Nunzio Bellassai
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I. II. III. |
Una lotta tra sessualità e sublimazione La liberazione sessuale e la critica al Sessantotto L'impossibilità di modificare il reale |
I. Una lotta tra sessualità e sublimazione
Io e lui (1971) è stata probabilmente una delle opere più criticate della lunga produzione di Alberto Moravia, il suo «fallimento più esemplare e sintomatico» secondo Almansi.1 Il romanzo è stato pubblicato a distanza di sei anni dall'ultimo, L'attenzione, in una fase ricca di avvenimenti decisivi per la storia del Paese, come il movimento sessantottino, che Moravia vive in un misto di interesse e approccio critico.2
Come osserva Pullini, il presupposto di Io e lui è lo sdoppiamento del suo eroe tra «coscienza intellettuale e urgenza sessuale», caricaturando «l'asservimento del cervello alla tirannia dell'istinto» attraverso il racconto fallico.3 Il dialogo tra il mediocre regista Federico e il suo spregiudicato membro, modellato in parte sui Gioielli indiscreti di Diderot4 e in parte su Il sosia di Dostoevskij,5 riflette sulle conseguenze della liberazione sessuale e del concetto di militanza sostenuti dai gruppi politici che animarono il Sessantotto.
Il protagonista, Federico, conduce uno stile di vita borghese, ha trentacinque anni ed è sposato con Fausta, da cui ha avuto un figlio, Cesarino. Come Riccardo de Il disprezzo, Dino de La noia e Francesco de L'attenzione, Federico ha velleità artistiche che lo spingono a interrogarsi sui rapporti tra l'individuo e la realtà, anche se ogni tentativo di raggiungere il successo, dal punto di vista sessuale, umano e lavorativo, rimane frustrato. Segue da vicino i mutamenti storici e sociali del Sessantotto con curiosità e ammirazione, vorrebbe incarnare il modello di intellettuale militante di sinistra proposto dai movimenti, ma appartiene a una generazione precedente ed è bollato dai gruppi rivoluzionari come reazionario. Per la sua viscerale incapacità e frustrazione, Federico appartiene al ricco repertorio di inetti moraviani.
«"Sono un regista".
"Un regista? Hai fatto molti film?".
"No, nessuno finora".
"Allora non sei un regista"».6
L'insufficienza dell'uomo moraviano, avvolto in una mediocrità fisica e spirituale, lo spinge a mostrare al mondo circostante la propria forza e virilità, come cerca di fare Federico con la moglie Fausta criticandola continuamente. Se Dino e Francesco Merighi vivono con sofferenza la propria sfera sessuale, come dimostrato dal rapporto rispettivamente con Cecilia e Baba, Federico estremizza il problema. Il giovane regista denuncia, per tutto il romanzo, il fatto che l'incontrollabilità delle proprie pulsioni derivi dalla volontà del proprio fallo parlante. Il protagonista vorrebbe affermarsi nel proprio ambito lavorativo, cioè con i film, ma i desideri sessuali a cui è spinto dal proprio pene impediscono il suo successo: la sublimazione freudiana diventa, pertanto, una possibilità di salvezza.
Se la malattia a cui Francesco e Dino riconducevano tutti i loro problemi erano rispettivamente la disattenzione e la noia, Federico associa la sua dipendenza dai desideri del pene alla mancata sublimazione.7 Questo processo, di cui il protagonista denuncia la necessità,8 è descritto come un meccanismo di difesa che il soggetto può usare per ridurre sentimenti e pulsioni inaccettabili dell'Es a una forma innocua e produttiva. Gli impulsi istintuali vengono quindi repressi, con la possibilità di sfruttarli per attività non istintuali, verso «oggetti socialmente valorizzati»:9 infatti, secondo Freud, la sublimazione si realizza soprattutto nelle attività artistiche e intellettuali.10
Nel caso specifico di Federico, la meta delle sue energie dovrebbe essere la realizzazione di un lungometraggio «dal quale dipende tutta la mia vita»,11 dal titolo L'Espropriazione:12 un «film sulla contestazione».13 Federico ha seguito da vicino i tumulti del Sessantotto a Parigi, accumulando pagine di diario,14 e dimostra un'ampia conoscenza della cultura marxista15 su cui erano fondati i movimenti.
