Ida De Michelis
Dalla parte del racconto:
Carlo Emilio Gadda narratore

 

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Sommario
I.
II.
III.
IV.
V.
VI.
Introduzione
Il «Cahier d'études»
Forme del racconto gaddiano
Il "quid permanens"
Tra novella e racconto
Una possibile catalogazione



 

«Il racconto non è il romanzo [...] un romanzo si può scrivere solo rinunciando alle minuscole, ripetitive eresie dei racconti».

G. Manganelli, Che cosa non è un racconto

 

§ II. Il «Cahier d'études»

I. Introduzione

La domanda da cui vorremmo partire, e che forse può apparire estravagante ed eteroclita, è "cosa" sia stato, nel panorama letterario italiano del '900, l'Ingegner Carlo Emilio Gadda. Egli, com'è noto, si autodefinì «soggetto strano, [...] giraffa [...] canguro del [...] bel giardino»,1 o bestiario, di letterati; da parte nostra riteniamo che, superata l'iniziale sorpresa per il pronome personale interrogativo "chi" così inopinatamente sostituito dal "cosa", a questa domanda verrebbe per lo più data una risposta che privilegi, di volta in volta, l'autore di romanzi o il saggista sull'autore di racconti.
La contrapposizione tra il Gadda romanziere e il Gadda narratore "breve" è stata raramente evidenziata, giacché per lo più si è voluto vedere l'opera gaddiana come un tutto continuo in cui ogni differenziazione di genere risultasse inappropriata, insufficiente, superata fin nei presupposti teorici, secondo una tradizione critica inaugurata così da Contini: «romanzo, novella, racconto ecc. sono designazioni tradizionali tutte da reinterpretare, aspirazioni a un continuo attuato in forma discreta».2
Si è infatti spesso applicata indistintamente a tutta la sua convoluta produzione la categoria di inconcluso,3 nucleato, divagante: fino ad arrivare a "giudizi di valore" severi al punto che Gadda risulterebbe essere un prosatore ardito e originale, estremo giocoliere della parola ma non certo un vero narratore.4



§ III. Forme del racconto gaddiano Torna al sommario dell'articolo

II. Il «Cahier d'études»

Storicamente è nel Cahier del Racconto italiano di ignoto del Novecento che Gadda inizia ad interrogarsi teoricamente sul problema del narrare come somma risposta dell'arte di fronte all'esigenza conoscitiva del «mettere in ordine il mondo».5 E già questo suo giovanile (siamo nel 1924) interrogarsi pratico-teorico, ché com'è noto il Cahier unisce senza quasi soluzione di continuità note a studî, lascia al critico una prima fondamentale ambiguità di definizione: il suo primo, se non si considera il tentativo minimo di Retica, esperimento (fallito) di romanzo, s'intitola Racconto.
La domanda fondamentale che egli si pone in queste pagine ricchissime di riflessioni teoriche, oltre che di materiali propriamente narrativi che saranno poi variamente rielaborati nel corso dei decenni successivi in varie prose e racconti, la domanda fondamentale appare essere quella di "come raccontare", posta in questo termini da Gadda: «bisognerà o fondere (difficilissimo) o eleggere»6 per raccontare.
Deformazione - conoscenza cioè - o pura, fedele riproduzione? Giudice o notaio?7
Eleggere, scegliere, ossia giudicare, ma anche, perciò, costruire, mettere ordine, per l'appunto: trascegliere un unico metodo e stile per comprendere la realtà e raccontarla; o fondere, ossia "riprodurre" il barocco che è nel mondo restando inevitabilmente dentro il caos della realtà, navigando «nella minestra [per] cercare di capire com'è fatta»?8
L'intervento attivo, intelligente, dell'autore giudicante, sembra inevitabile per scrivere; la scelta dell'elezione di un metodo, di uno stile, di un "tratto" di realtà, lo sembra per concludere. Ma ciò comporta un'altrettanto inevitabile parzialità. In questo splendido e modernissimo esempio di work in progress costituito dal Cahier d'études, Gadda espone con stupefacente lucidità le sue cinque maniere stilistiche: la logico-razionale; la umoristico-ironica; la umoristico-seria (manzoniana); la enfatica, tragica; la cretina, mitica. Segue la sua confessione: «Mi rincresce, mi è sempre rincresciuto rinunciare a qualcosa che mi fosse possibile. E' questo il mio male».9
Sembra che Gadda con il racconto, tratto significativo di una storia, costituzionalmente parziale, elegga, ma grazie a questo riesca a concludere. Col romanzo, viceversa, cerca di "fondere", cerca di non scegliere, cerca di riprodurre il caos, il pasticcio, il groviglio della realtà, attraverso una necessaria varietas stilistica, arrivando ancor più profondamente alle verità in essa contenute, ma non potendo però concludere.
Gadda riuscirà infatti a scrivere romanzi solo quando arriverà ad accettare che il paradosso euristico dell'impossibilità dell'omnia circumspicere si possa, si debba, riflettere ed attivare formalmente nell'inconcluso, nuova forma di romanzo.

