Approaches to Teaching Collodi's «Pinocchio» and Its Adaptations, a cura di M. Sherberg, New York: The Modern Language Association of America, 2006, pp. 182, € 19,75.
Le Avventure di Pinocchio. Tra un linguaggio e l'altro, a cura di I. Pezzini e P. Fabbri, Roma, Meltemi, 2002, pp. 310, € 20,00.

di Andrea Hajek

 

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Se è stata la Disney a far entrare nell'immaginario collettivo il personaggio di Pinocchio, il racconto originale del burattino che vuole diventare uomo è tutt'altro che una dolce favola per bambini. Il romanzo di Carlo Collodi, vero nome Carlo Lorenzini (1826-1890), va infatti al passo con Boccaccio, Dante, Goethe, Montaigne o Shakespeare. Lo testimoniano i due volumi di cui qui si dà conto, il primo dei quali è uscito l'anno scorso nella collana «Approaches to Teaching», e considera il famoso racconto una grande opera piena di sfumature; mentre la seconda raccolta, meno recente, integra l'analisi con un approccio più teorico, interessante soprattutto per un pubblico di studiosi.

Il racconto che uscì sul «Giornale per i bambini» è quindi entrato nel canone della letteratura italiana e mondiale, offrendo anche molti spunti per studi complessi e seri. Si prende in considerazione il contesto storico-sociale, ma non mancano anche interpretazioni junghiane e addirittura femministe. Ed è proprio la molteplicità dei punti di vista ciò a cui aspira la collana dov'è stato riproposto il testo di Collodi, «Approaches to Teaching», nella quale l'anno scorso è stata pubblicata la prima delle due raccolte di saggi su Pinocchio che presentiamo qui, Approaches to Teaching Collodi's «Pinocchio» and Its Adaptations. In effetti, lo scopo degli «Approaches to Teaching World Literature» è «to collect [...] different points of view on teaching a specific literary work, a literary tradition, or a writer widely taught at the undergraduate level».1 Si tratta di proporre modi diversi di analizzare il testo collodiano nelle università anglofone, ed è dunque prima di tutto uno strumento didattico per insegnanti e accademici.
Il volume è suddiviso in due parti: la prima, «Materials», menziona e commenta tutte le edizioni e traduzioni in inglese delle Avventure di Pinocchio, i libri e i saggi scritti sul romanzo, i film e i telefilm che ne sono stati tratti, le illustrazioni e infine i siti internet con informazioni utili sul famoso burattino. Questa prima parte è rivolta soprattutto allo studente e all'insegnante e fornisce quindi materiali e indicazioni per ricerche e progetti didattici.
La seconda parte, «Approaches», è suddivisa in tre sezioni: nella prima, «Pinocchio and the 19th Century», il romanzo viene collocato nel suo contesto sociologico, storico e letterario, mentre la seconda sezione, «Modern Critical Approaches», interpreta il romanzo nel contesto di alcuni modelli di critica novecenteschi. «Adaptations in a variety of media», infine, si concentra sugli adattamenti del testo nei media tecnologici più recenti. Tutti i saggi prendono in considerazione uno dei tre campi ai quali si riferisce il titolo della collana, cioè l'elemento didattico («teaching»), il contesto storico o critico che ne permette una certa interpretazione («approaches»), e l'eredità del personaggio nelle varie opere o generi letterari del Novecento («adaptations»). Un punto in comune di quasi tutti i testi è l'affermazione dell'importanza delle Avventure di Pinocchio in quanto strumento didattico. Il tema dell'educazione e della moralità torna in effetti nella maggior parte dei saggi ed è senz'altro uno dei principali motivi per cui il direttore Joseph Ribaldi ha scelto questo testo per la sua collana.
