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Eleonora Conti
Tabucchi e Pereira: una testimonianza
Sommario
Tabucchi e Pereira
Appendice
I. Introduzione: un "coccodrillo" per Pereira
«[...] e poi gli venne una magnifica idea, di fare una breve rubrica intitolata «Ricorrenze», e pensò di pubblicarla subito per il prossimo sabato, e così, quasi macchinalmente, forse perché pensava all'Italia, scrisse il titolo: Due anni fa scompariva Luigi Pirandello. E poi, sotto, scrisse l'occhiello: «Il grande drammaturgo aveva presentato a Lisbona il suo Sogno ma forse no».1
Ha ricordato di recente Bernard Comment2 che il primo nucleo ispirativo del romanzo Sostiene Pereira (1994) fu una pratica giornalistica, il "coccodrillo" di autori celebri. L'aneddoto illumina una delle molteplici suggestioni che presiedono alla genesi e alla scrittura del romanzo e
che si rivelerà una scelta strategica: prima ancora della storia da narrare, Antonio Tabucchi aveva chiaro in mente un filo conduttore che collocava il libro entro l’universo della carta stampata, in un paese sorvegliato dalla censura. In questa
cornice, l’idea del "coccodrillo" si delinea come una porta aperta su innumerevoli piste narrative: contribuisce a costruire la fisionomia del protagonista, un intellettuale appartato, spinto dagli eventi a riflettere sui propri compiti e possibilità; permette allo scrittore di mettere a confronto lo sguardo dei suoi personaggi sul mondo, a partire dai necrologi che propongono e valutano per il «Lisboa»; trasforma gli scrittori presi in esame in personaggi letterari, offrendo al lettore una nuova prospettiva su di essi.
Il "coccodrillo" infatti (ricorrenza, necrologio, memoria preservata dalla scrittura) apre a una molteplicità di prospettive e intenti: propone uno sguardo postumo sulla figura e sull'opera dello scrittore da ricordare, schizzandone un ritratto in scorcio, grazie a dettagli ben scelti; implica la necessità di esprimere un giudizio di valore, a parabola compiuta, sulla sua opera, cosicché il taglio che il giornalista dà al "coccodrillo" ne fissa l'eredità, il lascito da consegnare ai posteri.
Visto che Pereira è il direttore della pagina culturale del giornale incaricato di vagliare la pubblicabilità dei testi, Tabucchi ha poi la possibilità di inserire nel romanzo "coccodrilli" o parti di essi, redatti in stili diversi, che sarà il lettore a giudicare e che arricchiscono in senso polifonico lo stile del romanzo. In Sostiene Pereira, oltre a qualche idea abbozzata dal protagonista, i lettori hanno la possibilità di leggere i testi di Monteiro Rossi e di Marta (con un'ambiguità di fondo sull'autorialità di essi: consegnati da Monteiro ma quasi sicuramente scritti da Marta).3 Insieme alle traduzioni degli scrittori francesi dell'Ottocento, i necrologi scartati e le note di presentazione degli autori tradotti o ricordati costituiscono degli interessanti testi nei testi, quasi delle mise en abyme, di varia natura. I necrologi di Garcia Lorca (cap. 5) e Majakovskij (cap. 19) sono tributi resi a vittime di dittature e assolutismi politici, mentre il "coccodrillo" di Marinetti (cap. 7), che morirà nel 1944, e il necrologio di D'Annunzio (cap. 13), scomparso pochi mesi prima, assumono il valore di una denuncia di corresponsabilità rispetto all'affermazione del fascismo. Una visione politica e militante della letteratura che non può prescindere dalle idee e non fa sconti a nessuno. Tutti i necrologi, in ogni caso, suscitano l'irritazione di Pereira, costretto ad ammettere anche a sé stesso che il «Lisboa» non è uno spazio di libertà d'espressione. Monteiro, che risulta meno ingenuo di quel che sembra (è capace infatti di intavolare una discussione su uno degli autori prediletti da Pereira, Georges Bernanos), mostra di preferire gli elogi funebri ai necrologi anticipati. Infatti, la logica dell'omaggio a un poeta vittima di regime risponde a un imperativo di coscienza che spinge il ragazzo a interpretare il progetto di Pereira non come un semplice tributo, ma come una scelta di campo. Con schiettezza Marta espone a Pereira una visione militante del panorama intellettuale contemporaneo, al loro primo incontro, in Praça da Alegria:
«mi sembra una buona idea, ci sarebbero un sacco di scrittori che sarebbe l'ora che se ne andassero, per fortuna quell'insopportabile Rapagnetta che si faceva chiamare D'Annunzio se n'è andato qualche mese fa, ma anche quella beghina di Claudel, anche di lui basta, non le pare?, e certo il suo giornale, che mi sembra di tendenza cattolica, ne parlerebbe volentieri, e poi quel furfante di Marinetti, quel brutto tipo, dopo aver cantato la guerra e gli obici si è schierato con le camicie nere di Mussolini, sarebbe bene che ci lasciasse anche lui».4
L'evoluzione dei necrologi di Pereira scandisce le tappe della presa di coscienza dell'anziano giornalista. A lui spettano la prima ricorrenza e l'ultimo necrologio del romanzo, che in effetti seguono la pista indicata da Marta, forza ispiratrice del romanzo, pasionaria della partecipazione attiva alla Storia: dagli omaggi a Pirandello (cap. 1) e a Pessoa (cap. 5), numi tutelari di una storia in cui il sogno, i giochi di specchi identitari e i passaggi di parola e testimone svolgono una funzione importante, al necrologio dolente e commosso di Monteiro Rossi, giovane vittima dell'oppressione salazarista, patriota impegnato e partigiano della libertà. Se infatti pensiamo alla conclusione del romanzo, all'articolo con cui Pereira esce dall'ombra e che firma di suo pugno, comprendiamo come la parabola del risveglio di coscienza del personaggio si inscriva tutta dentro una pratica giornalistica che è anche parabola esistenziale, dove la scrittura si traduce in azione, la cautela in impegno diretto. Necrologi e "coccodrilli", fil rouge dell'intero romanzo, segnano dunque il passaggio dall'esercizio letterario al tributo reale e di denuncia.5
Non sembra casuale allora, e chiude simbolicamente il cerchio sul tema, il necrologio reale, letto da Tabucchi su un giornale portoghese, «di qualcuno» che gli sembra potesse corrispondere al giornalista che aveva conosciuto decenni prima a Parigi, esule e sotto pseudonimo per aver «scritto un articolo feroce contro il regime dittatoriale di Salazar».6 Andrà a visitarne la salma a Lisbona e quell'uomo corpulento, invecchiato, con una grossa croce cattolica al collo, diventerà il modello fisico ed esistenziale del suo Pereira.
II. Una polemica giornalistica del 1991
Qualche ulteriore ipotesi sulla complessa genesi di Sostiene Pereira, che ne rafforza l'intimo legame con il mondo della carta stampata, ci viene proprio da una polemica giornalistica. Risale infatti all'estate del 1991 un botta e risposta fra il giornalista Carlo Laurenzi e Antonio Tabucchi, riportato in Appendice a questo contributo, che ci sembra abbia lasciato un segno importante nelle riflessioni dello scrittore.
