Alexandra Zingone, Affricana. Altri studi per Ungaretti, Caltanissetta-Roma, Salvatore Sciascia Editore, 2012, pp. 311, € 28
di Teresa Spignoli

 

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La pubblicazione di questo libro prosegue e approfondisce un'attenzione nei confronti dell'opera ungarettiana che Alexandra Zingone ha consegnato, nel corso del tempo, a numerosi saggi critici e interventi a convegni, tra i quali spicca, per importanza, il volume Deserto emblema. Studi per Ungaretti (Caltanissetta-Roma, Salvatore Sciascia Editore, 1996), cui, a distanza di circa un quindicennio, si richiama sin dal titolo Affricana. Altri studi per Ungaretti, costituendone il necessario completamento. Il libro propone, in una veste organica e, in taluni casi, notevolmente ampliata, saggi già editi in altre sedi (fa eccezione l'inedito Al lampo d'Alessandria. Ungaretti, Kavafis, Cattaui), ma qui per la prima volta raccolti in un insieme strutturato, che ripercorre l'intero macrotesto ungarettiano, dalle origine "affricane" sino alle ultime prove, passando attraverso la scrittura saggistica, la poesia, la critica d'arte. Il mito delle origini, l'identità africana ed Europea, la contaminazione culturale e linguistica, sono motivi che attraversano trasversalmente ogni capitolo, proponendo un inedito viaggio tra testi noti e meno noti della vasta produzione ungarettiana, a partire dalle due interviste rilasciate dal poeta al quotidiano arabo «La Bourse Égyptienne» (29 maggio 1952, n. 128; 14 agosto 1960, n. 191), che Alexandra Zingone riproduce integralmente, e che costituiscono due documenti di primaria importanza per ricostruire l'incidenza della «culla araba» nell'intero macrotesto ungarettiano.
L'interessante e approfondita analisi delle interviste - proposta nel primo capitolo Ungaretti alla «Bourse Égyptienne». Due interviste arabe ritrovate - consente infatti di gettare nuova luce, sia sull'importanza dell'infanzia egiziana nella mito-biografia del poeta, sia sulla presenza "attiva" di Ungaretti nel tessuto delle relazioni interculturali tra l'Egitto e l'Europa. Mi riferisco in particolare all'asse «identità-alterità», «identità-diversità», individuata dalla studiosa quale grimaldello critico per indagare il binomio «civiltà letteraria europea e contaminazione culturale» che tanta parte ha nello «spazio letterario» delineato dall'opera del poeta e del critico. A una dettagliata ricostruzione del clima culturale arabo in cui si situa l'apprendistato di Ungaretti, soprattutto a partire dalla vivace stampa egiziana, si affianca un'indagine dei motivi africani disseminati nei testi, con un inedito approfondimento centrato sul pittore Mohamed Naghi, «fondatore dell'arte moderna d'Egitto». L'attenzione all'ambito figurativo, che si esplica soprattutto dagli anni Trenta in poi, può dunque già essere ricondotta in nuce «alla culla araba», che ancora una volta si conferma bacino inesauribile di temi e motivi della futura produzione. Così Alexandra Zingone mostra, in modo convincente, come le immagini dei paesaggi ritratti da Naghi trascorrano senza soluzione di continuità nella parola scritta: dal dipinto Il Giardino Antoniadis del 1917, alle prose Chiaro di luna e Dall'estetica all'Apocalisse o i denti di Zimbo, che replicano l'immagine del «giardino incantato», con tratti assai simili ai contorni delineati dal pittore.
