Andrea Hajek
Facebook e l'"album di famiglia" del Bologna '77. La ricostruzione di una storia collettiva attraverso fotografia e social network

 

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Sommario
I.
II.
III.
IV.
V.
VI.
VII.
VIII.
Introduzione
La protesta a fuoco
Per una storia altra del '77 a Bologna
Rincontrarsi nel mondo virtuale
L'album di famiglia del '77 su Facebook
Nostalgia e memoria "possessiva"
1977, autoritratto di una generazione
Conclusioni


 

§ II. La protesta a fuoco

I. Introduzione

È comunemente accettato, nell'ambito degli studi di memoria e dei mass media, il fatto che le nuove tecnologie - dalla televisione ai social network - abbiano creato «la possibilità di una circolazione senza precedenti di immagini e di narrazioni del passato».1 In altre parole, i mass media, come ci spiega anche Paolo Jedlowski, «determinano le nostre immagini della realtà», permettendo alla memoria pubblica del passato di essere acquisita da chiunque.2 Tra i primi eventi socio-politici del '900 che sono stati fatti circolare in televisione ci sono le proteste del '68. Chi non ricorda l'immagine della bionda Marianne de Mai, portata sulle spalle per le strade del Quartier Latin a Parigi mentre impugna una bandiera, oppure quella dei due atleti afro-americani, vincitori delle Olimpiadi a Città del Messico nello stesso anno, con i pugni alzati in un saluto verso il cielo? Ma non solo i media fanno circolare le memorie con più facilità ed estensione: l'effet de réel - com'è stato teorizzato da Roland Barthes - dei media, in particolare quelli visivi, crea un'esperienza più personale degli eventi passati, ovverossia un senso di partecipazione più diretta, anche quando non si è vissuto un evento personalmente.3 In altre parole, quando «le immagini e le idee entrano in contatto con l'archivio personale di esperienze di una persona», i media fanno sì che le memorie pubbliche vengano vissute più da vicino.4
Oltre a creare memorie più condivisibili e condivise, le immagini trasmesse dai media prendono anche forma nella mediazione del passato che ha luogo in questa trasmissione. Ovverossia, l'atto di conservare, presentare e condividere dati visivi può influenzare il modo in cui il passato è ricordato e le identità passate vengono ricostruite nel presente.5 In effetti, la memoria e i media si formano a vicenda, soprattutto nell'era del digitale, dove le nuove tecnologie hanno provocato una «esplosione globale della partecipazione pubblica », stimolando una produzione più auto-riflessiva di memoria.6
Questo saggio analizza il processo di condivisione di immagini fotografiche in rete, in relazione al movimento studentesco degli anni '70 nella città di Bologna. Più precisamente, si indaga su una serie di album fotografici che il fotografo Enrico Scuro ha caricato - all'inizio del 2011 - sul social network Facebook, guadagnandosi il nome di «biografo visivo di una generazione».7 In seguito a questa iniziativa, i settantasettini hanno ricostruito, in rete, le loro memorie individuali e collettive di questi anni, lasciando commenti e taggandosi en masse nelle varie fotografie8. Partendo da teorie sulla memoria collettiva e culturale, il saggio esaminerà come primo punto il tipo di fotografie che Scuro ha selezionato per ciò che vorrei definire un "album di famiglia"; come le ha ordinate; e quali sono state le reazioni da parte degli utenti. In secondo luogo, si cercherà di capire il significato di questi album nella ricostruzione, 35 anni dopo, di un'identità collettiva per gli ex protagonisti del "Movimento del '77" a Bologna. Quant'è importante la nostalgia in queste rievocazioni del passato, e quanto influisce sul senso di appartenenza il fatto che le fotografie siano digitali piuttosto che analogiche? Quest'ultimo punto verrà discusso anche in relazione alla pubblicazione, nel dicembre del 2011, di una selezione delle fotografie in forma cartacea.9

 

§ III. Per una storia altra del '77 a Bologna Torna al sommario dell'articolo

II. La protesta a fuoco

La memoria pubblica degli anni '60 e '70 ha una forte componente visiva, come ha dimostrato recentemente Antonio Benci nel suo lavoro sull'immaginario visivo del '68 in Italia.10 Questa visualità è determinata in gran parte dal fatto che la trasmissione di queste memorie sia avvenuta tramite i media: la televisione, in particolare, ha avuto un impatto significativo sulla diffusione delle proteste del '68 e, di conseguenza, sulla creazione di un suo immaginario pubblico. Come osserva Marica Tolomelli, nella seconda metà del '900 «[i] mass media, e la televisione forse più di ogni altro, si posero stabilmente al vertice di quella struttura piramidale della sfera pubblica, arrogandosi un potere tendenzialmente incontrastabile di influenza sui processi di formazione dell'opinione pubblica».11
Ma forse il medium della fotografia ha influenzato ancora di più la creazione di una memoria visiva dei movimenti studenteschi di quegli anni. Si pensi alla famosa foto della Marianne de Mai, pubblicata per la prima volta nel numero di maggio 1968 di «Life-Magazine», poi nella rivista francese «Paris Match».12 Anche se la foto era connessa a un tempo e un luogo specifico - un corteo a Parigi nel maggio del 1968 - e anche se ricordava l'icona femminile della rivoluzione francese come rappresentata nel famoso quadro di Eugène Delacroix, riferendosi dunque a un importante componente della specifica memoria nazionale francese, l'immagine diventò subito un'icona internazionale delle proteste del '68. Questo si spiega col fatto che rappresentò non solo uno spazio fisico ma anche simbolico di protesta collettiva. Come osserva Barbie Zelizer, la fotografia non ha solo una forza connotativa ma anche denotativa, nel senso che non mostra unicamente una realtà ben precisa e concretizzata, ma si riferisce anche a qualcosa che va oltre l'immagine, un ideale o un messaggio politico.13 Perciò la Marianne divenne parte di una memoria globale del 1968 così come un simbolo universale di protesta giovanile, il che spiega la persistenza di questa foto nel tempo. In effetti, la fotografia - essendo riproducibile fino all'infinito, "mobile" e slegata da tempi o spazi - è un mezzo molto efficace per il trasferimento di memorie a future generazioni.14
In Italia, la forte visualizzazione della memoria pubblica dei movimenti di protesta degli anni '60 e '70 si deve anche all'esistenza di un gran numero di documenti visivi (foto e filmati) che - contrariamente al materiale scritto che è stato prodotto dai movimenti, più effimero e destinato a essere consumato - sono stati maggiormente preservati. Dopotutto, gli studenti vivevano nel e per il presente, rifiutando - nel nome di una forma più diretta e democratica di partecipazione - le versioni dominanti della storiografia tradizionale e scritta. Non a caso alcune metafore visive sono state usate nei titoli di libri su quegli anni, come Autoritratto di gruppo (1987) di Luisa Passerini, a proposito del '68, o l'analisi da parte di Lucia Annunziata della frattura tra il Partito comunista italiano (PCI) e il movimento studentesco del 1977, in 1977. L'ultima foto di famiglia (2007).
La memoria visiva del movimento che nacque nel 1977 è, però, un'arma a doppio taglio. Contrariamente alle proteste del 1968, la memoria pubblica del movimento del '77 è stata oscurata dalla violenza politica dell'immagine di «anni di piombo», che ha dominato i quotidiani, le riviste di opinione pubblica e la televisione. Si pensi, ad esempio, all'immagine dell'autonomo che spara alla polizia a Milano, il 14 maggio 1977 - una delle icone degli anni '70 in Italia.15 Di conseguenza, un significante contrasto visivo divide le memorie delle proteste del 1968 da quelle del 1977, nonostante queste ultime - soprattutto nella loro manifestazione a Bologna - abbiano avuto un carattere prevalentemente creativo e gioioso.

