Maria Grazia Trobia
Liceo Classico, Linguistico e Coreutico "Ruggero Settimo" di Caltanissetta

Rosso di San Secondo: Una "bestiale" ironia

 

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Sommario
I.
II.
III.
I tratti modernisti in Rosso di San Secondo
Il significato simbolico dell'animale e la decostruzione dell'immagine identitaria
Bibliografia


 

§ II. Il significato simbolico dell'animale e la decostruzione dell'immagine identitaria

I. I tratti modernisti in Rosso di San Secondo

La presenza di Rosso di San Secondo ad un convegno sul Modernismo italiano potrebbe apparire di primo acchito fuori luogo o, quanto meno, una forzatura. Certamente tale presenza ha del "bizzarro", esattamente proprio come l'autore stesso amava qualificarsi. Ma se, come afferma Massimiliano Tortora, restringiamo «cronologicamente l'arco del modernismo ai primi decenni del secolo, ed esclusivamente a quell'area sperimentale, che, senza rinnegare l'eredità ottocentesca, ha saputo rappresentare una frattura nel corso della storia del romanzo italiano»1 e se è vero che, pur risultando il modernismo estraneo alle esperienze avanguardistiche, «i modernisti costeggiano a modo loro altre grandi esperienze dell'avanguardia europea, dall'espressionismo al surrealismo»2 - senza, tuttavia, mostrare dei punti coincidenti -, ecco che Rosso sia per il periodo storico e culturale a cui appartiene la sua narrativa, sia per la singolarità espressiva che lo contraddistingue nella originale rappresentazione della realtà, delle tematiche e dei personaggi proposti nei suoi romanzi e nei suoi racconti, e sia ancora per il fatto che alcuni punti "costeggino" o tocchino in certi casi le esperienze di talune avanguardie - come l'espressionismo tedesco o il grottesco italiano -, può essere avvicinato senza troppe riserve alla tendenza modernista.
La narrativa dell'autore nisseno, inoltre, sembra allinearsi perfettamente al concetto del termine modernismo, così come lo vede Romano Luperini, ovvero «riferito alla rottura primonovecentesca e alla nuova cultura determinata dalla rivoluzione epistemologica di fine secolo».3 Rosso può essere annoverato, senza riserva alcuna, tra quegli autori che agli inizi del '900 hanno contribuito attivamente alla riforma del pensiero attraverso la trattazione di tematiche che nascono da una profonda riflessione sull'umanità e sul mondo in tutte le sue manifestazioni e forme e che risentono proprio di quella rottura epistemologica fin de siècle rappresentata da Freud, Nietzsche e Bergson, dei quali rimangono tracce chiaramente ripercorribili in fasi ben precise della produzione narrativa sansecondiana. L'azione letteraria di questo autore siciliano avviene, esattamente come per i modernisti, senza dichiarate rotture con le forme passate della letteratura e libera da ogni dichiarata militanza in gruppi, sebbene molti lo abbiano voluto sempre vedere come un esponente del teatro del grottesco. Ad ogni modo, coerentemente sia con le tendenze avanguardistiche che con quelle moderniste, anche l'opera di Rosso di San Secondo si inserisce nel quadro letterario italiano con l'obiettivo di dare un nuovo volto alla letteratura.
Nella narrativa sansecondiana, inoltre, è possibile cogliere tracce che visibilmente avvicinano l'autore ai modernisti: tra queste si riscontrano una certa attenzione nei confronti della mitologia e dell'antropologia; un uso attento del linguaggio che - pur essendo sempre elegante, preciso e oggettivo - attinge frequentemente dalla lingua parlata; la trattazione di temi come la sessualità e la prostituzione, che in ambito letterario erano sempre stati considerati come dei tabù e, ancora, il complesso rapporto tra natura e società che può servirsi del binomio uomo-animale per cogliere, evidenziare, spiegare e denunziare le dinamiche relazionali dell'individuo a cavallo tra i due secoli, attraverso cui si manifesta e si realizza la ri-scoperta dell' "io" e la consapevolezza del "sé".