Dall'immagine, inoltre, alla musica, o meglio alla musicale monotonia della "nenia" araba, che costituisce l'argomento del secondo capitolo Poesia d'"Affrica". «Lamento arabo» e dintorni, centrato sulle traduzioni incluse nel volume del 1936 (Roma, Novissima), e in particolare sulla sezione Affrica, che comprende Lamento arabo e il Tam tam degli animali, analizzate attraverso la «mediazione necessaria» di Élian-Juda Finbert, e dunque della lingua francese. Seconda tappa, questa, di un itinerario egiziano che trova il suo completamento nella contaminazione culturale con la seconda patria del poeta, quella Parigi cui approda poco più che ventenne: Ungaretti «Affricano a Parigi». Due poèmes en prose, la poesia araba (cap. IV). Se dunque da un lato la studiosa segue i complessi motivi testuali e linguistici che trascorrono dalla «culla araba» all'innesto europeo, dall'altro lato non dimentica i molti nodi che si dipanano attorno al binomio identità-alterità, di cui prima si diceva, offrendo un'inedita ricostruzione del clima culturale arabo nel terzo capitolo Al 'lampo' di Alessandria. Ungaretti, Kavafis, Cattaui, laddove Alessandria diviene mito identitario e «città della memoria», luogo per eccellenza di incontri e di "innesti", sia per Ungaretti che per Kavafis, cui la Zingone, aggiunge, opportunamente, il nome di Marinetti. La città lasciata alle spalle «su un bastimento verniciato di bianco», diviene dunque città «di carta» ritrovata e riscoperta dall'«Affricano a Parigi», nella scrittura poetica. Al di là delle sponde del Mediterraneo, nella capitale francese, Ungaretti costruisce un asse tra Oriente e Occidente che salda insieme le due polarità «deserto vs città», passando, ancora una volta, attraverso la mediazione di Henri Thuile, e in particolare del suo Littérature et Orient che costituisce il vero e proprio avantesto di Viaggio in Egitto (poi Egitto di sera).
L'infuocato paesaggio romano del mezzogiorno è preludio al «sentimento della catastrofe» proprio dell'arte barocca, cui è dedicato il quinto capitolo («Scontri mostruosi d'immagini». Impressioni di Barocco nel laboratorio di Ungaretti), che funge da introduzione all'altro tema del libro, già adombrato nei precedenti capitoli "africani", ovvero il fondamentale apporto delle arti figurative nel macrotesto ungarettiano, qui analizzato nella parte conclusiva del volume, in cui confluiscono saggi già noti, ma organizzati e ampliati in un insieme organico, che mira a riflettere su più aspetti del connubio tra immagine e parola (Per Ungaretti interprete d'arte. In chiaroscuro). E difatti è proprio a partire dall'«arte araba» che si dispiega il percorso attraverso la «modernità europea», inteso a rinvenire, attraverso le coppie dialettiche visibile/invisibile, unità/varietà, luce/ombra, sia le modalità in cui si declina l'analisi critica ungarettiana, che l'asse attorno a cui si evolve l'elaborazione poetica, in una ideale circolarità delle arti già ben messa in evidenza dallo stesso poeta in Caratteri dell'arte moderna, scritto nel 1935 come presentazione alla mostra di Guglielmo Janni presso la Galleria della Cometa. Passando in rassegna autori cari ad Ungaretti, come Spadini, Fazzini e Cagli, l'autrice tenta di chiarire il nesso tra scrittura e pittura, parola e immagine, soffermandosi soprattutto sul concetto di icona, e sul valore dell'elemento luminoso, che dal miraggio sorto ai limiti del deserto, già precocemente individuato nella pittura di Naghi, trascorre nelle bande colorate di Piero Dorazio - «lingotti incandescenti di colori», afferma Ungaretti - che compongono il volume La luce, dove le opere del pittore e i componimenti del poeta assurgono a vera e propria icona della luce.
Completano e arricchiscono il già denso volume, una serie di testi di Élian-Juda Finbert, Henri Thuile, Mohamed Naghi, Georges Cattaui, che integrano i riferimenti presenti nei saggi pubblicati, agevolandone la lettura, e suggerendo stimolanti percorsi intertestuali, proprio all'insegna di quella contaminazione culturale e identitaria, cui si ispira l'analisi proposta da Alexandra Zingone.

 

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Giugno-dicembre 2013, n. 1-2