Georgios Katsantonis, Anatomia del potere. «Orgia», «Porcile», «Calderón». Pasolini drammaturgo vs Pasolini filosofo, Pesaro, Metauro Edizioni, 2021, 298 pp., 22 €
di Francesca Cadel, University of Calgary

 

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Anatomia del potere. Orgia Porcile, Calderón. Pasolini drammaturgo vs Pasolini filosofo, il bel libro di Georgios Katsantonis, lo studioso che nel 2021 ha vinto la XXXVII edizione del Premio Pier Paolo Pasolini, nella sezione tesi di dottorato, fa venir voglia di rileggere tutto Pasolini, collegando il suo teatro di parola a una precisa stagione della storia del costume e della politica in Italia: quella della seconda metà degli anni '60, e del passaggio agli anni '70, il «decennio più lungo del secolo breve».1
La tesi alla base del libro, intitolata «Drammaturgie del corpo patetico. "Orgia", "Porcile", "Calderòn" di Pier Paolo Pasolini», venne discussa presso la Scuola Normale Superiore di Pisa (relatore Massimo Stella), e fu premiata all'unanimità da una commissione composta dai professori Marco Antonio Bazzocchi (Presidente), Luciano de Giusti, Massimo Fusillo, Hervé Joubert-Laurencin e Niva Lorenzini, con la seguente motivazione: «La ricerca presenta un notevole spessore culturale, riesce a far interagire senza forzature le teorie di Deleuze sul masochismo, il pensiero femminista, le riflessioni di Spinoza sul potere; e fa un confronto non scontato e del tutto nuovo con l'opera di Strindberg; e infine offre una traduzione in greco moderno di Orgia, un'operazione di sicuro da apprezzare».2
Di grande interesse sono tutte le analisi di tipo comparatistico: risultano accattivanti in particolare i collegamenti intertestuali con l'opera di Sade e il teatro pasoliniano, insieme ad una lettura originale del rapporto fondamentale in Pasolini tra eros e thanatos, concetti che vengono interpretati da Katsantonis attraverso una lettura antropologica del sacro. Le parti che mi hanno affascinato maggiormente per la loro originalità riguardano l'analisi di Porcile, e le pagine dedicate dal ricercatore di Patrasso all' afasia linguistica di Julian, in un collegamento fondamentale con la filosofia di Spinoza, che viene utilizzata per arrivare al concetto dominante in tutto l'ultimo Pasolini: «obbedienza e disobbedienza insieme», un ossimoro programmatico presente, vorrei segnalarlo, fino all'ultima raccolta di versi in lingua friulana, La nuova gioventù (1975). Nel componimento intitolato Introduzione in apertura a La seconda forma de «La meglio gioventù» si legge: «A chi / si taglia i capelli / e si presenta col ciuffo / e la nuca pura / del giovane forte e libero, / io darò questo libro, / perché egli potrà capire // la sua novità: obbedienza / e disobbedienza, insieme. / E poi cosa importa? / L'amore, per giocare, ha soltanto un prato».3
Vorrei avvalorare questo importantissimo riconoscimento, il Premio Pier Paolo Pasolini, da parte di una giuria di esperti di fama, con il mio apprezzamento per la straordinaria originalità dell'analisi, segnalando solo en passant alcune perplessità sulle quote rosa, considerato il numero limitato di testi sul "pensiero femminista" citati nella bibliografia della tesi alla base del libro, dominata da nomi maschili (un rapporto di 1 a 4).4
Vorrei inoltre considerare l'importanza di Laura Betti, un gigante del teatro italiano: non soltanto musa per Pasolini, ma vera e propria partner e sodale, elemento attivo in tutta la sua produzione, non soltanto teatrale: nel libro di Katsantonis la Betti risulta citata due volte soltanto, una terza in nota col fondamentale Le regole di un'illusione.5 Nella tesi, il discorso risulta lievemente approfondito, ivi si legge:

«Laura Betti dava proprio l'idea di un automa parlante: ha una voce femminile dalle tonalità patetiche, delicate e senza mutamento timbrico. La voce in uno stato di anestesia psichica e distacco alla Brecht, come se leggesse il testo seduta in poltrona, non vibra di nessuno spavento nei confronti del suo carnefice. La sua phoné non possiede la parola, ma ne è posseduta. Come se Pasolini cercasse la poetica del suono abbandonando completamente il senso della parola. Una recitazione anomala, senza rottura della linearità, aggrappata al suono e no alla presenza scenica dell'attore. Dunque nella sua prassi teatrale i personaggi erano completamente, resi marionette grottesche del linguaggio sotto la necessità di uccidere ogni sorta di recitazione».6

In ogni caso, i pregi del volume di Katsantonis sono numerosissimi: la densità (e l'originalità) delle sue analisi hanno la caratteristica della novità e della freschezza di uno sguardo nuovo su un autore come Pasolini, troppo spesso vincolato a una sorta di iper-connessione, chiamato in causa a rispondere di tutto quanto accadde in Italia a cavallo tra due secoli, gli ultimi, che condussero il mondo intero alla dimensione corporale dello Stato Imperialista delle Multinazionali (SIM), per citare il linguaggio codificato delle Brigate Rosse, e una stagione che Pasolini, pur annunciandone la virulenza, non visse completamente, eliminato pour cause.
Ci furono ragioni (non il sadomasochismo del XXI secolo) per eliminare Pasolini, ci sono ragioni oggi per continuare a leggerlo con attenzione, come ha fatto Katsantonis nel suo bel libro. Innanzitutto la capacità dell'autore di proporre analisi di ampio respiro: nel I capitolo, dedicato a Orgia, collega Sade a Pasolini in un affascinante close-reading; nel II capitolo, dedicato a Porcile, avvicina lo Sparagmòs rituale dei riti dionisiaci al pensiero di Antonin Artaud sul CsO, il corps sans organes rielaborato da Deleuze e Guattari, e alla filosofia di Derrida, con la sua attenzione alla "questione dell'animale"; per arrivare infine alla splendida analisi comparatistica tra Calderón de la Barca, Strindberg e Pasolini nell'ultimo capitolo dedicato a Calderón. Segnalo in proposito (p. 187) una piccola svista: l'amico cui Pasolini negli anni '40 scriveva di aver letto per la prima volta La vita è sogno di Calderón de la Barca, non è Franco Fortini, che Pasolini conobbe solo in un secondo tempo, negli anni '50, ma l'interlocutore prezioso della sua prima giovinezza, Franco Farolfi. Vorrei concludere invitando i giovani lettori contemporanei a godere di questo importante contributo di Georgios Katsantonis per avvicinarsi alla comprensione di Pier Paolo Pasolini e della sua opera, tenendo bene in mente le parole di Pasolini citate da Katsantonis: «lo straniamento e il distacco non fanno per me, come del resto la "crudeltà"» (p.16).

 

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