Cesare Segre
Due linee alternative nella storia del romanzo: Michail Bachtin e Gianfranco Contini

 

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Sommario
I.
II.
Due linee alternative nella storia del romanzo
Bibliografia


 

§ II. Bibliografia

I. Due linee alternative nella storia del romanzo

1. Voglio concentrare la mia attenzione su una curiosa affinità storiografica. Due grandi critici, uno russo, l'altro italiano, hanno abbozzato una storia del romanzo a base linguistica e formale, che contrappone - lo dirò con un termine tecnico - una corrente narrativa "marcata" ed una "non marcata". È "non marcata" la linea della letteratura d'intrattenimento o d'avventura o d'intreccio, mentre è "marcata" la letteratura fitta di procedimenti stilistici e linguistici, di giochi prospettici, ecc.
I due critici hanno operato quasi parallelamente, anche se la priorità cronologica è del russo, offuscata invero dai ritardi nella pubblicazione. I Problemi dell'opera di Dostoevskij, pubblicati nel 1929,1 vengono rimaneggiati e stampati con nuovo titolo, Problemi della poetica di Dostoevskij, nel 1963.2 Bachtin scrive tra il 1934 e il 1935 il saggio Slovo v romane, La parola nel romanzo, pubblicandolo solo nel 1972.3 L'articolo su Le forme del tempo e del cronòtopo nel romanzo, scritto fra 1934 e 1935, uscì nel 1974.4
Contini pubblica, a coronamento di vari lavori su Gadda, l'Introduzione alla sua Cognizione del dolore nel 1963 (Einaudi),5 e la monografia Espressionismo letterario nel 1977.6 Non risulta che Bachtin abbia avuto notizia del primo di questi lavori, anche per motivi esterni che ben conosciamo (il secondo uscì invece dopo la sua morte, avvenuta nel 1975). Contini per contro è aggiornato su Bachtin, ma solo nel 1988, quando ristampa in volume il capitolo del 1977. Scrive infatti, in una nota aggiunta nella ristampa: «Nella tanta bibliografia suscitata da Rabelais è ai fini immediatamente linguistici ancora più utile il libro di Spitzer, 1910, che quello, a buon diritto assai letto, di Michail Bachtin, 1965».7 Evidentemente non ha colto, nella monografia su Rabelais, gli accenni alla storia del romanzo; e per di più vuole sottolineare la sua predilezione per l'analisi linguistica di Spitzer (del resto lodato anche da Bachtin) alla quale ha continuato a rifarsi.

2. Bachtin incomincia a interessarsi della storia del romanzo fin dalla monografia su Dostoevskij, che già nella prima edizione enuncia il concetto di romanzo polifonico, accettato anche da Lunacharskij in veste di recensore (Bachtin, Dostoevskij 47-53); però il quadro storico della letteratura romanzesca anteriore sarà sviluppato (non sistematicamente) solo nella seconda edizione. Secondo questa, il romanzo seguirebbe tre linee di sviluppo: epica, retorica e carnevalesca. È su questa terza linea che si pone Dostoevskij. Bachtin chiama questa linea «linea dialogica», sottolineando la pluralità di voci e di linguaggi (plurilinguismo). Già a questo punto Bachtin cerca, nella seconda edizione (Bachtin, Dostoevskij 139-151), i precedenti classici, che indica, credo con la guida di Erwin Rohde, Der griechische Roman und seine Vorläufer 1876 e 1900, Leipzig, Breitkopf und Haertel,8 nel «dialogo socratico» e nella «satira menippea». Su questa linea incontriamo il Ludus de morte Claudii (o Apokolokyntosis) di Seneca, l'Icaromenippo di Luciano, Petronio, Apuleio, e poi via via Rabelais, Cervantes, Swift, Voltaire (Micromegas). Opere e autori non necessariamente collegati, ma riferibili alla «memoria oggettiva del genere» (Bachtin, Dostoevskij 158). Dal punto di vista teorico, si rivelano particolarmente operanti i concetti di carnevalizzazione (o meglio il «senso carnevalesco del mondo») e di parodia. Ed è schematizzata eccellentemente la convergenza di due o più voci nel discorso romanzesco. Insomma, la biforcazione della prosa narrativa non è sottolineata, nonostante si contrapponga nettamente un «uso dialogico» e un «uso polifonico» della parola in letteratura: allo stesso tempo pare chiaro che il punto di partenza sia ternario: linea epica, retorica e carnevalesca costituiscono le «tre radici fondamentali del genere romanzesco» (Bachtin, Dostoevskij 142). Bipartizioni e tripartizioni si alternano e si rincorrono.

