Elena Gurrieri
Saba poeta della biologia

 

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Nell'ultima stagione dell'esistenza e della lunga attività poetica che quella vita ha saputo trasformare in tempo fecondo, costellato da un otium felicemente prolifico che ha lasciato dopo di sé ben duratura traccia, Umberto Saba ha saputo sigillare in una poesia dal titolo emblematico, L'uomo e gli animali,1 il senso del primato che egli attribuisce al piano della biologia, nella scala dei valori offerti dalla vita e dal suo universo. Tale poesia recita infatti: «Uomo, la tua sventura è senza fondo. / Sei troppo e troppo poco. Con invidia / (tu pensi invece con disprezzo) guardi / gli animali, che immuni di riguardi / e di pudori, dicono la vita / e le sue leggi. (Ne dicono il fondo)».
Si tratta di un paradigma che dice molto: gli animali - quindi il piano biologico della nostra esistenza - possono, assai meglio degli esseri umani, esprimere «la vita e le sue leggi» cioè tutto quanto davvero conta. Gli animali insomma sanno porsi sul piano della giusta o possiamo dire aurea misura, a differenza degli uomini che spesso travalicano il limite dell'equilibrio, in eccesso o per difetto.
Tentiamo di fare adesso un passo indietro per vedere, procedendo per così dire a ritroso, e in ogni caso attraverso un sondaggio mirato, come Saba rappresenti nel corso del Canzoniere, di volta in volta, la figura animale.
Già nella seconda delle Poesie dell'adolescenza e giovanili (1900-1907), La casa della mia nutrice, «[...] posa / tacita in faccia alla Cappella antica, / e par pensosa, / da una collina alle caprette amica».
In un'altra poesia di grande significatività per l'intero universo sabiano come A mia moglie, inserita nella raccolta Casa e campagna (1909-1910), la donna amata viene apprezzata e riconosciuta in base alla sua affinità pienamente identificante ora con l'uno, ora con l'altro animale: «Tu sei come una giovane, / una bianca pollastra. / Le si arruffano al vento / le piume, il collo china / per bere, e in terra raspa; / ma, nell'andare, ha il lento / tuo passo di regina, ed incede sull'erba / pettoruta e superba. / È migliore del maschio. / È come sono tutte / le femmine di tutti / i sereni animali / che avvicinano a Dio. [...] Tu sei come una gravida giovenca [...]. Tu sei come una lunga / cagna, che sempre tanta / dolcezza ha negli occhi e ferocia nel cuore. / [...] Tu sei come la pavida / coniglia. [...] Tu sei come la rondine / che torna in primavera [...]. Tu sei come la provvida / formica. [...] E così nella pecchia / ti ritrovo, ed in tutte le femmine di tutti / i sereni animali / che avvicinano a Dio; / e in nessun'altra donna».
Commentare Saba non serve, suonerebbe come inutile orpello ad un ascolto che risulta essere necessario quanto facile e proficuo da praticare in proprio, nell'intimo ciascun di sé: occorre porsi semplicemente in ascolto delle parole che narrano amabilmente l'esperienza vissuta dal poeta nel tepore del suo proprio milieu familiare, da sentire, percepire e da cui, se possibile, farsi proprio cullare.
La quarta poesia in sequenza progressiva, ancora in Casa e campagna, è addirittura un tòpos: La capra. Saba vi elabora l'immagine simbolica per eccellenza scelta come chiave del dolore umano, ed è, insieme, la sintesi o la chiave per comprendere il profilo di "ogni altra vita" segnata, ci sentiamo di affermare, dalla differenza.
Passiamo ora a vedere gli esiti compresi nella raccolta di Trieste e una donna (1910-1912), dove troviamo La gatta: «Ai miei occhi è perfetta / come te questa tua selvaggia gatta, / ma come te ragazza / e innamorata, che sempre cercavi, / che senza pace qua e là t'aggiravi, che tutti dicevano: "È pazza". / È come te ragazza». L'affinità passa qui per la modalità della simbiosi: la donna assume ora le virtù, ora le debolezze dell'animale, mentre la capacità di amare propria dell'essere umano si traduce nelle forme tipiche che gli stessi animali hanno di percepire ed esprimere l'amore. D'altronde la stessa sfera sessuale si configura sul piano espressivo proprio attraverso il linguaggio animale, che appartiene in una forma più simbolica e allusiva all'intera opera sabiana in versi, ossia al Canzoniere, mentre occupa maggiore spazio ed è connotato da una più diretta evidenza nell'esercizio narrativo di un romanzo breve sintomatico come Ernesto (1953), edito postumo dalla figlia Linuccia nel 1975.
Com'è noto, in Saba si può incontrare il massimo di consistenza di quella che oggi si dice essere una materia di squisita pertinenza psicoanalitica: in prospettiva, magari aggiornando il repertorio all'attuale cinquantenario della morte del poeta triestino (1957-2007), pare qui appropriato segnalare la presenza di un preciso anello di congiunzione, nonché il carattere di perfetta naturalezza esistente nel rapporto tra la biologia, ovvero la presenza di figure animali nell'opera di Saba, la sfera della sessualità e l'universo della psicoanalisi come ingrediente naturaliter sabiano. Se come ricorda Mario Lavagetto,2 il miglior esegeta e attentissimo critico di tutto Saba dopo Giacomo Debenedetti e Gianfranco Contini, «il "destino" si è compiuto quando "psicoanalitico dopo la psicoanalisi",3 Saba si è servito di Freud per leggere la sua opera e costruirne l'architettura segreta e decisiva», l' accostamento che abbiamo appena tentato non sembrerà peregrino o immotivato, dal momento che se ne trova ricorrente l'attestazione nelle diverse figure animali durante tutto il percorso del Canzoniere, dalle raccolte giovanili a quelle della maturità, fino alla stagione senile: la terzultima raccolta del 1948 ha ancora per titolo, appunto, Uccelli.
È proprio questo nodo tematico, l'intreccio significativo di biografia, storia delle emozioni di una vita e di tante altre vite connesse con quella stessa del poeta triestino, e del resto le diverse e ricche implicazioni psicoanalitiche che certo arricchiscono il testo lirico o narrativo di Saba, a richiamare a mio parere con forza, ma anche nel contempo senza alcuno sforzo, la nostra attenzione di lettori contemporanei per dirci che la novità e la freschezza della poesia e della narrativa sabiane, non solo non si sono mai appannate, spente o esaurite, ma anzi sanno suscitare sempre nuovo l'interesse per una materia che non conosce declino. Resta sempre attuale l'interesse a capire e ad abitare una dimensione centrale per l'essere umano come quella che Saba, massimo tra i classici del Novecento letterario italiano, ha cantato come la «calda vita».

 

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Bollettino '900 - Electronic Journal of '900 Italian Literature - © 2007

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Giugno-dicembre 2007, n. 1-2


 

 

 

 

 

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