Toscano come Tabucchi ma della generazione precedente (era nato nel 1920), Carlo Laurenzi era stato una penna assidua del «Corriere della Sera» e nel 1974 aveva seguito Indro Montanelli nell'avventura de «il Giornale nuovo». Al «Giornale» di Montanelli Laurenzi si era distinto per la severità dei suoi commenti di critico letterario e cinematografico e per una scrittura di qualità, prodotto di una formazione rigorosa e di un esercizio costante di memorialista, elzevirista, scrittore di costume e narrativa. Nell'articolo del 26 giugno 1991 su «il Giornale» intitolato A proposito di un racconto di Tabucchi. Una cernia portoghese, il giornalista dichiara la propria stima per lo scrittore ma rimane particolarmente turbato dal racconto Notte, mare o distanza della raccolta L'angelo nero, appena pubblicata per Feltrinelli.7 Tabucchi vi narra la disavventura di un gruppo di giovani poeti e intellettuali costretti a subire una brutale lezione di patriottismo nazionalista da parte di un agente della Pide, in una notte lisbonese del 1969. L'epilogo del racconto, in cui due dei protagonisti, Tadeus e Joana, salgono le scale di casa sul dorso di una cernia oleosa e ributtante raccolta in un rigagnolo, «disgusta» in particolare Laurenzi che è deluso dalle zone d'ombra del racconto. Forse perché «vorre[bbe] saperne di più», il giornalista racconta la propria esperienza di un viaggio portoghese dei primi anni Sessanta, contestando di fatto sia la lettura tabucchiana del salazarismo come di un fascismo liberticida sia la postura del narratore del racconto, dietro il quale Laurenzi non ha dubbi si celi Tabucchi stesso, testimone diretto della Lisbona di quegli anni. Il narratore della storia infatti dice di «immaginare» come si sarebbero svolti i fatti quella notte: nel suo procedere «per ipotesi e illazioni certificando o smentendo la sua presenza-assenza», Tabucchi, nelle parole di Laurenzi, «si isola in una posizione di osservatore - sia pure sentimentalmente coinvolto - e si sottrae a una precisa iniziativa testimoniale». Infine, in merito all'immagine allegorica della cernia su cui si chiude il racconto, il recensore la qualifica come una «scivolata dell'autore in un surrealismo abbastanza scaduto» ed evoca un quadro del 1947 di René Magritte, appartenente a una collezione privata e intitolato Il vecchio cannoniere, che gli ricorda la cernia tabucchiana.
La risposta di Tabucchi del 10 luglio sul «Corriere della Sera» («No, non provo nostalgia per l'oscura Lisbona di Salazar») è piuttosto dura e tocca tutti i temi affrontati da Laurenzi. Dopo una lapidaria premessa in difesa della specifica postura dello scrittore di fronte alla realtà8 e dopo aver restituito la cernia al trittico delle Tentazioni di Sant'Antonio di Hieronymus Bosch conservato a Lisbona, la risposta di Tabucchi è soprattutto una testimonianza diretta, vibrante e appassionata del Portogallo sotto la dittatura. Tabucchi infatti intende «prescindere dal [suo] racconto», perché è il ritratto del Portogallo sotto Salazar ciò su cui gli preme concentrarsi. Liquidando in poche righe le questioni letterarie, è evidente che Tabucchi sia irritato soprattutto dalla valutazione politica di Laurenzi (e probabilmente de «il Giornale» per cui scrive), verso cui sente una distanza irrimediabile ed è lo sforzo di ripristinare la verità storica a occupare la maggior parte della sua risposta.
Lo scrittore ci tiene a sottolineare che la disparità di vedute rispetto a Laurenzi sul Portogallo degli anni Sessanta deriva da «formazioni diverse» e dall'aver frequentato a Lisbona, in quegli anni, ambienti incompatibili: hotel e ristoranti di lusso, riviste di varietà e giornali poco mordaci Laurenzi, gli ambienti dei dissidenti e dell'avanguardia Tabucchi. Questo gap iniziale, alluso non senza una punta sarcastica («Certo se si scendeva al Ritz o si andava a cena al Tavares non si correva il rischio di fare brutti incontri»), non sembra colmabile. Ma soprattutto egli sembra urtato dall'idea che Laurenzi voglia impartirgli una lezione sul Portogallo, mettendo sullo stesso piano il breve soggiorno a Lisbona tratteggiato nell'articolo (che il giornalista, per vezzo o per ingenuità, non sa collocare con precisione, oscillando fra 1963 e 1964)9 e la sua personale, assidua frequentazione del paese, con la conoscenza diretta di artisti dissidenti («se durante il giorno si andava a far visita a scrittori in prigione, la sera si rischiavano veramente brutti incontri», precisa Tabucchi) e un curriculum di studioso della lingua e della letteratura, che, alla data della polemica, è già molto nutrito. In effetti, esso conta un fondamentale volume di studi sul Surrealismo portoghese (La parola interdetta. Scrittori surrealisti portoghesi, Einaudi, 1971) con una antologia di testi da lui tradotti, fra gli altri, di Mário Cesariny e Alexandre O'Neill, cui lo legavano rapporti di amicizia; nonché numerose traduzioni di poeti e romanzieri, anche dissidenti, di lingua portoghese.10 Inoltre, nel settembre del 1991, appena due mesi dopo la polemica (ma questo Laurenzi non poteva saperlo), uscirà per le edizioni Quetzal di Lisbona Requiem, romanzo scritto da Tabucchi direttamente in portoghese, poi tradotto in italiano da Sergio Vecchio per Feltrinelli nel 1992.11 Tabucchi infine ha già pubblicato alcuni fondamentali contributi e traduzioni di Fernando Pessoa, non ultimo, nel 1986, Il libro dell'inquietudine, tradotto insieme a Maria José de Lancastre.12 La sproporzione delle competenze è obiettivamente grande e Tabucchi è in grado di offrire uno spaccato della storia e della situazione politica portoghese molto stringente, ricco di episodi, personaggi e, indubbiamente, di prima mano.
Eppure, le osservazioni di Laurenzi, quell'impressione che lo scrittore, lasciando spazio all'ipotesi dell'immaginazione, «si sottra[gga] a una precisa iniziativa testimoniale» deve aver toccato la sensibilità dello scrittore. Pur rivendicando una testimonianza «al secondo livello, a un grado diverso di informazione» rispetto a un cronachista, la dichiarazione di Laurenzi deve aver ronzato a lungo nell'orecchio di Tabucchi e a un certo punto deve averlo spinto a chiedersi se fosse necessario rendere palesi e convincenti, agli occhi di una più ampia platea di lettori, le ragioni per cui il Portogallo dell'Estado Novo non era un paese libero. Realtà che, Tabucchi se ne rende conto, non risultava evidente o non voleva essere ammessa da una parte dei lettori e intellettuali italiani.
