Marina Spunta
Claudio Piersanti e la "fuga dal mondo"

 

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Sommario
I.
II.
III.
IV.
V.
Uno scrittore schivo e «aristocratico»
Mediocri e inetti
Spazio dominabile
Spaesamento e nostalgia attraverso le ambientazioni
Conclusione


 

§ II. Mediocri e inetti

I. Uno scrittore schivo e «aristocratico»

Claudio Piersanti è uno degli scrittori contemporanei più appartati, nel senso che, a detta dello stesso autore, egli va per la sua strada, seguendo la sua voce narrativa, nell'isolamento che è necessario alla scrittura. Ciò non intacca il successo di pubblico, che riemerge all'uscita di ogni nuovo libro - ad oggi otto romanzi, due raccolte di racconti e un romanzo a fumetti, Stigmate, illustrato da Lorenzo Mattotti.1 Dopo l'esordio con il romanzo Casa di nessuno nel 1981, e poi con Charles, Piersanti pubblica racconti in riviste e in volume, acquistando visibilità come scrittore in particolare con la raccolta L'amore degli adulti.2 In seguito continua a pubblicare narrativa a ritmo cadenzato,3 ricevendo vari riconoscimenti per Luisa e il silenzio (1997) e per Il ritorno a casa di Enrico Metz (2006).4 I due romanzi più recenti sono Il filo dell'acqua (2009), ambientato a Venezia, e I giorni nudi (2010), una storia d'amore fra uno sceneggiatore cinquantenne e una giovane ricercatrice.5 Dalla seconda metà degli anni Novanta, Piersanti inizia anche a scrivere sceneggiature per il cinema e per la televisione, collaborando con registi quali Carlo Mazzacurati,6 Gianni Amelio,7 Maurizio Sciarra8 e Pupi Avati.9 Nonostante raggiunga il successo come autore negli anni '90, Piersanti non rientra nella generazione di "nuovi" o "giovani" autori, ma in quella precedente, essendo nato nel 1954.10 Più precisamente Piersanti appartiene alla generazione del '77 bolognese, a cui partecipa come capo del servizio d'ordine del Movimento, pur mantenendo sempre un certo distacco. Questa esperienza lo segna profondamente come individuo e determina un forte senso di estraneità rispetto al proprio presente, che si traduce in seguito nel suo totale distacco dalla politica e da ogni tipo di aggregazione e che lo porta ad avvicinarsi alla scrittura, a preferire temi quali l'isolamento e il fallimento ed a forgiare uno stile reticente ed ellittico. Questi tratti sono messi in luce da vari critici: secondo Stefano Tani Piersanti «ha deciso per il non impegno, per il rifiuto»,11 Fililppo La Porta sottolinea lo «sconsolato esilio volontario» dei suoi personaggi,12 Gianni Celati paragona i racconti de L'amore degli adulti ad ostriche da non forzare,13 un'immagine ripresa da Marco Belpoliti che definisce i suoi libri «dolenti e melanconici», «duri e serrati come ostriche».14
Al contrario di tanti narratori contemporanei, attratti ed influenzati in vario modo dalla cultura mediatica e dal mercato letterario, Piersanti si vanta di essere uno scrittore «aristocratico», consapevole «che lo scrittore non valga nulla», eppure ancora convinto di un ruolo forte per l'autore, che egli paragona a un mistico o un visionario, e a cui attribuisce «il potere di giudicare a distanza [...] di dare un giudizio oggettivo nei confronti della storia».15 Tale posizione appare consona alla teoria di Carla Benedetti del «ritorno o persistenza dell'autore» e delle poetiche come fenomeno propriamente artistico dell'arte moderna, come pure a una romantica nozione di "genio ispirato", ovvero al concetto moderno di "vita eroica" teorizzato da Mike Featherstone in opposizione alla vita quotidiana, ed alla disillusione che deriva dall'attuale impossibilità di un'etica dell'eroe, o anche solo dell'individuo, sommerso dalla massa.16 In quest'ottica non stupisce lo sforzo di Piersanti di distinguersi dagli scrittori contemporanei - che ritiene spesso troppo occupati a farsi pubblicità e a parlare alla propria generazione, mentre per lui la misura giusta di un testo è il saper comunicare a generazioni successive. Pur rifiutando a parole l'autorialismo contemporaneo, di quelli che definisce scrittori-televisivi, o giornalisti-scrittori, Piersanti usa la sua proclamata "fuga dal mondo" per porsi proprio come "autore". In ciò egli si iscrive nella tradizione letteraria del Novecento, che narra la crisi e mediocrità del soggetto moderno - sia italiana (Bilenchi, suo maestro dichiarato, Tozzi, Parise, D'Arzo, Pasolini) che europea (Kafka, Canetti, Cioran, tra gli altri). Oltre a sottolineare alcune di queste influenze letterarie, scopo principale del mio saggio è quello di far luce sull'opera di un autore ancora poco considerato dalla critica, investigando i temi fondanti della sua poetica.17 In particolare analizzerò il tema della fuga dal mondo, che emerge nel fallimento dei suoi protagonisti, quasi tutti mediocri uomini di mezz'età, e nel loro profondo spaesamento che si traduce nell'isolamento o autoconfinamento in casa, nel fascino per il potere e per l'individualismo, e nella nostalgia di appartenenza a un luogo o nel vagheggiamento del ritorno in provincia. Nell'analizzare questi temi chiave, considererò i principali testi di Piersanti, soffermandomi in particolare su Luisa e il silenzio e Il ritorno a casa di Enrico Metz.