Nella sua introduzione, il curatore Michael Sherberg sottolinea l'importanza di rendere familiare agli studenti il contesto storico e socio-politico del testo, prima di passare alla sua interpretazione. Per questo motivo il volume si sofferma dapprima sul contesto storico nel quale Lorenzini, cresciuto da genitori poveri nel paesino toscano di Collodi, scrisse il suo famoso romanzo. Amy Boylan traccia il percorso di un Collodi politicamente impegnato per un paese unito, seguito da una breve carriera giornalistica poi amministrativa. Collodi scrisse anche racconti, pièces teatrali e romanzi, e tradusse in italiano i Racconti delle fate di Charles Perrault, da cui nasceranno più tardi Le avventure di Pinocchio.2 I racconti di Perrault lo spinsero a scrivere una serie di libri pedagogici per le scuole intorno al personaggio birichino di Giannettino. Nello stesso tempo Collodi iniziò a scrivere la Storia di un burattino, pubblicata a puntate sul «Giornale per i bambini» e che nel 1883 uscì in volume col titolo di Avventure di Pinocchio. L'originaria struttura a puntate si evince ancora oggi dalla tecnica della suspense utilizzata per chiudere i singoli capitoli, così come dalle connessioni sintattiche tra essi.3
La tesi di Boylan è che l'educazione e l'istruzione avessero la funzione di portare all'unificazione una nazione in crisi d'identità. L'unificazione, dal punto di vista politico, non era riuscita a creare un paese unito, e molti italiani - tra cui Collodi - erano rimasti delusi. Per stabilire allora un senso d'identità nazionale, e per combattere la povertà, aggravatasi dopo l'unificazione, ci voleva una letteratura pedagogica, in una lingua standard che sapesse trasmettere dei valori nazionali. Collodi rispose a questa esigenza con una prosa chiara e comprensibile, nonostante qualche tócco di dialetto toscano. Boylan sottolinea tuttavia che Pinocchio è qualcosa di più che un portavoce di valori "post-risorgimentali", e nota lo scetticismo dell'autore rispetto all'idea dell'educazione come salvezza della nazione: «[H]e did not simplistically embrace the government's insistence on education as the savior of the nation. In Pinocchio, he highlights the presence of poverty, especially in the form of hunger, and how it negatively affects one's ability to get an education».4 Alla fine non è a scuola che Pinocchio riceve la sua educazione, ma fuori, nella realtà.
Anche David del Principe inserisce Pinocchio in un contesto storico-politico. Focalizzandosi sul genere del gothic, egli vede negli elementi cupi e gotici del romanzo un'espressione della disillusione politica dell'autore: l'instabilità politica e culturale che seguì l'unificazione sarebbe presente ad esempio nel corpo del burattino che, cambiando di continuo, simbolizzerebbe il «disembodiment» dell'Italia, pure essa in continuo movimento (si pensi solo ai ripetuti spostamenti della capitale da Torino a Firenze e infine a Roma).
Anche Charles Klopp insiste sugli elementi gotici, contrapponendo il romanzo ad un'altra opera gotica, ma molto più apertamente romantica, Frankenstein di Mary Shelley (1818). Il paragone tra le due opere si risolve in un elenco piuttosto noioso delle varie differenze e similitudini. Alla fine lo studioso arriva alla conclusione che le due opere si assomigliano nel senso che parlano entrambe di umanoidi, «humanlike yet not quite human»,5 che rappresenterebbero aspetti repressi della nostra propria identità. L'approccio comparativo si amplia nel saggio di Dennis Looney, che analizza le similitudini tra Pinocchio e l'Orlando Furioso di Ariosto, opera ancora popolare all'epoca di Collodi e che egli conobbe molto bene. L'influenza più esplicita del Furioso starebbe nell'oralità, legata alle interruzioni della narrazione da parte dell'autore, che si rivolge direttamente ai suoi giovani lettori. Anche l'equilibrio che Collodi ha saputo creare tra la struttura aperta delle avventure del burattino da un lato e la conclusione, dall'altro, è stato merito, secondo Looney, di Ariosto.
Dopo queste analisi comparative, Michael Sherberg conclude la prima sezione del volume con un saggio sul rapporto tra Pinocchio e la tradizione della letteratura per bambini, sottolineando comunque che oggi questo romanzo è entrato nel canone della letteratura ufficiale e adulta.
