Guillermo Arriaga, Il bufalo della notte, Roma, Fazi Editore, 2006, pp. 249, € 16

di Massimiliano Colletti

 

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Sebbene Arriaga sostenga che la sua scrittura sia dettata dai sogni che regolarmente popolano le sue notti, non è difficile respirare nelle sue opere un forte realismo di strada. Basta pensare a qualche immagine della trilogia del dolore di Iñarritu, Amores Perros, 21 Grammi e Babel, che portano la sua firma alla sceneggiatura. Storie d’amore e di morte, di sangue e di lacrime. Storie di personaggi che camminano al limite, che si sporcano le mani, senza cadere. Storie di strada, insomma. Ma quello è il cinema e per il momento è meglio non confondere le due cose.
Ne Il bufalo della notte (El bufalo de la noche), la storia ci viene raccontata dal protagonista Manuel, che è al centro di un triangolo a cui partecipano anche Tania e Gregorio. Amore e morte, per l’appunto, perché la morte di Gregorio è l’evento che dà il via al romanzo e l’amore, inquieto, per Tania è il motore centrifugo che lo svolge.
Ma Il bufalo della notte è anche un romanzo di formazione che di queste vicende drammatiche si nutre fino al superamento. Il nostro Dedalus è un animale inquieto che ama più donne contemporaneamente, che se ne va in giro in cerca di risse e che alla casa dei genitori preferisce la 308. Inaspettatamente però, egli trasforma la sua tana, il luogo deputato alla clandestinità della sua vita privata - la 308 appunto - stanza di un motel poco fuori città, dove consuma il suo amore clandestino con Tania, dove acquista una pistola, dove si rifugia dopo l’uccisione del giaguaro, in una casa: il luogo della stabilità e del lavoro.
Ed è estremamente significativo, a mio avviso, che il luogo di passaggio per eccellenza diventi casa. In questo processo di pacificazione sociale, mi verrebbe da dire di accettazione del quieto vivere borghese, rientra anche il rapporto coi genitori, che è caratterizzato sin dall’inizio da una forte conflittualità, il cui culmine è rappresentato dal colloquio in carcere e che si risolve in un’accettazione reciproca della diversità celebrata in gradevoli incontri al pranzo della domenica.
Ma il percorso che Manuel deve compiere per raggiungere questo è tortuoso e carico di tensioni. A cominciare dalla morte di Gregorio, il suo migliore amico, con cui è in competizione per Tania. Ma la morte di Gregorio è in realtà una morte soltanto biologica, perché la sua presenza è centrale in ogni avvenimento del romanzo tanto da poterlo considerare uno dei protagonisti della storia. Gregorio è uno di quei pazzi portatori di verità come se ne incontrano tanti nella letteratura; lo è in virtù del suo essere in una posizione privilegiata rispetto alla vita, una posizione che condivide con il mondo animale che ha infatti un ruolo importantissimo nella storia. Allo zoo, che è il luogo dove Manuel va sempre a cercare Tania durante le sue frequenti sparizioni, davanti alla gabbia del coyote avviene un significativo gioco di sguardi:

«Il coyote si fermò per lo schianto [...] poi girò la testa, i suoi occhi giallissimi incrociarono i miei e rimase a fissarmi [...] Mi allontanai a poco a poco continuando a guardarlo, convinto che dietro quelle sbarre la vita palpitasse nella sua essenza più pura.»

L’uccisione del giaguaro, uno dei momenti chiave dell’intera storia è l’uccisione di una certa concezione della vita, quella più vicina alla sua essenza più pura, ovvero la giovinezza. La sua morte segna questo passaggio iniziatico all’età adulta.
Gregorio e Manuel si dividono in questo punto. Gregorio è tormentato dal bufalo della notte che con il suo alitare ossessivo ed inquietante rappresenta la morte. La vitalità, la passionalità dell’esistere si muove a fianco della morte. È un procedere funambolico verso una meta ignota, è il non sapere come saremo al nostro risveglio. Il respiro del bufalo della notte viene percepito anche da Manuel nei momento più turbolenti della sua vicenda. L’essere in qualche modo in contatto con lui, il sentirlo pulsare nell’oscurità più densa, ripropone in toni più cupi quello che Pirandello mostrava in alcune sue famose novelle come Il treno ha fischiato, ovvero la presenza liminale di un mondo altro, fatto di irrazionalità, di sogni, di comportamenti che sono quanto più vicino al movimento magmatico e fluviale della vita, con il quale l’uomo contemporaneo ha perso contatto. Pazzo è colui che vive interamente in questa realtà, come Gregorio. Sia Pirandello che Arriaga propongono soluzioni compromissorie, quella di individui che scelgono la vita borghese pur nella consapevolezza di questo mondo altro con il quale mantengono un rapporto attivo. Per Arriaga l’essenza della vita è fatta di questo, come gli animali dello zoo. L’uomo è un animale chiuso in gabbia. Uccidendo il giaguaro, Manuel sopisce apparentemente una parte di se stesso. Apparentemente, perché come nella storiella del poliziotto e il criminale «il fuoco uno se lo tiene dentro».

 

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Giugno-dicembre 2007, n. 1-2


 

 

 

 

 

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