 

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II. Il significato simbolico dell'animale e la decostruzione dell'immagine identitaria

Certo è che, partendo dai nostri giorni e andando a ritroso nel tempo, risulta chiaro come il particolare rapporto tra uomo e animale sia sempre stato oggetto di diverse indagini filosofiche e di ricerche sia nel campo antropologico che in diversi altri ambiti scientifici. Vero è anche che l'interesse, la funzione, il significato e il valore degli animali ha sempre subito dei mutamenti nel corso dei secoli e se nell'antico Egitto, dunque, alcuni di essi venivano adorati come immagine sacra, nelle sacre scritture, invece, venivano presentati come degli esseri da sottomettere e dominare.4 Il Medioevo, poi, fatta eccezione per San Francesco, li vedeva come creature minori non dotate di ragione e solo a partire dal periodo illuminista si cominciò a considerare l'animale come una creatura dotata di sentimento e ragione che, grazie agli studi di Konrad Lorenz, riuscirà poi a diventare un oggetto di ricerca utile per meglio comprendere gli stessi atteggiamenti umani.5
Come spiega anche Paolo Puppa nella sua recensione al volume di Fernando Marchiori,6 in campo letterario e in tempi molto più vicini ai nostri, «tutto il Novecento tende ad utilizzare l'animale, la bestia quale figura dell'inconscio o come riflesso dello scontro di classe, magari celata dietro il darwiniano struggle for life. Ma tra noi e loro può prodursi un traumatico connubio, un incrocio mostruoso magari favorito dal riso carnevalesco»7 o, a volte, da un sorriso grottesco. Inoltre, come continua lo studioso veneto le «avanguardie storiche, [...] sferrano un deciso attacco all'egolatria, alla pretesa dell'Io di porsi al centro del mondo. L'animalizzazione diviene allora un mezzo decisivo quale antidoto al turgore dell'infelice soggettività, abolendo l'infelice pronome, coi suoi indicatori enunciativi a lasciar filtrare l'eco della perduta voce animale. Perché di fatto è l'Io la causa di tutti i mali, di tutte le frustrazioni e terrori dell'animo umano».8
Alla luce di tali riflessioni si nota, dunque, come l'animale e/o la bestia diventino nella narrativa sansecondiana un soggetto simbolico di cui l'individuo ha bisogno e si serve per leggere, capire, incontrare e riscoprire se stesso, consentendogli di creare una propria dimensione identitaria in uno spazio sociale organizzato e riconosciuto. Rosso di San Secondo appartiene senza dubbio a quel gruppo di autori che mediante un'attenta analisi e una puntuale riflessione, cercano di cogliere il reale umano filtrandolo attraverso l'associazione e/o la similitudine con la bestia. Un'accorta osservazione dell'animale, dunque, considerato come simbolo di identità altra, condurrà il personaggio sansecondiano a riflettere sulla vera condizione umana e a trovare il coraggio di denunciarne le debolezze, i vizi, gli atteggiamenti di falsa superiorità.
In Rosso, dunque, l'animalizzazione diventa un mezzo decisivo per decostruire l'immagine identitaria fondata sul perbenismo borghese; pertanto, si tende, a volte, a conferirle quell'effetto caricaturale di comicità utile all'individuo per acquisire la consapevolezza dei propri limiti e delle proprie deformazioni e per accettare tutto con ironia senza riserva alcuna. L'animalizzazione, quindi, supportata da un connubio di comicità, ironia e grottesco, conduce le figure sansecondiane alla frantumazione dei cliché identitari e ad una re-visione dell'individuo reso stereotipo dalla società in cui vive ed opera.
