Laura Toppan
Il festival del cinema italiano di Villerupt:
intervista ad Oreste Sacchelli

 

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Ogni anno a Villerupt, tra la fine di ottobre e i primi di novembre, si svolge il festival del cinema italiano: com'è nato questo appuntamento?

Villerupt è una cittadina del nord-est della Francia ai confini con il Lussemburgo, ricca di miniere d'acciaio e di ferro ove molti italiani, a partire dalla seconda guerra mondiale, emigrarono alla ricerca di un lavoro. Verso la metà degli anni Settanta l'industria siderurgica entrò in crisi e i figli degli operai e dei minatori, che un tempo seguivano il percorso dei padri lavorando tutto il giorno in fabbrica o in miniera, non ebbero più il futuro già tracciato e furono "costretti" ad andare a scuola. Così il tempo libero iniziò ad essere gestito diversamente, ad esempio con i ciné-club. Nel 1976, grazie alla volontà di un folto gruppo di amici che avevano in comune la passione per il cinema, nacque la prima edizione del festival, svoltasi in un solo weekend. Fino all'ottava edizione la proiezione delle commedie all'italiana e dei film a contenuto politico ottenne un ampio successo di pubblico, ma nel 1983, con la chiusura definitiva delle miniere e delle fabbriche, molte famiglie decisero di abbandonare Villerupt che subì una sorta di diaspora: il film-documentario L'anniversaire de Thomas,1 del lorenese Jean-Paul Menichetti, figlio di emigrati italiani, racconta, attraverso una serie di interviste, la storia dell'emigrazione italiana nella zona della Mosella. Alcuni emigrati, però, decisero di rimanere e di cercare lavoro nella città di Lussemburgo, diventando così pendolari transfrontalieri-giornalieri. La loro presenza riuscì a far sopravvivere il festival, che subì dei cambiamenti in seguito alla crisi del cinema italiano degli anni Ottanta. Tra gli organizzatori c'era chi avrebbe voluto solamente proiettare vecchi film, ma alla fine il gruppo decise di puntare anche su nuovi attori e registi, come Nanni Moretti, Carlo Verdone, Pupi Avati, Maurizio Nichetti. La scelta fu un successo sia di pubblico che di critica, così, da quel momento in poi, decidemmo di continuare su questa linea: una rassegna di film dedicata ad un vecchio regista scomparso (con una mostra fotografica, interviste e testimonianze raccolte) e la presentazione, spesso in anteprima, di nuovi film di registi ed attori conosciuti o meno. Siamo arrivati alla trentesima edizione e, anche se siamo quasi tutti volontari, l'organizzazione è molto più professionale rispetto ad un tempo.


In Italia il mondo del cinema e della letteratura sono sempre stati molto uniti e si sono influenzati reciprocamente. Oggi numerosi scrittori lavorano anche come sceneggiatori all'adattamento dei loro romanzi per il grande schermo e spesso la loro scrittura ha uno stile cinematografico. Come spieghi questo fenomeno?

