Ilona Fried
Bontempelli e i «teatri di masse»

 

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Sommario
I.
II.
III.
Il Convegno Volta sul Teatro Drammatico
Bontempelli nei preparativi del Convegno
La relazione


 

§ II. Bontempelli nei preparativi del Convegno

I. Il Convegno Volta sul Teatro Drammatico

Nel 1934, Massimo Bontempelli, accademico, presentò al Convegno Volta un'importante relazione sul Teatro di masse: una relazione che risulta oggi ancora più interessante, se collocata nel contesto più ampio del convegno, in cui le idee di Bontempelli sono sviluppate in modo più approfondito.1
I convegni "Volta" erano i convegni annuali della neonata Accademia d'Italia - il Convegno del 1934, sul Teatro Drammatico, era il quarto. L'Accademia era stata fondata nel 1926 da Mussolini, che nel discorso pronunciato il giorno dell'inaugurazione, il 28 ottobre 1929, aveva chiarito a quale scopo fosse stata istituita:
«L'Accademia d'Italia ha per iscopo di promuovere e coordinare il movimento intellettuale italiano nel campo delle scienze, delle lettere e delle arti, di conservarne puro il carattere nazionale, secondo il genio e le tradizioni della stirpe e di favorirne l'espansione e l'influsso oltre i confini dello Stato».2
L'Accademia rafforzò il potere di Mussolini in campo scientifico, culturale e artistico, sostituendo gradualmente la più liberale Accademia dei Lincei, ed ebbe fra i membri e fra gli alti funzionari anche personaggi di fama internazionale, scelti e nominati personalmente dal Duce.
Nel 1934, gli accademici più coinvolti nell'organizzazione del Convegno furono, naturalmente, quelli appartenenti alla Classe di Lettere.3 Presidente del Convegno era Luigi Pirandello, mentre fungeva da segretario Filippo Tommaso Marinetti. Ettore Romagnoli e Massimo Bontempelli, meno attivi nella fase organizzativa, dovettero però partecipare, tra il tardo autunno 1933 e l'inaugurazione, alle sedute preparatorie, nel corso delle quali, quasi certamente, avanzarono alcune proposte ed ebbero il compito di presentare le loro relazioni al convegno. Mussolini seguì da vicino i preparativi e ricevette gli Accademici anche in occasione di un'udienza nel gennaio 1934, quando ancora il convegno era in fase preparatoria.
Le decisioni venivano prese seguendo una gerarchia che metteva al primo posto Mussolini, (il "Capo" come diceva Marpicati in qualche lettera), seguito da Galeazzo Ciano, Capo dell'Ufficio Stampa del Capo del Governo, Arturo Marpicati, Cancelliere dell'Accademia, vice-segretario del Partito Fascista, Antonio Bruers, Vice-Cancelliere e Carlo Formichi Vice-Presidente Anziano e Presidente della Classe di Lettere.
Le relazioni del convegno dovevano essere presentate in anticipo a Pirandello - ed erano lette sia da lui sia dal suo assistente Silvio d'Amico, che, pur non essendo accademico, ebbe certamente un ruolo importante nell'ideazione globale del congresso. Sia le relazioni preparatorie sia quelle definitive vennero poi stampate e pubblicate negli atti del Convegno in lingua originale, (cioè in una delle lingue ufficiali ammesse: italiano, francese, inglese, tedesco, russo), con un riassunto in italiano e uno in francese, e seguite da una sintesi del relativo dibattito.
I temi del Convegno vennero fissati dalla Classe di Lettere, ma non c'è traccia di direttive che ci permettano di capire in base a quali criteri siano stati scelti. Dalla documentazione, risulta che ogni dettaglio del convegno doveva essere concordato con Mussolini: è lecito dunque pensare che anche gli argomenti furono sottoposti alla sua approvazione. I temi attribuiti ai relatori (tra i quali anche "i problemi del teatro", in quegli anni molto discussi fra gli addetti ai lavori) furono:

1. Condizioni presenti del teatro di prosa, in confronto con gli altri spettacoli: cinematografo, sport, opera, radio
2. Architettura dei teatri: teatri di masse e teatrini
3. Scenotecnica
4. Lo spettacolo nella vita morale dei popoli
5. Il teatro di stato (esperienze delle organizzazioni esistenti - necessità - programmi - scambi).