 

§ III. Spazio dominabile Torna al sommario dell'articolo

II. Mediocri e inetti

Come suggerisce l'autore in intervista, il tema della fuga dal mondo e in particolare dello spaesamento o estraniamento ha radici biografiche nei suoi continui spostamenti - una condizione sofferta e mitizzata al punto da definirsi un "apolide", riprendendo i temi moderni e postmoderni di esilio, spaesamento e erranza.18 A differenza di scrittori presi a modello, quali Canetti e Cioran, la condizione esiliata di Piersanti è semplicemente quella dello spaesamento "locale", da una regione all'altra, che accomuna tanti italiani e informa molta scrittura generazionale. Per Piersanti, il trauma personale di abbandonare il luogo natale si affianca sia a quello collettivo del passaggio da un'Italia premoderna (vissuta nell'Abruzzo degli anni '50/'60) ad una postindustriale, sia al trauma generazionale della fine degli ideali collettivi degli anni Settanta. Come Palandri e Tondelli, Piersanti partecipa da lontano al '77 bolognese - Belpoliti lo definisce (perfettamente secondo lo stesso Piersanti) «uno dei leader del '77 bolognese, discreto e molto poco politico», ovvero come un «testimone più veritiero della generazione nata negli anni '50».19 A differenza di Palandri, Piersanti si distanzia presto da questa esperienza collettiva e dal mito generazionale che ne deriva, dal nomadismo come metafora di opposizione che ritroviamo, in varianti diverse, nei testi di Palandri e Tondelli, come pure di Celati. Gli unici personaggi di Piersanti in qualche modo "erranti", a parte alcuni racconti, sono i protagonisti dei primi due romanzi: Casa di nessuno, il suo romanzo più "generazionale" (da molti critici affiancato agli esordi di Palandri e Tondelli), e Charles (1° edizione del 1986); nel secondo romanzo però non è un erranza senza meta ma la carriera da primario oculistico a portare il protagonista Giorgio negli Stati Uniti e poi a Parigi, mentre il fratello Piero è latitante per aver commesso un atto terroristico. I personaggi dei testi successivi, nonostante siano anch'essi degli sradicati, non cercano un'erranza fisica, ma si rinchiudono piuttosto nel rifiuto del mondo, nella nostalgia di un passato irrecuperabile, nell'attrazione mistica per il vuoto e il silenzio, e in una condizione ideale di «non appartenenza ad un luogo» che, secondo Michel Maffesoli, può essere assunta come «possibile realizzazione di sé».20
Comune denominatore dei personaggi di Piersanti è un nichilismo di fondo che determina la loro rassegnazione - alla mediocrità, a un'esistenza media, al fallimento che si rivela inevitabile, sia a livello professionale, che, soprattutto, personale e relazionale. Il nichilismo dei personaggi di Piersanti risponde alla definizione di Philippe Forest, quale «resa alla vita, la certezza di un inutile "a che pro?", la preferenza accordata al non-essere, la sconfitta senza appello della volontà»,21 come a quella di Giuseppe Cantarano, quale condizione in cui «i valori supremi si svalutano. Manca lo scopo. Manca la risposta al perché».22 Questa rassegnazione a un vuoto di fondo si manifesta in un senso di inadeguatezza e angoscia che porta i personaggi ad isolarsi completamente in se stessi e a gettarsi nello studio o nel lavoro, oppure a lasciarsi andare all'apatia, rinchiudendosi in camera o in salotto. Esempio più lampante di questa "resa alla vita" è Luisa in Luisa e il silenzio, che, al primo sentore di malattia e al primo errore sul lavoro, va in pensione, si chiude in casa senza farsi curare e si lascia morire di cancro. Oltre a Luisa, unica protagonista femminile dell'opera di Piersanti, i personaggi maschili sono per lo più accidiosi e