Secondo me tutto parte dal racconto. Nel cinema americano la guerra è quasi sempre stata raccontata dal punto di vista dei vincitori a livello collettivo, nel senso che è un intero paese che vince (gli Stati Uniti), ove il Bene e il Male sono predeterminati. Il vincitore è colui che riesce a portare il proprio programma narrativo fino in fondo, annunciandolo e agendo. Il cinema neorealista italiano, invece, ha inventato il racconto dei vinti a livello individuale, personale, quindi posiziandosi da un altro punto di vista rispetto "alla bomba"... Ad esempio Paisà: il film inizia con un filmato americano, cioè con la storia raccontata dai vincitori, ma poi sposta la macchina da presa in mezzo alla popolazione, quindi passa alla storia personale dei vinti. Questa attenzione alla storia individuale ha comunque sempre assunto un valore universale, di comprensione profonda della condizione umana. Il cinema italiano - e più in generale europeo - si è quindi fatto breccia in quelle zone lasciate vuote dal cinema americano creando un rapporto Impero-Province, poiché a Hollywood c'erano registi ed attori non solo americani, ma provenienti da tutto il mondo, e Hollywood si è anche trasferito a Roma perché i costi di produzione erano più bassi. Questa forma di racconto dei vinti ha funzionato sino alla fine degli anni Settanta, con la commedia all'italiana e con i film a carattere politico poiché lo schema era più o meno sempre lo stesso: il personaggio principale raggiunge la meta prefissata solo dopo aver affrontato molti imprevisti e superato molte prove. A partire dagli anni Ottanta non c'è più stato un grande racconto italiano (o europeo), perché il Bene e il Male si trovano solo nel racconto americano. Gli Europei sono stati relegati nel neorealismo "spicciolo", cioè ad una riproduzione immediata - o quasi immediata - della realtà che non riesce ad assumere un carattere universale, che non riesce a far riflettere in modo profondo sull'esistenza umana. Il cinema italiano d'oggi, così come quello francese, trova il proprio spazio nel racconto minimo, piccolo, non in quello grande che determina Bene e Male, esclusiva del cinema americano. Anche il lavoro dello scrittore è cambiato e si verifica sempre più un interscambio tra la forma letteraria e quella cinematografica: leggendo certi romanzi (penso ad esempio a Domenico Starnone) si ha l'impressione che la sceneggiatura sia già pronta, che la storia sia stata scritta pensando ad un determinato attore; forse perché l'immaginario collettivo è cambiato e viviamo in una società di immagini.


Come potrebbe essere definito lo stile dei nuovi registi italiani di oggi?

Esaurito il racconto neorealistico prende il sopravvento il racconto formale. Per esempio un regista come Gaglianone è bravissimo, però se togliamo la forma - che ovviamente non è affatto trascurabile - che cosa resta? Non molto, perché non siamo nel "grande" racconto. Insisto: il vero problema di oggi è quello del racconto, cosa raccontare agli italiani. Secondo me gli ultimi due film in cui c'è ancora questo senso del racconto sono Lamerica di Gianni Amelio e Buongiorno notte di Marco Bellocchio. Entrambi partono da una situazione reale e la superano dando un'interpretazione personale dei fatti storici, spiegando come avrebbero voluto che andasse.


Italia: da paese di emigrazione a paese di immigrazione. Per presentare il nuovo volto del paese Ettore Scola ha girato (interamente in digitale) Gente di Roma, omaggio evidente alla Roma di Fellini. I personaggi sono quasi tutti delle caricature, scelta non certo nuova in un regista come Scola, ma mentre il tema della disoccupazione e degli anziani sono trattati in modo delicato, quello dell'immigrazione mi è sembrato grottesco. Che cosa ne pensi?

Perché la scelta del grottesco? Forse perché lo spettatore medio che vede il film può sentire vicino alla propria realtà quella del disoccupato o dell'anziano, ma non quella dell'emigrato, l'unico quindi che si presti al grottesco; o forse perché integrare il personaggio dell'immigrato tra quelli della commedia all'italiana significa consentirgli una dignità di personaggio, mettendolo quindi alla pari con gli altri. Personalmente non condivido affatto questa scelta, perché il regista non riesce ad allontanarsi da certe forme di cinema come la commedia all'italiana e quindi non fa che ripetersi. Nel film ci sono certo momenti belli e commoventi, ma interpretare oggi la realtà di Roma con schemi narrativi di 40 anni fa è un errore. Ad esempio, trattare il problema degli emigrati del sud nelle fabbriche del nord Italia sottoforma di commedia come in Mimì metallurgico funzionava, perché si trattava di un fenomeno nuovo: ora, invece, non funziona più. Da tempo in Francia c'è un'incomprensione totale di ciò che accade in Italia. Due mie studentesse hanno lavorato sulla critica del cinema italiano negli anni Ottanta e Novanta del settimanale «Télérama» e, solo per fare un esempio, parlando del film Il Prato dei fratelli Taviani il commento inizia così: «Curieusement snobé à Venise, le film est sublime» («Curiosamente snobbato a Venezia, il film è sublime»). Chi scrive dalla Francia pensa di aver capito meglio il film degli italiani stessi, quindi giudica un'opera senza considerarla nel suo contesto e l'assapora in modo quasi esotico. Secondo me buona parte della critica francese per quanto riguarda l'Italia - e il resto del mondo - ha un atteggiamento borghese ed aristocratico, ecco perché un film come Gente di Roma in Francia ha avuto successo: perché il pubblico ha ritrovato Scola, la commedia all'italiana che conosce e che soddisfa sempre (lo stesso vale per Respiro e Il dono).