 

§ IV. Rincontrarsi nel mondo virtuale Torna al sommario dell'articolo

III. Per una storia altra del '77 a Bologna

Verso la fine degli anni '90, gli ex protagonisti del movimento studentesco del 1977 a Bologna cominciarono a riabilitare il '77 tramite la promozione di un'immagine più culturale e meno violenta di quegli anni. La fotografia fu importante in questo tentativo di spostare l'attenzione verso l'ala creativa del movimento, documentata estensivamente da fotografi come Tano D'Amico e soprattutto Enrico Scuro. Immagini di gruppi musicali e mimi che animavano gli allegri cortei o dei graffiti ironici che coprirono i muri dell'università diventarono delle icone alternative di quegli anni, che tornarono a ogni commemorazione annuale, specie nelle pubblicazioni. Durante il 25° e il 30° anniversario, nel 2002 e nel 2007, uscirono allora alcuni libri che - facendo uso appunto di materiale visivo - tentarono di narrare una storia altra del '77.16 Nel 2007, Tano D'Amico ristampò un vecchio album fotografico pubblicato nel 1977, mentre un anno dopo uscì Volevamo solo cambiare il mondo, un «romanzo fotografico degli anni '70» composto da un centinaio di fotografie drammatiche, ma anche gioiose, individuali o di gruppo. Nello stesso anno, infine, due associazioni fotografiche a Bologna pubblicarono un libro sul 1977 a Bologna, Gli anni di marzo, come parte di una serie per la salvaguardia del «patrimonio fotografico territoriale»17.
Ma gli scatti del '77 tornarono anche in mostre fotografiche che furono realizzate (o programmate) per il 20°, 25° e 30° anniversario. Nel 2007, questo incluse sia la sinistra alternativa che alcuni "agenti di memoria" ufficiali, come la Biblioteca Comunale Sala Borsa e l'Università di Bologna. Quest'ultima incaricò il suo Centro di servizi archivio storico di organizzare una mostra per accompagnare un convegno sull'eredità degli anni '70 in Italia, intitolato «Ripensare gli anni 70». Oltre a fotografie, la mostra contenne estratti di quotidiani, un documentario, registrazioni audio di Radio Alice e una serie di oggetti storici, come il famoso pianoforte dipinto del DAMS.18
Fotografie come quelle di D'Amico e Scuro furono inoltre gli ingredienti di due documentari sulle proteste del 1977, trasmessi entrambi nel 2007. La luna e il dito: Bologna 1977 si focalizza sulla morte durante scontri con la polizia, l'11 marzo 1977 a Bologna, di Francesco Lorusso, uno studente simpatizzante dell'ex gruppo extraparlamentare di Lotta Continua, e sui disordini che ne seguirono. Anche se c'è un tentativo di oggettivare la narrazione in questo documentario, tramite il confronto dei pareri e dei ricordi di opposte componenti politiche, esso cerca comunque di sollecitare le emozioni dello spettatore facendo uso di fotografie in bianco e nero che - accompagnate da uno sfondo di musiche melanconiche - illustrano le storie personali di alcuni settantasettini. Le fonti visive sono ancora più importanti nel secondo documentario, 1977. Immagini per un diario, dove un'attrice legge dal diario - reale o immaginario? - di un partecipante non identificato del movimento del '77. Di nuovo, la narrazione è accompagnata da fotografie, e l'effetto emozionale sullo spettatore è rinforzato da una scelta netta della musica di sottofondo.
Si può dire allora che, verso la fine degli anni '90 - quando le memorie individuali dei partecipanti ai movimenti di protesta degli anni '70 vennero sostituite sempre più da una memoria pubblica dominata dalla presenza del terrorismo - gli anniversari del '77 rispecchiarono il desiderio non solo di raccontare un lato diverso e positivo della storia, ma anche quello di ritrovare il senso di appartenenza a una comunità. La nostalgia può spiegare in parte questo desiderio di rivivere il passato nel presente. In origine, la nostalgia rifletteva una condizione medica, cioè di estrema sensazione di mancanza del paese natale da parte di mercenari svizzeri che stavano combattendo all'estero. Verso la fine del '800 il concetto perse le sue connotazioni medicali, e nel corso dell'industrializzazione e della modernità venne a significare non solo un senso di perdita di uno spazio familiare,19 ma si riferì anche a un desiderio più generale e astratto di un tempo perso, di una gioventù irrecuperabile, un «mondo di ieri» dai quali ideali e valori ci si era staccati.20
Più recentemente, tuttavia, alcuni studiosi hanno sostenuto che la nostalgia non deve essere ridotta a un ardente desiderio di ciò che non è più raggiungibile nel presente: essa costruisce selettivamente e positivamente il passato in modo da creare un contrasto soggettivo nel presente.21 Il senso di perdita di storicità e delle "grandi narrazioni" che hanno caratterizzato l'epoca postmoderna ha aumentato l'importanza della nostalgia nel mantenere, costruire e ricostruire un'identità nel presente, per cui essa è «coinvolta in modo importante nelle continuità e le discontinuità che noi viviamo nel nostro senso di noi stessi».22 In altre parole, se la «erosione di identità collettive che una volta furono sicure ha portato alla crescente frammentazione di identità personali»,23 per i settantasettini la nostalgia serve come un meccanismo attivo e auto-riflettente per la ricostruzione di memorie individuali e collettive in base alle quali ritrovare un'identità comune.
Non è sorprendente allora il fatto che la fotografia abbia contribuito a queste ricostruzioni nostalgiche del movimento studentesco a Bologna. Come abbiamo visto, in genere la fotografia dà l'impressione di cogliere tempi e luoghi che sono andati persi.24 Ma le memorie individuali e collettive che vengono evocate tramite la fotografia non spuntano semplicemente dalla foto stessa: «le memorie che vengono evocate da una foto [...] sono suscitate in una rete, in un intertesto di discorsi che si muovono tra passato e presente».25 In altre parole, il passato non è presente nell'immagine, ma viene evocato tramite atti di ricordo suscitati dalla visione dell'immagine, che è dunque solamente un pretesto o uno stimolo per ricordare.26
In breve, quando le fotografie vengono esposte in una sequenza - ad esempio in un album, libro, mostra o documentario - e fatte circolare, come successe durante alcuni anniversari del 1977, esse servono come sollecitazioni o strumenti per la performance sociale e interattiva della memoria.27 Questo vale anche per le comuni foto di famiglia, nonostante la loro dimensione privata. Qui è fondamentale il concetto di una serie di immagini organizzate secondo un arco temporale esplicito, determinato cioè dalla linearità, dalla cronologia e dalla «ripetizione ciclica di momenti culminanti» (nascite, matrimoni, vacanze, etc).28 Il comporre l'album di famiglia costituisce allora un processo di selezione ed organizzazione ancora più specifico, tramite cui la famiglia è costruita, in continuazione, nel presente: «Tramite la fotografia, ogni famiglia costruisce un ritratto cronaca di se stessa - un kit portatile di immagini che testimoniano la sua connettività»;29 «Nel processo di usare - produrre, selezionare, ordinare, mostrare - le fotografie, in realtà la famiglia è nella fase di costruirsi».30 In altre parole, è nel momento della condivisione che la famiglia si costruisce in quanto famiglia, che si riconcilia con il passato. Eppure, queste collezioni private sono anche pubbliche, visto che i loro significati sono:

«sociali come sono personali - e il sociale influenza il personale. Le fotografie di famiglia sono formate dalle convenzioni pubbliche dell'immagine [...]. Esse dipendono da comprensioni condivise [...], le storie personali che raccontano fanno parte di narrazioni più ampie, quelle narrazioni pubbliche di una comunità, religione, etnicità e nazione che rendono possibile l'identità privata».31

Quindi, la fotografia di famiglia funziona «in questa fusione tra memoria personale e storia sociale, tra mito pubblico e inconscio personale».32 Nel seguente paragrafo vedremo come il concetto dell'album di famiglia vada applicato alla generazione del 1977 e al suo uso degli album digitali su internet, nella ricostruzione di memorie individuali e collettive del passato.

 

§ V. L'album di famiglia del '77 su Facebook Torna al sommario dell'articolo

IV. Rincontrarsi nel mondo virtuale

In effetti, le memorie circolano sempre più spesso nel mondo virtuale. Nel 30° anniversario del 2007, ad esempio, «La Repubblica» dedicò una serie di pagine web alla memoria del '77 in Italia. Il sito, intitolato «1977, un anno della nostra storia», si concentrò su una fotografia di gruppo di Tano D'Amico, e i lettori furono invitati - se si fossero riconosciuti nella foto - a spedire dei racconti personali in proposito.33 I racconti furono caricati sul sito, apparendo quando si passava col mouse sopra le facce delle persone ritratte.
Inoltre, i lettori furono invitati a spedire le proprie foto dell'epoca: una selezione di queste fu pubblicata online in una sezione chiamata «Il nostro 1977». Questa raccolta di foto divenne allora una specie di album di famiglia digitale, dominato da allegre fotografie di gruppo, ritratti personali o scatti istantanei di attività quotidiane. Nelle parole di Martha Langford, esso rappresentò «uno strumento collettivo per mostrare e raccontare».34 La capacità dello spettatore di comunicare tramite queste fotografie fu però ridotta a didascalie, che contenevano solamente una data e una sintetica descrizione della situazione. Dunque, anche se il sito rappresentò un medium più partecipativo di memoria,35 il focus essendo sulla creazione attiva di una memoria collettiva "dal basso", esso implicò tuttavia un'operazione di selezione e di organizzazione riservata alla redazione del giornale, che riuscì così a controllare comunque ciò che venne pubblicato.
Un'interazione più diretta e libera col passato - ma senza l'intervento di fotografie - risultò da una discussione, sempre nell'ambito del 30° anniversario, che si svolse sul blog di un giornalista de «La Repubblica», a proposito di un suo commento alla sua esperienza personale del 1977.36 Scrivere su un blog è un modo di condividere delle memorie che nasce nell'atto stesso di mediare tra passato, presente e futuro: è una memoria mediata, ovverossia una memoria che accade tramite il medium, come quando Kuhn parla della performance della memoria con piuttosto che nei media di memory.37 Molto più del sito che raccolse le foto spedite dai lettori, questo blog si avvicinò a una memoria dal basso, provocando uno spostamento nella «base di potere della storia sociale».38 In effetti, le reazioni provennero soprattutto dagli ex del '77, che evocarono le loro memorie ed entrarono in discussione con il giornalista o con altri utenti, specie riguardo ciò che avevano lasciato gli anni '70 in Italia. Va notato che anche alcuni giovani tentarono di entrare nella discussione e di rivendicare un piccolo spazio in questa storia di lotte sociali e politiche, un elemento sul quale torneremo più avanti.
Un tentativo simile di coinvolgere i lettori ma in modo più diretto, facendo uso di fotografie dell'epoca, si realizzò poi in un articolo pubblicato nell'edizione online de «La Repubblica» di Bologna. Il giornalista fece un parallelo tra una fotografia, scattata da Enrico Scuro, di una ragazza portata sulle spalle di un uomo - e con un pugno alzato - durante una manifestazione a Bologna nel 1977, e l'immagine famosa della Marianne de Mai.39 Il giornalista descrisse l'immagine come un re-enactment o ricostruzione della fotografia della Marianne francese, quindi rivendicando un certo stato mitico delle proteste del 1977, paragonabile al '68 francese.40 E, cosa ancora più importante, egli fece un appello diretto per scoprire chi era questa ragazza e dove era andata a finire:

«Chi sarà, dove sarà invece la nostra Marianna, questa ragazza non molto più che ventenne, il volto semi-coperto dalla sciarpa, i jeans, la borsa di corda lavorata, il pugno alzato che sembra quasi impugnare la torre degli Asinelli come una bandiera? Se si riconosce nella foto, se qualcuno la riconosce, si faccia viva e ci racconti la sua storia».

