Rosario Gennaro
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I. II. III. IV. |
Filiere (Parigi, il fascismo, l'«espansione culturale») Equilibrismi (sensi plurimi, eufemismi, allusioni, rifacimenti) Osmosi (di letteratura e politica) Percorsi e discorsi |
I. Filiere (Parigi, il fascismo, l'«espansione culturale»)
Alla metà degli anni Venti, il posizionamento di Bontempelli e di «900» tra Roma e Parigi ha precise conseguenze sulla sorte della rivista.1 Non solo sulla nascita, la fine, le polemiche che l'hanno accompagnata. Ma anche su contenuti, stili e struttura del suo discorso letterario. Di tale discorso questo saggio analizza gli aspetti programmatici (manifesti e dichiarazioni di poetica) e ne considera soprattutto le risonanze politiche.
In quanto esponente dell'intellettualità fascista, Bontempelli è coinvolto nel dialogo fra regime e intellettuali avviato dopo la marcia su Roma. Si dibatte di arte fascista, si valorizza l'italianità culturale, si dà slancio a un'articolata politica detta di «espansione culturale all'estero».2 Iniziata negli anni Venti, in vario modo patrocinata dal regime, questa politica persegue la diffusione all'estero di idee italiane, la difesa della loro superiorità, la tutela del buon nome dell'Italia e del fascismo. Cultura e politica appaiono, in tale ambito, distinte ma non disgiunte, sempre più tese a sovrapporsi con lo scorrere degli anni. Ci sono misure, proposte, dibattiti parlamentari. L'Accademia d'Italia e l'Enciclopedia Italiana sono investite della salvaguardia e dell'incremento della cultura nazionale sia in patria che fuori.3 Compiti analoghi assumono la società «Dante Alighieri», l'Istituto Nazionale Fascista di Cultura,4 la società «Italica», vari altri enti di cooperazione intellettuale, in larga parte diretti o creati da Giovanni Gentile e Amedeo Giannini, alto funzionario del Ministero degli Esteri, capo dell'Ufficio Stampa.5 Tra i periodici, spicca «Augustea», particolarmente attenta all'affermazione internazionale dell'italica cultura, nonché alle cosiddette «importazioni ed esportazioni spirituali», ovvero gli scambi culturali tra l'Italia e il mondo. La rivista è diretta da Franco Ciarlantini, direttore della casa editrice Alpes, organizzatore, alla fine di marzo del '25, del Convegno per le Istituzioni Fasciste di Cultura. Ne esce, come è noto, un manifesto, ricordato in genere come Manifesto degli intellettuali del fascismo, ma in realtà dotato anche di un titolo più esteso (Manifesto degli intellettuali del fascismo agli intellettuali di tutte le nazioni). Ciò rivela l'indole propagandistica e internazionale del documento, confermata dal proposito, in parte realizzato, di ricavarne traduzioni in lingua straniera.6 Trova spazio anche l'idea di riviste volte ad assicurare risonanza all'«opera degli italiani nel campo delle scienze e delle lettere».7
In tale contesto nascono i quattro numeri di «900. Cahiers d'Italie et d'Europe»:8 direttore Massimo Bontempelli, società editrice «La Voce», un tempo di Prezzolini, ora amministrata da Curzio Suckert (Malaparte), con un consiglio di amministrazione pieno di dignitari, così viene scritto, del mondo fascista, tra cui Bottai, Balbo, Roberto Forges Davanzati e Renato Ricci.9 La rivista ha un comitato di redazione composto da scrittori di varia nazionalità: Bontempelli (unico italiano) e scrittori per lo più modernisti o ritenuti tali: francesi o d'espressione francese (Pierre Mac Orlan), stranieri residenti a Parigi (Ilya Ehrenbourg, Ramón Gómez de la Serna, Georg Kaiser, James Joyce), ma di statura europea.10 Malaparte, in passato, ha espresso avversione per la modernità europea e parlato di antitesi fra questa e l'«Italia barbara».11 La linea della rivista, definita dal direttore, è però di apertura e confronto con le più nuove istanze della cultura continentale.12 Tra i collaboratori spiccano, oltre ai membri del comitato di redazione, André Malraux, Blaise Cendrars, Max Jacob, Léon-Paul Fargue, Franz Hellens, Ivan Goll, André Salmon, i surrealisti Philippe Soupault e Georges Ribemont-Dessaignes. Tra gli italiani, Anton Giulio Bragaglia, Marinetti, Moravia, Emilio Cecchi, Corrado Alvaro, Marcello Gallian, Pietro Solari, Gian Gaspare Napolitano, Alberto Spaini. La lingua prescelta è il francese al fine di raggiungere un pubblico internazionale e far conoscere la giovane letteratura italiana:
«La rivista sarà redatta in francese perché ha l'intenzione: - 1) di segnalar bene la parte che l'Italia ha (contro l'opinione comune) nella formazione di un'atmosfera poetica nuova; tanto nuova che il nostro tempo è, credo, il preludio di una nuovissima terza èra, dopo il classicismo che va da Omero a Cristo (escluso), e il romanticismo che va da Cristo al balletto russo (compreso) [...]- 2) di far più intenso tale contributo col buttare addirittura audacemente in gara i giovanissimi valori italiani con i men giovani valori delle altre nazioni. - 3) di ottenere che sieno essi valori italiani, esportandosi e penetrando, a premere sugli stranieri e informarli di sé, contrariamente a quanto è avvenuto in tempi più timidi.
Per ottenere questi fini mi occorre una lingua che sia ampiamente letta in Europa».13
Propositi di «espansione culturale all'estero»? Se non lo sono, gli somigliano abbastanza. Bontempelli, del resto, non lo nega, almeno non a chiare lettere. In una dichiarazione per il pubblico italiano, tirato invero un po' per i capelli, il direttore precisa di non avere «mai scritto né detto che "900" sarà "la rassegna dell'imperialismo fascista"», ma «se lo diverrà», aggiunge, «tanto meglio».14 In «Augustea», un articolo sull'«imperialismo spirituale di 900», figura accanto alla recensione di un volume di Ciarlantini con titolo analogo, capitale in tema di «espansione culturale».15 Oltre ad «Augustea», Ciarlantini possiede la Alpes, società editrice, con lui collaborano Arnaldo Mussolini e Bontempelli, il quale è anche amico del duce.16 Si sa peraltro di un incontro di Bontempelli con il capo del governo,17 lo stesso che agli artisti dichiarava quanto segue:
«Quale è dunque il vostro compito, il compito di coloro che creano? Bisogna che tutti gli scrittori italiani siano all'interno e soprattutto all'estero i portatori del nuovo tipo di civiltà italiana. Spetta agli scrittori di fare quello che si può chiamare «imperialismo spirituale» nel teatro, nel libro, con la conferenza. Far conoscere l'Italia non soltanto in ciò che essa ha di grande nel passato».18
Si può pensare che Bontempelli volesse accreditare la propria rivista come protagonista possibile di tale politica o dare a credere di poterlo essere: un possibile e privilegiato interlocutore del regime, suscettibile di aggiungere alla legittimazione politica un prestigio letterario internazionale favorito da contatti (non di poco conto) stabiliti a Parigi. Quanto basta per allarmare i competitori interni (il fronte detto di Strapaese, le riviste «L’Italiano» e «Il Selvaggio», autori come Soffici, Maccari, Longanesi). Il loro profilo prevalente, salvo eccezioni, è il seguente: di area fascista, difensori della tradizione, poco legati a Parigi, avversari del suo ruolo di capitale letteraria, soggetti a perdere sostegno dal regime per l’appoggio che rischiava di offrire ai rivali. Tanto più che nel dibattito sull’espansione all’estero, «pare preponderante la presenza di esponenti delle avanguardie, dei "modernisti", che sottolineano l’esigenza di promuovere le forme d’arte più innovative come le uniche in grado di misurarsi alla pari con la produzione internazionale».19 Tutto questo spiega buona parte degli attacchi subiti dai «novecentisti» (sempre aggrediti, mai i primi ad aprire le ostilità). Questi attacchi mescolano argomenti letterari e politici (uso del francese, cosmopolitismo, apertura agli antifascisti, scarsa fedeltà ai valori del fascismo). Iniziano già all’annuncio della rivista, ancora prima che uscisse il primo numero.20 Segno di quanto la posta in gioco fosse importante o ritenuta tale. Notevole da ultimo che gran parte del dibattito tra i novecentisti e gli avversari si sviluppi sui quotidiani «Il Tevere» e la «La Tribuna», vicini al regime, attenti osservatori della sua politica culturale, in prima fila nel dibattito sull'esportazione della cultura italiana.21