Come si vede, in sostanza, il convegno voleva affermare la necessità sia che il teatro italiano venisse riconosciuto sul piano internazionale, sia che esso assolvesse una funzione importante nella cultura nazionale. I motivi di queste scelte vennero chiariti da Carlo Formichi nel discorso inaugurale:

«Quando la Classe di Lettere, alla quale è toccato quest'anno, per turno, d'indire il Convegno Volta, dovette scegliere l'argomento delle discussioni, essa fu subito unanime nel preferire come tema: "Il Teatro". Per mezzo del teatro la letteratura si avvicina al popolo, diventa di tutti, rivela fedelmente l'anima d'una Nazione. Nessun genere letterario, nemmeno il romanzo, può competere, quanto a diffusione e penetrazione, col lavoro drammatico rappresentato sulla scena. Non tutti comprano il libro, ma tutti, dai nobili ai plebei,vanno a teatro. Ciò fa sì che l'esercizio dell'arte drammatica assurga all'importanza d'un fatto sociale e politico di cui i governanti d'una Nazione non possono disinteressarsi. Che il teatro langua o muoia è un indizio malinconico, che sia vitale e prosperi è un indizio confortante. Il teatro greco, l'elisabettiano, quello di Luigi XIX documentarono tempi di civiltà, floridezza, espansione. Nè c'è, più del teatro, mezzo efficace d'educare il popolo. Aristofane, che di queste cose s'intendeva pure un poco, ha sentenziato [...]: "all'insegnamento dei fanciulli provvedono i maestri, all'insegnamento degli adulti debbono provvedere i poeti drammatici"».4