The story conventions of the traditional novel that survived the onslaught of Pirandello and Svevo are incompatible with Gadda's vision of the world as chaos. But for G. there is a deep order to the chaos [...] The result is infinite descriptions and digressions. Every point on the map of possibility can be a starting point, every object a web that radates outward».10

All'interno di questa infinita rete delle possibilità dell'essere ogni punto può venir eletto a inizio attuale, necessario, di un racconto, che cerchi di svolgere in catena temporale e causale, narrativa, quel determinato punto di partenza. Descrizioni e digressioni si organizzano così in una catena conoscitiva univoca: anzi, le descrizioni piuttosto che costituire elementi di pausa narrativa o digressioni, «funzionano da elementi organizzatori e non dilatatori [...] l'enunciato descrittivo subisce, infatti, un effetto di "drammatizzazione", che è il preludio di un'azione imminente»,11 secondo quanto avviene spesso alle descrizioni nei racconti rispetto alla loro funzione dilatatoria, di rallentamento diegetico, che nei romanzi risulta invece prevalente.
La migliore sistemazione dei problemi strutturali nella composizione narrativa ci viene offerta dunque da un Gadda giovanissimo, che dimostra una consapevolezza tecnica elevata nonché una grande modernità analitica nel catalogare i problemi della composizione narrativa, ma un legame ancora stretto con una concezione ottocentesca del romanzo e della necessità che abbia una struttura conclusa. Necessità che farà, fra le altre, naufragare i suoi primi tentativi romanzeschi.
Il Cahier risulta l'«experimentum crucis della contraddizione gaddiana, [che] è compiuto in parallelo, in una reciprocità produttiva, tra riflessione filosofica e teorizzazione e prassi letterarie [...]; è un'officina narrativa in cui si scrive, in termini d'avanguardia, l'impossibilità del romanzo».12