II. Equilibrismi (sensi plurimi, eufemismi, allusioni, rifacimenti)
Tutto il contesto in cui sorge «900» grida dunque «espansione culturale», come allora veniva chiamata. Bontempelli sa però di non potere eccedere, pena il dissenso di alcuni collaboratori. È temuta, in particolare, la rivolta dei francesi. Un'improvvida uscita di Curzio Malaparte, ritraente un «900» panitaliano e gallofobico, provoca a Parigi pesanti reazioni e induce il direttore a una presa di distanza.22
Si impone anche un restyling di tesi espresse in precedenza:
«La rivoluzione politica (interventismo-guerra-fascismo) ha dato l'ultima mano al compito della filosofia e dell'arte che spezzando dall'Europa gli avanzi estremi dell'estetismo cosmopolita compivano la liquidazione del romanticismo».23
«La pratique (politique) a précédé l'art et la pensée pure (ce qui est bien naturel) dans l'effort d'ouvrir les portes du vingtième siècle»24
Il secondo brano è affine al primo, ma nasconde ogni accenno esplicito alla «rivoluzione fascista» e al rapporto (dai fascisti comunemente rivendicato) tra questa e la guerra. Segue una chiara allusione al fascismo e al comunismo, non chiamati col loro nome, ma indicati per metonimia e con linguaggio figurato:
«Aujourd'hui, avant que l'art ne reprenne le sens du monde extérieur et de la magie, la politique retrouve celui de la puissance et du contingent, qu'elle avait perdu le long de la route démocratisante du dix-neuvième siècle. À l'heure actuelle, il y a en Europe deux tombeaux de la démocratie du dix-neuvième. L'un est à Rome, l'autre à Moscou. À Moscou le tombeau est gardé par des fauves mystérieux qui grattent le sol. À Rome par des patrouilles de jeunes faucons qui, à force de regarder le soleil, finiront peut-être par influencer son cours».25
Il brano è oggetto, come è noto, di cure particolari. Bontempelli ne discute con Nino Frank, suo luogotenente a Parigi. Troppo eufemistici riferimenti al fascismo nuocerebbero alla rivista in Italia; troppo espliciti richiami al regime creerebbero imbarazzo oltralpe. Tagliare per intero la parte politica, come Frankk propone, non si può. Attenuare sì, ma non troppo e non dappertutto:
«Ora mi metto subito a studiare qualche attenuazione al passo che mi indichi nelle Giustificazioni. Ma troppo non posso fare. Poiché se sono riuscito a vincere per il momento le ire nazionaliste (italiane) che imperversarono contro "900", fu appunto nonostante quella Giustificazione e specialmente quelle dichiarazioni politiche. Se uscissi senza, o troppo castrandole, avrebbero ragione di gridare che li ho traditi, e immediatamente riuscirebbero a tagliare i viveri al giornale. [...] Ed è meglio correre qualche rischio da parte dei nazionalisti francesi che avere la certezza di essere troncati qui. [...] Vedi come è difficile la situazione. Comunque, io per parte mia sarò assicurato - e tu continua costì nella tua politica, specialmente privata, perché i due o tre puritani stiano fermi e zitti».26