Nella seconda sezione lasciamo alle nostre spalle l'Ottocento ed entriamo nella critica letteraria del Novecento. Rossana Dedola, autrice del saggio Pinocchio e Collodi; storie sotto il cielo e sotto il mare, del 2002, parte con un'analisi junghiana in cui il personaggio di Pinocchio rappresenta il carattere aperto ed effimero della gioventù, in contrapposizione all'attitudine piuttosto chiusa del vecchio padre Geppetto. Essenzialmente Dedola interpreta i due personaggi come rappresentazioni dei due estremi dell'esistenza umana, la gioventù e la vecchiaia. Manca solo la fase dell'uomo adulto, che viene raggiunta alla fine, per cui si tratta chiaramente di un processo di iniziazione: il bambino diventa adulto, ma dall'altro lato anche Geppetto ringiovanisce, cioè diventa più vivace e sano. Alla fine i ruoli sembrano davvero invertiti, ad esempio quando Pinocchio aiuta il padre a uscire dalla bocca del pescecane: «Ciò detto, Pinocchio prese il suo babbo per la mano e, camminando sempre in punta di piedi, risalirono insieme su per la gola del mostro, poi traversarono tutta la lingua e scavalcarono i tre filari di denti».6
La trasformazione di Pinocchio non sfugge neanche a Carlo Testa, che parla di Bildungsroman, sottolineando come le difficoltà di Pinocchio a entrare nella società siano rappresentative dei problemi che i giovani riscontrarono, alla fine dell'Ottocento, nell'integrarsi in una società politicamente ancora molto frammentata. In effetti, l'integrazione di Pinocchio nella realtà avviene solo quando egli dimostra di avere compassione per gli altri, per la Fata-madre quando la crede morta, o per il padre disperso in mare. La sua è dunque una trasformazione spirituale, ed è questa che alla fine gli permette di diventare umano. Anche Jacqueline L. Gmuca e Lorinda B. Cohoon parlano dell'integrazione del Pinocchio-"eroe". Privilegiando il modello teorico del viaggio dell'eroe archetipico come viene elaborato da Joseph Campbell, cioè il «monomito», le due studiose trascurano però il contesto storico in cui Pinocchio è stato scritto. Questa interpretazione propone allora una lettura molto diversa da quelle di Boylan e Del Principe, ma non meno interessante in quanto dà una buona idea della struttura del testo.
Il tema del passaggio di Pinocchio alla fase adulta porta Holly Blackford a parlare egualmente di un Bildungsroman. In seguito la studiosa dimostra però come la scrittura episodica e picaresca ostacoli un vero sviluppo del burattino-bambino. Secondo lei non c'è una sequenza di «learning stages»,7 Pinocchio non impara nulla, e quello che Collodi sembra esprimere è che bisogna amare i propri bambini sempre e nonostante i loro errori: «The text teaches us to prefer a parental rather than educational view of the child: to love, unconditionally and passionately, the vitality of the child».8 L'analisi di Blackford è interessante per altri motivi ancora, in quanto descrive come i suoi studenti americani - che conoscono il personaggio di Pinocchio prima di tutto dal famoso film della Disney - leggano la storia originale: essi non accettano le violenze descritte nel romanzo di Collodi. Anche altri articoli del volume mettono in rilievo le diverse reazioni da parte degli studenti anglo-americani, e interessante a questo proposito è il saggio di Elena Paruolo, nella terza sezione, sulla censura che ha subito il romanzo in Gran Bretagna.
Anche gli studenti inglesi del corso sulla letteratura per bambini di Maria Truglio faticarono ad accettare la violenza che, secondo Truglio, serve a mettere i bambini in contatto con la realtà. Nella visione collodiana l'educazione non deve cercare di proteggere i bambini dai mali del mondo cattivo, ma li deve preparare alla società, ed in questo senso Pinocchio è molto più di una semplice fiaba. È appunto questo lo scopo didattico dell'opera che mirava ad educare i giovani cittadini italiani. Tuttavia anche la Truglio nota un certo scetticismo da parte dell'autore rispetto al sistema educativo, espresso nel continuo rifiuto di Pinocchio di imparare dai suoi errori - come abbiamo anche visto nel saggio della Blackford. Un elemento nuovo che emerge da questa analisi è dato dalle allusioni bibliche. Più che un messaggio religioso Le avventure di Pinocchio sono una lezione morale e civile: «[T]he book does seem less concerned with the moral goodness of the individual soul than with the call for civic responsibility and playing one's role in the social machine».9 Più che integrazione emotiva, come vuole Carlo Testa, il romanzo propugna una vera partecipazione (anche lavorativa) alla vita sociale.