§ IV. Il "quid permanens" Torna al sommario dell'articolo

III. Forme del racconto gaddiano

Il problema è quello di costruire una trama che trovi, o dia, un senso unitario alla caotica molteplicità degli eventi narrati. È, questo della costruzione di un intreccio, un problema centrale della composizione narrativa, tanto più di quella più ampia ed articolata composizione romanzesca che tenderebbe a dare una forma all'universale, creando un mondo dal molteplice. Ma per Gadda questo della tessitura in trama degli eventi costituisce anche un problema esistenziale, latamente euristico, ontologico oltre che ermeneutico. Il problema viene in parte risolto proprio con la scelta di selezionare tratti significativi di una storia, facendone racconti completi di tutti quei particolari che sembravano rendere impossibile la creazione di un universo romanzesco composito e compatto nella sua polifonicità. La polifonia romanzesca, limitata dalla brevitas argomentativa del racconto, costituzionalmente più omogeneo, viene talvolta raggiunta a livello macrotestuale, in un'integrazione di senso inter e intra testuale che ci autorizza a considerare come più profondamente motivata l'identità di "macrotesto"13 delle sue raccolte di racconti.
In parte, invece, trova una rivoluzionaria soluzione nella proposta gaddiana di romanzo: la «costruzione di un mondo romanzesco di tipo ottocentesco [...] usando i materiali della tradizione che Bachtin chiama menippea o lucianesca»;14 infatti Gadda arriva a proporre il superamento della forma tradizionale di romanzo concluso, continuo nello sviluppo dell'intreccio: «la sua difficoltà a tener salde le fila dell'invenzione narrativa coincide nettamente con l'estraneità della struttura menippea e lucianea alla trama, peculiare, per contro del romanzo bizantino».15 Usando coordinate storico-teoriche più propriamente italiane si potrebbe dire che: «lo scrittore novecentesco, insomma, [e Gadda con esso] non guard[a] più ai modelli della tradizione epica e epicizzante, ma si volg[e] piuttosto a quell'altra tradizione che Pirandello ha chiamata, nel suo famoso saggio del 1908, umoristica, e Bachtin, qualche decennio dopo, carnevalesca».16
Da parte sua il racconto mantiene il ruolo più tradizionale, forse, di narrazione conclusa, con una sua trama e una proposta formale ben definita; quel che colpisce è che sembra che la varietas formale e gnoseologica che si temeva persa con l'atto di elezione, viene invece spesso recuperata dall'autore a livello macrotestuale con la costruzione di volumi tanto eterogenei a livello retorico-stilistico.
Basti pensare, ad esempio, alle due raccolte narrative con cui Gadda esordisce, La Madonna dei Filosofi, del '31, e Il castello di Udine, del '34. Per entrambe il valore macrotestuale appare sulle prime quasi nullo; ma mentre per La Madonna dei Filosofi è possibile rintracciare più che altro solo un filo metanarrativo che unisce, con variazioni sul tema, i vari brani raccolti, per Il castello di Udine quel fil rouge tematico si fa più tenace e strutturale, organizzando anche a livello paratestuale i materiali attraverso uno sviluppo di testo in testo.
Nella Madonna dei Filosofi convivono dei meravigliosi Studî imperfetti con dei racconti veri e propri come Teatro, Cinema e l'eponimo La Madonna dei Filosofi: una linea omogenea si può riscontrare nel comune originario «impulso lirico-descrittivo» che per stessa ammissione dell'autore precede in lui quello "narrativo" a sua volta antecedente e funzionale alla «sognata memoria filosofica» di stampo saggistico;17 si potrebbe parlare di una poetica dello straniamento che soggiace a tutto il percorso testuale lungo l'asse semantico della vista: «Quel suo occhio diceva: "Kant aveva ragione". Diedri e prismi, luci ed ombre e colori vanivano: le cosiddette mosche avevano lasciato ogni paura.[...] Adesso moriva: ossia capiva che la rabbia, i prismi, i rumori sospetti e la luce stessa e tutto non erano se non un catalogo vano».18
Un percorso coerente, se non altro, nell'intendere la scrittura come impegno disvelante verità dietro le cose, tramite e oltre la loro imprescindibile evidenza fenomenica, in particolare visiva, «assieme di racconti [sic] convergenti a risolversi in un centro».19
Per quanto riguarda la seconda raccolta, sembra si possa rintracciare un valore macrotestuale maggiore: pensiamo nella fattispecie a quanto, di ciò che viene caoticamente esposto nella prefazione Tendo al mio fine, viene poi effettivamente mantenuto, come tematiche di racconto, nei testi della raccolta; si tratta di una climax metanarrativa che a partire dalla contrapposizione guerra/pace porta il lettore a confrontarsi con i frammenti di riflessione drammatica sulla guerra vissuta dall'autore, nella sezione eponima del libro, con le prose d'arte della pace di una Crociera mediterranea, per approdare, nella più dialettica sezione Polemiche e pace, ad alcune "battaglie" squisitamente letterarie. Insomma, si potrebbe trovare la linea tematica principale del volume proprio nella guerra e nel lutto cui spesso essa conduce e che permane in tempo di pace. Questo il principale tema autobiografico sviluppato secondo il registro della memoria e il modello della ripetizione lungo tutta la raccolta. Gadda lo presenta nel testo incipitario, che sappiamo si conclude con la lassitudine, la morte, e lo riprende in Impossibilità di un diario di guerra, in Dal castello di Udine verso i monti, in Imagine di Calvi; nonché, fuori dalla sezione esplicitamente dedicata al tema, nella novella borghese de La fidanzata di Elio, nel finale della popolare Festa dell'uva a Marino e nel testo conclusivo, Sibili dentro le valli.