Quindi torniamo all'idea della narrazione: come osserva Paul Longley Arthur, «[n]arrare è centrale nelle nostre vite ed è il modo in cui diamo "forma" alle nostre identità e un senso alle nostre vite e relazioni».41 La fotografia e soprattutto gli album fotografici, incluso quelli di famiglia, fanno proprio questo, cioè ci aiutano a capire il passato e il presente: «Le collezioni di famiglia non sono mai solo memorie. I loro punti sconnessi offrono sguardi veloci su numerosi passati possibili, eppure, nel nostro desiderio di narrazioni, di un modo di narrare il passato che aiuterà la comprensione nel presente che conosciamo, cerchiamo di organizzare queste tracce, di riempire vuoti».42 Il rapporto tra il raccontare storie e la fotografia è esplicitato nella descrizione di Langford degli album fotografici come «aide-mémoires grafici per la narrazione di storie»,43 che «preservano una vasta quantità di storie - memorie fotografiche che vengono rianimate nella narrazione [...]».44 Langford colloca allora l'album fotografico nell'ambito dell'oralità, parlando di un «quadro oralo-fotografico», ovverossia la correlazione o l'amalgama di oralità e fotografia, dove «[i] contenuti, la struttura e la presentazione di un album fotografico rappresentano i puntelli del suo accompagnamento orale».45
Questa osservazione, insieme a quella di Kuhn a proposito della famiglia che si costruisce nel processo di selezione ed organizzazione di fotografie in un album, si potrebbero applicare alla collezione online di fotografie de «La Repubblica»: effettivamente, queste riguardano la ricostruzione di una storia collettiva attraverso una serie di storie personali narrate in un contesto condiviso piuttosto che un tentativo di produrre un resoconto storico dei fatti. In altre parole, ciò che conta è l'esperienza individuale del passato e la sua iscrizione nel soggetto collettivo, come ci dice l'autrice di un articolo che accompagna la foto di gruppo di D'Amico, sul sito del quotidiano: «La data della foto non viene in mente a nessuno. Una cosa però la ricordano tutti: era primavera».46
In breve, il sito creato da «La Repubblica» creò un senso nostalgico di appartenenza a una comunità e promosse una storia del 1977 comprensiva, partecipatoria e - più o meno - dal basso, che diede la possibilità ai partecipanti e ai testimoni anonimi di rivendicare una memoria individuale e collettiva di questo passato. In altre parole, nel "collettivizzare" o "democratizzare" l'esperienza del 1977, questa comunità potè ricostruire un'identità comune. Eppure, il quotidiano mantenne il controllo su questa memoria, come abbiamo visto: la partecipazione era limitata alla spedizione di fotografie, che furono poi riordinate dalla redazione. Nel seguito vedremo un tentativo più di successo della ricostruzione di questa comunità, tramite alcuni album fotografici digitali pubblicati sul social network Facebook, dove il carattere orale degli album così come il concetto di un album di famiglia - più che un semplice album fotografico - si riveleranno ancora più significanti.

 

§ VI. Nostalgia e memoria "possessiva" Torna al sommario dell'articolo

V. L'album di famiglia del '77 su Facebook

Secondo José Van Dijck, la natura dei media digitali è quella di creare la possibilità di sviluppare un senso più forte di appartenenza a una comunità con la quale condividere pensieri e sensazioni: «per via della loro condizione collegata, [gli ambienti digitali] amplificano ed incitano le connessioni tra il proprio essere e gli altri».47 La condivisione di fotografie sui social networks come Facebook rinforza questo senso di appartenenza, perché, come abbiamo visto, «le memorie che vengono evocate da una foto [...] sono suscitate in una rete, in un intertesto di discorsi che si muovono tra passato e presente».48
Inoltre, Facebook cambia la relazione tra privato e pubblico: «le tecnologie del proprio essere [...] aiutano a creare legami che attraversano i confini privati, inserendosi in una cultura comune o collettiva che rimodella, a sua volta, la memoria e l'identità personale».49 Queste «tecnologie della condivisione» mettono insieme racconti che aiutano a ricostruire una memoria collettiva grazie alle fotografie pubblicate online,50 come ha osservato anche Joanne Garde-Hansen quando scrive come, a volte, «gli utenti creano dei mini-archivi di foto che vengono completati e condivisi da utenti multipli su un tema specifico, [...], e questi in un certo senso confermano una memoria collettiva di un momento culturale».51 Questo rafforza l'ipotesi precedente a proposito delle collezioni private di fotografie, cioè come esse siano anche pubbliche visto che le loro significazioni sono sia sociali che personali.52
Infine, Facebook ha il vantaggio di riprodurre l'oralità che accompagna l'album fotografico: i commenti e i tag lasciati sulle bacheche degli utenti e negli album fotografici sono brevi, diretti e richiamano la lingua parlata. Questo effetto può essere rinforzato da una serie di caratteri speciali, simboli ed emoticon. Quindi, la correlazione tra oralità e fotografia che Langford attribuisce all'album fotografico viene raddoppiata dai commenti e dai tag che Facebook mette a disposizione di quelli che guardano gli album fotografici degli altri, ed è questo che potrebbe spiegare il grande successo degli album digitali del '77, rispetto ai tentativi precedenti da parte di alcuni settantasettini di riunire i ricordi della loro generazione.53 Inoltre, gli album online così come le modalità di interazione che Facebook dà agli utenti riproducono meglio la coralità della generazione degli anni '70: come fu osservato durante la presentazione di un libro fotografico tratto dalle foto pubblicate negli album di Enrico Scuro, sia gli album digitali che il libro riflettono le dinamiche di gruppo e gli «universi di relazioni» che hanno caratterizzato la generazione del 1977.54
Gli album furono creati all'inizio del 2011, quando Scuro decise di creare un profilo su Facebook e di caricarci la sua collezione fotografica. Il primo album, «Ricordi televisivi», contenne fotografie della sua carriera nella produzione televisiva, mentre nel secondo album intitolato «On the Road» Scuro caricò una selezione delle sue migliori foto degli anni '70. La sua vasta collezione di immagini del 1977 fu collocata in un album separato, in modo da non sovraccaricare il secondo album.55 Scuro intitolò questo terzo album - dove collocò «quelle [fotografie] che mi dicevano qualcosa di particolare di ricordi [...]» - I ragazzi del '77.56 Questi album rappresentavano allora un archivio personale e al contempo collettivo di memorie che Scuro voleva condividere con le persone che figurano nelle foto, come illustrato dalla sua risposta a una ex-collega, a commento di una fotografia dall'album «Ricordi televisivi»: «Ti ho cercata su fb per fartele vedere. Ti ricordi quando facevamo il concerto di natale con i cori e basta....».57
Scuro non si rese conto, però, di quanto Facebook sia interattivo e partecipatorio, e di quali siano le sue potenzialità di condividere memorie: dopo solo due album, Scuro fu infatti sommerso di fotografie speditegli da altri settantasettini. Fu costretto allora a creare degli album appendice, ai quali diede il nome di «enciclopedia sulla vita che facevamo in quegli anni lì».58 Nei mesi a seguire e fino al presente, Scuro ha dovuto aggiungere oltre una decina di album appendice, con più di 3.000 fotografie caricate. Che tipi di fotografie troviamo in questi album, come sono state ordinate e quali reazioni hanno sollevate?
Il primo album, definito da Scuro come «[i]l più grande album di famiglia di Bologna»,59 parte da uno scatto dell'attore e intellettuale Dario Fo, su un palco davanti a una folla durante il «convegno contro la repressione» che si tenne a Bologna, nel settembre 1977. Molti utenti si sono taggati nella fotografia, e siccome Facebook permette un massimo di 60 tag per ogni foto, Scuro ha dovuto caricare l'immagine più volte per dare la possibilità a tutti di taggarsi nella foto. La foto è, però, piccola e le facce delle persone non si vedono tutte. In più, una parte della folla è coperta dal corpo di Fo, che è stato fotografato da dietro alle spalle mentre parla verso il pubblico. Quindi, molti tag non corrispondono con una persona visibile, oppure sono stati fatti "attraverso" il corpo di Dario Fo. La foto non è servita dunque a dare una prova visiva o una documentazione autentica del passato.60 Si è trattato, invece, di mostrare che uno c'era, che faceva parte dell'esperienza.


