Antonio Lucio Giannone, Ricognizioni novecentesche. Studi di letteratura italiana contemporanea, Avellino, Edizioni Sinestesie, 2020, 276 pp.
di Debora Mazza, Université de Strasbourg

 

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Nel volume Ricognizioni novecentesche, Antonio Lucio Giannone raccoglie alcuni suoi saggi già pubblicati in varie sedi, qui ripartiti in cinque sezioni tematiche, tutti riconducibili, come si deduce dal titolo, alla sua attività di ricerca sulla letteratura italiana del Novecento.
Nella prima sezione del volume, Giannone presenta materiale inedito rinvenuto presso periodici o archivi letterari del Novecento, più precisamente un articolo di Giuseppe Ravegnani del 1918, intitolato La poesia ed il contagocce, con il quale lo scrittore romagnolo si inserisce nel dibattito sorto tra i letterati subito dopo la pubblicazione de Il Porto sepolto nel 1916, di cui Giannone ripercorre i principali interventi. Ravegnani, fautore di un ritorno alla tradizione leopardiana, esprime le proprie riserve verso la poesia "nuova" di Giuseppe Ungaretti, definita, appunto, «a contagocce» e liquidata come fenomeno di moda, seppur riconoscendo a Ungaretti il temperamento di un grande poeta e il ruolo di caposcuola della tendenza che si andava allora affermando. È questo, come sottolinea Giannone, il principale elemento di interesse dell'articolo di Ravegnani, oltre a quello puramente storico e documentario. Seguono due saggi dedicati a un breve scambio epistolare di Michele Saponaro con Luigi Pirandello e con Eugenio Montale, che apportano alcuni elementi nuovi, rispettivamente sulla genesi dell'atto unico La patente e sulla vita del poeta genovese all'epoca del suo trasferimento a Firenze all'inizio del 1927.
La terza sezione è dedicata a «due "antichi" tra i moderni» (p. 125) e comprende un saggio sugli echi di Poliziano nella poesia otto-novecentesca a partire da Carducci e d'Annunzio, nonché un intervento sulla nuova visione della personalità di Leonardo da Vinci, da Montale emblematicamente definito «prismatico genio» (p. 156), che si va affermando negli anni Trenta. È infatti soprattutto la grandiosa mostra allestita dal regime fascista nel 1939 con l'intento propagandistico di celebrare il "genio italiano" a portare alla ribalta l'opera di Leonardo scienziato e inventore, fino ad allora trascurata, suscitando un dibattito sulla sua eclettica attività, al quale parteciparono personalità di spicco della scena letteraria.
Di particolare interesse nel volume sono le parti in cui Giannone indaga alcuni aspetti della letteratura meridionale del Novecento, uno degli ambiti privilegiati delle sue ricerche. Più precisamente, la seconda sezione, dedicata a due poeti pugliesi con esperienza europea, ancora poco conosciuti dalla critica, Girolamo Comi e Vittorio Bodini; la quarta, in cui Giannone traccia, per così dire, un identikit della poesia meridionale novecentesca; infine, la quinta e ultima sezione, riguardante il Futurismo, con un ampio saggio sulle diramazioni del movimento nel Mezzogiorno italiano.