La novella di Rosso che offre spunti di riflessione su ciò che accomuna o differenzia l'uomo dalla bestia o che lo caratterizza in maniera positiva o negativa rispetto alla forma altra di essere vivente è Ninnina e il mondo animale, contenuta nella raccolta C'era il diavolo o non C'era il diavolo?, edita dalla Treves nel 1929. Il racconto è la continuazione della novella che lo precede, Viaggio a Popokabaka, in cui i protagonisti, Ninnina e Titì, si trovano a fare un viaggio immaginario, raggiungendo, attraverso una fervida fantasia, la lontana ed esotica Repubblica del Congo, descritta con dovizia di particolari in ogni suo tratto e in ogni suo momento, proprio come se l'esperienza venisse vissuta realmente dai due protagonisti. Il fantastico e fantasioso viaggio a Popokabaka offrirà alla coppia di coniugi in vacanza diversi spunti per riflettere sulle differenti forme di alterità, pervenendo, così, ad un esame e ad una conseguente revisione di ciò che è tipico della propria realtà socio-culturale, infatti «da quando Ninnina mia moglie è tornata dal suo viaggio in Africa, si pone quesiti che prima, rimanendo nell'ambito delle idee comuni, tra la vita quotidiana della città, non solo non si poneva ma nemmeno sospettava si potessero porre».9
Nel racconto sansecondiano il personaggio di Ninnina funge quasi da capocomico, mentre il marito Titì riveste il ruolo di spalla poiché fa da filtro alle battute della moglie ed aiuta a trovare una interpretazione ed una chiave di lettura delle peculiarità riferite alla rappresentazione delle immagini. Dalle descrizioni che giocano sull'esteriorità e sulle note distintive caratteriali degli individui-tipo, associate ad alcune immagini e specificità animalesche, scaturisce la frammentizzazione identitaria propria di un determinato contesto sociale, evidenziata, così, attraverso la dicotomia uomo/animale o uomo/bestia. Tale frammentizzazione avviene proprio tramite quelle decostruzioni che Giovanna Callegari descrive e spiega come «ibridazioni relazionali, disarticolazioni di prospettive [...]. L'ambito in cui accadono o possono accadere "decostruzioni" è quello relativo allo spazio simbolico della rappresentazione dove si producono formazioni discorsive che dicono il mondo».10
Muovendo da questo assunto si cercherà di comprendere le differenti posizioni dei due coniugi protagonisti: da un lato ci si troverà di fronte al punto di vista di Ninnina che, grazie agli studi di zoologia, scoprirà dei particolari che le consentiranno di associare l'uomo alla bestia per «alcuni particolari del temperamento»,11 «forma generale del corpo»,12 voracità, vanità e quant'altro; dall'altro si avrà l'opinione di Titì, il quale sostiene l'esistenza di «una barriera insormontabile di distinzione tra il genere umano e tutti gli altri generi».13 In realtà si tratta di un gioco delle parti quello che spinge il marito a porsi contraddittoriamente nei confronti della moglie. Titì, nel tentativo di dissuadere la moglie dal suo nuovo modo di vedere l'essere umano in relazione all'animale che più può rappresentarlo, finisce per confermare e sostenere le convinzioni della moglie. Quando si rivolge a Ninnina cercando di spiegarle che «l'uomo, Ninnina del cuor mio, è sì un animale; ma non sempre bestia. In certi momenti, infatti, pensa!»,14 in realtà non fa altro che avvalorare le constatazioni di Ninnina, affermando che l'uomo è un animale, che a volte si comporta da bestia e che non sempre si rivela un essere pensante. L'ironia che accompagna molto spesso parte della narrativa sansecondiana è sempre espressa con toni raffinati ed eleganti che fungono da rinforzo ad un effetto quasi burlesco derivante dalla raffigurazione delle diverse tipologie identitarie proposte dall'autore.
Il racconto presenta un ricco paesaggio faunistico che comprende persino animali ormai estinti e che offre molti spunti di riflessione sull'accezione dei termini bestia e animale in riferimento o in associazione alle diverse tipologie di individuo e impiegati come epiteto per caratterizzarle e qualificarle o per evidenziare ancora, con una ironia tendente al sarcasmo o alla comicità, certe consuetudini proprie della quotidianità dell'individuo borghese.