§ V. Tra novella e racconto Torna al sommario dell'articolo

IV. Il "quid permanens"

Tra il momento analitico del singolo racconto, del singolo evento, del quod attuale e particolare, e l'impossibile sintesi univoca del quid permanens, Gadda propone libri compositi e frammentari al contempo, in cui con l'aisthesis del puro fenomeno conviva l'euresis come momento di tensione costruttiva, conoscitiva e perciò capace dell'atto sintetico. Al frammento narrativo viene così non solo riconosciuta la sua autonomia di valore e dignità artistica,20 ma gli si reinventa una sua strutturazione sintetica nel macrotesto. Diverso sarà il sovrasenso dell'incompiuto romanzo, diverso quello di una raccolta di racconti o testi eterogenei. D'altronde quella della raccolta di racconti risulta essere una formula adottata da molti altri autori italiani fra le due guerre: basti pensare ad un altro inseguitore e diniegatore del romanzo come Tommaso Landolfi, o ad autori tanto diversi come Delfini o Moravia.

«L'atto di conoscenza ha da radicarsi nel vero, cioè in quel quid che è stato vivuto, e non sognato, dalle genti: ha da radicarsi in quel che è stato l'enunciato della storia. Est quod est».21

Solo così potrà essere detta la verità: in una retta narrativa che riscopra la sua natura di storia che unisce infiniti eventi ed atti che si sappiano interrogare in qualità di punti di tangenza con l'essenza eterna del possibile. Giacché una spiegazione univoca della realtà non è più che una mitologica chimera del passato, il senso può illuminare la realtà solo per singole tangenze. Queste tangenze della storia e della vita col senso, quel «quid che è stato vivuto», trova spesso in Gadda la possibilità di esser detto, espresso, di "apparire", tramite illuminanti ipotiposi. A partire dalla descrizione egli rappresenta il reale, lo narra, facendo irrompere la dimensione temporale nella spazialità dell'immagine: la parola dinamicizza l'immagine della cosa che si vuol conoscere, la illumina e la denuda, la racconta nel suo deformarsi.

«Lepri e funghi e polenta, con gli amici dalle labbra rosse, unte: demolita la pagnotta, qualche granulo masticato, dalle labbra, ridendo e ciarlando lo soffiano via nella tenebra. Il cappello, sulla nuca, gli s'è orizzontalata la penna: il ciuffo irrompe di traverso e davanti, di sotto l'ala. La serva in estasi».22

I ciuffi dei giovani della Vocazione di San Matteo del Caravaggio,23 che Gadda aveva a suo tempo, nell'Apologia manzoniana, già attribuito ai bravi dei Promessi Sposi, tornano in questo incipit pittorico di racconto, sotto penne e non più sotto piume, sopra il volto di novecenteschi alpini.
Ecco allora che le narrazioni di Gadda possono nascere da pure descrizioni, e che le descrizioni non bloccano ma drammatizzano la mimesis in diegesis; ecco allora che il dover essere entra in conflitto con la realtà temporale della storia, della vita, e diventa essere; le mille possibilità s'inverano in un atto, ne "l'enunciato della storia", e il narratore trova così la sua materia, materia che «è la memoria del tempo».24