mediocri, svolgono un lavoro medio, e incontrano solo un successo professionale temporaneo. La sconfitta più bruciante è quella di Alessandro in Gli sguardi cattivi della gente, perché unisce quella professionale a quella relazionale, ed è accompagnata da un'umiliazione pubblica, nello schiaffo infertogli per strada dal tipografo Olivi, dopo il crollo della sua casa editrice. L'amarezza di questo fallimento è trasformata dal protagonista in un mito, una sorta di orgoglio che lo porta a progettare un libro dal titolo Il fallimento come opera d'arte. Anche Antonio Cane, il protagonista di L'appeso, si sente un fallito, come emerge dalle sue parole al rivale Corsini: «Ho cambiato troppi lavori, così non si combina niente di buono».23 Il senso di fallimento in Cane si traduce nella volontà di dominio verso gli altri e culmina nell'uccisione di Corsini. In una recente intervista l'autore conferma che i suoi personaggi sono dei falliti, inadatti a vivere, delle persone che «vivono delle cose negative, essenzialmente».24 Secondo Piersanti questa scelta rispecchia il grado di malattia della società moderna, soprattutto in Italia, dove «la nostra mente associativa e consociativa porta alla selezione naturale dei peggiori, dei mediocri. E questo disegna una società».25 Se nella professione i personaggi di Piersanti incontrano qualche breve successo, a livello umano sono essenzialmente dei mediocri e i loro rapporti di coppia non durano mai molto, a causa dell'egocentrismo o dell'infedeltà dei protagonisti. Quasi tutti hanno alle spalle un matrimonio fallito - Giorgio, Alessandro, Metz, il protagonista del racconto L'amore degli adulti e anche Luisa - o una relazione che va in crisi nello spazio della diegesi - il protagonista di Casa di nessuno e del racconto La piccola Alberta in volo, Lorenzo in Due ragazze russe o Paolo in Il redattore. Come emerge da questi esempi, il fallimento del rapporto di coppia è un vero e proprio topos della narrativa di Piersanti e ritrae la situazione odierna, in particolare la crisi della maschilità e la continua difficoltà italiana di accettare un ruolo più indipendente per la donna.
Il pessimismo o nichilismo dichiarato di Piersanti, come pure il fallimento a più livelli dei suoi personaggi, si iscrive nella tradizione letterario/filosofica del Novecento - l'autore non a caso predilige l'opera di Cioran, Canetti e Kafka - ed, ancor prima, ha radici nel misticismo medievale, per cui egli condivide la passione con Bilenchi (in particolare per Caterina da Siena). Nonostante il loro nichilismo, i personaggi di Piersanti sono mossi da un forte desiderio di appartenenza a un luogo di elezione, a una casa, pur coscienti di abitare necessariamente una distanza, un vuoto. Possiamo quindi leggere la sua narrativa come un tentativo di "abitare lo spaesamento", di cercare una dimora pur riconoscendo la propria condizione di non appartenenza - tema chiave di molta narrativa contemporanea che esplora questo paradosso. Per questi temi Piersanti può essere accostato, pur con le dovute cautele, a scrittori della sua generazione quali De Luca, Lodoli, Veronesi, Messori, o al gruppo attorno a Celati, fra cui Cavazzoni e Benati - questi ultimi in particolare elogiano lo spaesamento e il fallimento individuale e autoriale come critica all'attuale "letteratura commerciale". Se questi ultimi autori trovano una propria dimora nell'erranza e nell'antipoetica della "narrazione naturale", ovvero nel recupero e nella creazione di narrazioni comuni, pur condividendone l'ironia Piersanti privilegia temi quali l'isolamento e l'accettazione di un senso di sconfitta e mediocrità, mantenendo però sempre un vago sogno di controllo e potere.