«Sai, Titì, oggi sono soddisfatta dei miei studi zoologici. Ho scoperto alcuni particolari del temperamento della nostra amica Parlini ed anche dell'ingegner Tuberoni. Domani approfondirò lo studio dell'Helladotherium, che, come sai, è un animale preistorico creduto estinto e poi ritrovato vivente nel nostro Congo; e così saprò dirti qualcosa sul professor Naralli che gli assomiglia. Sto anche scoprendo il banchiere Kenti, che mi sembra proprio della famiglia dell'Okapi, anch'esso antichissimo animale, giraffa per le corna i denti e le zampe, antilope per la forma generale del corpo, famosissimo per voracità».15

Ci si soffermerà in maniera particolare su tre binomi identitari: quello tra la cavalletta verde e il letterato; tra la bertuccia e la donnina raffinata, evoluta e imbellettata e tra il gorilla e l'uomo rude, grossolano, quasi privo di sensibilità.
Il «senso zoologico»16 che Ninnina ha ormai sviluppato in sé la porta, dunque, a rivedere ogni sua conoscenza sotto profili diversi rispetto a quelli osservati e riconosciuti fino a questo momento di re-visione. Le sue analisi susciteranno le reazioni del marito, reazioni celatamente divertite e magari anche condivise.

«- Sai, [...] Ho incontrato per istrada quel tuo amico letterato... quello che cammina a quel modo … la cavalletta verde insomma...
- Ninnina, che dici! Cavalletta verde un letterato?
E allora mi spiega che, a tempo di mele, la cavalletta verde attende che la cicala ne abbia mangiato in abbondanza; poi le piomba addosso, la sventra e mangia la mela già digerita, in modo da risparmiare ai suoi organi la fatica del chilo e rimanere di taglia snella, disinvolta ed elegante! (Che i letterati sventrino i poeti per utilizzare, senza sforzo digestivo, quanto quelli hanno sofferto e patito creando? Vuol dire questo Ninnina mia moglie [...])».17

L'associazione "letterato-cavalletta verde" determina inizialmente nel lettore la creazione di un'immagine fantasiosa e fantastica di un individuo con un portamento dal balzo lungo e scattante (da cavalletta verde insomma) e, fin qui, sembra che l'attenzione venga rivolta esclusivamente all'atteggiamento corporeo, alle movenze e alla postura di un essere umano. Ma subito dopo si rifletterà, però, che l'accostamento delle due immagini va ben oltre l'aspetto e le generalità fisiche per estendersi alla sfera etico-comportamentale che include un secondo binomio, quello tra cicala e poeta. Verranno fuori, così, due immagini ibride: quella del "letterato-cavalletta verde" e quella del "poeta-cicala", vittima inconsapevole e ignaro di ciò che lo attenderà e della fine che farà la sua opera.
Affiorano in tal modo sia la visione dell'artista, a prescindere da quale forma d'arte si occupi, che quella del letterato.18 L'artista crea dal nulla traendo ispirazione dal vissuto, dalle gioie, dalle emozioni, dalle passioni, dai dolori suoi e del mondo, mentre il letterato, con sforzo minimo e con fare da parassita, si nutre di ciò che è stato sforzo, sacrificio e sofferenza per colui che con la sua genialità ha modellato e dato forma ed armonia a parole, materia, suoni, colori.
La pittoresca immagine dipinta da Ninnina con convinzione e dai toni coloriti, unita alla riflessione di Titì, espressa attraverso un simulato stupore e un falso dubbio - o quella che potrebbe anche voler essere una domanda retorica -, determina un umorismo che frantuma l'immagine dell'essere umano, nella fattispecie del letterato. Poiché, come sostiene Bergson «non vi è comicità al di fuori di ciò che è propriamente umano»,19 il riso prodotto dall'associazione uomo-animale non nasce dalla ridicolizzazione della cavalletta verde o della cicala, bensì dalla proiezione sull'essere umano dell'atto compiuto dalla cavalletta e dall'azione subita dalla cicala.
In risposta al tentativo di Titì di dimostrare alla moglie la «barriera insormontabile di distinzione tra genere umano e tutti gli altri generi»20 Ninnina proporrà il secondo binomio presente nel racconto, ovvero l'associazione tra la graziosa scimmietta e la donnina perbene.