Da questo discorso iniziale, risulta chiaro il fondamento politico della tematica prescelta per il Convegno del '34. Per le ragioni precedentemente accennate, potremmo anzi considerare il Convegno emblematico dei rapporti che si andavano allora stabilendo tra cultura e politica: Mussolini seguì i preparativi personalmente, o tramite Galeazzo Ciano, allora Capo dell'Ufficio Stampa del Capo del Governo, e direttamente o indirettamente manovrò tutti i lavori del Convegno, servendosi anche della struttura fortemente gerarchizzata dell'Accademia, i cui funzionari erano stati da lui stesso selezionati. All'epoca del Convegno il Presidente era Guglielmo Marconi, mentre Vice-Presidente era Gioacchino Volpe. Il Convegno promosso dalla Classe di Lettere, con il titolo definitivo Il teatro drammatico, si svolse fra l'8 e il 14 Ottobre del 1934.
Fermo restando il coinvolgimento politico da parte degli intellettuali partecipanti, vi furono però tentativi - da parte loro - di rivendicare una certa autonomia, come dimostra anche il discorso inaugurale di Pirandello.5 D'altronde, l'Accademia in quanto istituzione tentò di conferire alla manifestazione un carattere apolitico anche se la posizione di privilegio e la possibilità di essere difesi e protetti dal potere politico in caso di attacchi della stampa o di eventuali lotte interne, poteva anche far comodo agli accademici, i quali in più d'una occasione cercarono di attirare l'interessamento del Duce per trarne profitto. E ciò nonostante il controllo continuo (ma non ancora soffocante) a cui erano sottoposti.
Gli organizzatori del Convegno cercarono di assicurarsi la partecipazione del fior fiore del mondo teatrale internazionale: autori, registi (i "maestri di scena", poiché in Italia si parlava poco ancora di "registi"), architetti, ingegneri, scenotecnici. Molti invitati non arrivarono: alcuni non volevano, altri non potevano. Erano già i tempi delle persecuzioni razziali in Germania, della piena dittatura staliniana nell'Unione Sovietica, per cui non tutti i rappresentanti della cultura internazionale potevano agire secondo la propria volontà. Ma anche se vi furono molte defezioni, il Convegno poté fregiarsi della presenza di numerosi personaggi di prestigio: Maurice Maeterlinck, William Butler Yeats, Gordon Craig, Walter Gropius, Denys Amiel, Jules Romains e altri. Jacques Copeau e Gerhart Hauptmann inviarono le loro relazioni.6 Fra gli italiani, oltre agli organizzatori, presentarono le loro relazioni Guido Salvini, Virgilio Marchi, Gaetano Ciocca e il funzionario Gino Pierantoni, Presidente degli Industriali dello Spettacolo; altri parteciparono senza fare interventi (data la rigidissima selezione anche essere invitati voleva dire molto): fra gli autori, erano presenti Luigi Chiarelli, Rosso di San Secondo, Ugo Betti; fra i critici Renato Simoni e altri. Spiccano i nomi di alcuni assenti, tra i quali Anton Giulio Bragaglia, per non parlare dell'assenza degli attori, i quali secondo le intenzioni degli organizzatori, non dovevano intervenire, per cui non erano presenti.7 Gli organizzatori, in particolare Silvio D'Amico, con ogni probabilità avevano selezionato i partecipanti non solo in base ai criteri ufficiali, ma anche in base a certe preferenze personali.8
Con il convegno si voleva non solo dimostrare quale importanza avesse in Italia il teatro ma anche quale fosse il prestigio dell'Italia nella vita teatrale internazionale. Come risultato si sperava di convincere Mussolini ad offrire sostanziosi finanziamenti e a fondare un teatro stabile statale. Per ottenere dei fondi, D'Amico dispose che nella trattazione dell'ultimo tema, sul coinvolgimento statale (Il teatro di Stato. Esperienze delle organizzazioni esistenti. Necessità - programmi - scambi) i relatori stranieri di ogni paese esponessero i dati riguardanti i propri paesi, (per esempio le sovvenzioni che i singoli stati stanziavano per i loro teatri). Si sperava, richiamando l'attenzione del Duce (forse anche sollecitandone la vanità) di poter ottenere sovvenzioni per la fondazione di teatri stabili, teatri di stato ed altre istituzioni (il che, ricordiamo non era riuscito né a Pirandello, né a Bragaglia né agli altri che, da Marinetti in poi, avevano tentato di convincere Mussolini). Con ogni probabilità, uno dei risultati ottenuti in seguito al Convegno, fu la fondazione dell'Accademia d'Arte Drammatica con Silvio D'Amico come direttore.

 

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II. Bontempelli nei preparativi del Convegno

Secondo quanto si deduce dai documenti sull'organizzazione del convegno, Bontempelli inizialmente seguì da vicino i preparativi, come dimostra anche una lettera da lui scritta, sulla carta intestata del Grand Hotel et Hotel des Anglais di Sanremo, a Carlo Formichi, Presidente della Classe delle Lettere, il 14 febbraio 1934:

«Caro Formichi, 1°) a Milano ho visto Ruggeri, che accetta, come a quest'ora già avrai saputo. Glie ne aveva parlato, per incarico di Pierantoni, ... Sabatino Lopez. E la risposta naturalmente Ruggeri l'ha detta a Lopez, da trasmettere. - Come puoi immaginare, mi sono seccato che Pierantoni abbia fatto entrare una terza persona, quasi che l'Accademia non potesse parlare da sè con Ruggeri ma avesse bisogno di un estraneo.
2°) Ieri sera mi sono trovato, qui, con Max Reinhardt - e gli ho parlato; è stato molto felice e orgoglioso sentendo che la Accademia lo inviterà a dare i Sei personaggi con la sua compagnia. Dunque ora aspetta l'invito»
[Bontempelli suggerisce inoltre di non metterci questa volta in mezzo terze persone].9