Ad opporsi alla sublimazione di Federico, è proprio il fallo.16 La sua presenza imbarazzante nel romanzo dà vita a un pansessualismo17 eccessivo e grottesco che travolge ogni elemento del reale:18 «Gli piacciono tutte: le brutte come le belle, le giovani come le vecchie e purtroppo anche le giovanissime».19 Il dualismo tra il protagonista e il proprio fallo20, «fra la ragione e l'istinto, fra il conscio e l'inconscio»,21 è articolato secondo lo schema psicanalitico di Es e Io. Si tratta, in particolare, di un Io depotenziato22 incapace di placare, razionalizzare e persino spiegare gli impulsi interni che lo relegano in un angolo, senza poter agire. Il risultato è una «doppia realtà psichica»,23 in cui «c'è sempre un Io che può dire: io non so nulla».24 In virtù di questa scissione, il protagonista attribuisce i comportamenti scorretti o inappropriati socialmente alla volontà del proprio fallo:
«"Tra noi due chi è il fallito? Tu o io?"
"Ah è così? Allora ti spiegherò perché questo sogno è tuo, dal principio alla fine. [...] tu vuoi, per i tuoi fini, che io sia e rimanga un velleitario, un fallito"».25
Il fallo parlante propone una prospettiva straniante, iper-sessualizzata, in grado di imporre la propria visione del mondo, cioè fa apparire ogni personaggio come una possibile mira erotica di Federico. Il membro assume altresì le spaventose sembianze di un «falso io»,26 un "soggetto usurpatore", padrone del corpo. Il "vero io", cioè Federico, assiste impotente a una drastica riduzione del proprio ruolo fino a divenire un semplice osservatore di tutte le azioni imposte dal proprio pene. Le funzioni di Federico si riducono, quindi, all'osservazione, al controllo e alla critica dei desideri fallici. Il protagonista, incapace di affermare il proprio statuto di "vero io", appare come il «veicolo di una personalità non sua».27 Con il tempo Federico ha perso coscienza delle proprie qualità e del proprio ruolo, al punto da chiedersi chi tra lui e il suo fallo sia la vera imago generatrice.28
II. La liberazione sessuale e la critica al Sessantotto
Le anime di Federico e lui, inestricabilmente collegate, ma allo stesso tempo individuabili e autoctone, acuiscono il proprio incolmabile distacco attraverso il linguaggio. Contro un linguaggio indifferenziato e omogeneizzato, di matrice letteraria, Moravia inventa una specifica lingua di lui: «Ma non senti dentro quelle borse oblunghe ed elastiche le due arance acerbe di dieci anni fa? E dentro i capezzoli-tappi di oggi i capezzoli-fiori di ieri?»;29 «Ma ti sei mai guardata allo specchio? E se ti sei guardata cosa aspetti a farti la barba, pelo e contropelo, con il tuo bravo rasoio? Ma cosa credi che mi piacciono le donne coi baffi, a me?».30 Alla possibilità di una lingua che unisce, l'autore preferisce mostrare come la scissione comporti anche una diversificazione espressiva che sottolinea il carattere grottesco e imbarazzante del linguaggio fallico. Infatti, la lingua di lui è libera da ogni condizionamento sociale e, per questo motivo, pericolosa.
Il fallo è lo strumento attraverso cui si manifesta la liberazione sessuale.31 Il membro non è legato a nessuna morale religiosa e sociale: infatti, pragmaticamente lui non capisce come la religione o la società possano imporre privazioni dal punto di vista sessuale, anzi si stupisce che, nella società borghese, «si preferisca quello che non c'è, che non esiste, a quello che c'è, che esiste».32 Non c'è spazio nella logica del fallo per sentimenti come l'affetto o l'amicizia, sostituiti dai desideri carnali: «Non m'interessa che tu le voglia bene o meno. Mi preme stabilire, fuori d'ogni dubbio, che questo matrimonio è opera mia».33 Federico giunge persino ad assegnare al proprio fallo un nome, che se da un lato ricorda il suo, dall'altro risulta potenziato in confronto: «lui lo chiamo Federicus rex».34 Il fallo non solo agisce autonomamente, ma si muove in contrapposizione all'individuo, sottolineando le possibilità sessuali che derivano da ogni attività quotidiana e da ogni necessità umana.