3. Viene però considerato fondativo, per la storia del romanzo secondo Bachtin, l'articolo La parola nel romanzo, il primo della serie raccolta nel 1973 in Voprosy literatury i estetiki (Estetica e romanzo 67-230), in cui si riconoscerà che lo schema dicotomico è subito presente. Il paragrafo 5 è infatti intitolato Le due linee stilistiche del romanzo europeo. È molto curioso il fatto che Bachtin parta dalla linea, diciamo così, anticonformista del romanzo, quella dialogica o plurilingue. Dice in partenza che «il romanzo è l'espressione della coscienza linguistica galileiana che ha rinunciato all'assolutismo di una lingua unica e unitaria, non accettando più la propria lingua come solo centro semantico-verbale del mondo ideologico e riconoscendo la pluralità delle lingue nazionali e soprattutto sociali, suscettibili di diventare "lingue della verità"» (Estetica e romanzo 174). Un inizio che potrebbe parere prematuro, se non fosse che nel paragrafo 3 Bachtin ha già parlato de La plurudiscorsività nel romanzo, e offerto, basandosi su romanzi di Dickens, esempi analitici di distanziamento, parodico o umoristico, dalla lingua, vista come riflesso di orizzonti ideologico-sociali, oppure di relativizzazione della coscienza linguistica. Mentre nel paragrafo successivo, L'uomo parlante nel romanzo, Bachtin mette in lotta l'uomo parlante (noi diremmo enunciante) con la «parola autoritaria» (religiosa, politica, morale, ecc.: parola del padre, insomma), la quale si fa trovare già fusa con l'autorità, è legata al passato, ha una struttura «immobile e morta, perché è compiuta e univoca, il suo senso soddisfa alla lettera e si pietrifica» (151). La parola autoritaria è legata alla tradizione, all'ufficialità. L'uomo parlante sovverte questa sacralità, mette a confronto prospettive e modi di esprimersi diversi, crea equilibri instabili tra i vari linguaggi sociali. Su questo tema Bachtin fa soprattutto riferimento a Dostoevskij.
Qui vengono già fuori alcuni punti qualificanti della teoria bachtiniana, come l'elenco delle tre categorie (altra terna) in cui si possono raccogliere gli elementi principali del linguaggio romanzesco anticonformista, quelli che collaborano a "creare l'immagine": 1) l'ibridazione; 2) l'interrelazione dialogizzata delle lingue; 3) i dialoghi puri. Specialmente nei primi due, entrano in gioco i linguaggi sociali, che nel romanzo vengono ibridati specialmente con la frizione-fusione tra i punti di vista (quello dello scrittore e quelli dei vari personaggi). La critica precedente parlava infatti di "punto di vista", e soprattutto di "discorso indiretto libero". Abbiamo dunque dei sistemi sociolinguistici, relativi a ceti, categorie, mestieri, livelli culturali, che si amalgamano entro il linguaggio di ogni romanzo, riflettendo antagonismi culturali e sociali. Qui i riferimenti letterari si fanno numerosi, includendo il Don Chisciotte e i romanzi umoristici inglesi del Settecento, soprattutto Sterne, nonché gli umoristi tedeschi come Theodor G. Hippel e Jean Paul. Per la dialettica fra il linguaggio dello scrittore e quelli che caratterizzano ogni personaggio, Bachtin usa qui il termine "stilizzazione", e la stilizzazione è, in certa misura, parodia.
Il paragrafo sulle Due linee stilistiche del romanzo europeo sviluppa ciò che è stato detto negli altri paragrafi. E per la linea anticonformista sintetizza le pagine precedenti, soprattutto in riferimento alla pluridiscorsività, aggiungendo però un nuovo elemento, quello mitologico e magico. Perché sarebbe il mito a determinare l'accoppiamento ideologia-lingua: il pensiero mitologico sarebbe in potere della corrispondente lingua, e la lingua sarebbe in potere del pensiero mitologico. I primi esperimenti di tipo romanzesco si avrebbero nel mondo ellenistico, e il romanzo europeo incomincerebbe a svilupparsi dopo l'indebolimento e la crisi delle autorità religiose, politiche ed ideologiche che hanno dominato il medioevo.
A questo punto ha inizio un ampio excursus storico, che riassumerò brevemente. Ma questa volta Bachtin parla prima della linea della «stilizzazione astratto-idealizzante» (Estetica e romanzo 180), che avrebbe i suoi rappresentanti nei romanzi sofistici,9 cioè in quelli greci o ellenistici, passando poi al romanzo medievale, al romanzo galante dei secoli XV e XVI (Amadís de Gaula), al romanzo barocco e a quello illuministico (Voltaire). Questa linea è caratterizzata dal monolinguismo e dal monostilismo. I romanzi che ne fanno parte «hanno determinato in larga misura anche le idee teoriche sul genere romanzesco e sulle sue esigenze, idee che predominarono fino alla fine del XVIII secolo» (Bachtin, Estetica e romanzo 180). Presenta invece come seconda la linea anticonformista, che ora chiama «bivoca e bilingue», alludendo evidentemente alla plurivocità, in particolare all'emergenza del linguaggio del personaggio entro quello dell'autore. Questa linea va, secondo lui, da Petronio ed Apuleio sino a Dostoevskij. Le due linee corrono parallelamente nella storia del romanzo, talora incontrandosi talora allontanandosi; è comunque alla seconda che, a parere di Bachtin, pertengono i romanzi che fanno storia. Il loro rapporto è, per così dire, dialettico. I romanzi della prima linea stilistica, dice Bachtin, «vanno verso la pluridiscorsività dall'alto al basso: condiscendono, per così dire, ad essa […]. I romanzi della seconda linea, al contrario, vanno dal basso in alto: dal profondo della pluridiscorsività essi salgono nelle sfere superiori della lingua letteraria e se ne impossessano» (Estetica e romanzo 207).