Non è da escludere che il richiamo a Mosca fosse un segnale indirizzato oltralpe, a quanti, in area modernista, simpatizzavano per la rivoluzione. I surrealisti, in particolare, discutevano di adesione al partito comunista, Soupault avrebbe approvato il documento solo dopo l’accenno alla Russia.27 Si pensava forse di bilanciare l’accenno a Roma onde renderlo meno inviso a Parigi, così puntellando l’allusione al fascismo cui Bontempelli era indotto in Italia. L’accorgimento non valse comunque a impedire le bordate del gruppo surrealista, bersaglio «900» e chi vi collaborava; né la nota sul «bolcevico» Ehrenbourg (così lo definisce Frank), voluta da lui medesimo e uscita nel terzo cahier. 28 L’accostamento di Roma e Mosca, nel segno di comuni elementi (rigetto della democrazia, rifiuto dello spirito borghese e plutocratico, appello alle forze giovani della società, l’essere entrambi «i figli della guerra») non era del resto tabù nell’Italia fascista. Fu anzi un «topos abbastanza frequentato», per esempio da Mussolini, Malaparte e Bottai, gli ultimi due dirigenti della "Voce", tutti partecipi della nascita di «900».29 Non si era naturalmente pronti a preferire Mosca a Roma, eterno e insostituibile faro di civiltà. Né si ammettevano salvezze provenienti dall’Oriente nel suo insieme. Bontempelli ne stronca il mito alla fine della Justification, malgrado la prudenza suggerita da Frank. Il mito dell’Oriente aveva in Europa una certa diffusione, Francia compresa, e aveva attecchito brevemente nello stesso surrealismo. Nel ’26 risultava però dismesso in area surrealista, dopo avere accompagnato Breton e i suoi all’azione politica e al comunismo. 30
I richiami a Roma e all’universalità sono infine musica per le orecchie del fascismo, impegnato a contrastare la visione «democratizzante» e internazionalista dell’identità europea proposta, per esempio, dalla rivista «Paneuropa».31 Non è in proposito insignificante la preferenza di «universale» a scapito di «internazionale», mentre il «des» tra «être» e «européen» sembra escludere un ideale europeista basato su tratti identitari comuni e transnazionali:
«Nous les nouveaux, nous sommes assoiffés d'universel, et nous nous méfions de toute internationale. C'est pour cela que, dans l'instant même où nous nous efforçons d'être des européens, nous nous sentons éperdument romains».32
Nella pubblicistica fascista di quegli anni l'internazionalismo si presenta spesso come disvalore, assieme a europeismo, cosmpolitismo, rollandismo, Società delle Nazioni. Ad essi si contrappone il valore positivo dell'universalità, dell'idea fascista e italiana, destinata a guidare il mondo.
Il fatto di stare tra Francia e Italia, tra fascismo e modernismo parigino condiziona dunque il discorso programmatico del novecentismo e questo non solo nei luoghi indicati. Prendiamo ad esempio, nello stesso numero d'esordio di «900», La mare aux grenouilles. Il saggio ha per oggetto il contributo italiano e mediterraneo allo sviluppo della cultura europea. Bontempelli non chiama il Mediterraneo Mare nostrum (come il fascismo), né gli dà una preponderante connotazione "romana". Il solo riferimento alla città eterna è disperso in un insieme di luoghi diversi:
«La culture grecque (et si l'on veut, aussi égyptienne), née en Méditerranée, trouva en Méditerranée ses instruments d'expansion et de domination: Rome; et son instrument de rénovation spirituelle dans une terre méditerranéenne: la Palestine. Alors peu à peu toute l'Europe commença à constituer comme le grand hinterland intellectuel de la Méditerranée hellénique-romaine-chrétienne. À son tour l'Amérique, qui n'a pas une langue originale, se présenta comme une colonie et un champ de propagande et de diffusion de la culture européenne; l'Amérique est le dernier confin d'irradiation de la vie méditerranéenne originaire et perpétuellement renouvelée».33
La «reprise méditerranéenne» è designata come «mission du siècle vingtième» a cui l'Italia deve prepararsi:
«La mission réservée au vingtième siècle est une reprise méditerranéenne. Sur les bords de la mare aux grenouilles on sent mûrir un travail profond qui préparera une nouvelle oscillation de la civilisation de ces bords vers les cercles les plus lointains. Il est urgent que l'Italie, après un long repos qui a semblé épuisement ou mort, se prépare à cette tâche en se mettant rapidement et consciencieusement au courant de tout ce qui s'est développé et a achevé sa maturité particulière dans le restant de l'Europe».34