Nella lettera non si dice quale fosse la rappresentazione alla quale Ruggeri doveva partecipare; da altre fonti risultano anche proposte alternative rispetto alla scelta definitiva di mettere in scena La figlia di Jorio di D'Annunzio che divenne poi effettivamente la rappresentazione organizzata dal convegno. Ruggeri ebbe la parte di Aligi nella messinscena di Pirandello, coaudivato da Guido Salvini. A Max Reinhardt, invece, alla fine, venne chiesto solo di partecipare al Convegno, ma egli lo rifiutò, con la scusa di una tournée negli Stati Uniti (il famoso regista più tardi emigrò proprio negli Stati Uniti per sfuggire alle persecuzioni razziali) ... Bontempelli venne più di una volta sollecitato a consegnare la sua relazione, e nel frattempo lui cercava di aiutare persone che lo interpellavano per trovare impieghi nell'ambito del Convegno.10

 

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III. La relazione

Bontempelli prende spunto dal discorso tenuto da Mussolini in occasione del cinquantenario della fondazione della Società degli autori ed editori nel 1933, nel quale aveva prospettato la necessità di un teatro di massa.

«Questa relazione si presenta come commento a una frase di Mussolini, pronunciata il maggio dello scorso anno, celebrandosi in Roma il cinquantesimo anniversario della Società degli Autori. Agli autori teatrali adunati, Mussolini ha detto: "Bisogna preparare il teatro di masse, il teatro che possa contenere quindici o ventimila persone"».11

Questo discorso ebbe sicuramente un'influenza sugli organizzatori del Convegno, sia in relazione alla scelta dei temi (inducendoli ad esempio ad inserire il discorso architettonico in quello teatrale) sia nella selezione dei personaggi da invitare. «A me interessa della frase mussoliniana penetrare il contenuto spirituale. Esso è profondissimo. Esso importa tutto un giudizio storico sul teatro moderno e sulle sue possibili conseguenze».12
Il teatro di massa (di masse, come è scritto in origine) rimane il filone centrale della relazione di Bontempelli, che sottolinea l'importanza di creare il nuovo teatro per la nuova epoca e di conseguenza affida all'artista la missione di creare nuovi miti per il teatro, il che rientra integralmente nella visione bontempelliana delle "tre età" dell'umanità, sviluppata soprattutto nei saggi redatti per i numeri francesi dei "Cahiers du '900" (1926-1929), ripubblicati poi in italiano nel 1938 ne L'avventura novecentista.13
L'edificio teatrale auspicato da Bontempelli, conformemente ai progetti presentati da Gropius e dall'ingegnere Ciocca nella stessa seduta, avrebbe dovuto ospitare 10-20 mila spettatori.14 Gropius aveva elaborato il progetto del teatro totale partendo da un concetto di democrazia e prendendo come esempio l'antica Grecia. Conformemente agli ideali della Bauhaus, egli è alla ricerca di forme architettoniche atte a promuovere atteggiamenti "democratici" da parte del pubblico - la sua relazione illustra la sua complessa concezione architettonica, artistica, sociale del teatro, capace ad accogliere un vasto pubblico.15 (Il suo progetto Il teatro totale risale al 1927). La relazione di Bontempelli si basa anche su certi suoi articoli pubblicati in precedenza (e poi raccolti nel 1938 in L'avventura novecentista), alcuni dei quali risalgono agli anni Venti. A volte egli cita frasi prese integralmente da quegli articoli. Al giorno d'oggi una rilettura del suo intervento può aprire prospettive in varie direzioni, non solo nel campo della politica, allora di grande attualità, ma anche in quello della storia, dell'estetica, della sociologia del teatro (metodologia comune anche ad altri studiosi contemporanei di Bontempelli). In particolare la funzione degli spettatori, su cui insiste Bontempelli, è oggetto oggi dei più recenti studi di estetica teatrale. Bontempelli ritiene essenziale il coinvolgimento del pubblico nello spettacolo e, a differenza di gran parte dei suoi colleghi italiani di quegli anni, non si occupa del teatro come di un genere letterario, e di conseguenza, non considera l'autore, il poeta come artefice centrale della rappresentazione.

