gli autori del celebre Myst28 l'hanno capito bene:

Eccovi sul punto di vivere una sorprendente realtà. Questo gioco è stato ideato in modo da non opporre allo schermo nessuna o poche distrazioni suscettibili di interferire con la vostra sensazione di appartenere a questo mondo altro. Myst non è lineare, non è piano, non è nemmeno superficiale.
Myst è reale. E come nella vita reale, non si muore ogni cinque minuti. Non morirete forse mai. Non ci sono vie senza uscita. Può darsi che vi buttiate contro un muro, ma c'è sempre un mezzo per aggirarlo o per evitarlo. State molto attenti ai dettagli, notate ogni minima informazione, e siate logici: si tratta di tessere di un puzzle, che vi rivelerà i segreti di Myst. Affidatevi alle informazioni che avete raccolto in Myst, ma anche nella vita stessa. Il vostro unico obiettivo è di perdervi in questa esplorazione fantastica, agendo e reagendo come se faceste veramente parte di questo mondo.

E questo sentimento di appartenenza ad un mondo, non è forse ciò che il lettore di romanzi cerca nella lettura? Leggere un romanzo non è come immergersi in un universo? Eccoci così giunti al cuore della problematica dell'ipertesto. La lettura su carta è un procedimento complesso e poco conosciuto che ci fa dimenticare i segni della pagina per trasformarli in rappresentazioni mentali. Quando leggo un romanzo, nell'arco di un certo tempo, mi dimentico che sto leggendo, sono passato dall'altra parte della pagina. Da questo punto di vista, lo schermo di un computer rappresenta un ostacolo, poiché ci invita più a guardare che a leggere; basterebbe osservare i comportamenti degli utilizzatori (spesso sul punto di saltare in avanti quando il testo è troppo lungo) davanti alla loro macchina per convincersene. Le immagini tridimensionali, al contrario, hanno un grande potere di seduzione, dovuto al fatto che trasmettono l'impressione di passare dall'altra parte dello schermo. Se prima le parole ci invitavano a seguire il racconto di un'avventura, ora ci invitano a viverla, penetrando nelle quinte del teatro.

 

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VI. Conclusione

L'esame di questi elementi di poetica ipertestuale ha messo in evidenza un certo numero di contraddizioni che potrebbero contenere in embrione la scomparsa dell'ipertesto come genere letterario. Esse sono riconducibili essenzialmente a due difficoltà: da un lato, allo spostamento specifico dei rispettivi ruoli, dell'autore e del lettore; dall'altro, al suo corollario, cioè alla scomparsa della narrazione a vantaggio della rappresentazione.
Dando al lettore un posto centrale nel racconto e nella narrazione, l'autore opera uno spostamento: il testo perde stabilità, esiste solo nel tempo della sua lettura, in un certo momento e per un certo lettore. Come aveva intuito Walter Benjamin, «la distinzione tra autore e pubblico è in procinto di perdere il suo carattere sostanziale. Diventa semplicemente funzionale, e funziona in modo diverso a seconda dei casi. Il lettore è sempre pronto a diventare autore».29
Da questo ribaltamento della prospettiva consegue che lo scrittore non è più l'autore di un'opera, ma del dispositivo che la genera. Pochi autori sono pronti ad abbandonare la funzione autoriale, come testimonia, ad esempio, la reticenza di Jacques Roubaud,30 che, nonostante le sue velleità, non è ancora passato all'ipertesto. Jean-Pierre Balpe è oggi uno dei pochi scrittori ad esporsi al rischio di questo ribaltamento, che già Paul Valéry rivendicava a se stesso: «Una rivoluzione, un cambiamento enorme, era alla base della mia storia: ricondurre l'arte che situiamo nell'opera alla fabbricazione dell'opera».31 Ma c'è di più. Bisogna scegliere tra la narrazione e la recitazione. Il piacere della narrazione è soprattutto il piacere della ricezione, quello di ascoltare o leggere delle storie, piacere che è come connaturato alla nostra natura umana. «Il racconto inizia con la storia stessa dell'umanità; non c'è, non c'è mai stato in nessun luogo nessun popolo senza racconti» sottolinea Barthes nella sua Introduction à l'analyse structurale du récit32 Questo piacere presuppone di calarsi in una durata e presuppone anche una prospettiva teleologica: il lettore è in attesa dello scioglimento finale, che lo ricompenserà di avere sottostato alla linearità del racconto. Il desiderio del giocatore è, al contrario, un desiderio attivo. Solo contro una macchina (oppure insieme a molti, nei giochi collettivi), il suo piacere consiste nella riuscita, nella costruzione di una strategia, nel superamento degli ostacoli. La macchina è soltanto una scena, sulla quale si affrontano dei personaggi che vivono insieme una storia. In certi casi, come nei giochi di ruolo, la storia è solo una scenografia per la quale bisogna inventare un copione. Nel suo libro The Future of Narrative in Cyberspace, Janet Murray33 lo dice chiaramente: è verso quest'ultimo modello che la scrittura creativa su computer sembra incamminarsi. In queste condizioni, c'è ancora spazio per una poetica ipertestuale? Credo di sì, a condizione di non cercarvi un'alternativa alle forme narrative tradizionali. Il posto dell'ipertesto sarà forse in un luogo tra la poesia, alla quale tende in ragione della sua struttura non lineare e polisemica, e la recitazione, che impegna il lettore in quanto attore, immergendolo nella finzione.

[Traduzione di Anna Frabetti e Federico Pellizzi]

 

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Bollettino '900 - Electronic Newsletter of '900 Italian Literature - © 2001

Giugno 2001, n. 1