Dario Gentili, Italian Theory. Dall’operaismo alla biopolitica, Bologna, Il Mulino, 2012, pp. 246, € 20
di Liliana Jansen-Bella

 

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Dario Gentili, collaboratore presso la cattedra di Filosofia morale dell’Università di Roma Tre, è uno dei tanti che recentemente hanno cercato di spiegarsi il successo internazionale dell’attuale filosofia italiana. Il diffuso interesse per la cosiddetta Italian Theory lo induce a chiedersi se si possa legittimamente parlare di una «differenza italiana», derivante dall’elaborazione di strumenti interpretativi, concetti, categorie, dispositivi all’altezza dei tempi, ossia tali da metterci in grado di capire l’attualità nei suoi aspetti più rilevanti per la nostra vita. La sua è la stessa domanda che si sono posti i predecessori, tra i quali Roberto Esposito, il filosofo cui Gentili affida il compito di concludere la sua rassegna. Ma il filo conduttore ed il metodo della sua indagine aspirano a differenziarsi sostanzialmente dalle altre ricerche quanto all'adeguamento tra l'approccio scelto e il contenuto che ne deriva.
Ispirato da un dibattito, tenutosi in Italia a partire dagli anni Ottanta, sul significato di una politica di sinistra dopo la dissoluzione dei fondamenti ideologici a determinazione della presa di parte e della scelta di partito, il ricercatore assume a sua guida un concetto venuto in luce in quel contesto. Si tratta del concetto di sinisteritas, che in latino sta ad indicare "la parte maledetta"o "la maledizione della parte" e quindi l’errare, la deviazione dalla retta via, in opposizione alla destra, associata invece alla rettitudine, alla giustizia, alla norma. Dalla sinisteritas deriva poi la sinistra come designazione politica. Su questo peculiare legame etimologico, tipico della nostra lingua che starebbe ad indicare un aspetto significativo della «differenza italiana», Gentili basa la sua lettura della dinamica evolutiva del pensiero politico italiano degli ultimi cinquant’anni.
Partire dalla sinisteritas implica l’assunzione di un dualismo originario, insito nella realtà, e quindi di una conflittualità che risulta rispecchiata nel modo di procedere della riflessione alternativa, cioè "sinistra", che sentendosi chiamata a (ri)dire la parte conflittuale male-detta, tende a deviare dalla linea affermatasi o adeguatasi come linea retta. In tal modo, sotto la spinta di istanze critiche e innovative, ogni normalizzazione suscita nuove svolte, scarti e via dicendo, secondo una dinamica discorsiva caratterizzata da continuità nella discontinuità. Optando per un resoconto in forma di dibattito, Gentili opera in congeniale sintonia con il procedimento da lui ipotizzato. Il presupposto della sinisteritas consente inoltre all’autore di articolare un’ulteriore implicazione della "parte maledetta": quella cioè dell’emergenza dal conflitto di una soggettività antagonista che, sottraendosi al suo assoggettamento, tende a (im)porsi come normale e normativa.

La serie dei pensatori "devianti" che Gentili include nella sua ricostruzione dell’accidentato percorso «dall’operaismo alla biopolitica» inizia con Tronti ed il suo operaismo, passa per Cacciari e l’Impolitico, prende in considerazione il pensiero debole di Vattimo e quello della differenza sessuale, interpreta la secolarizzazione sulla scorta di Marramao e approfondisce infine il tema della biopolitica con Agamben, Negri ed Esposito. Tutti i pensatori presi in esame sviluppano il loro pensiero a partire dalle categorie della Modernità, che vengono riformulate e reinterpretate alla luce della crisi del pensiero dialettico di stampo hegeliano, compresa la versione marxista del materialismo storico. Ad essere entrata in crisi è in particolare l’idea della sintesi da superamento a soluzione del conflitto che muove e indirizza il divenire storico. Esclusa la sintesi a un livello superiore, trascendente, l’orizzonte del reale si appiattisce su un piano orizzontale che esclude la possibilità di un punto di vista privilegiato per il giudizio critico d’insieme, per le scelte programmatiche e quindi per il ruolo dell’intellettuale. In mancanza di un fuori e di un altrove dove prender posizione, non resta altra alternativa, certamente a partire dalla sinisteritas, che quella di essere dentro ed essere contro, in una situazione di massima immersione e limitata visione. Nel mondo e nel tempo della globalizzazione e del trionfo esclusivo del sistema capitalistico-(neo)liberale, il dilemma del filosofo è quello di misurarsi con la maledizione della parzialità. La fortuna dell’Italian Theory sembra tuttavia stare ad indicare che si è trattato di una sfida stimolante che ha fruttato «categorie nuove, all’altezza dei tempi» (p.9). Gentili annovera in particolare: biopolitica, impero, nuda vita, comune. È una scelta prioritaria che lascia in ombra l’apporto del pensiero della differenza sessuale e quello del pensiero debole. Il primo costituisce un caso esemplare di parte maledetta, quella femminile, che prova a dirsi bene, riformulando i termini della propria condizione, al fine del passaggio dall’assoggettamento nella società patriarcale ad una liberante soggettivazione. È una riflessione che si sviluppa sempre in aderenza con le pratiche messe in atto dal femminismo italiano a partire dagli anni Settanta e questa aderenza tra teoria e pratica la qualifica come «pensiero dell’esperienza» e cioè come un caso di filosofia della prassi in linea con la sinisteritas. Gentili si astiene da una valutazione degli esiti del pensiero della differenza sessuale – che si presenta sulla scena filosofica nel 1970 con lo scritto-manifesto Sputiamo su Hegel ma acquista risonanza nei decenni successivi –, limitandosi a citare in nota Tronti (p.143) che ne indica il limite "politico" a causa di una sfasatura storica: questa filosofia è stata sviluppata in ritardo rispetto all’epoca in cui era possibile il conflitto in quanto liberazione della parte oppressa.