«Il teatro non consiste solamente nella parola, nel testo scritto, e sta bene, tutti sono d'accordo, tutti dicendo "teatro" intendono il testo in quanto rappresentato, attuato sopra una scena. Ma la nozione "teatro", la nozione "spettacolo teatrale", non si esaurisce neppure col fatto che il dramma sia rappresentato sopra una scena.
Si ha teatro, solamente in quanto tale rappresentazione scenica accade davanti a un pubblico».16

Bontempelli giustifica la funzione essenziale del teatro come "spettacolo", vedendo in esso

«una necessità umana tipica. Le altre necessità fondamentali della vita - la fame, l'amore, il desiderio di predominio, la paura di morire - sono almeno in qualche loro appiglio comuni all'uomo, di conservazione e di perpretuazione. La prima necessità che è proprio tutta dell'uomo, è la necessità artistica; e la forma rudimentale di questa necessità è lo spettacolo».17
«Questa necessità è strettamente umana, gli animali non ne partecipano; nessun animale gode del vedere la natura, o scene della vita di altri animali, vere o imitate che siano. Si può dire che l'uomo comincia, dove cominicia l'amore e la necessità dello spettacolo».18

Il teatro viene considerato «non in quanto creazione individuale di poesia, ma in quanto si incarna nel fenomeno sociale spettacolo».19 Partendo dunque da uno spunto sociologico, l'autore fa una netta distinzione tra letteratura e spettacolo, e indica alcuni degli autori più importanti di ogni epoca come «animatori di spettacoli».20 Essi fanno parte «dell'arte applicata all'industria»,21 cioè dell'attimo fuggente (mentre il testo rimane). Conseguenza di questa «caducità», è che ogni epoca ha il suo tipo particolare di spettacolo, come ripeterà Bontempelli sovente nei saggi riprodotti poi ne L'avventura novecentista, dove insiste su una storia ideale dei generi teatrali, fino alla prima guerra mondiale.

«Volete una storia, dirò meglio l'elenco cronologico, degli spettacoli tipici? Tragedia e rivista politica in Grecia, rappresentazione sacra medievale, dramma elisabettiano, dramma spagnolo, commedia dell'arte (comprendendovi le sue propaggini Molière e Goldoni), melodramma italiano, dramma postromantico, operetta viennese, commedia brillante parigina, balletto russo, fine. Ecco la storia degli spettacoli teatrali fino al chiudersi della seconda epoca della umanità civile occidentale, l'epoca romantica, che comincia con Cristo e arriva alla Guerra Europea. Ed è tutta una storia di folle. Lo spettacolo vive, da Eschilo a Verdi, in quanto ci passa un milione d'occhi a guardare».22

Tra i "tipi" storici del teatro, come egli stesso osserva, ce ne sono anche alcuni che non rientrano nella categoria del teatro di prosa. In definitiva, il teatro più che l'intellettualità concerne l'affettività da cui implicitamente si deduce che lo spettacolo deve influire sulle folle (parate, manifestazioni sportive...). È vero comunque che le posizioni dello scrittore comasco non sono del tutto coerenti con la sua stessa scrittura teatrale, a cui nel discorso non fa prudentemente allusione, nel discorso del Convegno, in cui invece insiste a lungo sulla funzione creativa e attiva del pubblico:

«Non basta, perché un tempo abbia il suo teatro, che vi siano autori anche ottimi che scrivono e attori che mettono in scena. Occorre il pubblico. Lo spettacolo è una collaborazione. La partecipazione del pubblico, con la sua frequenza ai teatri e con il suo discuterne, costituisce gran parte della vita teatrale di un dato paese in un dato tempo».23

Grazie all'importanza attribuita agli spettatori destinatari dei messaggi di cui lo spettacolo è il tramite, Bontempelli, riprendendo un tema già esposto in articoli precedenti, giunge alla costatazione che il teatro borghese è finito (il concetto anti-borghese s'inseriva perfettamente nella politica culturale del regime) e che il teatro ha nuove esigenze.

