Paola Lovisolo
Minute dalla dura madre

 

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*
se c'è un mattino da carne, è questo.
la mia regia feroce da un luogo fasciato
lo sperma della rosa asfissiata d'essere

la mia camicia.
se c'è un mattino da carne, è questo.
spalla alle nostre culle, corvi illesi
- a matita -
suggeriti [...]


*
padre? (etimo cilecca)
ombra che si fa crusca sul fuoco esasperato
messa finita per timidezza con la pioggia
mani piene di bottiglie sporche fino al tappo
lui cieco grande come un uovo dio mi parla
del sasso nero e del nilo d'ossa che lo lega
alla finestra e a me
-


(eidofor)
davanti la camera cinque, in collegio, nell'ultimo giorno,
mio padre - sforzo che mi riguarda -
con lo spurgo dalla safena, sembrava gentile.
lo passava negli occhi il sole roco a gocce

non potevo stargli davanti - nemmeno a quarti - invece [...]
scusaci! e mi spingevano dentro la stanza chiudendo il baule
delicatamente come cosa provveduta per il mio bene.

mia madre morta da giorni, tranne quello
il viso sfarinato da baci che non capivo
lacrime che non capivo [...] non filtrati

pioveva a sinistra
ma troppo e affollato

pioveva a sinistra
dall'altra, stellato

vomitava il cielo e c'era quasi la notte
in qualche ora a me sfuggita non filtrata

saluta il morto! mi spingevano dentro la stanza
come per vedermi meglio in piedi, alta e pallida
raccolta paola in irma anna albertina, ventenne
senza una lacrima
senza un gran senso della tragedia

secondo lui non gli prudono più le mani [continua]
lo saluto, bevo l'acqua dal suo bicchiere [continua]
m'abbasso prima sul ventre e poi sul viso
bave belle di città bagnata e vuota

il sole - alto? no. piove
la luce? - sì - quella dell'altra poesia
del mattino che fa carne
una corsia e la luce sulla carne
dei corvi e delle culle

piove il colore che mi piace
se solo non insistessero col transfert

saluta il morto! ancora una, due volte.
sutura il morto! nel dettaglio! [forme che toccano più tardi]
una. due volte. [sveltine di meraviglia che toccano sul tardi]

niente spiagge libere
niente battelli ubriachi

non è stata nemmeno più sutura, santoddio!
il corpo cerato per iscritto con le ore contate
ad altitudini fottute mi cadrà in molte aiuole dalla bocca
da sotto la gonna a riccio ad asciugarsi inutilmente nella nebbia

ora! e presto! cerchiata a ferro al melograno che mi tocca
sull'incudine del mio sapermi altrove - suturazione appena saputa
appena riuscita sott'acqua
ho saturato il cranio matandolo nel vuoto
sono stata brava e ho spolmonato
finta finestra in blu
spinta d'annegato
applaudita e coccolata con la kappa
[...]
dinamo esaurita nella testa di una fata

[continua]

satellite/aerial imagery
fusione variata e variabile o della bancarella il più lontano possibile da casa dove tra carta moschicida e libri ritrovo un abito mai messo e che metterò stropicciato ma pulito
sulle rotaie.

-
*
la mia notte può davvero finire adesso
tra le miniature geologiche del viso
allo specchio
cui tengo a dare un disordine acquoso
come di sasso che scombini il cerchio
e lo sorpassi

*
facevamo i gatti sugli scambi abbandonati,
ragnatele bagnate esitavano tra noi più dei fantasmi.
in casa orsetti seduti, slavati e senza ciglia rovistavano il mondo
di anubi fatto a stanzette di piccole righe sguarnite nella somiglianza
a rampicanti secchi che in separate capedini da noi smisuravano i giorni che ci venivano addosso fino a spegnersi nell'idea di una eco amarena

*
il tuo corpo nodissimo ancora fertile
mi rimonta del merletto il fermaporta
con piccolo pudore di vestiti
senza cerimonie

cerco la parete
cerco nelle rose
dove le rose ancheggiano cortei
e minori calligrafie a me così care
e perse

tutto è tolto come succede nei riformatori
tutto è impedito come dopo la confessione

esco dal bagno
asciugo il divano
asciugo l'apertura delle braccia
la risposta d'etuve sulle piastrelle
quelle più sollevate
e tiro via i volti
dalle mie tele
vuoti - i migliori -
da tornarci a parte

*
non c'è dubbio
mi posso fare le rose
mi posso fare le pietre
colpirmi fritta alle interiora
perdermi il sangue coagulato
calmarmi a morsi e a tagli
ma sempre spiando la pietanza
sul tavolo bianco bianchissimo
a quadri bianchi bianchissimi
con il burro sciolto sulle dita
- salvo sciolti noi due -
e un desiderio di lebbra secca
di potermi conservare a briciole
il tuo grembo finito di mangiare
dal mio - e mio due volte - specchio

-
il gomito sulla fronte del vetro
consumata s o r v e g l i a n z a
che ti sponda il sesso
era i seni viola come prugne
contro il viso
inconsuetudini per me
disabituata e girata
fino alla lingua
nei miei favolosi nervi
filastrocca di ferite
adesso amici immobili

 


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Giugno-dicembre 2007, n. 1-2


 

 

 

 

 

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