Girolamo Comi, che Giannone definisce in modo ossimorico di «inattuale attualità» (p. 67), fu una figura isolata nel panorama letterario italiano del Novecento per la sua sostanziale estraneità alle correnti e tendenze culturali allora dominanti, ma anche per la sua precisa volontà di rifuggire qualsiasi forma di notorietà e di successo commerciale. Giannone ripercorre le tappe del suo percorso letterario, dalle prime esperienze giovanili, maturate in Svizzera e a Parigi, sotto l'influenza soprattutto dei simbolisti francesi, fino all'ultima fase della sua produzione, successiva al trasferimento a Lucugnano, sorta di sintesi del suo iter poetico. Centrale in Comi è la visione impersonale della poesia, molto lontana dagli slanci lirici della poesia contemporanea e che il poeta condivide solo con Arturo Onofri, al quale, non a caso, fu legato fino alla morte prematura di questi. Giannone distingue nella produzione di Comi diverse fasi, dai primi anni del soggiorno romano, iniziato nel 1915, in cui il dissidio tra l'artista e la società lo porta a rifugiarsi in una dimensione cosmica e panteistica improntata alla dottrina antroposofica di Rudolf Steiner, fino al progressivo superamento, tra la fine degli anni Venti e l'inizio degli anni Trenta, della concezione panica e immanentistica a vantaggio di una visione trascendente, inizialmente ancora di tipo esoterico. È la seconda fase della poesia comiana, fondata sulla funzione magica della parola, che pone l'uomo in comunione con l'assoluto. Ne è un esempio il Cantico del mare, del 1929, al quale Giannone dedica un intero saggio della seconda sezione; qui, il mare, al quale l'uomo è misticamente collegato, è trasfigurato in senso mitico e favoloso e celebrato come simbolo della perennità e dell'armonia del cosmo. Infine, dopo la conversione al cattolicesimo, la poesia di Comi diviene propriamente cristiana, con la parola-Verbo che si fa espressamente Verbo divino. L'ultima fase del percorso artistico di Comi, dal trasferimento a Lucugnano nel secondo dopoguerra, vede lo scrittore impegnato in campo letterario con la fondazione dell'Accademia salentina nel 1948, quindi, l'anno successivo, della rivista «L'Albero», che, in controtendenza rispetto all'impegno sociale del dominante neorealismo, affronta problematiche esistenziali e religiose.
La seconda sezione si chiude con un saggio su Vittorio Bodini, poeta e scrittore italiano del Novecento, del quale Giannone ha peraltro curato per le edizioni Besa un'intera collana, «La Bodiniana», che conta attualmente dieci titoli pubblicati. La fortuna critica di Bodini scrittore e poeta, oscurata dalla sua intensa attività di traduttore e ispanista, ha sofferto della sua morte prematura, che non gli ha consentito di raccogliere e sistemare l'abbondante materiale, troppo disperso per attirare l'attenzione della critica, ma anche dell'impossibilità di ascrivere l'opera di Bodini a una corrente precisa. Forse è anche per questo, osserva Giannone, che è stato a torto considerato uno scrittore regionale, data la predilezione tematica per il Sud, motivo che ha invece sviluppato in modo nuovo e originale, stabilendo rapporti di analogia tra la sua terra d'origine e il paese d'adozione, la Spagna. Dopo aver percorso le sorti editoriali di Bodini, Giannone si sofferma su un diario spagnolo inedito dello scrittore, il Quaderno verde, redatto durante le prime settimane di permanenza in Spagna nel 1946, sorta di «corrispondenza di viaggio» (p. 111), come ebbe egli stesso a precisare, nel quale lo scrittore annotò incontri e conversazioni con i principali poeti e letterati spagnoli dell'epoca. Da qui, l'interesse particolare di questo documento, ben più incentrato sull'ambiente letterario spagnolo di quanto non lo siano i suoi scritti contemporanei, destinati alla pubblicazione su giornali italiani.
Di notevole interesse l'intervento, nella quarta sezione, relativo alla linea meridionale della poesia del Novecento. L'esistenza di un fenomeno meridionale nella poesia novecentesca è rilevato da scrittori e critici come novità a partire soprattutto dalla metà del Novecento, anche se già riconosciuto da Gianfranco Contini nella prefazione a una raccolta di poesie di Sinisgalli del 1943. È Salvatore Quasimodo che, nel 1953, sottolinea le specificità del Sud nel suo Discorso sulla poesia, inaugurando un dibattito che ricollega la poesia meridionale del Novecento all'ermetismo. Che si tratti di poeti trapiantati altrove, come Quasimodo, Gatto e Sinisgalli, o di poeti "autoctoni", come Bodini, Fiore e Scotellaro, è possibile riconoscere nella poesia meridionale sviluppatasi a partire dagli anni Quaranta una matrice antropologica comune, caratterizzata da una maggiore attenzione per la realtà, soprattutto sociale, del Mezzogiorno italiano. Giannone ne esamina gli elementi costitutivi, in primis il tema lirico-narrativo del Sud, che si esprime talvolta attraverso la riflessione sulla storia di sofferenza e sopraffazione, talvolta nell'orgoglio di appartenere a una razza antichissima e leggendaria. Dal tema dominante del Sud scaturiscono diversi motivi culturali e antropologici ad esso connessi, ricorrenti in tutti i poeti meridionali esaminati da Giannone, quali il culto dei morti, tra religione e superstizione, e la concezione patriarcale della famiglia, che assegna al padre e alla madre funzioni rituali specifiche, tutti temi riconducibili a modelli sociali arcaici di tipo contadino. Giannone illustra questi motivi con esempi tratti da Quasimodo, Gatto, Sinisgalli, Scotellaro e Carrieri, che da un lato confermano la matrice comune della poesia meridionale del Novecento, dall'altro fanno emergere elementi specifici della poetica e della regione di provenienza di ognuno.