«- Persino al mare, vedi, Ninnina - esclamo rientrando per il pranzo - persino al mare, dove l'uomo va per denudarsi e bagnarsi, persino lì, indossa un costume, copre la sua animalità, si fa scrupolo di essere eguale alla bestia. Questo particolare ti basti perché tu ammetta una barriera insormontabile di distinzione tra il genere umano e tutti gli altri generi!
- Barriera insormontabile? Aspetta! - mi dice Ninnina; depone nella scodella il cucchiaio di minestra che si portava alla bocca, si forbisce le labbra e le serra aggrottando insieme le ciglia, poi mette avanti una palma aperta quasi ad immobilizzarmi: - Potrei dimostrarti come tra la più evoluta e raffinata donnina in costume da spiaggia, bistrata, imbellettata, con i capelli alla bebé, protetta da un parasole giapponese, ed una bertuccia dalle mosse garbate non v'è gran differenza. Anche il profano di scienza, ravvisandola, esclama: «Guarda, che graziosa bertuccia!» allo stesso modo che, davanti ad una graziosa bertuccia, esclamerebbe: «Toh, guarda una damina comme il faut!» Ma io non mi soffermo su questa impressione esteriore, che pur potrebbe avere il suo valore documentario. Voglio porti in più serio imbarazzo; e perciò dal confronto di una personcina raffinata con una bestiola, discendo al confronto tra un'espressione primitiva della stessa vita umana e la nostra damina in costume. Prendiamo, ad esempio, una signora Ottentotta di quelle che dimorano nell'Africa meridionale, consideriamola nella sua tozza figura nella deformazione delle sue anche, nella gravezza delle sue gambe gonfie, e poi paragoniamola alla personcina dai capelli alla bebé. È certo che per la nostra damina evoluta è più offensivo il nuovo paragone che il primo. Sussurrale, infatti, all'orecchio: «Quale leggiadra scimmietta voi siete, signora!» e la vedrai dimenarsi tra le spalle per un po', ti darà magari un buffetto sul viso e alla fine ti sorriderà. Prova, invece, a dirle: «Come si vede, signora, che voi siete parente dell'Ottentotta!» ti romperà l'ombrellino sulla testa. E pure la scimmia è una bestia, mentre l'Ottentotta, bene o male, è una donna e come tale fa parte del genere umano!...».21

Il riso determinato dall'accostamento di queste due immagini nasce dalla connessione stravagante e innaturale tra i due generi di esseri viventi che conduce alla formazione di un'immagine caricaturale, anomala e, dunque, grottesca. In realtà lo stereotipo della donnina di buona estrazione sociale, curata, truccata e con l'acconciatura a bamboletta vuole mettere in evidenza la vanità di un certo tipo di donna appartenente ad un preciso contesto sociale che costruisce e fonda il proprio modo di apparire proprio su quegli atteggiamenti e quei canoni comportamentali riconosciuti dalla morale borghese. L'immagine della «evoluta e raffinata donnina in costume da spiaggia, bistrata, imbellettata»22 si pone, dunque, in maniera speculare a quella di una «graziosa bertuccia»23 che si immagina abbia subito un processo di ammaestramento e sia stata mascherata per essere umanizzata. Il travestimento della scimmietta, trasposto nella «raffinata donnina»24 in un processo di mascherizzazione, rappresenta una denuncia sociale rivolta al costume, all'esaltazione dell'immagine e all'attenzione per le mere apparenze.
Questo tipo di ironia e di riso prodotti dalla maschera e dal travestimento inducono ad ipotizzare un approccio con la teoria bachtiniana della carnevalizzazione della letteratura.25 Il travestimento carnescialesco, infatti, imita goffamente, "scimmiotta" (giusto per voler spiegare e puntualizzare mantenendo l'immagine del binomio sansecondiano) tutto ciò che è riconosciuto come forza di dominio, sia che si tratti di convenzioni sia che si tratti di una classe sociale dominante o di realtà e/o soggetti politici.
Ad evidenziare ulteriormente la fatuità dei costumi borghesi si aggiunge anche l'interposizione, all'interno del binomio, di una terza figura: quella dell'Ottentotta dalla conformazione fisica non proprio armonica. Il paradosso nasce, adesso, dal fatto che sempre la stessa «personcina dai capelli alla bebè»26 possa sentirsi estremamente offesa da un riferimento di parentela - in quanto entrambe esseri umani - con questa donna tipica dell'Africa meridionale e, al contrario, inizierebbe a sdilinquirsi ed a sciogliersi dall'emozione se ossequiata con l'appellativo di «leggiadra scimmietta».27 Ma la sproporzione tra gli elementi del messaggio tocca l'apice quando Ninnina, nel sostenere la sua teoria, finisce per rimarcare il paradosso osservando con assoluta naturalezza che «l'Ottentotta, bene o male, è una donna e come tale fa parte del genere umano!».28
L'inciso «bene o male»29 lascia emergere quella visione, costruita sugli stereotipi e sui pregiudizi, dell'altro-non occidentale considerato come selvaggio e, dunque, più vicino al mondo e al genere animale che non a quello umano.
La visione dei neri o di identità appartenenti ad etnie, religioni o culture diverse come esseri inferiori e prossimi all'animale giocherà un ruolo fondamentale nelle campagne di occupazione, colonizzazione, sottomissione e discriminazione di determinati territori e popolazioni da parte di quelle potenze occidentali che miravano al predominio ed allo sfruttamento di civiltà considerate primitive. La visione dell'altro appartenente ad una cultura e ad una civiltà altra, in particolare proveniente dalle zone più interne dell'Africa - conosciute per molto tempo solo indirettamente attraverso le descrizioni e le narrazioni di esploratori e/o conquistatori - e considerato una sorta di essere umano ancora non evoluto, viene resa più chiaramente nel terzo quadro presente nel racconto.