Ciò risulta anche dai tag e dai commenti verbali lasciati. Persone che non sono visibili nella foto, ad esempio, vogliono comunque mostrare che sono stati lì: «accidenti c'ero anch'io....»; «Ciao, c'ero anche io»; «c'ero ma molto lontano dal palco, dovevo tornare al lavoro, con la renault rossa ...facevo il vigile urbano ed ero di lotta continua».61 Questo illustra il desiderio - e forse anche l'ansia - di riconoscersi in una fotografia, di lasciare una traccia verbale di se stessi e quindi di iscriversi nella memoria collettiva di questa generazione, come se una parte della loro vita potesse sparire se non riuscissero a localizzarsi visualmente nelle foto: «Mi riconosco,finalmente mi sembrava impossibile non esserci,mi mancava un pezzo di vita, sono sotto le bandiere dietro Pietro l'operaio grazie grazie grazie!!!».62
Inoltre, chi non è visibile nelle foto e che forse non era nemmeno presente durante l'evento, si tagga ugualmente nella foto: «non mi si vede, ma mi taggo lo stesso».63 Tutto sommato, ciò che vale per queste persone è di dimostrare, agli altri così come a se stessi, non solo che si trovavano in un posto fisico e in un determinato tempo, ma che hanno fatto parte del movimento studentesco, o di un suo sottogruppo e che avevano dunque vissuto gli anni '70. È la dimostrazione che - come ha osservato Maurice Halbwachs - le memorie individuali si formano in un contesto collettivo: condividere fotografie permette allora alle persone - sia quelle che sono ritratte nelle foto che quelle che non si vedono - di sentirsi parte di una comunità e quindi di rifarsi un'identità nel presente.64
Allo stesso tempo, si aprono discussioni che riguardano l'autenticità o la veridicità di quello che viene attribuito a una fotografia, specie la data in cui è stata scattata o i soggetti della foto. A volte gli utenti "correggono" o complementano i tag di altri. La datazione, ad esempio, di una serie di fotografie che registrano la liberazione dal carcere di alcuni settantasettini nel maggio del 1978, da parte di Scuro, viene corretta da un utente che osserva che alcune persone furono liberate a giugno. Correzione, ovviamente, irrilevante, visto che le foto di Scuro furono scattate a maggio e non a giugno e quindi l'informazione relativa a queste fotografie è corretta. L'intervento dell'utente va però considerato come un tentativo di completare la storia raccontata dalle foto di Scuro, cioè di colmare un vuoto e dunque, ancora una volta, di ricostruire memorie individuali e collettive. Quando le memorie sono incomplete o false, agenti di memoria individuali intervengono, come nell'esempio seguente:

«Utente 1: ciao, Paperina, ho l'impressione che il tag sia sbagliato: di viso ci si assomiglia(va) molto, ma immagino che allora io vestissi un po' più casual....
Utente 2: No la persona che sta parlando è Franco Ruffini docente di Semiologia dello spettacolo venuto al posto di Bettetini e alle sue spalle Giampaolo Bernagozzi in quel periodo Direttore del Dams e se non ricordo male accanto a lui sul tavolo mi pare sia Giovanna Grignaffini. Io ero sul lato destro della foto, purtroppo tagliata
Utente 3: veramente sul tavolo con pagliaio in testa sarei io se non ti dispiace !! eppoi non mi pare Ruffini quello che parlava comunque almeno so chi sono io è già qualcosa !!
Utente 2: Parlavo di quella dall'altra parte accanto a Bernagozzi. E insisto quello che parla è Franco Ruffini col suo montone rivoltato».65

Questi interventi non sembrano essere motivati da un bisogno di creare un resoconto storico e autentico dei fatti come sono accaduti: assomigliano più a un esercizio individuale e collettivo di ricordo, una specie di rivendicazione ostinata di memorie individuali che - quando vengono modificate o contestate dai ricordi personali di altri - rischiano di essere svalutate. In altre parole, è come un mettere insieme dei pezzi di un puzzle, un colmare il vuoto in una performance di memoria.
Nonostante ciò, Scuro vuole usare le fotografie per raccogliere dati ed ogni tanto entra nelle discussioni per chiedere informazioni alle persone raffigurate: nella foto di una banda musicale, ad esempio, chiede agli interlocutori di raccontargli le origini della banda. Egli intende dunque ricostruireun senso storico e cronologico del passato, usando tecniche simili a quelle della storia orale. Questa non è, però, una storia nel senso tradizionale della parola, basata su dati empirici e documenti scritti, ma una storia personale e collettiva della generazione del 1977, una storia che egli definisce una «grande storia di amore di una generazione per i propri ideali».66 Scuro sta davvero concependo un album di famiglia, come egli stesso scrive in un commento alla fine del secondo album: «dedico questo mio album di famiglia a tutti voi che mi avete accompagnato [...] A tutti quei ragazzi e ragazze, che sfogliando l'album riconosciamo come presenti nel nostro cuore e nel nostro ricordo [...]».67
Le reazioni provocate dalle foto spesso rispondono alle richieste (esplicite) di Scuro di cercare di ricostruire questa storia alternativa della generazione del '77:

«Utente 1: l'alberta...!
Enrico Scuro: Alberta di cognome?. Tagga
Utente 1: alberta, forse Della... non ricordo
Utente 2: Alberta Dalla
Utente 3: e la bambina direi che è la figlia della Dadi, Alice
Utente 4: si sono proprio io».68

Ma i commenti non sono solo tentativi di identificare e di narrare le vite personali di persone, ma anche di spazi collettivi, eventi memorabili e addirittura oggetti,69 che tutti (ri)conoscono e che dunque producono - di nuovo - atti di memoria. Per alcuni questo significa a volte la riorganizzazione delle proprie memorie individuali:

«Utente 1: osteria La Talpa, via de' Griffoni
Utente 2: ?...poi diventato il Pankreas dove ho sentito per la prima volta gli Skiantos dal vivo. Ironia della sorte, era esattamente sotto la stanza che usavo quando facevo pratica nello studio legale Stortoni & C.....
[...]
Utente 4: Davvero La talpa diventò il Pankreas? ???Ma allora come si chiamava quell'altro posto in via S.Vitale, nello stesso portone del teatro Bibiena, dove a mia memoria gli Skiantos fecero il loro primo concerto?»70

Ciò che unisce questi esempi è il fatto che le fotografie negli album di Scuro spingano le persone a raccontare una storia legata a quella foto, sia che si tratti della loro storia personale (ad esempio «facevo il vigile urbano ed ero di lotta continua») o di quella di altre persone, la memoria della quale è condivisa comunque dagli altri membri del gruppo.71 I ricordi seguenti, ad esempio, sono provocati dalla condivisione di una foto dei due vecchi proprietari di un bar molto frequentato dagli studenti nel '77:

«Utente 1: I PIERINIIIIIIII Favolosiiiiii, chissà che ci mettevano nei loro aperitivi ...:-) al Piccolo per contrastare la loro concorrenza inventarono l'"ammazzacammelli", ricordate ?
Utente 2: Coca Buton..!!
Utente 1: si dice che ne avessero ancora delle bottiglie dopo che fu ritirata dal mercato
Utente 2: Ne avevano delle casse piene...!!!
[...]
Utente 2: Lui si chiamava Piero... il resto venne spontaneo in riferimento alla richiesta del suo prodotto..!!
Utente 2: Mi pare di ricordare che fossero fratello e sorella..»72

Guardare foto in questa ambientazione collettiva provoca dunque atti di ricordo che fanno degli album un'occasione per «mostrare e narrare», cosa che evidentemente segue una struttura orale.73 Questo risulta anche dal linguaggio immediato e diretto dei commenti, così come dall'assenza - o, al contrario, dall'eccesso - di interpunzione. In un commento, una donna addirittura rievoca "l'audio" di un'immagine dove si vede una massa durante un sit-in, qualche giorno dopo la morte di Francesco Lorusso a Bologna: «...e la musica era: gui e tanassi sono innocenti, siamo noi i veri delinquenti!....».74 In effetti, questi modi diversi di lasciare una traccia corrispondono grosso modo all'atto di indicarsi in una foto e di commentarla, a voce, durante una visione comune e "reale" di un album fotografico. Molti commenti si leggono proprio come delle conversazioni in diretta, con saluti spontanei ed esclamazioni sorprese quando, ad esempio, gli utenti ritrovano vecchi amici:

«Utente 1: io ricordo si chiamava Alberto ed era di imola
Utente 2: alberto bianco, mi pare,
Utente 3: Quell'Alberto li a destra ero io qualche capello fa
Utente 1: Alberto, roba da matti, non ci vediamo credo dal 78 ... che piacere risentirti ... dopo 32 anni ... pazzesco ... ma come sei finito a padova?»75

Sembra in effetti che gli utenti si incontrino spontaneamente, in questo spazio pubblico e virtuale. Ovviamente uno degli scopi di Facebook è quello di rintracciare vecchie amicizie. Ma ciò che conta di più, nel nostro caso, è il modo in cui le storie aiutano il gruppo a ricostruire il proprio "autoritratto", e i commenti alle foto si leggono proprio come quando una famiglia o un gruppo di amici sta parlando del proprio passato (e presente):

«Utente 1: Gabriele Giunchi è di Forlì come me, me lo ricordo! E' ancora vivo?
Utente 2: fino a un paio di anni fa lavorava al museo archeologico di Bologna e viveva in campagna ... è un po che non lo sento
Utente 3: intravedo gabriele che si tocca le palle...
Utente 4: ?..Gabriele, è vivo e in ottima forma, lavora ancora al museo ..
Utente 1: oh meno male.... non volevo portare sfiga ;-)
Utente 5: l'ho visto alla commemorazione di Francesco in via Mascarella l'11 marzo e sta benissimo; pensa che è diventato da pochi mesi padre di una bambina
Utente 6: Confermo tutto. [...] Sono in contatto con lui, penso che lo inviterò a questo nostro gioco...»76

Questo autoritratto include anche persone che non ci sono più, ma che continuano a vivere tramite questa comunità online. Dunque, oltre a servire come una specie di terapia collettiva, dove le persone salutano i defunti, questi commenti di nuovo suscitano memorie comuni che ridanno un'identità alle persone scomparse:

«Utente 1: Antonio... caro... il pianista di Chicago sulle barricate...
Utente 2: Antonio Mariano, se non ricordo male. Morì in un incidente con la moto
Utente 1: esatto... zoppicava per la polio ed era di una bontà sovrumana...
Utente 3: nativo di Campobasso. Mi insegnò "Lucky Man" di Emerson Lake & Palmer una notte in piazza.
Utente 4: Ciao Alberto.......Era insieme alla Barbara Bongiovanni e andavano con la Guzzi di lui verso Napoli...........per noi tutti fu un dispiacere tremendo.
Utente 1: me la ricordo la Guzzi... un Falcone rosso se non sbaglio - ed anche Barbara mi ricordo... cari ricordi - ciao Sandro -
[...]
Utente 7: si me lo ricordo suonare il pianoforte sotto i portici zamboni piazza verdi tra i fumi dei lacrimogeni esilarante
Utente 5: era lui il famoso pianista sulle barricate ...»77

La misura in cui la memoria è condivisa è però evidente non solo nelle discussioni su persone, luoghi e situazioni. Anche ricordi apparentamente individuali, ad esempio di situazioni emotive, possono diventare collettivi:

«Utente 1: il mio amore daniele maracci, che gli cantavo "non ho l'età per amarti" e mi portava in giro con la lambretta verde acqua......!
Utente 2: Che cosa romantica....eh certo che non avevi l'età.... avevi 15 anni !!
Utente 1: emmm... giusto giusto la metà dei suoi anni, ma mi piaceva così tanto ....»78

 