Nella lettura femminista che segue, Cristina Mazzoni focalizza l'attenzione sul personaggio della Fata, l'unica presenza femminile del romanzo. È l'unico articolo nel volume che si sofferma sulla caratteristica più famosa del personaggio, cioè il naso, e quindi sull'importanza di dire la verità (o non dirla). In effetti, l'accento sugli aspetti didattici di Pinocchio («teaching») renderebbe l'articolo interessante se non fosse dominato dalla forte impronta femminista. Dalle varie incarnazioni "animalesche" della Fata si passa all'articolo seguente di Nancy Capena che - come abbiamo visto - analizza il romanzo dal punto di vista fiabesco, con particolare attenzione al ruolo degli animali. Anche Capena segnala alcuni allusioni bibliche e associazioni simboliche, e vale la pena leggere la sua analisi sull'ironia e sugli elementi basso-comici presenti nel testo. La grande differenza con il genere fiabesco sta nella conclusione modesta e molto meno allegra ed euforica delle solite fiabe: Pinocchio raggiunge il suo scopo di diventare umano, ma questo significa anche cominciare a studiare, lavorare e assumersi delle responsabilità. Alla fine prevale la visione di un mondo corrotto e imperfetto, e quindi ancora una volta siamo di fronte ad un Collodi molto più critico, serio e realista di quanto l'immagine disneyana del burattino ci faccia credere.
L'ultimo articolo di questa seconda sezione è completamente diverso dagli articoli precedenti, in quanto presenta il metodo teorico che Laura Stallings ha adoperato per il suo corso sull'apprendimento dell'italiano come seconda lingua. Non entrando nel merito dei contesti storici o letterari in cui può collocarsi Pinocchio, né proponendo interpretazioni testuali o strutturali, Stallings offre una descrizione secca e letterale del procedimento del suo corso, interessante solo a livello didattico.
La terza sezione infine tratta della ricezione delle Avventure di Pinocchio, partendo da una panoramica generale della sua ricezione in Italia (scrittori come Calvino, Manganelli e Malerba vengono citati diverse volte), in Gran Bretagna e negli Stati Uniti. Sandra L. Beckett descrive le varie riscritture e reinterpretazioni del racconto, con particolare attenzione alla sfortunata riscrittura dell'austriaca Christine Nöstlinger, che - non conoscendo (né apprezzando) affatto l'originale - l'ha modificato in tal modo che non è rimasta più alcuna traccia del punto di vista collodiano. Gli adattamenti per il grande schermo sono analizzati da Rebecca West, mentre Manuela Marchesini parla delle versioni teatrali. La difficile ricezione in Gran Bretagna, a causa della violenza descritta nel romanzo, viene analizzata da Elena Paruolo. L'ultimo articolo, di Massimo Riva, pone infine il testo in un contesto postmoderno, dimostrando la sua adattabilità a nuove interpretazioni virtuali. Avremo modo di soffermarci sulla ricezione di Pinocchio anche nella seconda parte di questa recensione.
Tutto sommato, il volume presenta un'immagine inusuale del romanzo di Collodi. Vari studiosi hanno parlato della coscienza sociale e politica che Collodi ha trasposto nel suo libro, cioè del duro scontro di Pinocchio con una società impoverita e politicamente instabile. Abbiamo anche visto come il suo non fu un progetto pedagogico tout court, e che il testo critica il sistema educativo ufficiale. Collodi offre una propria visione, realista, di come andrebbero educati i bambini.
Tuttavia Le avventure di Pinocchio è anche un racconto divertente, ricco di allusioni simboliche e bibliche, vicino al genere della fiaba ma ancorato al senso della realtà. I saggi finali sulla ricezione del romanzo completano questo bel volume che diventa così un ottimo strumento per chi vuole andare oltre l'immagine del Pinocchio diffusa dalla Disney, e mostrare la complessità di un testo che indubbiamente si presta bene allo scopo didattico che sta all'origine della collana.