Infine, nella quinta e ultima sezione, Giannone ritorna sul Futurismo italiano con tre saggi, dei quali l'ultimo relativo alla diffusione del movimento nel Sud, tema di particolare interesse poiché mette in luce la presenza futurista nelle regioni meridionali fin dagli esordi, come dimostra, tra l'altro, la pubblicazione del primo Manifesto marinettiano a Napoli sei giorni prima di quella parigina sulle pagine di «Le Figaro». Giannone traccia un quadro cronologico delle esperienze futuriste a Napoli, città che Marinetti considerava fondamentale per la penetrazione del movimento nel Meridione italiano, come testimoniano la fitta rete di relazioni che instaurò con gli intellettuali campani e la sua partecipazione diretta a vari eventi e manifestazioni locali. Tuttavia, come sottolinea Giannone, il Futurismo non riuscì a radicarsi profondamente nel capoluogo campano, risentendo senza dubbio della vivace opposizione di Benedetto Croce, che vi godeva di immenso prestigio. La figura dominante del futurismo napoletano è senz'altro Francesco Cangiullo, che vi aderì sin dal 1910, rimanendone l'unico esponente fino alla prima guerra mondiale e che fu il promotore delle principali manifestazioni futuriste a Napoli e altrove, nonché autore di quadri, sculture, poemi paroliberi e sintesi teatrali, tutti improntati al futurismo. Per il resto, ad avvicinarsi al movimento marinettiano furono soprattutto gli intellettuali degli ambienti antitradizionalisti, che però approdarono raramente a una vera e propria adesione. Anche se questa prima e più intensa esperienza futurista si concluse nel clima postbellico di relativo ritorno alla normalità, il Futurismo rimase vivo nell'ambiente napoletano tra gli anni Venti e gli anni Quaranta, da un lato grazie alla sua associazione con movimenti avanguardisti, come il novecentismo di Bontempelli e il circumvisionismo, dall'altro attraverso la formazione di gruppi futuristi e la pubblicazione delle opere dei futuristi da parte di alcuni editori.
Giannone esamina quindi la presenza futurista in Puglia - seconda roccaforte meridionale del movimento dopo Napoli - e nel resto del Sud italiano. Se i due centri che contribuirono maggiormente al Futurismo nel Mezzogiorno furono Lecce e Bari, il movimento si diffuse in modo capillare anche nelle altre regioni, in particolare agli inizi degli anni Trenta. Giannone ripercorre le fasi più salienti e le figure di maggior rilievo del movimento nelle due città, sottolineando come manifestazioni futuriste, sebbene più isolate, ebbero luogo anche nel resto del Meridione, in particolare a L'Aquila, Reggio Calabria e Catanzaro. Qui, nel corso della prima guerra mondiale, il marinettismo penetrò anche attraverso la propaganda nazionalistica e interventistica, che trovò nella classe borghese numerosi adepti, vicini al movimento più per ragioni politiche che artistiche. È però soprattutto nel 1932-33 che il Futurismo raggiunse il culmine del successo nelle regioni meridionali, in particolare in Puglia, estendendosi a numerosi centri, dove si moltiplicarono i gruppi e le pubblicazioni futuriste, suscitando polemiche tra i fautori e i detrattori del movimento. Lo testimonia la rubrica Il movimento futurista in Italia del settimanale romano «Futurismo», che segnala in quel periodo la nascita in vari centri del Sud di numerosi gruppi, per lo più effimeri, principalmente in Puglia, ma anche in Abruzzo, Molise, Calabria e Basilicata. Le ultime sporadiche tracce futuriste in Puglia arrivano fino al 1943, alla vigilia, cioè, della scomparsa di Marinetti e, con lui, del Futurismo italiano, a riprova della lunga presenza del movimento nel panorama culturale del Mezzogiorno italiano.

 

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