Federicus Rex non solo diventa causa di ogni azione e ambizione di Federico, ma rappresenta l'antropomorfizzazione delle spinte antagonistiche che derivano dalla dimensione corporea,35 capace non solo di dominare il regno onirico dell'inconscio,36 ma anche di imporsi nello spazio conscio del protagonista.37 In questo senso, l'entità corporea di Io e lui assume i connotati di una forma parassitaria, la cui percezione sessualizza ogni aspetto della vita comune. Anche il momento di una doccia può diventare lo sfondo di una scena sessuale: «Qui faccio la solita toletta: doccia, barba, denti, unghie dei piedi e delle mani, peli delle ascelle, del naso e delle orecchie e, naturalmente, "lui". Ipersensibile com'è e, per giunta, anche istrione della sensibilità, eccolo, mentre lo insapono, diventarmi enorme».38
Federico descrive dettagliatamente i passaggi della propria pulizia, paragonando metaforicamente il proprio fallo a un animale che reagisce al suo intervento e si dimostra incontrollabile. Attraverso l'azione molesta e schizofrenica di lui, Moravia critica l'atteggiamento dei movimenti sessantottini in merito alla sessualità e al concetto di militanza: è emblematica, a tal proposito, la scena del secondo incontro tra Rico - il soprannome con cui parenti e amici si rivolgono al giovane regista - e Maurizio, venuto a riscuotere i cinque milioni che il protagonista dovrebbe versare al collettivo rivoluzionario. Anche questa visita si trasforma in una possibilità di sessualizzazione per lui, il quale attiva in Federico un desiderio omoerotico.
L'omosessualità, rappresentata secondo gli «stereotipi più convenzionali»,39 è percepita come una forma di umiliante deviazione sia da Federico sia da Maurizio.40 Il protagonista ha coscienza delle sue pulsioni che non può più reprimere,41 ma le giustifica assegnando la colpa ai desideri del fallo parlante:42 il desiderio sessuale di Federico si afferma «nella contraddittorietà di un eros che è, al tempo stesso, utopia e condanna».43
Le contestazioni sessantottine in materia sessuale erano fondate sul concetto di «vietato vietare»,44 cioè sull'abolizione di tutti i divieti di natura culturale. Moravia mostra, invece, come nel caso dell'omosessualità, nonostante la libertà sessuale promossa dai gruppi rivoluzionari, non sia cambiato nulla nella mentalità comune. Rimane un tabù: la società repressiva costringe il protagonista ad adattarsi alla «monosessualità» e a praticare una mutilazione che si traduce in una «educastrazione».45 L'omosessualità, «pur non essendo in sé un reato, non poteva certo essere vissuta liberamente»:46 in questo modo, Moravia sottolinea l'ipocrisia del Sessantotto e di tutti i gruppi militanti che vi hanno preso parte e hanno fallito nel loro intento. Infatti, Maurizio, quando Federico gli rivela di essere dotato di un fallo di «proporzioni eccezionali»,47 gli chiede irritato: «Ma di' un po', Rico, non saresti per caso un po' frocio?».48 Federico affida la colpa del proprio omoerotismo a un soggetto paradossalmente interno ma autonomo, come il proprio fallo, pur di non rivelare che è attratto da un uomo.49
Il ventenne Maurizio, convinto marxista50 ma proveniente da una ricca famiglia,51 «un contestatore asessuato, sublimato in modo perfetto» secondo Pandini,52 rappresenta il modello di intellettuale militante di sinistra che aveva sostenuto i movimenti sessantottini. Infatti, la sceneggiatura de L'Espropriazione che Federico aveva in mente53 è basata sul gruppo di studenti che frequenta Maurizio: «Tu mi avevi raccomandato di prendere come modelli per i ragazzi del film, i tuoi amici del gruppo. E così ho fatto».54 Da questa corrispondenza si desume che il gruppo rivoluzionario di Maurizio ha compiuto furti e progettato attentati.55 Durante il loro primo incontro a inizio romanzo, Maurizio aveva accusato Federico di aver scritto una sceneggiatura «controrivoluzionaria»,56 che denigrava i giovani dei gruppi militanti, e di essere un borghese reazionario. Lo aveva minacciato di poter continuare a lavorare al film a un solo patto: «Fare un'offerta. Abbiamo bisogno di denaro per la nuova sede. Potresti versare una somma come contributo alla causa».57 La richiesta di Maurizio, a cui Federico risponderà con una donazione di cinque milioni di lire, rivela come egli, in realtà, dipenda dalla logica del profitto e del consumismo borghese: la sua figura incarna il fallimento di un intero sistema politico.