Altro tema che ritroviamo un po' in tutte le salse è quello dei sentimenti: situazioni di separazioni, gelosie, divorzi, tradimenti, soprattutto della generazione dei quarantenni italiani. Come vengono accolti all'estero questi film "made in Italy"?

Non positivamente, perché viene a mancare l'esotismo. In passato un film come Divorzio all'italiana ebbe molto successo in Francia, perché vedere quello che succedeva in Sicilia era considerato esotico (come oggi vedere ciò che succede nel Maghreb o in altri paesi). Oggi, invece, che sia Stefano Accorsi con Giovanna Mezzogiorno, o che siano degli attori francesi a trattare questioni sentimentali, la storia non interessa molto, perché non ci sono differenze capitali tra Italia e Francia in materia. Ciò che conta sono esclusivamente gli attori, quindi un film come Ricordati di me con Monica Bellucci e Laura Morante ha più successo dell'Ultimo bacio con attori semi-sconosciuti. Tra i film italiani importati in Francia, quelli a carattere sentimentale sono pochissimi.


Per la distribuzione dei film italiani all'estero si presenta il problema dei sottotitoli: come viene affrontato? È difficile procurarsi le pellicole?

Il prezzo d'acquisto di un film dipende da quanto è stato investito e da quanto il distributore francese pensa di poterne ricavare. Se il prezzo è basso, verranno fatte poche copie, non doppiate, ma solo con sottotitoli; l'uscita sarà soprattutto in circuiti d'art et essai e non andrà mai nelle reti televisive pubbliche TF1, TF2 et TF3 (tranne su canalPlus e, forse, Arte). Quindi il film esce in Francia ma, in realtà, è visto da pochissimi. Negli anni Settanta Nanni Moretti faceva tutto: il regista, la produzione e la distribuzione. In America, invece, non si chiede ad un regista di essere anche produttore e distributore, gli si chiede solo di girare un film - quando ha i soldi per farlo -. I film americani hanno quella dose di spettacolarità e di professionalismo che portano un film a poter essere doppiato e distribuito nei grandi circuiti, così ritorniamo al discorso precedente: da una parte c'è il cinema che occupa la maggior parte del palconscenico e, dall'altra, nelle zone lasciate vuote, si inseriscono film (a basso costo) come Dopo mezzanotte di Davide Ferrario, che ha avuto più successo di quanto il regista potesse immaginare.


Dopo mezzanotte di Davide Ferrario2 è una pellicola sulla storia e sull'amore per il cinema. Ambientato quasi integralmente nella struttura onirica del Museo del Cinema all'interno della Mole Antonelliana a Torino, tratta della classica storia d'amore tra giovani, ma girata in modo diverso rispetto agli stereotipi italiani. Mescolando il cinema digitale al cinema delle origini (con riferimenti a Buster Keaton) si assiste ad una dichiarazione d'amore alla "settima arte". È un film che si allontana dal solito realismo, anche se i protagonisti hanno problemi reali come il lavoro, l'amore, ecc. Cosa pensi di questo successo inaspettato?

È un film dal realismo magico, nel senso che si allontana dal realismo puro: il ladruncolo e la ragazza che lavora al McDonald sono personaggi tratti dalla realtà, ma la loro funzione supera il cliché, perché il film è una storia di cinema. Ci troviamo in pieno formalismo poiché il regista dichiara allo spettatore di non poter raccontare nulla di nuovo ma solo di poter ricomporre il materiale che ha a disposizione in modo armonioso e sognante: nel guardare il film si prova forse un piacere decadente, ma funziona. È meta-cinema, nato già con Salvatores in Mediterraneo ove c'è un riferimento preciso a L'éloge et la fuite. A partire dalla fine degli anni Settanta è la televisione che vince e gli "sconfitti" del cinema si rifugiano nell'isola, cioè creano film in cui lo spettatore abbandona la realtà esterna per ritrovarsi in un mondo diverso da quello pacchiano della pubblicità: penso a Notte italiana di Mazzacurati o a Dopo mezzanotte. Respiro, invece, mi sembra un'operazione preparata a tavolino per l'estero.