«- Ho visto, di notte, sotto una luna velata, un gorilla severo e dolente aggirarsi intorno alla capanna di due coniugi Ottentotti. Di quando in quando, si sedeva e piangeva. Dopo lunga attesa, una mano, non pallida e nemmeno rosea, nera piuttosto ma femminile, si sporse dalla capanna. Leggero e tremante, reprimendo i singhiozzi, il pensoso gorilla corse al richiamo d'amore e depose su quella mano d'ebano un bacio lungo e straziante...
- Ninnina!
- Adagio. Ai margini estremi del genere bestiale, quel gorilla, senza saperlo, legava con sentimentali nodi di seta il tramite naturale che unisce l'uomo alla grande famiglia animale. Altro che barriera insormontabile! Egli dignitoso nella sua silenziosa passione, come non avrebbe potuto esserlo meglio un cavaliere antico, non solo sormontava la tua pretesa barriera ma andava assai più oltre, rivelandosi, sotto la chiara testimonianza degli astri, di molto superiore all'Ottentotto marito che intanto ronfava come un bisonte dentro la capanna.
- Basta, Ninnina, ti prego!
- Alle corte: chi era più umano, L'Ottentotto che russava o il gorilla che si struggeva d'amore?».30

L'intesa amorosa tra il gorilla e l'Ottentotta determina stupore e sconcerto all'interno della tipica trittica dell'intrigo sentimentale, spesso presente nel teatro del grottesco, in cui la maschera, rappresentata in questo caso dall'animale, diventa l'elemento fondamentale per lo svolgimento della tragica farsa. Il gorilla-maschera - altro tra gli altri - finisce, pertanto, per deformare l'azione lasciando affiorare un'immagine che lancia un messaggio comportamentale e sociale ben preciso. La bestia, dunque, col suo atteggiamento umanamente amorevole e delicato, finisce per valicare la presunta «barriera insormontabile»31 di distinzione che esiste tra l'uomo e la famiglia animale, dimostrando, inoltre, come la comunicazione - in qualsiasi forma e modalità - non sia solo una peculiarità dell'uomo ma appartenga ad ogni specie di essere vivente. L'atteggiamento tenero del gorilla in preda alle pene d'amore contrapposto alla rozzezza "bestiale" dell'Ottentotto determina ancora un capovolgimento comportamentale che mira ad evidenziare e ridicolizzare l'assurdità delle azioni umane e a dimostrare come proprio l'animale rappresenti ciò che realmente l'uomo è, ma non ha il coraggio né l'umiltà di riconoscere a se stesso ed accettare.
Il grottesco della scena, dunque, crea disequilibrio e finisce per invertire le peculiarità distintive delle immagini attraverso l'animalizzazione dell'Ottentotto marito, che ronfa «come un bisonte dentro la capanna»,32 e l'umanizzazione del gorilla che si strugge rispondendo - con tutta la Leidenschaft di cui un essere umano è in grado di provare - al richiamo d'amore e dimostrando, così, di andare ben oltre l'istinto bestiale che dovrebbe caratterizzarlo in quanto creatura "altra" rispetto all'umano.
Da quanto analizzato fino ad ora, in tutti e tre i quadri proposti, l'ironia e/o la comicità di Rosso vengono rivolte anche al binomio uomo-animale come mezzo che mira a rappresentare una parodia dell'uomo e della società borghese, offrendo una percezione frantumata del mondo. Succede così che anche nell'opera di Rosso di San Secondo, come in buona parte dell'universo letterario contemporaneo e come sostiene Enza Biagini, gli animali vengano privati del loro «valore di exemplum morale e della veste sacra e fantastico-simbolica, propri della tradizione simbolica»33 e «abbiano piuttosto finito per condividere lo statuto ambivalente, fantasmatico, onirico e reale, dei "correlativi oggettivi" o degli oggetti poetici novecenteschi»,34 diventando metafore, dunque, dell'interiorità umana e mezzi necessari per ri-vedere se stessi scoprendo la propria dimensione identitaria e quella dell'altro.
Nel racconto preso in analisi l'umorismo sansecondiano, pertanto, considerato come prassi decostruttiva, conduce alla demolizione e frammentazione dell'immagine perbenista del mondo che avviene attraverso il riscatto dell'universo zoomorfo rispetto al macrocosmo umano: si finisce, così, per ironizzare su certi aspetti o situazioni della vita borghese e sull'assurdità di certe azioni o atteggiamenti umani che giungono a riabilitare simbolicamente la rappresentazione dell'altro non umano.