4. Per tenerci stretti al nostro tema, a costo di trascurare alcune luminose intuizioni di Bachtin, è meglio passare al capitolo su Le forme del tempo e del cronotopo nel romanzo (Estetica e romanzo 231-405).
Anche qui si constata il fenomeno dell'inesauribile produttività di ipotesi critiche in Bachtin. E infatti sta in primo piano nella ricerca, sin dal titolo, il concetto di cronòtopo, che è uno dei punti qualificanti delle teorie bachtiniane. Ma oltre al cronòtopo, vengono introdotti nel capitolo altri indici importanti: per esempio la funzione del riso: allusioni al mangiare, al bere, agli escrementi, al sesso, vengono studiate (particolarmente in Rabelais, cui Bachtin dedicò la sua tesi di dottorato) come elementi di quello che altrove chiama il «basso corporeo» (Bachtin, L'opera di Rabelais). L'argomento del riso e del «basso corporeo» porta con sé quello del rapporto tra folclore e letteratura, dato che il «basso corporeo» è dominante nella fantasia popolare. Infine, ed è forse l'innovazione più sensibile, le fabulae o parti di esse sono schematizzate con strumenti della folcloristica formalista (cito come esempio una sola frase.: «La cattività e la prigione presuppongono la recinzione e l'isolamento del protagonista in un determinato luogo dello spazio», ecc. (Bachtin, L'opera di Rabelais 246).
Ma ciò che colpisce di più in questo lunghissimo e fondamentele capitolo, quasi un volume, è il fatto che alle due linee del romanzo non si allude più. I primi due paragrafi: 1-Il romanzo greco; 2-Apuleio e Petronio potrebbero avviare la dicotomia tra una linea monologica e una plurilingue, e invece no. Segue infatti il paragrafo 3-La biografia e l'autobiografia antica, che forse, a rileggere lo studio precedente e il seguito della trattazione, potrebbe essere fuso col paragrafo 2. Ma poi vengono i paragrafi: 4-Il problema dell'inversione storica e del cronòtopo folclorico; 5-Il romanzo cavalleresco; 6-Le funzioni del furfante, del buffone e dello sciocco nel romanzo; 7-Il cronòtopo rabelesiano; (una vera, luminosa monografia di 70 pagine, in cui non si accenna nemmeno alla "linea plurilingue", anche se sono molti i riferimenti ad opere anteriori e successive), 8-Le basi folcloriche del cronòtopo rabelesiano; 9-Il cronòtopo idillico nel romanzo. Le Osservazioni conclusive, che costituiscono il paragrafo 10, sono state aggiunte nel 1973, subito prima della pubblicazione. E introducono ancora altre proposte critiche: prima un elenco di cronòtopi non elencati nel capitolo, quelli della strada, del salotto, della soglia; poi, acute osservazioni sulla posizione, insomma sul cronòtopo, dell'autore in rapporto col cronòtopo del romanzo.
Ci troviamo insomma in un paesaggio quasi completamente mutato. Spiegare il mutamento dicendo che Bachtin illumina i medesimi problemi prima con un riflettore, poi con l'altro, sembra un po' arduo. Basti un'osservazione. Bachtin incomincia affermando: «Già nell'antichità furono creati tre tipi essenziali di unità romanzesca e quindi tre corrispondenti modi di padronanza artistica del tempo e dello spazio nel romanzo o, per dirla in breve, tre cronòtopi romanzeschi» (L'opera di Rabelais 233). I tre tipi sarebbero, stando alla paragrafatura del capitolo, il romanzo d'avventura e di prove, il romanzo d'avventura e di costume (di Petronio e Apuleio), il romanzo biografico (esempio: l'Apologia di Socrate e il Fedone di Platone). Si direbbe quasi che voglia sostituire al modello binario del capitolo precedente un modello ternario. Conferma questa ipotesi il fatto che nel volume su Dostoevskij troviamo appunto uno schema ternario, però ancora diverso. Leggo: «Con una certa semplificazione e schematicità si può dire che il genere romanzesco ha tre radici fondamentali: epica, retorica e carnevalesca» (Bachtin, Dostoevskij 242).