Il secondo libro che prendiamo in esame, Le avventure di Pinocchio. Tra un linguaggio e l'altro,10 integra in certo senso l'analisi offerta dalla raccolta di Sherberg, presentando al lettore una serie di saggi focalizzati soprattutto sulle varie versioni e riscritture in altri linguaggi espressivi del testo di Collodi (cinema, teatro, fumetto, pittura). Uscito nella collana «Segnature» della casa editrice Meltemi, che pubblica saggi di carattere semiotico, il volume si rivolge chiaramente ad uno specifico pubblico accademico, e i testi ripresi sono stati tratti da alcune relazioni presentate al convegno «Le avventure di Pinocchio», coordinato dai curatori della raccolta Paolo Fabbri e Isabella Pezzini, e svoltosi a Urbino nel 2001.
In effetti la maggior parte dei saggi trattano dei vari adattamenti cinematografici (Raffaele de Berti e Nicola Dusi), teatrali (Antonella Gradellini e Isabella Maria Zoppi) e letterari (Gianfranco Marrone), nonché della straordinaria riscrittura del fumettista Jacovitti (Fabrizio Di Baldo) così come delle recenti illustrazioni di Lorenzo Mattotti (Daniele Barberi). La prima parte del volume accoglie tuttavia alcune interpretazioni puramente teoriche del testo originale, che analizzano l'uso dello spazio nel racconto (Laura Barcellona) e la strategia seriale che è tipica della nascente cultura di massa (Marco D'Angelo), in un approccio quasi mediologico che mette in evidenza «la radice della profonda "congenialità" fra Pinocchio, l'industria culturale e i suoi procedimenti, che ha dato luogo a una vastissima tipologia di riprese e traduzioni».11 La lettura psicanalitica di Maurizio Gagliano porta il lettore verso un'analisi intermediale della trasposizione delle Avventure di Pinocchio in altri linguaggi e sistemi espressivi, confrontando il famoso racconto con il cultmovie Blade Runner del 1982. A questo proposito, Pezzini coglie l'occasione, nella sua introduzione, di aprire una parentesi sul tema della visualità in Pinocchio, come viene espressa nelle famose illustrazioni di Enrico Mazzanti, che non vengono però trattate in nessuno dei testi presenti nel volume. Pezzini sottolinea il passaggio dall'illustrazione nel testo al fuori testo, cioè al fumetto, al cinema e al teatro, in un percorso che va alla ricerca «di un'autonomia progressiva capace di inglobare pratiche e linguaggi "precedenti"».12 Così Daniele Barbieri analizza i significati narrativi delle immagini nell'opera recente dell'illustratore Lorenzo Mattotti (1991), ma il saggio più interessante da questo punto di vista è quello di Fabrizio Di Baldo sulla versione a fumetti di Benito Jacovitti, che si pone a metà strada tra l'illustrazione e la narrazione a vignette. Di Baldo presenta al lettore un'analisi semiotica della versione fedele e pure autonoma del celebre fumettista, descrivendone accuratamente la struttura di base e le variazioni (che creano dei ritmi grafici e dei contrasti) e gli elementi paratestuali che hanno una funzione narrativa: nel corso del testo le sequenze diventano sempre più ordinate, «quasi volessero sottolineare le acquisite competenze di Pinocchio».13