 

§ IV. Spaesamento e nostalgia attraverso le ambientazioni Torna al sommario dell'articolo

III. Spazio dominabile

La comune condizione di fuga dal mondo, spaesamento, nichilismo e fallimento nei testi di Piersanti si manifesta nel marcato isolamento dei suoi personaggi e nel loro autoconfinamento in un luogo chiuso - per lo più la casa, e in particolare lo studio o il salotto. Questo tema emerge chiaramente a partire dai titoli dei suoi testi - dal romanzo d'esordio Casa di nessuno a Il ritorno a casa di Enrico Metz - dove la casa diventa sinonimo dell'ultima fuga dal mondo. Nel loro marcato isolamento e attaccamento alla casa i personaggi di Piersanti si assomigliano tutti: dal protagonista senza nome di Casa di nessuno, «troppo solo, indeciso, prigioniero della sua casa»,26 ad Antonio Cane che fin dal paragrafo iniziale di L'appeso si presenta come uno sradicato dal forte desiderio di casa e protezione: «Sarebbe rimasto sempre in casa, rintanato nel suo piccolo studio perché nel resto dell'appartamento si sentiva un estraneo, almeno da quando era tornato dall'ultimo viaggio»27. Con questo forte bisogno di casa Piersanti sottolinea la difficoltà del soggetto contemporaneo di trovare uno spazio personale di investimento emotivo, e, indirettamente, il desiderio di appartenere ad una tradizione letteraria, distanziandosi da mode contemporanee. Il rinchiudersi in casa è talmente centrale nell'opera di Piersanti da indicare, per alcuni suoi personaggi, quali Luisa nel romanzo omonimo, un'incapacità di ritrovare una qualsiasi forma di dialogo con il mondo esterno,28 tanto da far pensare a una condizione di agorafobia. Come per gli agorafobi, per Luisa (ma anche per altri personaggi) la casa funge a un tempo da rifugio e prigione in cui rinchiudersi nel tentativo di preservare la propria identità da ciò che è percepito come un attacco dall'esterno e che si scatena soprattutto sotto forma di rumori molesti, quali rumori stradali o schiamazzi di ragazzini. In Luisa e il silenzio la casa offre un rifugio da occhi indiscreti e dal male - che non è mai menzionato, nonostante i segni del cancro appaiano chiari fin dall'inizio, almeno ai lettori. Qui, come in altri testi, l'immagine della casa-rifugio si trasforma presto in quella della casa-prigione, tanto da costringere Luisa a scappare di casa nel cuore della notte e a camminare fino allo sfinimento. La casa come prigione emerge ancora più chiaramente nel successivo romanzo L'appeso (del 2000), vagamente ambientato in un istituto per malati di mente per sottolineare, a detta dell'autore quanto «i veri prigionieri»29 siano i due protagonisti, i sicari Cane e Corsini, nonostante la loro apparente sanità. La casa (dei genitori), ma soprattutto il giardino (simbolo della vita naturale e del distacco dalle cose) è centrale anche nel Ritorno a casa di Enrico Metz, dove simboleggia il ritorno alla provincia, dopo l'abbandono di una carriera di avvocato di successo, e l'aprirsi a una nuova filosofia di vita. In tutti questi casi Piersanti riscrive in modo originale il topos della casa come rifugio-prigione di molta letteratura moderna, da Canetti a Kafka a Bilenchi. Esempi più evidenti sono lo studio-biblioteca in Auto da fé di Canetti in cui Peter Kien si barrica a suprema difesa del sapere, fino ad impazzire e dargli fuoco, oppure la fortezza inespugnabile del Castello di Kafka, o anche la tana nel racconto omonimo, uno dei preferiti di Piersanti. Anche nei racconti di Bilenchi l'attaccamento alla casa è centrale per i personaggi adolescenti, in particolare nella trilogia Gli anni impossibili, ovvero nella La siccità, La miseria, in cui il protagonista d'inverno «non avrebbe mai voluto uscire di casa»,30 e Il gelo. Come suggerisce l'autore, la casa - in particolare la finestra - rappresenta anche un punto di osservazione privilegiato per il protagonista, ovvero per lo scrittore come "osservatore" del mondo, chiara metafora del distacco autoriale postulato da Piersanti. Nelle sue parole:

«La casa è un luogo d'osservazione molto importante per me. È strano perché in fondo è un rifugio, ma è anche un osservatorio verso l'esterno, una finestra. [...] Sono molto sensibile alla casa, che è il nostro unico rifugio. Ma la casa non è soltanto un rifugio: è anche un punto d'osservazione. Dostoevsky, l'ho scoperto gironzolando con altri turisti nel suo appartamento, abitava sopra un grande mercato, che c'è ancora, antico e fatiscente. Le finestre del suo studio davano su due strade diverse. Mi è sembrato di vederlo, in piedi davanti a quelle finestre. Questo fa uno scrittore: guarda, accoglie, attende».31

A partire dal romanzo d'esordio, la finestra definisce molti personaggi di Piersanti come pensanti, come osservatori distaccati, colti in un momento di riflessione, in bilico tra interno ed esterno, ma sempre chiusi nel proprio io.

 

§ V. Conclusione Torna al sommario dell'articolo

IV. Spaesamento e nostalgia attraverso le ambientazioni

Nonostante l'importanza dell'osservazione dell'esterno, nella narrativa di Piersanti l'ambientazione è essenzialmente vaga nell'omettere precise coordinate spazio-temporali, tranne pochi accenni allo scorrere delle stagioni, il che suggerisce una nostalgia per i ritmi rurali. Questa vaghezza (sia di esterni che di interni) rende bene lo spaesamento dei personaggi e la loro difficoltà a rapportarsi con l'esterno, che emerge spesso in un'atmosfera di gelo di ascendenza bilenchiana. Sia i racconti che i romanzi sono ambientati per lo più in vaghi paesi o città di provincia dell'Italia centrale - ad esempio il lettore sa solo che Il ritorno a casa di Enrico Metz si svolge in una cittadina del centro Italia, mentre intuisce che Luisa e il silenzio è ambientato a Bologna da pochi indizi quali i viali di circonvallazione e i calanchi nei dintorni. In conversazione Piersanti rivela l'importanza sia dell'ambientazione - ammettendo che tutti i suoi testi sono legati nella loro gestazione a un luogo ben preciso - sia della vaghezza della stessa ambientazione i cui dettagli sono omessi per accrescere lo spaesamento dei personaggi e dei lettori. Colpisce in ciò la consonanza con la poetica di Bilenchi, per cui l'ambientazione, sempre vaga, dà il tono al narrato e serve a rendere la psicologia dei personaggi. In questo senso svolgono un ruolo particolare le descrizioni di paesaggi, che spesso suggeriscono una forte affezione per i luoghi narrati, ormai solo luoghi della memoria, e una nostalgia per un ambiente rurale ormai scomparso e per un irraggiungibile appaesamento. Un brano indicativo in questo senso è il ricordo del paesaggio abruzzese e del suo recente cambiamento che Giorgio registra su nastro per Charles (nel romanzo omonimo) - e più che altro per se stesso, nel tentativo di preservarne la memoria:

«Dalla finestra che ho davanti vedo il Gran Sasso, una bella montagna, ti assicuro, poi una vallata attraversata dal fiume e subito i piedi della collina dove ci troviamo. Una vigna, qualche orto, molti olivi. [...] Il posto fa un'impressione abbastanza piacevole, ma non è così idilliaco come potrebbe apparire da quello che ti ho detto. [...] ci sono zone che nel giro di pochi anni sono molto cambiate».32

Come per Bilenchi l'ambientazione nella narrativa di Piersanti è essenzialmente la provincia, nonostante l'autore in conversazione liquidi il tema con poche parole, sottolineandone l'ovvietà: «Sulla provincia è facile rispondere: non abbiamo altro che provincia».33 Altrove però egli suggerisce l'utilità della provincia nel mettere in luce il vero carattere degli italiani, ovvero "il nostro peggio", sulla scia di una lunga tradizione letteraria e cinematografica. Piersanti sceglie di narrare una provincia dal recente passato rurale (in particolare l'Abruzzo e le Marche) o città che ancora mantengono alcuni caratteri del paese (come Bologna o altre cittadine emiliane o marchigiane), ma sempre lasciando vaga l'ambientazione, nel tentativo di narrare la quotidiana mediocrità dei suoi personaggi.
Il tema della provincia è connesso a quello della nostalgia del ritorno che definisce molti personaggi di Piersanti, nonostante la loro volontà di fuga dal paese natale e la consapevolezza che il ritorno sia impossibile se non in un luogo della memoria. Con sentimenti contrastanti di nostalgia e desiderio di isolamento, alla casa natale tornano brevemente i protagonisti dei primi due romanzi, Casa di nessuno e Charles,34 come pure vari personaggi nei racconti de L'amore degli adulti e di Comandò il padre (breve raccolta pubblicata dalla PeQuod nel 2003), oltre a Metz nel romanzo omonimo. Se nei primi romanzi e nei racconti colpisce l'ambivalente senso di rifiuto e attaccamento al luogo d'origine e alla propria "stirpe", nell'ultimo romanzo Metz è definito proprio dal suo ritorno definitivo, che però non può recuperare il passato. Arrivato in provincia, anche qui non nominata - dopo aver lasciato la sua posizione di avvocato di successo, a seguito del crac dell'azienda del suo capo, l'ingegner Marani - Metz sembra riscoprire la bellezza del vivere lento, del gustare le piccole cose, pur mantenendo sempre una distanza ironica dai suoi concittadini. L'immobilità della cittadina - sottolineata dalla circolarità del tempo della narrazione, che copre un anno, e dall'enfasi sulla stagione invernale, sinonimo di vecchiaia e di morte - gli dà l'illusione di tornare a casa, nonostante sia conscio di non poter tornare indietro nel tempo: «E adesso che era tornato si sentiva a casa anche se la città non era più la stessa. [...] Nessuno lo riconosceva» (p. 12).35 È per gli oggetti, gli odori, che Metz sente nostalgia, più che per le persone, evidenziando in ciò il suo distacco, la sua "superiorità" nei confronti della gente - chiara immagine del ruolo dell'autore per Piersanti. Il suo ritorno in provincia è minato a metà romanzo dalla notizia del suicidio dell'amico e capo Marani, implicito riferimento al suicidio di Raul Gardini a cui il romanzo è ispirato, e ciò lo fa precipitare in una depressione da cui lo solleva l'affetto delle donne che gli gravitano attorno e che sembrano esistere in funzione del protagonista, come ha notato Angelo Guglielmi.36 Con il suicidio di Marani emerge l'altro tema principale del romanzo, quello del potere.37 Al contrario del romanzo L'Appeso, dove il potere è connesso al male nella lotta tra due sicari, in Metz il potere è connotato positivamente, nella leadership illuminata incarnata dalla figura di Marani, tema che riflette l'ideale di vita eroica che supera la comune mediocrità. La scomparsa del suo capo decreta per Metz il definitivo crollo del paese nella mediocrità e nel consociativismo - temi cari a Piersanti che, come abbiamo visto, accusa la società italiana di non saper premiare chi lo merita, ma di mandare avanti i mediocri - e ciò determina la decisione di Metz di ritirarsi dal mondo dell'industria. A questa imperante mediocrità, i personaggi di Piersanti oppongono una ferrea etica di lavoro, in cui investono tutte le proprie energie, prima di ritirarsi completamente, come accade sia a Metz che a Luisa, in un altro tipo di mediocrità - una mediocrità eroica che deriva dal loro rifiuto del lavoro e della società e che recupera uno spazio per se stessi, nella scelta di una vita semplice, alla giornata.