Ma che ruolo deve svolgere l'Italia? Un ruolo guida, comprimario, subalterno? Il testo non lo dice chiaramente. I precedenti riferimenti «à l'expansion et à la domination» di Roma antica, l'auspicata rinascita (dell'Italia) dopo un lungo sonno, si possono leggere come l'auspicio di una nuova missione imperiale per la patria e la sua capitale, tanto più che questi sono miti fondamentali e diffusissimi nell'Italia del tempo. Quest'idea però si può solo presumere, non leggere a chiare lettere. L'asserito bisogno di mettersi al passo della cultura europea lascia anzi pensare a un ritardo culturale italiano, incompatibile con qualsivoglia vocazione imperiale (può una nazione che è indietro mettersi alla testa delle nazioni europee?); leggibile, anzi, come auspicio di integrazione italiana in una koinè culturale europea, destinata a rilanciare l'eredità mediterranea, senza preminenze di popoli e nazioni. La prima lettura è più alla portata del lettore interno, nazionale, addentro all'attualità italiana, avvezzo alle interpretazioni di Roma («"base della civiltà occidentale", crocevia della storia del ventesimo secolo»35) prodotte dal fascismo. La seconda presuppone meno familiarità e consuetudine con la realtà italiana, si presta pertanto di più a un lettore straniero. Il fatto di chiamare il Mediterraneo con il nome geografico, e non alla maniera dei romani, conferisce al discorso una veste più neutra, non apertamente fascista, meno politicamente riconoscibile. Lo stesso risultato raggiunge un'altra strategia: quella di presentare il Mediterraneo non tanto e non solo nel segno della romanità, quanto in quello della grecità. Il sintagma che dà il titolo all'articolo (Lo stagno dei ranocchi) non pare esente da sottile ironia (non rara in Bontempelli): è antifrastico equiparare, in epoca fascista, il Mare nostrum a uno stagno e chi ci vive alle rane. Il sintagma è però una citazione colta, proviene da Platone, ovvero dal Fedone. Questo il modo in cui Bontempelli la riporta:
«Ici se place merveilleusement une citation de Platon.
Elle est dans le Phédon:
«Je crois que la terre est très vaste et que nous qui vivons entre l'Asie Mineure et les Colonnes d'Hercule, nous n'en habitons qu'une faible partie, étant tous rassemblés autour de la Méditerranée comme des grenouilles autour d'un étang; et qu'il y a ailleurs d'autres peuples nombreux et différents qui habitent de nombreuses contrées semblables à celle-ci».
En songeant que ces paroles ont été écrites par Platon, nous comprenons que le sentiment d'étroitesse, le désir de mouvement, les velléités d'expansion qui sont en elles, ne sont pas une inquiétude aventureuse d'ulyssides, mais qu'elles prévoient et prédisposent l'extension de la civilisation méditerranéenne au restant du globe».36
Il brano di Platone non ha affatto la valenza che Bontempelli gli attribuisce; nulla c'è, nel Fedone, che faccia pensare a «espansioni» della cultura mediterranea. Il carattere erudito della citazione fa però da contrappeso all'ironia appena rilevata. Irrobustisce, nel contempo, il profilo puramente "letterario" dell'articolo. Lo stesso fa il richiamo all'autore da cui Bontempelli fa discendere le sue tesi sul Mediterraneo («je les reprenais d'un article de Paul Valéry»).37
Questi elementi trasfigurano la valenza politica del discorso, senza metterla, tuttavia, veramente da parte. Ne risulta un testo che dice e non dice, non dichiara più di quanto allude, leggibile in un modo ma anche in un altro, che i suoi sensi adombra e insieme nasconde: in sintonia col discorso cultural-espansionista (ai miti del primato e del dominio culturale italiano) ma non scopertamente sbilanciato in tale direzione. Così facendo Bontempelli elabora in termini di alta "cultura" un mito dalle forti implicazioni strategiche e guerresche, non di rado anche presenti nel discorso di scrittori.