Dopo questa analisi grafica, Di Baldo tratta alcune scelte "traduttive", secondo la teoria del linguista Roman Jakobson sulla traduzione intersemiotica, ovverosia la trasmutazione. Le innovazioni della riscrittura jacovittiana riguardano soprattutto l'aspetto espressivo, più che contenutistico, e si manifestano tramite la semplificazione, la condensazione o l'espansione. La teoria della trasmutazione viene poi applicata anche da Nicola Dusi nel suo articolo sulle fonti della figura del Pescecane e sulle trasposizioni filmiche della scena dell'inghiottimento, motivo ricorrente nella mitologia occidentale. Questo testo (uno dei due che trattano del rapporto tra Pinocchio e il cinema) porta il lettore dalla Bibbia (la storia di Giona) alla letteratura nordamericana del Novecento (il Moby Dick di Herman Melville), senza fermarsi però a un'analisi puramente intertestuale e tentando un paragone tra le tre versioni cinematografiche di Disney (1940), Gianetto Guardone (1947) e Luigi Comencini (1972), delle quali solo l'ultimo - secondo Dusi - riesce a portare il racconto originale oltre la narrazione per l'infanzia, offrendo «nuove possibilità metadiscorsive e costruendo così delle competenze finzionali e spettacolari "critiche" rispetto a quelle previste dal testo di partenza».14
Seguono due saggi che trattano delle riduzioni teatrali del romanzo: Antonella Gradellini analizza le diverse presentazioni teatrali di Pinocchio dal punto di vista dei costumi, ma la lunga elencazione degli allestimenti delle rappresentazioni teatrali più recenti rende l'articolo meno interessante del saggio di Isabella Maria Zoppi che, pur limitandosi ad un argomento molto specifico, cioè la riscrittura multi-etnica dell'autore africano Bode Sowande, evidenzia alcune caratteristiche essenziali del testo collodiano, tra cui quell'intento pedagogico che era al centro dell'attenzione degli Approaches to Teaching di cui sopra.
Delle varie riscritture letterarie, i curatori del presente volume hanno scelto di analizzare la traduzione "interdiscorsiva" del Libro Parallello (1977) di Giorgio Manganelli (Gianfranco Marrone) per concludere con una riflessione del curatore e co-direttore della collana nella quale il volume è stato pubblicato, Paolo Fabbri, sul successo del testo collodiano, sulla sua qualità «mitica». Questa qualità permetterebbe al testo di conservare un nucleo stabile che, attraverso le varie riscritture, mantiene comunque una propria identità, e che sarebbe contemporaneamente l'effetto e la causa della sua traducibilità. Di conseguenza il semiologo tratta della questione della traducibilità, legata alla problematica del mitismo, che offrirebbe migliore possibilità di interpretazione del testo rispetto al metodo tradizionale dell'escussione delle fonti. Qui Fabbri si basa sulla teoria del linguista danese Louis Hjelmslev delle varianti, variazioni e varietà, che permette una ricerca comparatista dove il testo può essere usato come «strategia di costruzione co-testuale».15 Per costruire il concetto, scrive Fabbri, non basta fermarsi all'analisi di un solo testo, ma bisogna invece «[r]ivendicare la dimensione costruttiva [...] dell'interdefinizione comparativa».16 E con questa proposta Fabbri chiude la raccolta di saggi che, oltre ad offrire un approccio teorico al racconto di Collodi, si presenta in un'edizione ben curata e arricchita da un apparato di illustrazioni e fotografie.

 

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Giugno-dicembre 2007, n. 1-2


 

 

 

 

 

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