Quanto al pensiero debole, si direbbe che l’ampia risonanza internazionale ne faccia un pezzo forte dell’Italian Theory, non però dal punto di vista scelto da Gentili. La filosofia di Vattimo rappresenta in tal senso uno scarto eccessivo, operando un salto epocale dalla modernità alla postmodernità. Il pensiero debole, a differenza della linea ‘sinistra’, non tende a individuare e definire una "parte maledetta" in opposizione a quella dominante, anzi rifiuta la logica della parte e del partito e quindi la connessa logica del conflitto. È questa dunque la debolezza per cui la categoria di Verwindung a qualificazione del rapporto niente affatto concluso o univoco con la modernità, è esclusa dal novero delle categorie rilevanti. Tra quelle passate al vaglio della sinisteritas, la biopolitica funge da quadro paradigmatico, la nozione di impero va rapportata alla filosofia di Negri, quella di nuda vita è originaria di Agamben e quella di comune, a chiusura di serie, si riferisce al pensiero di Roberto Esposito. La sua concezione della comunità (versus immunità) muove dalla critica del pensiero comunitario della modernità a partire da Hobbes e propone un’originale alternativa, mentre la sua «biopolitica affermativa» segna, nell’analisi di Gentili il più attuale e rilevante punto di arrivo del dibattito esaminato. Nel suo Pensiero Vivente (2010), Esposito, come lo stesso Gentili, si impegna a fare un bilancio delle acquisizioni dell’Italian Difference. Anche lui finisce col cimentarsi con la questione del rapporto tra immanenza e conflitto, tra l’essere dentro ed essere ad un tempo contro. Secondo Esposito, che lo fa risalire a Machiavelli, il quesito è stato risolto dai filosofi che recentemente se lo sono posto con una scelta o per il conflitto (Tronti), o per l’immanenza (Negri). La sua scelta è per una biopolitca affermativa, per una politica cioè che ha origine nella vita stessa: vita e conflitto sono ontologicamente uniti, formano un’unità originaria così che essere in vita è di già essere contro.

Infine, presentando l’attuale pensiero politico italiano in forma di resoconto di un dibattito in corso, Gentili ha spesso occasione di lasciare la parola agli stessi interlocutori citando estesamente i loro testi, il che dà al suo libro un’indubbia qualità antologica. Adottando la sinisteritas a inquadratura metodologica e criterio valutativo, Gentili può a sua volta intervenire nella discussione commentando da dentro la prassi filosofica indagata e i problemi di autolegittimazione con cui essa ha oggi a che fare. Se tuttavia l’ambizione dei filosofi della parte maledetta è quella di prospettare un’ontologia dell’attualità, la verifica della rilevanza del loro impegno e del significato del loro successo andrebbe fatta tanto in rapporto con l’ontologia quanto in rapporto con l’attualità. Che cosa dice di più o di meglio l’Italian Theory, rispetto ad altre teorie sulle necessità e i dilemmi del nostro mondo e tempo? Qual è il valore conoscitivo e strumentale delle categorie ideate per orientarci ed agire in una realtà originariamente, ed ora più che mai, poliedrica e contraddittoria? Evitando di esplicitare la risposta a simili domande Gentili mostra il limite "maledetto" che la sinisteritas gli ha imposto.

 

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