«Quando diciamo "il teatro di prosa è una cosa finita", si ha ragione, e gli esempi in contrario, i Pirandello, i Shaw, gli O'Neill, i Molnár, e altri, e i loro successi in tutta Europa, non servono a contradirci. Non c'è intorno a noi Il Teatro, non c'è una vera e viva situazione teatrale, la necessità di spettacolo non ha generato per il tempo nostro una sua forma di teatro, tipica e vivacemente innnestata, incarnata, nella vita e nell'interessamento e nella coscienza del tempo, come aveva generato e vivacemente innestato nella vita del tempo loro e la tragedia greca e le altre forme già dette, giù fino alla commedia brillante parigina o al balletto russo».24

E la fine del teatro tradizionale coincide con la fine della prima guerra mondiale. Si chiude un'epoca, finisce con diciotto il "lungo" secolo diciannovesimo, e con esso l'Era Romantica dell'umanità.

«La guerra ci ha lasciati tabula rasa, che è la condizione più desiderabile per ricominciare. E comunque la situazione di primordiali è sempre la situazione migliore per fare dell'arte, dacché l'arte è fatta di spontaneità e naturalità, mai di esperienza. Non per nulla la storia di ogni arte, in ogni paese, è quasi sempre storia di decadenza».25 Dopo la quale però un'epoca nuova comincia: anzi, una nuova era.