I due ordini di problemi, la realtà storico-politica del Portogallo e le modalità narrative di un racconto-romanzo che affrontino la Storia si intrecciano dunque nel dibattito fra Laurenzi e Tabucchi nell'estate del 1991. Maria José de Lancastre, che ha riportato alla luce i due articoli in occasione dell'edizione 2023 di "Sogna Pereira - Premio Tabucchi per la Scuola",13 ponendosi come "l'altra testimone", presente storicamente, accanto a Tabucchi, nel Portogallo degli anni Sessanta, scrive, in occasione dell'edizione speciale di Sostiene Pereira per celebrare gli ottant'anni dello scrittore, «che in quegli anni, quasi dieci [dal 1965], in cui trascorse dei periodi più o meno lunghi nel Portogallo di Salazar, egli [Tabucchi] ebbe molte volte l'occasione di vedere, di osservare, di sentire perfino su se stesso quella atmosfera mefitica della dittatura che impregnava la vita quotidiana di un'intera nazione»14 e che dopo la risposta a Laurenzi, probabilmente, «non si sentì interamente soddisfatto, quella polemica gli era rimasta in testa, forse avrebbe voluto raccontarla meglio quella Lisbona dei tempi della dittatura, sentiva l'urgenza di una testimonianza più ampia».15
Forse allora le osservazioni del giornalista e anche le sue sviste interpretative o le sue riserve e obiezioni, le sue ingenuità in quell'articolo del 1991, in qualche modo, non solo spingono Tabucchi all'affondo della seconda parte della sua replica, ma potrebbero avergli suggerito una risposta di tipo diverso, narrativo, da scrittore e non da giornalista. Che sia Sostiene Pereira la risposta?
È vero in effetti che nel 1992 il protagonista del romanzo comincia a «visitare» lo scrittore, chiedendogli di raccontare la sua storia,16 e questa diventa per Tabucchi l'occasione di rimettere insieme ricordi, riflessioni, l'esigenza morale di condividere l'esperienza diretta di quegli anni e di fondere, in un romanzo pieno di echi e riferimenti ma ampiamente leggibile, la sua testimonianza con quella del suo personaggio più celebre.
III. Seguendo la cernia
Nel racconto tabucchiano del 1991 discusso da Laurenzi l'evocazione del Portogallo salazarista passa attraverso un immaginario profondamente debitore del surrealismo portoghese, movimento attentamente studiato da Tabucchi fin dagli anni Sessanta e la cui ricognizione è affidata, come si è visto, a La parola interdetta. Il titolo del volume sembra in linea con le atmosfere del racconto, da cui trasuda un senso di impotenza e mancanza di libertà. Un notturno di ascendenza surrealista, come emerge dall'Introduzione all'antologia evocata poco sopra: «Su molta poesia surrealista, - scrive Tabucchi riferendosi al movimento di Breton - c'è come scritto "da non esporsi alla luce del giorno", pena il deterioramento immediato del suo sapore, della sua essenza. Non ne resterebbe niente».17 Nella notte surrealista si scatenano «le potenze oscure, gli abissi del subconscio, il sogno» ed è solo in essa che si compie «il miracolo».18 Ma la notte del surrealismo portoghese, e nello specifico di Alexandre O'Neill - che insieme al poeta brasiliano Carlos Drummond de Andrade è il nume tutelare del racconto, come si vedrà -, non è luminosa e «solare» come quella francese, ma è «una antinotte», spesso «sporca, volgare»,19 «foderata di solitudine e di paura»,20 segno di «una poesia di crisi, espressione di un uomo che cerca il riscatto della sua frustrazione, della sua codardia, per essere stato se stesso in pieno giorno».21
Nella seconda parte, Notte, mare o distanza si colora di un tono fantastico e notturno, come il titolo della raccolta L'angelo nero (ispirato a Montale) lascia intendere. Ed è qui che Laurenzi lancia il suo affondo a Tabucchi. Nel racconto si legge:
«E fu a quel punto che arrivò la cernia. Era una cernia pingue, lustra, oleosa, che guizzava su dei fondali oscuri come l'oscurità dell'automobile che minacciava le vittime di quella notte: dal finestrino, assieme a una mano gonfia dalle dita tozze, si affacciò il muso di una cernia che boccheggiava. Che cosa incongrua, una mano e un muso di cernia dal finestrino di un'automobile nera nella Rua Dom Pedro Quinto in una notte di novembre del millenovecentosessantanove.
Ma questo dipendeva dall'immaginazione di chi pensava a come avrebbero potuto essersi svolti i fatti quella notte. Così, a quel punto, la sua immaginazione produceva una cernia».22
Il giornalista giudica l'apparizione della cernia come una «scivolata dell'autore in un surrealismo abbastanza scaduto», pensando a Magritte, come si è visto. Tabucchi corregge l'errore e spiega che i due personaggi a cavallo della cernia provengono piuttosto dalle Tentazioni di Sant'Antonio di Bosch,23 uno dei dipinti-icona del suo «mondo dell'immaginale».24 Il trittico, cui renderà poi omaggio Requiem, costituisce il pilastro di tutta la costellazione di sentimenti legati al rimorso, al senso di colpa, al personaggio di Tadeus e alla concezione jankélévitchiana della reversibilità del tempo.25
La cernia tabucchiana, tuttavia, ha effettivamente anche una valenza surrealista, benché di ambito portoghese. Nel surrealismo portoghese, coevo degli uomini e donne-pesce magrittiani, l'immagine del pesce ha una grande pregnanza:
«Non so se e fino a qual punto mediata dall'Eliot di The Waste Land, la simbologia del surreale pesce portoghese è chiarissima: la poesia che vince la morte (anch'essa simbolica, la morte travestita da vita); la "vera" vita che tutta una situazione ambientale rinnega e reprime (vedi la Cernia di O'Neill) che vince la "falsa" vita».26
In un intervento dedicato a Requiem, Monica Jansen ne deduce dunque che la cernia del racconto Notte, mare o distanza abbia valore positivo perché compare nella lirica di un poeta molto amato da Tabucchi, Alexandre O'Neill, intitolato Sigamos o cherne (Seguiamo la cernia) e tradotto nell'antologia de La parola interdetta. O'Neill vi definisce la cernia «tradito/Pesce represso» e invita l'interlocutore («amica mia») a seguire la cernia «prima che salga,/Morta, a boccheggiare a fior d'acqua», per non sprofondare in «solitudine e dolore», avendola rinnegata «tutta la vita».27 Per questa ragione, secondo Jansen, Tadeus rappresenta «una specie di prototipo dell'intellettuale portoghese simpatico a Tabucchi».28 Clelia Bettini si spinge oltre, identificando Tadeus con lo stesso Alexandre O'Neill:
«È facile infatti riconoscere in Tadeus il poeta portoghese Alexandre O'Neill. Il più vecchio dei giovani protagonisti, proprio quella sera ha ritirato dalla tipografia una raccolta di sue poesie che sta per uscire in libreria. Nel 1969 O'Neill pubblica la raccolta De ombro na ombreira e non è un caso che ritroviamo Tadeus, per ben due volte, "con la spalla appoggiata allo stipite"».29
In realtà, come sempre in Tabucchi, la questione sembra più ramificata e complessa. Lo scrittore infatti ha affermato: «Tadeus è un mio fantasma, che in qualche modo risulta dalla miscela di due o tre persone che ho realmente conosciuto».30
Le apparizioni della cernia e di Tadeus aprono allo stretto rapporto di vicinanza e germinazione narrativa fra Sostiene Pereira, i racconti de L'angelo nero, Requiem e Per Isabel, scritti in un lasso di tempo molto ridotto, entro il 1996.31 Un universo narrativo i cui fili sono profondamente intrecciati, come aveva già messo in evidenza Bruno Ferraro nell'edizione commentata di Sostiene Pereira32 e come è poi emerso dalla consultazione dei quaderni preparatori del romanzo postumo. Il perno intorno a cui ruotano le vicende di tutti i testi evocati è proprio il personaggio di Tadeus, fantasma che attraversa tutte le storie (anche Voci portate da qualcosa, impossibile dire cosa, che apre L'angelo nero). Si tratta però di un personaggio non del tutto positivo, ambiguo, a tratti luciferino, che incrocia le traiettorie dell'io narrante di varie storie e di alcuni personaggi femminili dai contorni sfumati e talora sovrapponibili. Fra questi spicca Isabel, una donna che affiora di continuo nei romanzi e racconti, dapprima come imprigionata fra Tadeus e i vari io narranti e che poi, a partire dal romanzo a lei dedicato, si manifesta chiaramente come un io dal destino autonomo, principio ispiratore dell'azione e della partecipazione attiva. E anche Tadeus troverà pace grazie al "requiem" recitato e attraversato personalmente nel romanzo postumo Per Isabel. Se il Notturno alla finestra dell'appartamento di Drummond de Andrade, cui appartengono i versi «Esclusivamente la contemplazione / di un mondo enorme e immobile» e «notte, mare o distanza»,33 sembra ritrarre il Tadeus ormai deluso e a tratti passivo spettatore del racconto, è alla figura femminile di Joana che è affidato il gesto che supera l'impasse.