Tuttavia la critica moraviana ai giovani sessantottini raggiunge l'apice durante l'incontro di Federico con il gruppo rivoluzionario. Federico è stato convocato in un'abitazione a Fregene per decidere, dopo un dibattito con il gruppo dei giovani militanti, quale versione di sceneggiatura adottare tra la sua e quella proposta da Maurizio e dalla fidanzata Flavia. Il protagonista, attratto da Flavia, chiede a Maurizio quali siano i loro progetti per il futuro:
«"Ma vi sposerete, no?".
"Certo".
"Magari avrete dei figli"
"Suppongo che ne avremo"».58
Federico, attraverso questa serie di domande, svela ancora una volta l'ipocrisia di Maurizio, che aveva criticato l'amore monogamo e lo statuto di famiglia tradizionale,59 ma aveva intenzione di sposarsi e avere figli, nel solco della tradizione borghese. Con ironia, l'autore sottolinea altresì l'incapacità di esprimere un pensiero individuale dei giovani: il colore di un semaforo, affisso all'interno dell'abitazione di Flavia, determina se il pubblico deve applaudire (luce gialla), contestare (rossa) o stare in silenzio (verde). Il gruppo è descritto come una massa accondiscendente di ragazzi «di buona famiglia»,60 addestrati al «linciaggio»,61 che, alla fine, sostengono la causa di Maurizio e di Flavia.
L'incontro si rivela «un'imboscata»62 per Federico. Sollecitato dal colore rosso del semaforo, il gruppo critica il protagonista lanciandogli monete e urlandogli «Ché sì, Rico no»,63 un motto simile a quello con cui Moravia fu cacciato dalla Sapienza di Roma nel 1968: «Mao sì, Moravia no». La massa di giovani si rivela non solo alienata, accondiscendente e inutilmente aggressiva, ma soprattutto priva di qualsiasi capacità di svolgere un ruolo di mutamento sociale e politico.
III. L'impossibilità di modificare il reale
Il movimento sessantottino ha cercato di proporre e attuare la liberazione sessuale, astratta e sregolata, e Moravia ne riproduce una caricatura, attraverso la volontà di un Es sfrenato, il fallo parlante, che spinge Federico verso forme di pedofilia, voyeurismo e gerontofilia.64 L'autore sottolinea, attraverso questo romanzo, la distanza tra ciò che è stato promesso e la realtà (e non solo in materia sessuale): infatti, Moravia, in riferimento al Sessantotto, è convinto che «il fare cambia il mondo. La parola, se non diventa a sua volta fatto, non cambia nulla».65 L'autore, in Io e lui, mostra la parzialità e la pericolosità della liberazione sessuale, ma soprattutto la vacuità e l'accondiscendenza dei giovani protagonisti delle contestazioni, borghesi privi di un pensiero critico e autonomo.
Federico è escluso dal gruppo rivoluzionario e non può accettare la prospettiva degenerata e antisociale dettata dal fallo: pertanto, alla fine è costretto ad annullarsi e a rinunciare a ogni vitalismo. Per giungere al modello della "figura inerte",66 incarnato da Fausta, e quindi alla salvezza nella prospettiva moraviana, Federico capisce di dover liberarsi della componente sessuale, cioè di lui.