§ VI. Una possibile catalogazione Torna al sommario dell'articolo

V. Tra novella e racconto

Gadda sembra trovare nella forma "minore" del racconto, "minore", s'intende, in senso prettamente quantitativo, una misura perfetta, equilibrata, conclusa, strutturalmente e tematicamente forte di significazione, laddove l'inconcluso, il divagante, il 'nucleato' sembrano caratterizzare invece necessariamente solo le sue prove romanzesche.
In riferimento alla questione dei generi letterari Gadda stesso annota: «certo non è facile trovarmi un posto nel rigido casellario dei "generi": (narrativa, saggistica)»;25 ma sarebbe un'ingenuità pensare che per Gadda quella della forma retorica potesse essere questione indifferente. Casomai una certa trasandatezza od aperta opposizione nell'accettare una suddivisione tradizionale della prosa artistica in generi letterari è sintomo forte di una scelta ben precisa da parte dell'autore.
Per rintracciare qualche idea di Gadda in proposito risulta utile consultare il repertorio delle sue recensioni letterarie, dove sembra di poter effettivamente notare una distinzione labile, quasi prettamente quantitativa tra novella e racconto, laddove il romanzo si distingue invece in termini qualitativamente più marcati.
"Racconto" e "novella" sono termini per lo più utilizzati dal nostro in modo intercambiabile; ad esempio in riferimento alla raccolta di novelle Tre storie d'amore di Bonaventura Tecchi, nello specifico alla novella "Amalia", particolarmente apprezzata da Gadda in questa sua elogiativa recensione alla raccolta dell'amico, scrive: «novella [...] che è un racconto di 140 pagine ed è quasi un romanzo».26 Vi si potrebbe tutt'al più rintracciare una climax quantitativa, cui soggiace, forse, più o meno consapevolmente, un giudizio qualitativo. D'altro canto è noto che l'aspirazione massima di Gadda fosse quella al romanzo storico, considerata nei fatti come forma ottima del narrare.
Gadda distingue piuttosto qualitativamente il "racconto" dal più debole e superficiale "disegno", o "quadro"; così a proposito di Palazzeschi, in una sua recensione ai Tre imperi...mancati, scrive:

«Il racconto o, a voler essere più cauti, il disegno ha in molti luoghi intonazione lirica, oltre che la dolce velatura della reminescenza: tende non tanto a darci la figura obiettivata, non tanto l'atto che se ne sprigiona, o il fatto che l'avviluppa: quanto invece a captare le onde del sentimento che ricongiungono quest'atto o questo fatto, questa figura, all'angoscia e alla simpatia del narratore. Siamo alle soglie del racconto, ma siamo già nell'ambito vivo del grottesco e nel circolo di un'avvincente notazione psicologistica [...] Nel Palio dei buffi il quadro palazzeschiano si fa racconto: il racconto si colora di larghi riverberi dell'ambiente, e si impernia sulla vicenda psicologica».27

Una tale distinzione offre spunti di riflessione al lettore e critico gaddiano particolarmente stimolanti, se si pensa al sottotitolo di Disegni milanesi dato da Gadda alla sua raccolta narrativa de L'Adalgisa, che sappiamo inoltre essere nata dal fallito progetto di un romanzo, Un fulmine sul 220.
Il disegno-racconto nascerebbe qui come parte di un tutto di cui rappresenterebbe esemplarmente il senso, riuscendo a strutturarlo narrativamente; sarebbe cioè un "tratto significativo di una storia" più ampia, secondo le parole di Guglielmi, il quale sostiene che mentre «la massima ambizione dell'Ottocento era stata quella di passare dal racconto al romanzo o, per così dire, dal dettaglio al tutto. Nel Novecento è invece il racconto ad agire sul romanzo».28
Auerbach partiva da un presupposto analogo nel suo studio su La tecnica di composizione della novella29. Il riferimento è a un'epoca ben diversa dal XX secolo, eppure può essere interessante leggere quanto egli scrive sul problema della composizione della novella:

«Per scrivere una novella [...] occorreva assolvere il seguente compito: dall'infinita abbondanza degli eventi sensibili bisognava metterne a fuoco uno in particolare e svilupparlo poi con i suoi presupposti in modo tale che potesse a sua volta essere rappresentativo di quella abbondanza infinita».30