Anche alla luce dello scambio di battute fra Tabucchi e Laurenzi nel 1991, verrebbe da ipotizzare che il modello di intellettuale incarnato da Tadeus sarà in qualche modo superato proprio da Pereira, un intellettuale che, dismettendo l'ambiguità dell'attesa e di una distanza ironica e un po' cinica, alla fine si decide per l'azione e per la testimonianza. Occorre tornare dunque alla cernia «grassa» e «boccheggiante», raccolta pietosamente da Joana dal «rigagnolo sudicio» in Notte, mare o distanza, per comprendere questo importante passaggio. Nonostante il monito «di schifo e allarme» lanciato da Tiago, che lo definisce «un pesce immondo», la cernia per Joana è infatti una creatura viva, che va salvata, e che la ragazza raccoglie amorevolmente due volte, di cui l'ultima davanti a casa di Tadeus, dove è tornata da sola dopo la disavventura col losco poliziotto della Pide.
Che cosa rappresenta la cernia e perché Tadeus sembra dire silenziosamente a Joana: «Ti aspettavo, lo sapevo che saresti venuta, che non avresti resistito alla tentazione»? Davanti all'ambiguità della scena,34 della salita verso l'appartamento a cavallo della cernia (con uno slittamento dalla tinca alla cernia: nel Trittico di Bosch, la coppia a cavallo di una tinca si sta recando a un sabba) e dell'ammiccare di Tadeus (con un'inversione dell'età dei protagonisti: in Bosch la donna è vecchia, qui la ragazza è molto più giovane del poeta), viene da chiedersi: qual è la tentazione a cui Joana non resiste? Se la cernia è l'animale guizzante e vitale della lirica di O'Neill, essa rappresenta forse la dissidenza? È lo slancio giovanile e vitale che essa implica, che va salvato? La tentazione della dissidenza che passa per una parola aperta, non criptica, di denuncia? È questo il messaggio cifrato che il narratore della storia intende lanciare e che Laurenzi non coglie?
In effetti, rievocando a distanza l'atmosfera del raduno a casa di Tadeus, a parte la gioia per la raccolta poetica appena pubblicata, la consolazione di scambiarsi le idee, di discutere di poesia, di sorseggiare il vino portato da Michel, Tabucchi, per bocca del suo narratore ambiguamente distante, aveva parlato di «un disagio, come una tenue malattia; non paura; piuttosto un misto di insicurezza e di struggimento»,35 di un latente senso di inutilità e sconforto che attanagliava i ragazzi, come un blocco dell'azione, il senso di un intrappolamento in una situazione stagnante («una pozza immobile», «un maleficio», «un incantesimo», «il sortilegio»),36 «come sentirsi profughi in una città che era la loro e avere nostalgia della loro vera città, che era quella stessa, ma in un altro momento che non fosse quella sera ostile, quella notte, con le sue onde malefiche pronte a scatenarsi».37 Nella Premessa a La parola interdetta si trova un passaggio perfettamente in linea con l'atteggiamento e lo stato d'animo del gruppo di poeti facenti capo al più anziano e famoso Tadeus. Dopo aver sottolineato quanto il surrealismo portoghese «a livello individuale trov[i] espressioni altissime di poesia», Tabucchi esplicita le ragioni di questo languore paralizzante: «Ma pregiudizialmente, fondamentalmente, è stata la mancanza quasi totale di libertà che lo [il poeta] ha costretto senza rimedio alla sola individuale espressione poetica».38 Tratteggiando la disposizione psicologica dell'intellettuale d'avanguardia ai tempi del regime, Tabucchi sembra descrivere Tadeus:
«Ciò in realtà finisce per produrre nell'intellettuale, dopo un'iniziale illusione di sfogo, di contare qualcosa, un'inevitabile sensazione di sterilità e di impotenza, di esser caduto nel compromissorio gioco del regime. E anche in questa prospettiva va visto quell'atteggiamento poetico di sarcasmo esasperato, di autodistruzione, di autofagia che fa seguito al brivido di frustrazione e di angoscia».39
A rileggere dunque il racconto, ci si rende conto che l'atmosfera di cui è pervaso narra del sentimento dello scacco, del senso di impotenza che scivola verso un'ironia amara, di un intrappolamento per rendere il quale l'autore ricorre a un sottile intarsio di voci poetiche attinte al patrimonio del surrealismo portoghese; a notturni che derivano dal capostipite di tutte le avanguardie, Fernando Pessoa; alle immagini poetiche del brasiliano Carlos Drummond de Andrade; e tutti questi elementi fusi insieme ricreano l'atmosfera della Lisbona di fine anni Sessanta, con i suoi lampioni spenti per il coprifuoco: non sarà un caso la scelta di una buia sera di novembre per uno scrittore che ama la solarità assoluta. La presenza del misterioso trittico di Bosch in un museo della città sembra poi coagulare intorno a sé tutte le sfumature legate al rimorso e al senso di colpa che tale situazione genera in chi ha fattivamente vissuto il paese sotto una dittatura infinita: il virus paralizzante dell'herpes zoster che sarà poi freudianamente tematizzato in Requiem come latente e sempre ritornante, sembra già insinuarsi nel colpevole sentimento di impotenza vissuto dagli intellettuali in un paese «imbavagliato» (per dirla con Mário Soares),40 che solo pochi anni prima di quel novembre 1969 aveva assistito all'assassinio in Spagna di Humberto Delgado e del suo sogno di elezioni presidenziali libere, come ricorda Tabucchi nel suo articolo di risposta a Laurenzi.