Da un punto di vista non più solo teorico ma anche organizzativo, Bontempelli oppone positivamente agli immensi stadi degli spettacoli di massa, i "teatrini" (secondo lui un fenomeno tipico della Mitteleuropa che l'Italia ha conosciuto in ritardo, fra il '23 e il '29), e afferma che sia il Teatro degli Indipendenti di Bragaglia sia quello degli Undici di Pirandello erano esperienze validissime, in quanto «in questi la piccolezza non nasceva da povertà decadente, ma dalla loro funzione di battaglia rieducativa contro i teatro borghese e contro il basso commercialismo che dominava tutta la nostra vita teatrale)».26
Le ragioni della decadenza del teatro, egli le vede nel fatto che «di una cosa, in alto senso, popolare, si cerca di farne una cosa per gli eletti». In secondo luogo, Bontempelli avverte che, trovandoci noi all'inizio di un'epoca (la Terza epoca della umanità civile d'occidente) la cosa più necessaria per la nostra arte è creare i miti nuovi, come gli inizî dell'epoca classica crearono i miti preomerici, come agli inizî dell'epoca classica furono creati i miti preomerici, e agli inizî dell'epoca romantica quelli cristiani. «S'intenda, io non dico che lo scrittore si debba mettere a tavolino con la testa tra le mani e dire "ora faccio il mito". Voglio dire soltanto, che poiché la primordialità del nostro tempo ha sete di nuovi miti, e la sua spontaneità dovrà crearseli, riteniamo interessante e legittima oggi solamente quella poesia che abbia tendenza a inventare nuovi personaggi e nuove favole, da andare liberi per il nuovo mondo ad animarlo».27
Ci sarebbe poi l'altro settore dell'arte dello spettacolo, il cinema. Esso «è nato vecchio», dal teatro di prosa ormai vecchio. Con l'avvento del sonoro, secondo Bontempelli, il cinema era diventato il «romanzo per analfabeti», non poteva attirare la grande folla e non aveva un contatto diretto con il pubblico, che invece il teatro ha. Contrariamente ad alcune sue geniali intuizioni espresse in gran numero dei suoi articoli (da cui è stata tratta addirittura un'estetica bontempelliana del cinema) - in questo discorso - lo scrittore comasco non riconosce meriti e non vede prospettive per il cinema, d'accordo in questo con altri relatori del convegno. Il regime però, come ben sappiamo, intuiva l'importanza propagandistica del nuovo mass media, tanto che qualche anno dopo Mussolini avrebbe fondato Cinecittà... Nella relazione del convegno Volta, Bontempelli afferma che il cinema non può godere delle stesse risorse di improvvisazione dello spettacolo teatrale e somiglia piuttosto al romanzo; il pubblico non può neanche rallentare lo spettacolo o fermarne la lettura, ma deve rimanere completamente passivo mentre lo guarda: ecco perché il cinema, secondo Bontempelli, non può offrire soluzioni per l'epoca nuova.
Al teatro rimane ancora, secondo Bontempelli, una possibilità: quella di attirare «il tifoso della domenica». Bontempelli anzi giunge alla conclusione finale del suo discorso in questo modo: «In questo genere di pubblico io amo prevedere il pubblico del teatro di domani».28 questo sarà dunque il «teatro di masse», il teatro per ventimila. Però, concludendo la sua relazione, egli dice anche che il teatro non deve essere solo di questo tipo: accanto ai grandi teatri «dovrà riprendersi, diciamo coraggiosamente, il teatro per i borghesi, il teatro d'abitudine, d'ordinaria amministrazione. Ma la esistenza dell'altro, dello spettacolo a vaste linee, a sentimenti elementari, avrà un benefico influsso anche sul teatro quotidiano per i necessari borghesi. Così accadrà che alla somma loro, cioè alla nuova vita teatrale che una creazione a grandi linee potrà dare all'epoca nuova, finirà per essere affidato in gran parte il còmpito di sborghesizzare la borghesia, che è il còmpito principale della "rivoluzione continua"».29
Se lo scopo del convegno era quello di dimostrare l'importanza del teatro, come abbiamo visto, Bontempelli diede un contributo molto importante. Le sue idee sul rapporto tra spettacolo e pubblico, l'importanza attribuita al teatro popolare, e non borghese, possono aprire la via al teatro di propaganda. Anche la necessità di miti nuovi propria della Weltanschauung bontempelliana dell'epoca, il desiderio di ottenere il consenso delle masse sono in perfetto accordo con la politica culturale del regime. Le note de L'avventura novecentista procedono anche oltre il convegno, alludono alle discussioni suscitate dalla relazione, e all'esperienza della sperimentazione dello spettacolo di massa, il 18BL,30 sempre del 1934, che invece Bontempelli insieme alla maggior parte della critica non approvava.31

«Esperienze mancate. Le idee dei due precedenti articoli, da me svolte in conferenze, furono molto discusse, e allora e più tardi nel «Convegno Volta» del 1934. Nel campo sperimentale poi si son fatte molte confusioni. Una delle più grosse è stato confondere il teatro per masse con un teatro ove agiscano in scena grandi masse: così nella rappresentazione del 18 BL a Firenze la sera del 29 aprile '34».32

La relazione venne subito criticata, secondo quanto testimoniano gli atti, già nel corso della discussione, da tre relatori: Maurice Wilmotte, Marinetti e Ettore Romagnoli. Wilmotte critica così Bontempelli:

«MM. Bontempelli et Ciocca expriment le voeu et caressent l'espoir de mobiliser des foules devant des spectacles d'art, ils oublient que les foules du passé (vingt jours entiers on a pu jouer un mystère au XVI siècle!) étaient mues par un sentiment moral, dont l'adjuvant me semble manquer au théâtre actuel. C'est une mystique qui guide ces auditeurs infatigables du passé chrétien. Où est notre mystique, à nous? Tout le reste est accessoire, et tant qu'on n'aura pas pu proposer aux foules autre chose que les thèmes courants du théâtre, rien de décisif n'aura été fait».33