5. L'impressione è che Bachtin non sia partito da un progetto di storia del romanzo, ma abbia piuttosto ricamato nel tempo anteriore e posteriore al suo Dostoevskij, integrato a un certo punto da Rabelais, valutando linee storiche e scrittori in rapporto con le osservazioni sui due autori di riferimento. Quasi uguale il comportamento del critico italiano citato all'inizio, Gianfranco Contini. Contini pone proprio all'origine della sua ricerca la valorizzazione di un narratore a lui contemporaneo, Carlo Emilio Gadda. È del 1934 il primo articolo di Contini ventiduenne su Gadda, seguito da un altro del 1943, sino all'Introduzione alla Cognizione del dolore (1963) e a molti lavori successivi. D'altra parte Contini, come artefice dell'antologia Poeti del Duecento (1960), aveva già evidenziato l'elemento espressionista di alcuni poeti italiani, specialmente settentrionali, di quel secolo. È proprio per fornire una cornice storica a Gadda che Contini, nella Prefazione del '63, cerca di approfondire la continuità della linea espressionista cui appartiene. Egli usa i termini plurilinguismo ed espressionismo, aggiungendo il dialetto, che è un elemento tipico dell'espressionismo italiano. Una storia ricostruita a ritroso, backwards, tanto che quando uscì il mio capitolo, sempre del '63, su Polemica linguistica ed espressionismo dialettale nella letteratura italiana (Segre 383-412), si disse che la mia era una storia progressiva, quella di Contini una storia regressiva.

6. Anche la monografia continiana sull'espressionismo narra una serie di deviazioni e di spostamenti d'indirizzo: dalla pittura alla letteratura, dalla Germania alla Francia all'Italia, dalla Scapigliatura lombardo-piemontese a Gadda risalendo poi a Rabelais, a Folengo e così via. Contini insisteva, come prima Bachtin, sulla polifonia e sul plurilinguismo. Avrebbe avuto a disposizione uno schema storiografico collaudato: quello che contrapponeva il plurilinguismo e il pluristilismo di Dante al monolinguismo e monostilismo di Petrarca.10 Una contrapposizione senza dubbio decisiva, se si pensa che Dante e Petrarca sono entrambi capifila di consistenti tradizioni nella storia della letteratura italiana. Invece, curiosamente, la linea storica del plurilinguismo dantesco incrocia abbastanza raramente negli scritti di Contini quella della "funzione Gadda", cioè dei precursori e degli imitatori di Gadda. Forse perché Contini considerava il "discorso sul plurilinguismo dantesco" un problema relativo alla poesia, e il "discorso sulla funzione Gadda" un problema relativo alla prosa? Fatto sta che i due discorsi dovrebbero essere coordinati, e sinora non lo sono. Nemmeno il mio articolo su Polemica linguistica, ecc. scioglie il nodo. E devo confessare di averlo lasciato un po' in ombra anche nei miei scritti successivi, come in La tradizione macaronica da Folengo a Gadda (e oltre) (Semiotica filologica 169-183), e in Punto di vista, polifonia ed espressionismo nel romanzo italiano (1940-1970) del 1985 (Intrecci di voci 27-44). Si legga però nel primo contributo: «non vi fu quasi esperimento linguistico-stilistico in Italia non riconducibile in qualche modo al plurilinguismo dantesco» (Semiotica filologica 173). Rivendico in cambio il mio impegno a definizioni più rigorose per le modalità e gli usi letterari del plurilinguismo. Comunque, anche Contini era consapevole del problema. Proprio nell'ultima pagina dell'Introduzione del 1963, scrive: «Dante, che nel suo stile 'comico' come enciclopedia di stili definita dalla variante inferiore includeva, ma sottomettendole, le virtualità che un giorno si sarebbero dette espressionistiche [...], teorizza una poesia dialettale come parodia o improperium coeva da sempre alla poesia aulica. Col cosiddetto Cielo d'Alcamo, con la canzone del Castra, ecc. egli costruisce una prima linea di controcanto espressivo, che sarebbe attraente prolungare per i secoli successivi» (103, mia la sottolineatura).