A rileggere la descrizione di «quella sera ostile, quella notte, con le sue onde malefiche pronte a scatenarsi» non si può per affinità non pensare alla notte in cui i falsi poliziotti faranno irruzione a casa di Pereira per massacrare Monteiro Rossi, tirando un filo diretto, a ritroso, fra il novembre 1969 e l'estate 1938. Allora viene quasi da pensare che la "tentazione della cernia" cui cede Joana sia speculare alla decisione di Pereira di denunciare l'omicidio politico di Monteiro: due conclusioni che si rispondono, ma nel caso di Pereira secondo una modalità narrativa più chiaramente leggibile, senza ombre e senza ambiguità interpretative. Un'azione decisiva, una svolta. Il «buon viatico» di cui parlava Tadeus, quel messaggio criptico che risuona nel racconto Notte, mare o distanza, sembra dunque essere stato raccolto dal vecchio Pereira, raffinato traduttore, letterato e giornalista, pratico di cronaca nera, che rompendo il baluardo difensivo dei suoi autori francesi dell'Ottocento si apre all'azione. E non sarà forse un caso che un invito diretto a reagire e ad agire venga a Pereira dall'anziana signora Delgado, incontrata in treno: il suo cognome sembra un omaggio a quell'Humberto Delgado che pagò con la vita la scommessa di vincere a carte scoperte il salazarismo. Quanto al vigoroso Dottor Cardoso, porta forse in sé il lievito di José Cardoso Pires, uno degli scrittori attivi sulle riviste impegnate, come «Almanaque», evocate da Tabucchi nel suo articolo?41
È per questo che Tabucchi mette nel cassetto un romanzo già scritto, Per Isabel, come ricorda in un'intervista con Carlos Gumpert,42 e si cala nel vecchio giornalista Pereira a cui una giovane Marta soffia nell'orecchio il vento della rivoluzione? I due ragazzi a cavallo della cernia evocata da Laurenzi, Tadeus e Joana, arrotolando il tempo all'indietro, fino al 1938, vanno a risvegliare il vecchio giornalista che può testimoniare per loro, per l'orrore che vedranno ancora nel 1969? Pereira: un testimone attendibile di ciò che succede ai giovani dissidenti sognatori, ai rivoluzionari amanti della vita come Monteiro Rossi, alle pasionarie come Marta che li spingono in guai più grossi di loro. Sembra che, dal cassetto in cui è chiusa, Isabel, attivista antisalazarista, con un breve passaggio in Joana si incarni poi in Marta, esca allo scoperto, porti scompiglio, ispiri il cambiamento esistenziale, l'azione e l'impegno. Il romanzo è accantonato, ma il personaggio è già uscito tutto intero dalla penna dello scrittore ed è pronto a incontrare Pereira.
Se infatti in Requiem e in Per Isabel il focus è sui due personaggi-guida del mondo dell'immaginale tabucchiano, Tadeus e Isabel, fantasmi che incarnano due modalità dell'esistenza, contemplazione e azione (persistenza che tradisce l'intimo legame dei due romanzi con Notte, mare o distanza), dopo il confronto con Laurenzi a Tabucchi sembra di dover trovare un'impostazione nuova, la storia di un antieroe comune, cattolico e conservatore, impacciato ma con grandi potenzialità (la cultura, la sensibilità, la generosità, le buone maniere e la buona educazione di un tempo), dotato di una humanitas da reimmettere come una linfa nuova in un'Europa sull'orlo dell'abisso. Un uomo a lungo rimasto congelato nella sua «nostalgia di pentimento»43 e che rinasce al futuro, capace di trasformare la scrittura in un grimaldello e pronto a indignarsi di fronte allo strazio dell'idealismo disposto al sacrificio, dei figli mandati al macello. Capace di un gesto dirompente. Pereira, che a inizio romanzo è, forse suo malgrado, il guardiano della «parola interdetta» e blocca continuamente gli slanci di Monteiro e Marta, pian piano si rende conto che quella parola va incoraggiata, che potrebbero avere ragione i due ragazzi, che le battaglie non combattute potrebbero cicatrizzarsi in ferite dolorose, come nelle parole del suo amato Pessoa, su cui torneremo in conclusione.
È certamente significativo poi che in quello stesso 1993 in cui finisce di scrivere Sostiene Pereira Tabucchi ridia alle stampe Piazza d'Italia, il suo esordio narrativo di vent'anni prima, «favola popolare» intrisa di Storia e di lotte per l'uguaglianza e la giustizia.44 Quel libro apriva la strada a un modo di affrontare l'impegno che non intendeva rinunciare alla letteratura. Neanche Sostiene Pereira è solo realismo e impegno, come è evidente. Tutto ciò che Tabucchi scrive ribadisce le ragioni della letteratura.
IV. La costruzione della testimonianza e le «ragioni del cuore»
Il punto su cui sembra concentrarsi l'attenzione dello scrittore in Sostiene Pereira riguarda la questione del narratore, che deve assumere il coraggio diretto del testimone. Laurenzi non si era fatto convincere dalla scelta narrativa di Notte, mare o distanza, inferendo che il narratore prendesse le distanze da un episodio da lui vissuto direttamente ma volutamente allontanato e rinarrato per forza di immaginazione e fantasia. In tal senso forse il giornalista interpretava la «distanza» del titolo del racconto.
Tabucchi ha dunque bisogno di un testimone diretto che offra al lettore la sua versione dei fatti e, proseguendo nel raffinato intreccio letterario da cui si origina Pereira, torna ad attingere al poeta inglese T.S Eliot, che aveva già evocato, come si è visto, per la simbologia ittica del surrealismo portoghese. Fedele alla sua natura di scrittore delle voci catturate per caso e in continuità con il gioco di Voci portate da qualcosa, impossibile dire cosa, in apertura de L'angelo nero, egli capta un lacerto di dialogo fra due ragazze, Dusty e Doris, che, nel frammento di Prologo di un'opera teatrale incompiuta, Sweeney Agonistes (1932), si interrogano sulla credibilità di un misterioso Pereira, un everyman di origine portoghese, incolore e serio studioso, che paga loro la retta dell'appartamento.45 Questo involucro incompiuto di personaggio attrae Tabucchi, che gli dà corpo e storia e ne fa il protagonista del suo romanzo. Anche nel romanzo poi il dottor Pereira resterà senza nome proprio e i dialoghi sono certo elemento importante dell'universo narrativo di Tabucchi, costruito su una polifonia di punti di vista e su una continua problematizzazione della realtà46 in cui l'attendibilità del protagonista «sembra essere continuamente messa in discussione dalla voce narrante».47
Interessante dunque il dialogo che Tabucchi costruisce tra l'anonimo narratore del romanzo e Pereira. Ma perché il lettore possa identificarsi con il punto di vista di Pereira e "sostenerlo", egli stesso ha dovuto sentire con forza la necessità di difendere il proprio punto di vista, cosa che fa in ogni riga del suo articolo di risposta a Carlo Laurenzi del 10 luglio 1991, creando a tutti gli effetti un'argomentazione ritmata melodicamente. Non sfuggirà infatti, leggendo l'articolo di Tabucchi, la ricorrenza del verbo «sostenere», che tanto peso avrà nella compattezza del romanzo di Pereira. Vale la pena ripeterne le occorrenze:
«Intanto Laurenzi sostiene che io mi sottrarrei "ad una precisa iniziativa testimoniale".