 

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V. Conclusione

Per concludere, con questa analisi ho voluto mostrare come la poetica della fuga dal mondo di Piersanti emerga nel problematico rapporto dei suoi personaggi con l'esterno e con l'altro, ovvero nel costante spaesamento e al tempo stesso nostalgia di ritorno a una provincia vaga, nell'autoconfinamento in casa, quale rifugio e carcere a un tempo, come pure nel fascino per il potere e per un "individualismo illuminato", negato dalla mediocrità imperante. Il suo interesse per il singolo, per l'individuo negativo, mediocre, si può interpretare anche come una scelta polemica nei confronti di una società come quella italiana, dove l'individuo tende ad essere schiacciato da un sistema che seleziona i mediocri. Per meglio indagare questo fenomeno, Piersanti isola l'individuo in un momento di crisi - dato dal fallimento, dalla malattia o dalla morte di persone care - costringendolo a confrontarsi con se stesso e a cambiare. Piersanti stesso suggerisce che «il cambiamento è in un certo senso il cuore di ogni mio racconto: dove tutto sembra impossibile è invece possibile il cambiamento. Lo dico a malincuore perché non appartiene alla mia filosofia, però quando lo vedo accadere m'incanta».38 Nonostante i cambiamenti, i protagonisti delle sue narrazioni rimangono in fondo immutati nella loro essenza psicologica e nel loro rapporto di rifiuto del mondo o fuga dall'esterno.
Come per molti dei suoi autori preferiti, da Celati a Canetti, la scrittura di Piersanti è segnata profondamente da un senso di non-appartenenza e desiderio di ritorno, che fa della lingua l'unica possibile dimora. Come i suoi personaggi, la prosa di Piersanti è scarna e dimessa, limpida e vaga a un tempo, una scrittura «per sottrazione» tutta in levare, in cui il silenzio è chiara metafora del ritirarsi dal mondo.39 Per questi toni medi la sua opera è spesso inscritta in una «linea narrativa molto italiana che va da Tozzi a Bilenchi»,40 e si ispira all'opera di Sciascia, Pasolini, D'Arzo, ma anche Kafka, quale sua prima rivelazione, i romanzieri russi, in particolare Čechov,41 scrittori francesi quali Alain-Fournier, e scrittori/pensatori come Canetti e Cioran. Un forte eclettismo di interessi emerge nella sua passione per gli anarchici (Bakunin) e i mistici, e nel suo interesse per le arti figurative, più che per il cinema, nonostante vi collabori attivamente come sceneggiatore da più di un decennio - ma ciò, a detta dell'autore, non ha influenzato la sua prosa che rimane essenzialmente "letteraria" nell'ispirazione. Da tutti questi modelli Piersanti prende l'osservazione a distanza del quotidiano, la fuga dal mondo e il nichilismo, temi che riflettono indirettamente la sua visione "aritstocratica" della scrittura e dell'autore, che, come i suoi protagonisti, ricopre una posizione privilegiata, chiuso in casa a osservare da una finestra di un piano superiore la vita che scorre in basso e da cui egli cerca di astrarsi.

 

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Giugno-dicembre 2010, n. 1-2