 

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III. Bibliografia

  • Bachtin, Michail - Творчество Франсуа Рабле и народная культура средневековья и Ренессанса [1965], Моква, Художественная литература; trad. it. di M. Romano, L'opera di Rabelais e la cultura popolare: riso, carnevale e festa nella tradizione medievale e rinascimentale, Torino, Einaudi, 1995.
  • Bergson, Henri - Le Rire. Essai sur la signification du comique, Paris, Éditions Alcan, 1924; trad. it. di F. Sossi, Il riso. Saggio sul significato del comico, Milano, Feltrinelli, 1990.
  • Biagini, Enza - La critica tematica, il tematismo e il «bestiario», in E. Biagini e A. Nozzoli (a cura di), Bestiari del novecento, Roma, Bulzoni, 2001, pp. 9-19.
  • Burlini, Francesco - Gli animali domestici nella storia, Verona, Cierre, 2004.
  • Callegari, Giovanna - La doppia subalternità della donna postcoloniale. L'immaginazione come risorsa per una nuova politica culturale, in «Quaderni di Donne & Ricerca», CIRSDe, 2009, n. 13-14. <https://www.cirsde.unito.it/sites/c555/files/allegatiparagrafo/23-05-2016/quaderno_callegari.pdf> (5 maggio 2016).
  • Dolfi, Anna (a cura di) - Il racconto e il romanzo filosofico nella modernità, Firenze, University Press, 2013.
  • Donnarumma, Raffaele - Gadda modernista, Pisa, E.T.S., 2006.
  • Luperini, Romano - Modernismo e poesia italiana del primo Novecento, in «Allegoria», Anno XXIII, terza serie, gennaio-giugno 2011, n. 63, pp. 92-100.
  • Marchiori, Fernando - Negli occhi delle bestie. Visioni e movenze animali nel teatro della scrittura, Roma, Carocci, 2010.
  • Priolo, Silvia - Il margine effimero. Il rapporto animale-uomo oltre i limiti dell'antropocentrismo, in «Studilib», <https://studylibit.com/doc/1556796/il-margine-effimero> (5 maggio 2016).
  • Puppa, Paolo - Il teatro del silenzio: noi e gli animali, in «Scene che non sono la mia. Storia e storie di violenza nel teatro tra due millenni», Corazzano, Titivillus, 2019, pp.153-159.
  • Rosso di San Secondo, Pier Maria - Ninnina e il mondo animale, in «C'era il diavolo o non c'era il diavolo», Milano, Treves, 1929, pp. 81-87.
  • Id. - Inaugurazione, in «ateatro.info», <https://www.ateatro.info/autore/rosso-di-san-secondo/> (7 maggio 2016).
  • Tortora, Massimiliano - La narrativa modernista italiana, in «Allegoria», Anno XXXII, terza serie, luglio-dicembre 2020, n. 82, pp. 83-91.

 

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