"Credo che Salazar non fosse oppressore per vocazione", sostiene Laurenzi.
Non ho mai conosciuto la vocazione di Salazar, e non ci tengo: ma una cosa posso sostenere, che Salazar fosse un dittatore fascista.
Ma in Portogallo non c'era solo una "fronda di intellettuali" come sostiene Laurenzi, malati di esterofilia che scrivevano brutte poesie sul "Jornal de letras e artes"».48
Il verbo ritma la confutazione tabucchiana, creando una sorta di dialogo, di contraddittorio punto per punto degli argomenti del suo interlocutore. Una modalità narrativa familiare ai lettori di Sostiene Pereira.
In una nota intervista con Anteos Chrysostomidis, Tabucchi ha raccontato che il refrain «sostiene Pereira» non gli è nato subito:
«Prima di mettermi a scrivere, sapevo già chi era Pereira, conoscevo il suo nome, com'era fatto. Eppure mi mancava qualcosa, mi mancava la colonna sonora del racconto. Nell'estate del '93, al termine dei miei impegni accademici, andai in Portogallo assieme a mia moglie. E lì, una mattina, bevendo il caffè, ebbi una specie di illuminazione e su un pezzo di carta scrissi: "Sostiene Pereira che...". Questa era la colonna sonora che mi mancava, avevo aperto un rubinetto e il romanzo poteva finalmente scorrere».49
La prima versione del romanzo, autografa, conservata presso la BnF di Parigi, registra in effetti un iniziale «Secondo Pereira» che segue le oscillazioni delle ipotesi di titolo - Secondo Pereira, L'opinione di Pereira, Pereira sostiene - in un graduale cammino sempre più musicale.50 Si potrebbe aggiungere che, diversamente da racconti e romanzi tabucchiani con una colonna sonora molto presente (si pensi all'intarsio musicale di Per Isabel ma anche a certi racconti di Piccoli equivoci senza importanza), in Sostiene Pereira, salvo la canzone O sole mio cantata da Monteiro Rossi e l'imprecisato valzer ballato da Pereira e Marta alla festa salazarista di Praça da Alegria e le vecchie canzoni di Coimbra cantate alla fisarmonica da un accattone verso la fine del romanzo, non ci sono citazioni di canzoni o brani musicali: la melodia è tutta incentrata su quel sintagma così singolare che lo scandisce con molta coerenza e impedisce forse di distrarsi dal ritmo che imprime alla narrazione.
Anche il sottotitolo della storia varia da un iniziale e un po' criptico «Intermezzo» (ma lo statuto frammentario di questo titolo provvisorio si ricollega anche al passaggio dello Sweeney Agonistes in cui compariva il misterioso Pereira e che Tabucchi definiva «intermezzo», nella Nota per il «Gazzettino» già evocata) alla definitiva e significativa «testimonianza», cui non sembra estranea l'intima eco della polemica del 1991 con Laurenzi. Aveva ribadito infatti asciuttamente Tabucchi alla critica relativa a Notte, mare o distanza: «Produco dunque della "finzione" e i miei racconti, se testimoniano qualcosa, testimoniano al secondo livello a un diverso grado di informazione.».
In effetti, come spesso in Tabucchi, la costruzione dell'universo narrativo predilige, oltre al dialogo e alla narrazione in seconda persona (alla Michel Butor), le «storie di seconda mano», per dirla con Luigi Pinton, che considera quest'ultimo il tratto distintivo originale di alcuni dei romanzi più significativi del secondo Novecento.51 Della produzione tabucchiana, Pinton cita Sostiene Pereira e Tristano muore, intendendo per «storie di seconda mano» quelle narrazioni in cui «il narratore (che a volte si confonde con l'autore) si ritrova a tu per tu con un'altra persona e fa da testimone a questo incontro, ascoltando e riportando la storia dell'altro».52 In questi casi, il narratore, ponendosi come testimone dell'incontro con il personaggio che gli ha narrato la storia, da un lato rivitalizza la figura dello storyteller e dall'altro ci induce a riflettere eticamente sul valore dell'ascolto e sulla responsabilità nel riportare le parole altrui.53 In questo senso, il ricorso melodico al verbo «sostiene» e il sottotitolo «una testimonianza» spingono il lettore a una continua riflessione sulla questione della credibilità di Pereira, sull'attendibilità del narratore che ne riporta le parole e sul proprio compito di valutazione di quanto letto nel romanzo.
In questo gioco di inscatolamenti diegetici e di storie che passano di bocca in bocca, non si può non notare che alla stessa tipologia narrativa appartiene anche uno dei racconti-chiave tradotti da Pereira nel corso della storia, Honorine di Balzac, che spinge il giornalista a riflettere sul pentimento. Nella ricca tramatura di rimandi che rendono Sostiene Pereira così raffinato e complesso, colpisce questo aggancio narrativo incastonato nel gioco dei punti di vista e delle traduzioni di parola, a offrire en abyme una conferma della struttura del romanzo.
In conclusione dunque, i due filoni di riflessione stimolati dalla polemica giornalistica dell'estate 1991, la necessità di una testimonianza storica sulla reale situazione portoghese sotto Salazar e quella di una forma romanzo che potesse giungere a una vasta platea di lettori presso i quali «sostenere» le ragioni della propria diagnosi della realtà, trovano in Sostiene Pereira un risultato molto convincente. Tabucchi chiama a sostegno del suo lavoro tutta una serie di "testimoni", come abbiamo cercato di mostrare, che attestino la forza della letteratura accanto alle «ragioni del cuore». Pereira stesso, sostenendo la sua versione dei fatti, dà forza a tali ragioni, che sono quelle con cui in fondo sceglie i testi da tradurre. Osserva Marella Feltrin-Morris che l'avventura narrativa di Pereira si inscrive nel segno della traduzione: il giornalista esule incontrato a Parigi da Tabucchi certo gli avrà narrato la sua storia in portoghese o in francese; Tabucchi poi però quella storia l'ha scritta in italiano e ha dato vita a un traduttore dal francese, il cui cognome deriva da un frammento di Eliot, in inglese, ma omaggia anche - aggiungiamo qui - un'importante radice della civiltà portoghese, quella ebraica. In conclusione, Pereira è personaggio che nasce all'incrocio delle lingue e delle culture di cui Tabucchi è mediatore.54 Inoltre, con la sua parola, Pereira conserva la freschezza dell'oralità e condensa e rappresenta tutte le testimonianze con cui Tabucchi è entrato direttamente in contatto nel corso dei suoi lunghi anni di frequentazione del Portogallo sotto Salazar.