Questo assetto è coerente con l'asimmetrica posizione di Bontempelli tra la Francia e l'Italia, il suo dovere blandire Roma e il fascismo senza destare sconcerto Parigi. Basta il venir meno di questa "asimmetria", perché la bilancia penda dal lato dell'espansionismo. Basta prendere la versione italiana di questo articolo, pubblicata un anno prima della nascita di «900», per leggere che:
«Col 1922 comincia una grande era antiromantica.
Parlo dell'Italia perché la nuova storia anche questa volta comincia qui, e di qua porgerà al rimanente d'Europa gli schemi da sviluppare.
Perché oggi uno schema capace di svolgersi deve avere il mondo intero come suo campo di sviluppo e di attuazione. Perciò, se l'Italia è consapevole della sua missione, deve rendersi conto che il suo primo e più preciso dovere è quello di «europeizzarsi» al possibile».38
Questo è un discorso chiaro: l'europeizzazione italiana non è fine a se stessa, ma il presupposto di una missione imperiale. L'Italia deve assumere la guida culturale d'Europa. L'arte e il pensiero devono portare avanti il lavoro che la politica (il fascismo) ha appena cominciato, proprio nell'anno della marcia su Roma. Tutto questo non figura però in «900». Si trova nella prima parte (omessa in francese) della versione italiana, pubblicata nel primo numero di «Augustea» di Franco Ciarlantini, la rivista e l'intellettuale forse più attivi in fatto di espansione culturale all'estero. Nel passaggio da «Augustea» a «900» Bontempelli prende la parte meno scopertamente politica del suo testo e ne irrobustisce lo spessore letterario aggiungendo il richiamo a Valéry, assente nella versione italiana. È tempo di insistere sul profilo letterario, di convincere – queste le disposizioni a Frank per Parigi – che «"900" non si occupa di politica».39
III. Osmosi (di letteratura e politica)
La seconda serie di «900», solo italiana e in italiano, darà più spazio alla politica. Ma finché la rivista è un progetto internazionale, principalmente rivolto a Parigi, troppo espliciti riferimenti al fascismo e all'espansionismo culturale non sono consentiti, la letterarietà fa argine alla politica, sia pure in tempi di totalitarismo. Al massimo ammiccamenti, allusioni, così bene avvolti letterariamente da apparire vaghi, incerti o appena riconoscibili:
«Bien qu'internationale, cette revue se fait en Italie, par les efforts et les sacrifices [...] d'un certain nombre d'italiens nouveaux: qui, comme c'est bien naturel, ont à cœur surtout la renaissance de l'art italien».40
«[...] le vingtième siècle a bien tardé à poindre. Le dix-neuvième n'a pu finir qu'en 1914, le vingtième commence quelque peu après la guerre».41
«Notre génération [...] a le devoir imposant d'ouvrir les portes à la troisième époque de l'humanité occidentale [...]».42
«La tâche la plus urgente et la plus précise du vingtième siècle sera de bâtir à nouveau le Temps et l'Espace. [...]
Notre seul instrument de travail sera l'imagination.