Il fuggiasco, di Manni, tratta del «caso Carlotto», unico testimone di un omicidio avvenuto negli anni Settanta a Padova quando aveva 18 anni. Egli si ritrova ad essere incolpato di assassinio e subisce 11 processi, passa 6 anni di prigione e 5 anni da "latitante" tra Francia, Spagna e Messico. Un'odissea legale durata 18 anni e finita con la grazia concessa dal Presidente della Repubblica nel 1993. La storia si svolge sullo sfondo dell'Italia degli anni di piombo, momento storico a cui il cinema sta dedicando diversi film come Io no, Lavorare con lentezza, Concorso di colpa. Com'è la ricezione in Francia di questi film a carattere politico?

In Francia c'è stato un grande successo di critica e di pubblico negli anni Settanta con i film a carattere politico di Rosi, di Damiani, di Petri, perché quando venivano proiettati si aveva l'impressione che ci fosse un "paradiso" della contestatazione chiamato Italia, mentre in Francia eravamo negli anni di Valéry Giscard d'Estaing. Qui da noi il '68 è stato violento, ma è sfumato velocemente; invece quando vedevamo i film italiani sentivamo che in Italia stava succedendo qualcosa di importante. Gli intellettuali francesi, che intervenivano sulla repressione in Italia, dopo la fine degli anni Settanta hanno interrotto questa continua attenzione, così "il discorso sull'Italia", in Francia, non esiste più e i film politici non arrivano. Solo il film Buongiorno notte è arrivato, ma non come un film sugli anni Settanta italiani, bensì come un film di Marco Bellocchio. Insieme a Lavorare con lentezza, il film Buongiorno notte riesce a presentare quel periodo duro della storia italiana in forma diversa, cioè mettendo un certa distanza rispetto a ciò che è successo. Film belli sul periodo del terrorismo ce ne sono molti: penso per esempio a La seconda volta, Le mani forti, La mia generazione, ma li trovo tutti più pesanti, come se non ci fosse ancora abbastanza distacco per parlarne anche - perché no - in forma scherzosa o ironica (che non significa superficiale). Comunque in Francia l'interesse è minimo, perché le fil rouge tra Francia e Italia si è spezzato ed è stato sostituito da una serie di altre immagini. La Castellini dice: «Il vero problema della cultura attuale non è la "macdonaldizzazione", ma la "pizzazione", cioè il fatto di riuscire a prendere in ogni realtà uno stereotipo e trasformarlo in immagine vera di quella cultura». Se i francesi e gli italiani non hanno più nulla da raccontare non si può dare la colpa agli americani, forse significa che dobbiamo trovare altre forme di racconto, oppure che ci è più congeniale il cortometraggio.


Dopo la crisi degli anni Ottanta il cinema italiano è però in netta ripresa: un gruppo di registi ha iniziato ad osservare la società con occhio critico ed autoironico. Com'è invece la situazione in Francia?

Secondo me la differenza fondamentale tra i due paesi è a livello di pubblico: in Francia il discorso sul cinema è ovunque - sulle riviste, sui giornali, alla televisione, alla radio, tra la gente - se ne parla molto; in Italia invece, dove vince la televisione, non si parla di cinema se non negli ambienti dei professionisti e ci si va poco. In Francia il cinema fa parte del panorama culturale, in Italia invece no, anche se ci sono più sale nelle città italiane rispetto a quelle francesi. A mio parere la differenza è che, a livello cinematografico, il cambiamento della società francese da prima ad oggi (cioè a quella televisiva) è stato accompagnato, mentre in Italia no, quindi il passaggio è stato brusco e selvaggio. Ora, per quale motivo le cose siano andate, forse è meno chiaro del risultato.