Questa vitale ricchezza di esperienze che rischiava di essere spazzata via da una dittatura feroce in un'Europa sempre più oscuramente minacciata dai totalitarismi spinge Pereira al risveglio di coscienza. Come agisse in lui il fantasma del timido scrivano lisbonese alla finestra, Bernardo Soares, che solo sei anni prima dell'avventura di Pereira aveva affidato al suo diario una dolorosa presa di coscienza:
«Ho vissuto tanto senza avere vissuto! Ho pensato tanto senza aver pensato! Mondi di violenze immobili, di avventure trascorse senza movimento, pesano su di me. Sono stanco di ciò che non ho mai avuto e che non avrò, stanco di Dei che non esistono. Porto con me le ferite di tutte le battaglie che ho evitato. Il mio corpo è dolorante per lo sforzo che non ho nemmeno pensato di fare».55
E invece, nell'estate rovente del 1938, il corpo di Pereira, pur carico di anni, malattie e lutti, quella carne nella cui resurrezione egli non crede, alla fine si raddrizza e, senza più bisogno del bastone, sorridendo, va incontro al suo incerto futuro.
Appendice 1 Laurenzi - Tabucchi,
Due articoli del 1991
I. Carlo Laurenzi - «il Giornale», 26 giugno 1991 2
Terzapagina
A proposito di un racconto di Tabucchi
Una cernia portoghese
Nell'Angelo nero di Tabucchi (pubblicato da Feltrinelli), narratore per il quale non tacerò la mia stima, un racconto mi delude nonostante l'atmosfera suggestivamente madida che lo pervade. Madida come certe notti atlantiche nei mesi d'autunno: ecco infatti Lisbona, città familiare ad Antonio Tabucchi, nell'anno 1969 in una notte che l'autore definisce atroce e nulla in materia portoghese potrebbe interessarmi più del contenuto di questo racconto il cui titolo è «Notte, mare o distanza». In quel 1969 Antonio de Oliveira Salazar, ridotto da una trombosi a una sorta di vegetale, aveva ceduto il potere al professor Marcelo Caetano, economista anche lui cautamente, felpatamente crudele. Nessuna opposizione veniva tollerata, il che non significa, ovviamente che non esistessero oppositori. Il racconto di Tabucchi vede un gruppuscolo di giovani oppositori, poeti più che attivisti, alle prese con uno sbirro della polizia segreta, eccezionalmente o normalmente brutale: a questo proposito vorremmo saperne di più, considerando che qualche anno dopo - nel 1974 - il Portogallo avrebbe conseguito o meglio conquistato il più radicale dei rinnovamenti.3
L'episodio riferito o sbriciolato in «Notte, mare o distanza» avrebbe potuto illuminarci su qualcuno dei lineamenti oscuri di una lotta e di un'oppressione, tanto più che probabilmente lo stesso Tabucchi faceva parte del gruppuscolo o gli era molto vicino al pari di altri stranieri. Invece, adeguandosi a qualcosa che ci rammenta l'Ecole du Regard, Tabucchi si isola in una posizione di osservatore - sia pure sentimentalmente coinvolto - e si sottrae a una precisa iniziativa testimoniale. «Quando immaginava come avrebbero potuto essersi svolti i fatti di quella notte, gli arrivava la voce nasale e ironica di Tadeus»: colui che «immaginava» è probabilmente Tabucchi il quale procede per ipotesi e illazioni certificando o smentendo la sua assenza-presenza: «Che cosa incongrua un muso di cernia dal finestrino di un'automobile nera nella Rua Dom Pedro Quinto in una notte di novembre del 1969. Ma questo dipendeva dall'immaginazione di chi pensava a come avrebbero potuto essersi svolti i fatti quella notte. Così, a quel punto, la sua immaginazione produceva una cernia», dapprima boccheggiante in un rigagnolo o positivamente moribonda ma poi alla fine, riscuotendosi dal torpore dell'agonia, abbastanza energica da trasportare a cavalcioni la ragazza Joana e il poeta Tadeus su per le scale che conducono all'appartamento dello stesso Tadeus e anche più su «fino a entrare in un vortice, caparbia, oleosa, instancabile».
Non saprei quale allegoria adombri la cernia di Tabucchi: se ci limitiamo all'immagine in sé direi che si tratta della scivolata dell'autore in un surrealismo abbastanza scaduto. Mi chiedo se Tabucchi conosca quel «Vecchio Cannoniere» di René Magritte il cui originale, custodito da una proprietaria intrattabile, si trovava fino a qualche tempo fa in un appartamento della Fifth Avenue: il cannoniere, benché privo di una gamba, ha forma umana dalla cintola in giù mentre dalla cintola in su è una nauseabonda e patetica cernia, al corpo squamoso della quale si appoggia fiduciosamente o amorosamente una ragazzina nuda.4 Ciò che funziona in Magritte (il dipinto risale al 1947) non è sicuro che funzioni anche per Tabucchi [e?]5 quarantaquattro anni dopo; sta di fatto che, al di là della cernia di Tabucchi, intuiamo l'estendersi di un territorio insidioso. L'agente della polizia politica sceso dalla Mercedes nera in compagnia della cernia (impossibile in un primo momento prevedere la tendenza ideologica della creatura marina) non è tanto riprovevole perché colpisce con la canna della pistola un certo Tiago - che va sputando «denti e sangue» - quanto per la ferocia con cui rievoca le sue prodezze sadiche nel Mozambico e in Angola: «Per dominare un'altra razza bisogna in primo luogo dominarla sessualmente» senza sminuire l'apporto di «questa mia amica pistola che io chiamo Maria de Lourdes perché mi ha sempre protetto».
Disgustoso. E adesso, qui, sto cercando di mettere a fuoco alcune impressioni di un lontano viaggio portoghese per confrontarle con i ricordi di Tabucchi. Era il '64 o il '63:6 non affrontai nessun carnefice ma notai anch'io in molti giovani «un disagio come una tenue malattia; una paura; piuttosto un misto di insicurezza e struggimento». Il Portogallo conservava tutte le sue colonie7 e Lisbona, dunque, era la capitale di un impero, città sufficientemente altera e corrosa per conformarsi a un simbolo degradato. Le difficoltà del governo si intuivano immense nella difesa dell'impero. Manifestini discreti ma perentori tappezzavano Lisbona: «Il Mozambico, l'Angola, la Guinea sono portoghesi da cinque secoli» e «Il Portogallo non è in vendita» o anche «Resisteremo, combatteremo se sarà necessario». Credo che Salazar non fosse un oppressore per vocazione ma piuttosto un conservatore opprimente; le venti famiglie che possedevano la terra, affiancate dai nuovi ricchi, identificavano nell'ideologia corporativo-imperialistica il baluardo dei loro privilegi: l'impero come mercato dal quale comprare a prezzi bassissimi, al quale vendere a prezzi esosi.