Il nous faut réapprendre l'art de bâtir, pour inventer les mythes tout nouveaux capables d'enfanter la nouvelle atmosphère qui nous est nécessaire pour respirer. [...] Or l'art de dominer la nature, c'est la magie. Et voilà expliqués certains caractères et certaines velléités magiques que l'on voit poindre dans cette «atmosphère en formation» [...] que «900» se flatte de représenter et de favoriser».43
«La fonction première et fondamentale du Poète est d'inventer des mythes, des fables, des histoires, qui s'éloignent ensuite de lui jusqu'à perdre tout lien avec sa personne, et deviennent ainsi le patrimoine commun des hommes, et presque des choses naturelles. C'est ce que deviennent précisément les œuvres d'architecture; souvent on ignore l'auteur des monuments les plus fameux et les plus naturellement fondus avec leur sol et leur climat».44
«L'art novecentiste doit viser à devenir "populaire", à vaincre le "public". [...] Le novecentisme [...] vise à considérer l'art, toujours, comme "art appliqué" [...]. Le novecentisme cherche à aider le développement de cet art que je pourrais appeler "d'usage quotidien"».45
Questi brani potevano passare (politicamente) inosservati al lettore straniero, non addentro alle cose italiane, forse non a un lettore italiano avvertito, compresi quanti dentro il regime cercavano interlocutori nel campo dell'arte. Gli italiani nuovi, la «giovinezza», i giovani sono anche miti fondatori e la categoria sociale di riferimento del fascismo, anche in materia di riviste e cultura.46 È comune un netto millenarismo.47 La «nuova era» comincia nella stessa epoca della marcia su Roma (come già, in modo più preciso, nel già citato Stagno dei ranocchi). Quest'era nuova è «terza», come la «terza Italia» e la «terza Roma», miti di origine risorgimentale dilungatisi in epoca fascista. Il mito come base di una civiltà nuova, moderna, rivolta a un popolo da «avvincere», educare, forgiare, sedurre; il mito incline a farsi costume,48 baluardo dell'immaginario e del non razionale, è anche base del totalitarismo fascista.49
Ma entriamo qui in un terreno scosceso, dove invano si cercherebbero prove incontrovertibili. Da una parte queste assonanze non sono plateali. Dall'altra può trattarsi di ideologemi comuni o in movimento tra politica e letteratura, espressi però nei modi propri a ognuna, eufemizzati e adattati nel passaggio dall'una all'altra.50 Non ha in fondo Bontempelli stesso posto in parallelo arte e politica, insieme protese, ognuna nel proprio ambito, ad aprire le porte del Novecento?
«La rivoluzione politica (interventismo-guerra-fascismo) ha dato l'ultima mano al compito della filosofia e dell'arte che spezzando dall'Europa gli avanzi estremi dell'estetismo cosmopolita compivano la liquidazione del romanticismo».51
L'insieme di tali constatazioni non autorizza a ritenere chiaramente o prevalentemente politico (fascista), il discorso programmatico del primo novecentismo. Ma sarebbe anche riduttivo derubricare i riferimenti alla politica come cedimenti di tipo contingente o materiale e credere in un carattere "puramente" letterario e cosmopolita del progetto novecentista. Meglio vedere questo discorso come frutto della storia: di una storia abitata dal sincretismo, delle idee e delle funzioni, dove il fascismo dialoga con la cultura e la cultura con il fascismo. Dove le idee transitano da un campo all'altro oppure si esprimono in campi diversi, in ognuno però, tendenzialmente, nei modi che gli sono propri. Ora, i testi di Bontempelli esaminati in questo saggio hanno un prevalente carattere letterario. Gli echi di politica in essi riscontrabili sono codificati in termini e inseriti in un contesto prevalentemente letterario. In misura che però aumenta o diminuisce in funzione del livello di interazione con la capitale letteraria internazionale e gli ambienti modernisti ivi raggiunti. Da Parigi una spinta alla letterarietà del testo e comunque a limitare i richiami al fascismo;52 da Roma la tendenza all’«espansione culturale», al nazionalismo, alla politizzazione, legata ai rapporti con il regime, con la cultura fascista, al bisogno di tutelare gli appoggi e parare gli attacchi provenienti da tale area. Con le sue oscillazioni, tagli, attenuazioni ed eufemizzazioni, il discorso novecentista è il bilanciamento di queste spinte in larga parte contrastanti.
IV. Percorsi e discorsi
La breve durata della prima serie di «900» è nota. Si è scritto di un intervento da parte del governo volti a proibire l'uso del francese. 53 Vanno pure considerati l’incipiente chiusura della «Voce» 54 e i pessimi rapporti tra Bontempelli e Malaparte, culminati in un doppio passaggio: di Malaparte con gli avversari di Strapaese, di «900» con l’editore Sapientia.55 Due punti restano in ogni caso evidenti. Il primo è che il possente fuoco di fila avversario non ha aiutato la rivista. Il secondo è che a esporla a queste critiche era il paradosso in cui si dibatteva: dover sembrare in Italia organo di espansionismo culturale (senza darlo a intendere ai francesi), e in Francia organo puramente letterario (senza farlo a credere agli italiani).