Alla fine, il protagonista di Io e lui è costretto a cedere a uno stato di inerzia, come Dino e Francesco al termine delle rispettive storie. Moravia sottopone Federico a un processo di cognizione della propria degradazione, attraverso i punti di vista esterni che emergono nei dialoghi, come quello della moglie Fausta, di Vladimiro o di Irene. Proprio il personaggio di Irene dovrebbe rappresentare il perfetto modello femminile di liberazione sessuale, di stampo sessantottino:
«"La masturbazione mi basta, perché, grazie alla masturbazione, basto a me stessa"».67
Invece Irene, «tranquillamente sessofobica e autoerotica»,68 solitaria e indipendente, svela come l'affermazione a tutti i costi del contropotere, senza alcun bilanciamento, riveli una certa vacuità fino ad apparire comica. Irene, infatti, non riesce a opporre alla morale borghese alcuna alternativa positiva o costruttiva; al contrario, si dimostra assuefatta a uno stile di vita borghese: è benestante e credente, a giudicare dalle preghiere che recita con la figlia Virginia.69 È sposata con un uomo che lavora a Milano e ritiene un «surrogato»,70 dal momento che lei è dedita solo alla masturbazione, simbolo della sua emancipazione. Colei che dovrebbe rappresentare il rinnovamento promesso dal Sessantotto, in realtà, è un personaggio deludente e appagato dall'autoerotismo, in cui prevale un atteggiamento contemplativo, statico e isolato. Alla fine, Federico chiede a Irene se vuole vivere con lui, ma riceve il rifiuto della donna, legato soprattutto a ragioni sociali, dal momento che sono entrambi sposati e con figli.
Solo nei confronti della moglie Fausta, un vero e proprio rovesciamento della morale sessantottina,71 Federico mostra un'iniziale egemonia, dal momento che «la sente più desublimata di sé e perciò ne approfitta per far valere crudelmente su di lei la propria superiorità»:72 «Porco Giuda, io voglio, capisci?, voglio che anche se non ci sono, anche se sto via per sei mesi, un anno, dieci anni, la mia casa sia uno specchio e mia moglie una signora».73 Fausta, che da prostituta74 è diventata una moglie devota e subordinata75 nell'ordine patriarcale,76 è un'altra figura inerte del vasto repertorio moraviano. Se nel caso di Irene la liberazione sessuale e le nuove idee dei movimenti femministi hanno prodotto un caso patologico di autoerotismo e di anaffettività, Fausta si mostra totalmente indifferente alle novità culturali del Sessantotto.
In particolare, è interessante sottolineare come la parabola sociale ed esistenziale del personaggio di Fausta sia opposta rispetto a quella descritta da Cora de L'attenzione, la quale proviene dalle borgate romane e, dopo essersi sposata con il borghese Francesco, si dedica alla prostituzione, denunciando il crollo del mito positivo del popolo.77 Fausta, in quanto "anti-Cora", è succube di Federico: alla crudeltà del marito la donna reagisce solo con una forma di pietà amorevole,78 che viene percepita da Rico come un'ammissione femminile di mediocrità. In realtà, il protagonista è destinato a uno stato di contemplazione simile a quello di Fausta,79 cioè a una resa di fronte all'impossibilità di cambiare la realtà e alla delusione per l'incontro-scontro con i giovani rivoluzionari. Infatti, dopo aver tentato invano di dar fuoco alla villa di Protti e di suicidarsi con la pistola,80 Federico torna a casa da Fausta «nel grembo d'una vita incolore».81
Solo attraverso la rinuncia a ogni pulsione vitalistica e sessuale, l'individuo può continuare a vivere secondo Moravia. Federico, Dino e Francesco, spinti a un tentativo di autodistruzione o di fuga, si arrendono infine alla condizione di «manichino»82 e prendono coscienza dell'impossibilità di modificare il reale. Se già ne La noia Dino era convinto che la realtà fosse inconoscibile, Federico prende atto, con pessimismo, che i gruppi militanti del Sessantotto non sono stati in grado né di attuare una concreta liberazione sessuale né di migliorare la vita di tutti. Il movimento che era stato accolto da Moravia come una grande possibilità non solo aveva dimostrato la propria inconsistenza, limitandosi a rimanere un fenomeno di contestazione senza alcun atteggiamento costruttivo, ma soprattutto si era lasciato soggiogare dalle dinamiche sociali-borghesi e ne era stato risucchiato.
Bollettino '900 - Electronic Journal of '900 Italian Literature - © 2023
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gennaio-maggio 2023, n. 1-2