§ VII. 1977, autoritratto di una generazione Torna al sommario dell'articolo

VI. Nostalgia e memoria "possessiva"

Un'altro elemento che hanno in comune le varie reazioni alle fotografie online è un senso nostalgico di perdita: «malgrado tutto... erano proprio dei bellissimi anni, quelli vissuti allora! vien proprio la nostalgia di com'eravamo NOI giovani in quegli anni!»; «Che nostalgia; eravamo stupendi coi nostri sogni, il coraggio, la Speranza, nonostante errori anche terribili eravamo stupendi. un Abbraccio a tutti quelli che c'erano e che sono rimasti».79 Tuttavia, gli album non rispondono semplicemente al desiderio di recuperare in qualche modo il passato, ma offrono anche un senso positivo del recupero della memoria grazie alla mediazione degli album digitali condivisi online, come scrisse un utente: «grazie Enrico grazie per averci ridato un po' di memoria dei giorni che valgono anni».80 Come osserva Van Dijck, le foto di famiglia e di amici servono non solo a "fissare" la memoria del passato che è - appunto - passato, ma anche a «riconsiderare continuamente le nostre vite passate e a riflettere su ciò che è stato e ciò che sarà».81
Bisogna osservare, inoltre, che l'importanza degli album fotografici di questa generazione è dovuta anche al fatto che probabilmente i settantasettini non possiedono molte fotografie delle loro esperienze di quegli anni. Come ha detto il giornalista de «La Repubblica» Michele Smargiassi, durante la recente presentazione del libro tratto dagli album, la fotografia era considerata sospetta, e solo un numero molto ridotto di fotografi furono, in un certo senso, autorizzati a immortalare il movimento.82 L'idea stessa dell'album e dell'atto collettivo di guardare foto era forse anche rifiutata dalla sinistra alternativa in quegli anni, vista la sua avversità ideologica all'istituzione della famiglia: negli anni '70, sempre più famiglie possedevano una macchina fotografica per cui la fotografia si era affermata come rito culturale della vita di famiglia,83 e l'attività di fare e guardare insieme delle foto poteva allora essere considerata un'attività troppo "borghese" e che non apparteneva al vero "ribelle". Si noti poi l'enfasi che sia la generazione del 1968 che quella del 1977 misero sul presente, sul vivere la vita nel presente e lasciare da parte il peso del passato, un atteggiamento che si scontra con l'idea della condivisione nostalgica e retrospettiva di fotografie. Infine, molti studenti semplicemente non si potevano permettere di avere una macchina fotografica, o di portarsela in giro per manifestazioni. Con i suoi album digitali, Scuro ha dunque decisamente ridato una parte di questa storia collettiva e visiva alla generazione del '77.
La nostalgia che pervade gli album fotografici riflette anche un senso di unicità che caratterizza l'attitudine degli ex-protagonisti dei movimenti di protesta di quegli anni. Peter Braunstein - parlando dei movimenti di protesta negli USA - ha usato il termine memoria "possessiva" per descrivere questo atteggiamento, che nel caso della generazione di Scuro è illustrato dal riferimento ai giovani soldati della Prima Guerra Mondiale, i «ragazzi del '99», nel titolo degli album,84 così come dai commenti seguenti:

«Utente 1: Veramente con quello che succedeva si deve dire che ERAVAMO in trincea. In nessuna nazione occidentale accadevano cose da guerra civile come da noi
Utente 2: né accadranno mai,, quì o altrove...»

Siamo stati fortunati: abbiamo vissuto un tempo grande e il ricordo riscalda il grande freddo di "questo" tempo.85

In effetti, la nostalgia è alimentata da riflessioni critiche sulla situazione politica presente, e da ciò che sono diventati i settantasettini e i loro ideali: «vedere tanto entusiasmo riscalda il cuore.Ma oggi che cosa resta di tutto quello che era? La nostalgia?Ci portiamo addosso come un macigno le colpe del fallimento: volevamo un'altra società, non questo schifo che è venuto fuori da anni di revisionismo , liberismo e socialdemocrazia».86
Questa evocazione di un passato mitico che contrasta con il presente buio è ampliato dall'effetto che definirei esclusivo di Facebook. Esclusivo a due livelli: primo, quei settantasettini che non hanno internet o non hanno un profilo su Facebook non possono partecipare a questa riunione virtuale; secondo, gli utenti che non conoscono le persone né le loro storie sono altrettanto esclusi da questa esperienza. Forse questi tipi di fotografie - che, come abbiamo visto, evocano reazioni soprattutto legate a individui e gruppi di cui facevano parte gli individui - sono esclusivi per la loro natura. Ma è anche lo stesso Facebook a provocare questa esclusione: le discussioni che accompagnano gli album fotografici o che si svolgono in bacheca, ad esempio, sono estremamente intrecciate. Di conseguenza, solo il proprietario del profilo - colui che conosce tutte le persone che scrivono sulla sua bacheca - capirà tutti i messaggi. In altre parole, Facebook sembra essere basato più su legami o connessioni personali che su identità condivise. In fondo, uno dei grandi successi di Facebook è stato quello di rinforzare o di ri-attivare le amicizie vecchie, quindi riconnettendo persone che si erano perse di vista.87
Indubbiamente Facebook è anche un modo di fare amici nuovi, con le possibilità che ci sono di entrare a far parte di comunità online o di connettersi con delle reti. In effetti, anche generazioni di utenti più giovani, che difficilmente possono ricorrere a una relazione di amicizia o di conoscenza personale, tentono di iscrivere se stessi in queste esperienze, il che conferma l'ipotesi di Langford che «anche gli esterni creeranno storie in base agli album»: «Nata nell'Ottobre di quell'anno... Le lezioni più belle di cinema le facevamo nel cinema di fronte a dove spararono a Lo Russo..... ».88 Questo dimostra anche che la fotografia è una vera forma di memoria "mediale", visto che permette ai vari gruppi generazionali di condividere le loro memorie: «abbiamo tutti delle memorie "personali" che provengono non dalla nostra esperienza individuale ma dalla nostra esperienza mediata di fotografie, documentari e cultura pop».89 La circolazione di fotografie tramite gli album online fa dunque sì che queste memorie vengano trasmesse a future generazioni,90 che o rivendicano una loro propria posizione marginale all'interno di questa memoria, o piangono la loro impossibilità di parteciparci: «Io non ero ancora nata ma avrei voluto essere lì!!!!! Che bei momenti che avete passato!!!!»; «che invidia, vorrei averlo vissuto anch'io...invece avevo solo otto anni...».91 Apparentemente, l'atto semplice di lasciare un messaggio, esprimendo così un desiderio nostalgico per un passato non vissuto - o al massimo un passato che in qualche modo si può collegare con questa memoria («le lezioni più belle di cinema le facevamo nel cinema di fronte a dove spararono a Lo Russo») - permette ancora una volta a chiunque di sentirsi comunque parte dell'esperienza del 1977.
Tuttavia, il gruppo del 1977 rimane un gruppo basato sull'amicizia e la comune esperienza del passato, e quindi la effettiva condivisione è riservata a un numero limitato di utenti, nonostante il tentativo di qualcuno di coinvolgere i giovani in una riunione tenutasi durante il 34° anniversario del '77, in base al fatto che è «doveroso fare in modo che l'incontro sia trasversale a livello generazionale».92 Un altro problema di questo uso di fotografie nel recupero di memorie e la ricostruzione di un'identità collettiva nel presente è il fatto che gli archivi digitali non fissano la memoria. Le opzioni che offre Facebook per rimuovere tag, commenti o fotografie così come le possibilità di fare dei tag senza controllo, lasciano che si possa manipolare il passato. Alcuni tag, ad esempio, sembrano essere stati tolti, come una discussione semi-seria a proposito di due eventi contemporanei organizzati da due gruppi diversi per l'anniversario dell'11 marzo nel 2011: anche se non c'erano segnali di competizione o di disaccordo che potrebbero spiegare le iniziative sovrapposte, la discussione fu tuttavia rimossa. In altri casi i commenti apparivano in posti diversi, cioè collegati con fotografie diverse, di modo che solo quelli che avevano seguito la conversazione dall'inizio potevano capire di cosa si trattava: in una foto, ad esempio, Scuro risponde a una certa Zarina di aver tolto il bordo rosa da una fotografia, apparentemente seguendo i consigli di questa persona il cui commento iniziale a proposito del bordo rosa, però, non si trova in questa posizione.93 A prescindere dalle motivazioni di Scuro di togliere dei commenti, questo dimostra quanto sia instabile la memoria digitale.