A fronte di tanta complicazione, l’avventura novecentista di Massimo Bontempelli, almeno nella sua fase internazionale, può legittimamente apparire contraddittoria, non chiara o velleitaria.56
Resta fermo, ad ogni modo, che l’operazione «900» non è un progetto casuale, messo in piedi da un visionario, ma il risultato conseguente (sebbene non scontato) di un percorso letterario, di vincoli insiti al contesto culturale, di posizioni in esso occupate, dal fatto di giocare su tavoli diversi.57 Tali fattori non possono qui essere ripercorsi in ogni dettaglio, si vedranno alcuni punti essenziali. Dopo esordi avanguardisti (futurismo) Bontempelli insiste su "moderno" e innovazione. Subisce l’«intossicazione nazionalista»58 che pervade, nel primo ventennio del secolo, tanta parte dell'intellighenzia italiana. Crede che l'arte possa farsi azione, impegno, capacità di cambiare il mondo, svolgere un ruolo parallelo alla politica. Gli esempi di impegno intellettuale, dai tempi dell'interventismo, i modelli di artecrazia futurista e dannunziana, avevano consolidato un costume intellettuale ancora forte negli anni Venti. Tutto questo può aver favorito l'incontro tra tanti intellettuali, modernisti compresi,59 e il fascismo: movimento politico e insieme apolitico, totalitario e insieme avverso al discorso politico tradizionale. Anche per questo alla ricerca di una "cultura", capace d'essere «espressione sociale», «forma diffusa di principi [...] o recepiti o promossi e messi in circolazione».60 In larga parte aperto, negli intenti almeno, alla modernità. Con l'ambizione di porre l'Italia alla testa delle nazioni, anche attraverso la conquista culturale.
Ma alla metà degli anni Venti, per tutto il mondo, compresa l'Italia fascista, modernità significa Parigi. Fissare un canone modernista italiano significa fare i conti con la capitale internazionale della cultura, perché essa decreta, salvo eccezioni, il successo internazionale di autori, idee, tendenze. Bontempelli punta allora su Parigi. Cerca (per sé, per il suo movimento, per i giovani collaboratori di cui è guida) un riconoscimento letterario che in Francia gli manca,61 il quale poteva ripercuotersi anche in patria. Anche per questo punta a un ruolo di mediazione letteraria.62 Anche per questo cerca la collaborazione di esponenti, in buona parte già affermati, del modernismo e dell’avanguardia. A Parigi deve però deporre il vessillo fascista, pena il discredito nella capitale francese, almeno negli ambienti che raggiunge o desidera raggiungere. Questo però lo espone in Italia a critiche, dubbi, diffidenze, nell’universo fascista di cui è un esponente. Di qui "ambiguità" e oscillazioni del discorso novecentista, coerenti però con la posizione del loro autore nel mondo delle lettere.
A Parigi guardano anche quei settori della cultura fascista (ad esempio Ciarlantini, «Augustea», gli alfieri dell'«imperialismo spirituale») che mirano alla conquista culturale dell'Europa e intendono farlo senza preclusioni per il moderno. Di qui due atteggiamenti, in apparenza contraddittori, ma in fondo coerenti con la premessa che li genera: da una parte la chimera di Roma, nuovo faro di civiltà e cultura;63 dall'altra la ricerca di consensi e collaborazioni a Parigi. Nel 1928, quando «900» internazionale ha esaurito la sua parabola, «Augustea» invoca ancora una rivista italiana (in francese) a Parigi.64 Verranno altre riviste, «Dante», «Antieuropa», nessuna avrà però il profilo di «900».65
Bollettino '900 - Electronic Journal of '900 Italian Literature - © 2010
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Giugno-dicembre 2010, n. 1-2