Caterina va in città di Virzì mette in risalto la confusione generale in cui si trova la realtà italiana: il mondo dei ricchi adolescenti, l'incomunicabilità tra uomo e donna, la crisi della politica sia a destra che a sinistra. Come viene percepito questo fenomeno all'estero?

Non viene affatto percepito. Il distributore francese di Caterina va in città ha costruito il trailer riallacciando l'idea del film alla vecchia commedia all'italiana: lo spettatore vede cosa succede nell'Italia di Berlusconi però non vi è un discorso profondo di comprensione della società italiana come un tempo. Guardiamo per esempio la critica negativa di «Télérama» al film Ricordati di me sulla ragazza che aspira a diventare una velina in televisione: «...et ensuite la fille veut être danseuse à la télé. On croit rêver!» («...e poi la ragazza vuole diventare velina in televisione. Da non credere!»): come se il film fosse un'invenzione. Se il critico francese che ha scritto queste parole avesse saputo che nell'ultimo casting di Napoli per scegliere le future veline si erano presentate 10.000 ragazze tra cui insegnanti, avvocatesse, ecc. forse si sarebbe interrogato su questo fenomeno italiano (e non solo). Il problema è sapere che tipo di critica si vuole fare e, in ogni caso, non si può scindere un prodotto culturale dalla società che lo ha generato. Forse ci si può azzardare a farlo con un film americano - anche se per me è comunque uno sbaglio - ma non si può farlo per un film francese, italiano o turco a cui il grande racconto è negato, perché "monopolio" degli americani. Secondo me la rivista «Positif» è più positiva (e non è una ripetizione...) in questo senso perché analizza un film dal punto di vista della società che l'ha girato. «Télérama», invece, è la rivista dei francesi cosiddetti colti e ha un approccio spesso sbagliato o snob.


I temi affrontati dai registi italiani sono spesso sociali: il lavoro, la disoccupazione, il carcere. Com'è il risultato?

Qui torniamo al discorso sui film dal punto di vista dei vincitori o dei vinti, solo che al posto del bombardamento c'è la multinazionale: quando la fabbrica chiude perché non riesce più a sopravvivere rimangono le rovine come quando è passato il bombardiere. Un film italiano come Il posto dell'anima o un film francese come Le couperet riescono, attraverso il realismo magico, a trattare una storia reale con una forma incisiva, che cattura lo spettatore, molto più rispetto ad un film come Mobbing della Comencini. Ma c'è ancora spazio per la rêverie? Poco.


Chi sono i migliori registi della commedia italiana di oggi?

Virzì e Verdone - rimasto fedele se stesso -, anche se quest'ultimo non è mai stato veramente esportato in Francia.


Gaglianone è forse uno tra i migliori registi nel trattare temi storici come la Resistenza (penso a I nostri migliori anni) o l'Italia post-industriale in via di smantellamento o di ristrutturazione. Qual è il suo segreto?

È il realismo magico, cioè la capacità di riuscire ad allontanarsi dal discorso prettamente realistico per riuscire, tramite la FORMA, a RACCONTARE, ad innalzare il livello della favola e a portare lo spettatore in un altro universo.


Cosa pensi del "fenomeno" Marco Tullio Giordana: I cento passi e La meglio gioventù hanno avuto un grande successo di pubblico in Italia e all'estero. Perché?

È ancora una questione di forma: quella de La meglio gioventù è certo più semplice rispetto a quella di Nemmeno il destino di Gaglianone. Giordana fa comunque un discorso giusto, secondo me: «Se voglio dire, o denunciare, o ricordare dei fatti storici avvenuti e voglio che il pubblico mi segua, mi ascolti, mi capisca, non devo optare per una forma esclusiva, ma una forma comprensibile a tutti». I cento passi, nonostante il ricorso alla macchietta o a certi clichés, ha avuto almeno il pregio di ricordare una storia dimenticata. La differenza tra Giordana e Gaglianone sta nella forma, che non è un limite in Giordana, ma esclusivamente una scelta, anche perché lui è un grande regista e il cinema lo sa fare bene.

 

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Bollettino '900 - Electronic Journal of '900 Italian Literature - © 2007

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Giugno-dicembre 2007, n. 1-2


 

 

 

 

 

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