 

§ VIII. Conclusioni Torna al sommario dell'articolo

VII. 1977, autoritratto di una generazione

Il tipo di immagini che Scuro scelse per i suoi primi due album sul '77 riguardano soprattutto il tema della vita quotidiana, cioè momenti effimeri e casuali che spesso non rappresentano un'attività o una situazione precisa e/o politica: semplicemente giovani che stanno insieme. Spesso queste foto ritraggono momenti allegri, creativi ed artistici, specie le performance in strada, e molto di meno gli eventi più strettamente politici e storici. In effetti, i primi due album rievocano solo alcuni momenti storici, come la liberazione dal carcere di alcuni settantasettini che erano stati arrestati dopo i fatti di marzo. Eppure anche queste foto ricordano il lato collettivo e sociale del movimento studentesco. Cosa ancora più importante, i commenti sulle fotografie sono, di nuovo, soprattutto atti di identificazione dove il narrare di storie è più importante che il fatto di (ri)scrivere la storia.
Questo risulta anche da due immagini scattate durante e subito dopo i violenti scontri dell'11 marzo, quelli che hanno dominato i mass media all'epoca. Le foto di Scuro sembrano provocare una specie di imbarazzo o addirittura tabù, come se questo tipo di immagini non dovesse far parte di questo genere di album fotografico. Così Scuro commenta, a proposito di una foto di un mezzo militare nel centro di Bologna: «scusate, ma ogni tanto mi entravano nell'inquadratura».94 In modo simile, una utente che complimenta Scuro per una fotografia drammatica di barricate a fuoco nella zona universitaria, fatta nei giorni successivi alla morte di Lorusso, sottolinea che si sta riferendo alle qualità artistiche della foto. Come è emerso anche durante la presentazione del libro I ragazzi del '77 a gennaio 2012, l'album di famiglia del 1977 serviva a riequilibrare ed integrare l'immagine parziale e violenta degli anni '70 come era stata data dai mass media: «[d]el '77, dei suoi fatti, noi abbiamo soltanto avuto le fotografie pubbliche. Questo libro rimette un po' in ordine il panorama [...]».95
Per quanto riguarda i soggetti delle fotografie, nel primo album sono prevalentemente masse o gruppi di persone. Quando le foto mostrano degli individui, sono solitamente dei primi piani di persone che tuttavia si trovano in un contesto collettivo, ad esempio musicisti che suonano uno strumento all'interno di una banda, durante un corteo. Inoltre, le fotografie sembrano essere state organizzate non in modo cronologico ma a secondo tematiche di collettività, socialità e creatività. Queste aumentano nel secondo album, che è più casuale e caotico e che contiene molte foto di individui. Evidentemente, le foto più rappresentative o significative del 1977, per Scuro, sono quelle che ritraggono i gruppi nello svolgimento di attività collettive.
Qualcosa cambia negli album appendice, dove Scuro ha raccolto le foto spedite da altre persone. Questi album aggiuntivi contengono ancora più fotografie di individui, alcune delle quali sono anche molto intime e personali, come ad esempio le foto fatte appena prima, durante e dopo un parto. Nonostante ciò, anche queste immagini provocano reazioni multiple. Viceversa, foto di gruppi di persone prendono un carattere più intimistico, come le immagini di una cena fatta dopo la liberazione dei settantasettini incarcerati, portandoci al di là del momento politico della loro liberazione. In modo simile, foto di proteste e di altri momenti collettivi non mostrano necessariamente momenti eccezionali o di grande rilievo storico, ma anche solo un qualsiasi momento dalla vita di una persona. Per questo le appendici rappresentano - più dei due album che raccolgono le foto fatte da Scuro - veramente un autoritratto collettivo di una generazione.

 

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VIII. Conclusioni

Le possibilità che offre Facebook per commentare e condividere foto danno luogo a una forma di fare storia molto partecipativa ed interattiva che potrebbe, alla fine, dare l'avvio per una storia più critica ed inclusiva degli anni '70, per troppo tempo stigmatizzati come gli «anni di piombo». Come disse un utente giovane a proposito degli album di Scuro: «[f]inalmente voi ragazzi del '77 cominciate a riprendervi la vostra storia».96 Quello che rende così fortunata questa riunificazione della generazione del '77 e la sua ricostruzione identitaria non è solo il livello più intensivo di condividere memorie che contraddistingue Facebook, ma soprattutto le sue capacità 'oralo-fotografiche': questo tipo di archivio digitale dà la possibilità agli utenti di ricostruire al meglio le attività di un gruppo di persone che condivide collettivamente un album fotografico.
Chiaramente, le fotografie hanno un ruolo fondamentale in questa rigenerazione online della "famiglia" del '77. In parte questo va attribuito all'effetto nostalgico che le foto - in gran parte in bianco e nero - evocano negli utenti. La transizione da fotografia analogica a digitale ha poi un impatto importante sul rapporto tra vita privata e pubblica: la condivisione di memorie in questo spazio virtuale ha permesso alle memorie individuali di prendere forma, di riscriversi in una memoria collettiva che rivive tramite questa rivisitazione pubblica del passato. Per questo motivo ho denominato gli album fotografici del 1977 degli "album di famiglia": non sono semplicemente delle collezioni di fotografie, ma riflettono un processo di creazione di auto-coscienza e di memoria storica, un «atto di auto-riconoscimento» che ricollega una generazione.97 La recente pubblicazione di una selezione di fotografie dall'album in formato cartaceo sottolinea, tuttavia, il carattere instabile dei social networks mentre dimostra come le persone, alla fine, preferiscano comunque la forma materiale e tangibile della foto analogica al suo equivalente digitale.

 

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Bollettino '900 - Electronic Journal of '900 Italian Literature - © 2013

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Giugno-dicembre 2013, n. 1-2