|
Giovanni Testori, Opere (1943-1961), a cura di Fulvio Panzeri, introduzione di Giovanni Raboni, Milano, Bompiani, 1996, pp. 408
di Francesca Crescentini
Il primo volume (ne sono previsti un secondo ed un terzo) delle opere letterarie di Giovanni Testori comprende i testi degli anni 1943-1961, esclusi alcuni che, per volontà dell'autore, saranno pubblicati in separata sede.
La scelta di seguire un percorso cronologico, il cammino di scrittore di Testori, invece che suddividerne i testi per generi, risulta ottima: solo in tal modo è possibile render conto dello sperimentalismo e del continuo lavoro, mai arresosi sugli esiti pur raggiunti, che contraddistinguono la sua storia artistica. Diversamente Pietro C. Marani, curando per Longanesi il primo volume degli scritti d'arte di Testori, La realtà della pittura, 1995, ordinava i saggi secondo la successione degli argomenti, agevolando così il lettore nel reperimento di testi dispersi, ma obbligandolo a ricostruire da solo il percorso cronologico della composizione per poter cogliere appieno gli sviluppi di riflessione e scrittura.
La raccolta curata da Panzeri si apre con opere pressoché sconosciute: i due atti unici La morte. Un quadro, scritti da un Testori appena ventenne (e pubblicati nel 1943 a Forlì dalle Edizioni di Pattuglia), ed il dramma Tentazione nel convento (risalente al 1949 ma pubblicato solo nel 1993 dalle edizioni Il Girasole). Riguardo ai due brevi lavori è stato sottolineato, in primis dallo stesso Raboni, il rapporto col Pirandello del "teatro nel teatro" e dei Sei Personaggi (opera da Testori considerata tra le più grandi del Novecento); tuttavia va rilevato anche che certe figure di madre, presenze costanti nell'opera testoriana degli anni successivi, come ad esempio nel Confiteor (1985), sono già annunciate nella situazione del primo dei due atti. In Tentazione nel convento il dramma di suor Marta richiama invece ossessioni (in particolar modo la "cristica"), che, rielaborando lo spunto manzoniano della vicenda di Gertrude, attraverso amori sconvolgenti come quello per Grünewald ed esperienze poetiche come quella di Rimbaud, si sarebbero ripercosse nell'opera a venire. La lingua e la realtà manzoniane, la "lombardità" non sintomo di regionalismo, ma via all'universalità - come fu per Manzoni e per Caravaggio - tornano e sono spunto di lavoro pure nei rimanenti testi presentati.
I primi approcci al teatro sono infatti seguiti dal racconto lungo Il dio di Roserio, pubblicato da Panzeri nella versione linguisticamente non castigata del '54, così come lo volle Vittorini per i suoi "Gettoni", e dai racconti (Il ponte della Ghisolfa e La Gilda del Mac Mahon), dai drammi (L'Arialda e La Maria Brasca) e dal romanzo (Il Fabbricone), che Testori raccolse sotto il titolo I segreti di Milano, ciclo cui è legato anche La nebbia al Giambellino, romanzo pubblicato postumo, per perdita di manoscritto, nonostante la stesura risalisse agli anni '60.
Siamo, con questi lavori, di fronte ad una vera e propria "commedia lombarda": così Testori definiva infatti l'immenso affresco, in un certo senso mai compiuto se si considera il gran numero di titoli e di spunti contenuto nelle sue carte, che i Segreti avrebbero dovuto costituire. Tuttavia, dopo la rappresentazione de L'Arialda ed il conseguente scandalo, quel mondo finì per crollare in testa all'autore (o almeno sono questi i pensieri confidati da Testori al "maestro" Roberto Longhi) ed il continuo successivo lavoro sul teatro rese definitiva una vocazione "fatalmente e fetalmente" annunciata nei testi degli anni '40 e nei lunghi monologhi dei protagonisti dei Segreti. Ma questo sarà l'argomento dei prossimi volumi.
Bollettino '900 - Electronic Journal of '900 Italian Literature - © 1997-1999
<http://www3.unibo.it/boll900/numeri/1997-ii/Crescentini.html>
Giugno-Dicembre 1997, n. 2
|