La fronda dei giovani intellettuali si esprimeva nell'esterofilia e in un mesto amore per i poemi. Tutte le metropoli straniere, inclusa la franchista Madrid, apparivano affascinanti nel «Jornal de lettras [sic] e artes»;8 Roma veniva lodata a causa del «traffico tumultuoso» e inoltre per la sua «indisciplina creativa». In un numero del «Jornal», che conservo, la sola stroncatura riguarda il film americano «Cleopatra». Buona parte del fascicolo è occupata da poesie malinconicissime con titoli come «Insonnia», «Il pagliaccio», «Qui non accade nulla», «Reintegrazione della tristezza». I poeti, fin troppo numerosi, rappresentavano la punta di diamante dell'opposizione; i loro versi erano di solito cattivi per eccesso di impegno il che li rendeva, civilmente, meritevoli di lode.9 Una sera guardai due paracadutisti, nelle loro tute mimetiche a disegni lilla e arancione, ridere senza contegno - la qual cosa è rara in Portogallo - di fronte a un altro manifesto, di pretesa più suasiva, che invitava i turisti a visitare la Guinea quasi si trattasse di un Eden: un po' come se, l'inverno passato, qualcuno ci propagandasse le delizie di Bassora. Una lezione di energia, e magari di speranza, mi provenne da una rivista di varietà - Chapeau alto -10 ovverossia «Cappello a cilindro» - i cui frizzi erano come un piccolo fuoco, amaro nella sua allegrezza. Aveva importanza ciò che era sotteso o frainteso, più di ciò che era detto. Gli attori, molto giovani, si manifestavano abilissimi nella reticenza e la satira, in fondo, mordeva.11 Aveva importanza che, mentre sulle spiagge i costumi da bagno erano obbligatoriamente super-castigati, le tre o quattro ragazze di Chapeau alto si offrissero in bikini da Costa Azzurra. Erano ragazze elegantissime, di una magrezza squisita. Avevano occhi neri, brucianti, pronunciavano battute in quella loro lingua che sembra piangere con una grazia beffarda.
II. Antonio Tabucchi - «Corriere della Sera», 10 luglio 1991
Discussioni
Intervento dello scrittore Antonio Tabucchi a proposito del Portogallo degli anni Sessanta
«No, non provo nostalgia per l'oscura Lisbona di Salazar»
Sul «Giornale» di mercoledì 28 giugno12 un articolo di Carlo Laurenzi mi tira in causa. Partendo da un mio racconto («Notte, mare o distanza», da L'angelo nero, Feltrinelli) Laurenzi effettua una lettura del Portogallo salazarista che mi trova fortemente dissenziente. Ho il sospetto che le nostre formazioni non siano esattamente le stesse: da ciò probabilmente la nostra disparità di vedute.13
Intanto Laurenzi sostiene che io mi sottrarrei «ad una precisa iniziativa testimoniale». La cosa mi stupisce perché, e Laurenzi dovrebbe saperlo perché scrive, io sono uno scrittore, dunque né un giornalista né tantomeno un cronista. Produco dunque della «finzione» e i miei racconti, se testimoniano qualcosa, testimoniano al secondo livello a un diverso grado di informazione. Ma voglio prescindere dal mio racconto. Prima di farlo vorrei solo specificare che quella cernia, che ha reso così perplesso Laurenzi e che egli ingenuamente interpreta di natura magrittiana, è la cernia che un uomo e una donna cavalcano per recarsi a un sabba nel trittico delle Tentazioni di Bosch del Museo di Lisbona.14
Ma veniamo al Portogallo. Laurenzi dice che nel '63 o '64 fece un viaggio a Lisbona. E ne ricavò delle impressioni che riporta nel suo articolo. In quegli anni a Lisbona c'ero anch'io, ma Laurenzi non l'ho incontrato. Evidentemente non frequentavamo gli stessi ambienti e i nostri percorsi non erano destinati a incrociarsi.15
Ora, cos'era il Portogallo in quegli anni? Il Portogallo era un paese fascista, questa è la pura e semplice verità. Un paese che proveniva da un colpo di Stato militare che aveva insediato come dittatore unico Antonio de Oliveira Salazar, un Paese che aveva imposto una carta corporativa a modello dell'Italia di Mussolini, un Paese che contava su una poderosa polizia politica (la famigerata pide) e su un sistema repressivo raffinatissimo. Metà del paese era emigrato all'estero o era in galera (il forte di Caxias era pieno di prigionieri politici), la gente scomoda era schedata, gli intellettuali (soprattutto gli scrittori) ricevevano ogni sera una «amichevole» visita della polizia. Così era il Portogallo.
«Credo che Salazar non fosse oppressore per vocazione», sostiene Laurenzi. Non ho mai conosciuto la vocazione di Salazar, e non ci tengo: ma una cosa posso sostenere, che Salazar fosse un dittatore fascista. Perché non chiamare le cose col loro nome? L'Europa ha conosciuto anche il fascismo. Salazar ne è stato un continuatore fino agli anni Sessanta. E lo hanno lasciato fare le grandi potenze, gli equilibri internazionali, la Storia con la esse maiuscola. E lui lo ha fatto.
Ma in Portogallo non c'era solo una «fronda di intellettuali» come sostiene Laurenzi, malati di esterofilia che scrivevano brutte poesie sul «Jornal de letras e artes». Il «Jornal de letras»? Ma perché mai, mi chiedo, Laurenzi avrà comprato il «Jornal de letras e artes»? Forse era una rivista nella quale si riconosceva. Se avesse comprato «O tempo e o modo», che era una coraggiosa rivista cattolico-progressista,16 o se avesse comprato «Almanaque» diretto da Cardoso Pires,17 forse avrebbe avuto un'impressione molto differente.
Curioso, era il 1964. Nel 1961 era cominciata la guerra d'Angola, c'era già stato il transatlantico Santa Maria del capitano Henrique Galvão.18 Nel 1962 c'era stata una forte crisi universitaria, con scioperi, arresti, morti. Il 1963 era cominciata la guerriglia in Guinea. Lisbona era percorsa da giovani reduci senza gambe e senza braccia. La guerra coloniale si vedeva ad ogni angolo di strada. E la fronda non era poi così fronda.
Non bisogna dimenticare che in quegli anni i partiti democratici portoghesi erano clandestini, che Álvaro Cunhal, leader del Partito comunista portoghese, dopo una rocambolesca fuga dalla prigione, si era rifugiato in un Paese dell'Est; che Mario Soares, attuale presidente della Repubblica portoghese, era esule a Parigi, dove scriveva Le Portugal bâillonné,19 il Portogallo imbavagliato, che, venduto clandestinamente in Portogallo, influì fortemente sui militari che restituirono il Paese alla democrazia; che il generale Humberto Delgado, forte oppositore democratico, si trovava anch'egli in esilio e che sarebbe stato assassinato dalla polizia politica portoghese a Badajoz nel 1965.20
Questo dunque era il Portogallo, ma Carlo Laurenzi dice che in quel suo lontano e immagino sporadico viaggio non «incontrò nessun carnefice» della polizia politica come lo incontrano i protagonisti del mio racconto. Può darsi. Certo se si scendeva al Ritz o se si andava a cena al Tavares21 non si correva il rischio di fare brutti incontri. Però, se durante il giorno si andava a far visita a scrittori in prigione, la sera si rischiavano veramente brutti incontri. Ma basta qui. Non voglio ricordare oltre. Quella Lisbona oscura, minacciosa, infida, appartiene ad altri tempi. Oggi Lisbona è una città nella quale si hanno i problemi di tutte le altre città europee: una città caotica, difficile, moderna. Eppure... Eppure penso a quella mia Lisbona di allora e io, che sento così fortemente la seduzione della nostalgia, non riesco a provare nessuna nostalgia. Perché oggi Lisbona è una città libera e questo, per intanto, mi basta.
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gennaio-maggio 2023, n. 1-2
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