Marinetti nega la necessità del teatro di massa come lo interpreta Bontempelli - che a suo parere distrugge il dramma, anche se deve essere accessibile a un «grande numero di cittadini», ed ecco la sua interpretazione della frase di Mussolini:

«Marinetti attacca inoltre Bontempelli nella sua pretesa di abolire le avanguardie letterarie e si dichiara fiero di capeggiare da 25 anni la più grande avanguardia del mondo, il Movimento Futurista. Egli rivendica vivacemente l'importanza e l'indispensabilità delle avanguardie che sole, come gli arditi per un esercito, garantiscono la marcia in avanti e la vittoria della letteratura e delle arti».34

Marinetti nella sua breve relazione inneggia ancora al futurismo e sostiene l'importanza dell'autore del dramma (e non quella della rappresentazione teatrale).35
Ettore Romagnoli, oltre che insigne grecista, anche bravissimo uomo di teatro, trova invece sbagliata l'idea di Bontempelli su «l'incompatibilità fra fenomeno sociale e pensiero artistico». Più in avanti sostiene: «Il Teatro poi, è sempre fenomeno artistico. Non è che l'inventore dello spettacolo possa «anche essere - come dice Bontempelli - qualche volta poeta». L'inventore del più umile spettacolo è sempre poeta. Tra il povero vagabondo dell'antico «Carro di Tespi» ed Eschilo intercede differenza di quantità e non di qualità: differenza, dunque, non sostanziale». L'altro punto che Romagnoli mette in discussione è la caducità dello spettacolo: non condivide il parere di Bontempelli a proposito della "riesumazione" del teatro antico.
Per quel che riguarda gli altri interventi, le altre riflessioni succedutesi nel corso del convegno, vorrei ricordare quello di Silvio D'Amico, che nega il concetto del teatro di massa.
Come vediamo, la relazione di Bontempelli suscitò anche polemiche. La questione del teatro di massa rimase però un punto importante della critica e della politica culturale. Tant'è vero che il volume su La storia del teatro italiano curato da Silvio D'Amico nell'ultimo capitolo di Corrado Pavolini, torna al discorso del "teatro di masse". L'autore sostiene:

«Sul "Teatro di masse" esiste già tutta una letteratura, anche se non esiste affatto un Teatro di masse. È già stato oggetto di bizantine interminabili discussioni (nella stampa, ai Littorali, e fin al Convegno Volta) la formula 'Teatro per ventimila', nata dall'appello mussoliniano agli autori italiani».36

Secondo Pavolini l'invito del Duce voleva dire:

«Vi siete straniati dalla folla; i problemi che voi continuate a trattare son quelli, particolari e decadenti, d'una società esautorata e fantomatica; aprite gli occhi a quanto vi circonda, ai fermenti che si agitano in seno alla formidabile vita oderna; individuate i grandi temi spirituali del mondo contemporaneao, esprimete gli aneliti, le passioni, i dolori e le speranze di questo mondo, a suo modo più favoloso dell'antico; trovatene e incarnatene i miti».37

Prosegue poi dicendo: «Un Teatro del Fascismo non potrà essere - siamo tutti d'accordo - che un Teatro per le masse», pur riconoscendo che il termine è ancora generico.
Il discorso al Convegno Volta rivela una delle tante faccette del Bontempelli di quegli anni in cui assai spesso si manifesta, nei modi larvati ma evidenti di un intellettuale sempre più critico, la sua opposizione al regime.38 È noto che alla fine degli anni '30 Bontempelli finì col perdere la tessera del partito, fu costretto al dorato confino veneziano, sospeso dall'albo dei giornalisti. Certe premesse teoriche del suo intervento, come per esempio il carattere complesso, non letterario, dello spettacolo, l'attenzione rivolta al pubblico, oggi, ai tempi della spettacolarizzazione di massa della cultura, sono sempre di attualità.

 

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Giugno-dicembre 2010, n. 1-2