7.Insomma, né Bachtin né Contini s'impegnano totalmente nella storia della linea plurilinguistica della letteratura europea. Anzi Bachtin, certo più attivo di Contini nell'impegno storiografico, sembra dirci che la successione dei romanzi può essere vista con un'ottica diversa a seconda che si usi come rivelatore l'elemento plurilinguistico, oppure la plurivocità, oppure il carnevalesco, o il cronotopo. È un arricchimento, ma anche un modo per attenuare il rigore descrittivo della linea. Del resto va notato che Bachtin, anche nelle pagine più distesamente storiografiche, non analizza mai i testi, non ne cita mai qualche brano significativo: ciò che probabilmente l'avrebbe portato a caratterizzare di più, a categorizzare in modo più stringente.
In effetti, mentre il romanzo d'avventure si sviluppa tranquillamente nel tempo, ogni tanto nascono scrittori che rifiutano il discorso narrativo e vi iniettano novità formali e stilistiche, che ne irridono l'autorità. Molte volte questi scrittori conoscono i loro predecessori e ne imitano qualche procedimento. Ma se si volessero canonizzare le loro opere, s'incontrerebbero molte difficoltà. Possiamo solo notare che gli autori di maggiore spicco, citati in parte da Bachtin in parte da Contini, sono Petronio, Rabelais, Cervantes, Sterne, Jean Paul, Joyce. Ma sugli altri ci sono discrepanze significative, anche perché le novità nell'invenzione non sono sempre e necessariamente legate a quella dello stile. E allora ci si domanda se le linee monolinguistica e quella plurilinguistica non rappresentino, più che delle realtà, delle prospettive. Quella plurilingue non fa che estrapolare dalla linea storica del romanzo gli esemplari che violano il dominante schema monolinguistico, ma che poi, e spesso, non hanno tra loro peculiarità di cui si possa indicare lo sviluppo, a parte le eventuali imitazioni o allusioni, spesso significative. Ma non dimentichiamo che le due linee, o le due prospettive, sono soltanto delle metafore (metafore ottiche); non hanno un'esistenza concreta. Va adottata quella che è più redditizia didatticamente. A me pare che parlare di prospettive ci permetta di tener presente la dialettica tra testi monolingui e plurilingui, e di renderci conto comparativamente dell'inventività con cui gli scrittori plurilingui hanno celebrato le loro infrazioni alla continuità della tradizione narrativa.

 

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II. Bibliografia

  • BACHTIN, Mihail Mihajlovič. Problemi dell'opera di Dostoevskij (1929). Eds. M. De Michiel e A. Ponzio. Bari: Edizioni del Sud, 1997.

  • ---. Dostoevskij. Poetica e stilistica. Torino: Einaudi, 1968.

  • ---. L'opera di Rabelais e la cultura popolare. 1965. Torino: Einaudi, 1979.

  • ---. Estetica e romanzo. Torino:Einaudi, 1979.

  • CONTINI, Gianfranco. Varianti e altra linguistica. Una raccolta di saggi (1938-1968). Torino: Einaudi, 1970.

  • ---. Ultimi esercizi ed elziviri (1968-1987). Torino: Einaudi, 1988.

  • ---. Introduzione. Cognizione del dolore. Di C.E. Gadda. Milano: Garzanti, 1963.

  • SEGRE, Cesare. Lingua, stile e società. Scritti sulla storia della prosa italiana, Milano: Feltrinelli, 1963.

  • ---. Semiotica filologica. Torino: Einaudi, 1979.

  • ---. Intrecci di voci. Torino: Einaudi, 1991.

 

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