Questo modello compositivo che fa della novella un exemplum, tanto da spostare il baricentro del racconto fino a farlo coincidere con la dottrina, non può essere più utilizzabile per la lettura dei racconti di Gadda quando si considera che gli exempla, per essere tali, devono venir «spogliati di ogni realtà concreta, appaiono ai nostri occhi come spettri, [...] gli eventi non hanno importanza».31 Qui forse un confine storico fra novella, notizia esemplare, e racconto moderno. Secondo Lukács la novella italiana anticiperebbe piuttosto il romanzo perché, cominciando a descrivere il mondo, la società, i caratteri, si allontana sempre più dalle tipologie astratte e simboliche del Medioevo. Per Gadda un tale grado di astrazione non potrebbe in effetti essere accettabile: «Astratto C.E.G.? Che, stamo a fare li giochetti?»;32 egli infatti, non a caso, nella costruzione dei suoi racconti va complicando e non semplificando, esemplificando; tende ad aggiungere vieppiù particolari concreti agli eventi e alla narrazione, tanto da rendere faticoso, se non impossibile, lo sviluppo macronarrativo. Il suo divagare nella concretezza dei mille particolari, le sue enumerationes di volta in volta descrittive o narrative, caotiche o tassonomiche, la sua convulsa accumulazione di particolari, nutre i singoli racconti, microcosmi complessi ricchi ma concludibili, impedendo talvolta lo sviluppo del romanzo.
Manganelli ci offre una meravigliosa definizione in negativo del racconto che ben si adatta al racconto gaddiano: Che cosa non è un racconto?33 Certo non è un romanzo, giacché ogni romanzo uccide mille possibili racconti. Per non uccidere i suoi racconti, per non rinunciare ad una concretezza di situazioni, fenomenalità realistica che gli si impone come ethos poetico, egli scrive racconti.
I racconti cercano, eleggendo, l'impossibile quanto necessaria sintesi del reale; nel racconto si narra una storia ben definita e conclusa nei suoi caratteri di concretezza, si tende al concreto, alla realtà, che è la radice di ogni personaggio, situazione, descrizione che si incontri nei racconti di Gadda. La necessità di realismo, di concretezza di contenuto e forma di ogni atto narrativo è esplicitamente dichiarata: «dalla mia teoria risulta che la massima realtà o fenomenalità è la massima eticità»34 e ancora: «un potente riferimento è legato a una potente attività sintetica (buona sintesi digestiva, buona sintesi teoretica)».35
Viene indicata propriamente una tecnica per raggiungere questo alto grado di sintesi realistica, ed etica, nel proprio narrare: usare sempre un forte, potente riferimento; rendere unico, individuo, storicizzare, gli elementi del racconto. Parlare di fenomeni storicamente caratterizzati, di manifestazioni particolari e non di teorie astratte36 né tanto meno di generiche categorie. In Gadda quel potente riferimento sarà la sua realtà più viva e storicamente vicina: sarà l'odiosamata borghesia milanese dell'infanzia, dell'educazione, dell'ingegneria, sarà la guerra tragica della giovinezza, la grande guerra del lutto di tutto un secolo, di tutta una vita.
Siamo all'opposto di quanto un altro fecondo autore di racconti del Novecento italiano, Moravia, va affermando circa la sostanziale inferiorità strutturale del racconto rispetto al romanzo, nella fattispecie in riferimento ad una struttura di tipo ideologico: «la principale differenza e fondamentale, tra il racconto e il romanzo, è quella dell'impianto o struttura della narrazione [...] Il romanzo insomma ha un'ossatura che lo sostiene dalla testa ai piedi; il racconto invece per così dire, è disossato».37 Moravia indica le differenze tra romanzo e racconto fino a giungere all'idea che l'arte letteraria del racconto sia «più pura, più essenziale, più lirica, più assoluta di quella del romanzo. Così, mentre il racconto si avvicina alla lirica, il romanzo sfiora [...] il saggio o il trattato filosofico».38
Ora nel caso di Gadda abbiamo sì alcune prose narrative che, come già accennato, sono assimilabili al frammento lirico o piuttosto alla prosa d'arte di atmosfera rondesca, ma quelle prove narrative più definibili come racconti veri e propri, tese strutture narrative, sviluppano la crisi di un personaggio o di una situazione fino ad arrivare a un finale che è anche conclusione eticamente salda.



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VI. Una possibile catalogazione

Si potrebbe indicare una catalogazione dei racconti gaddiani in "lirici" e "ludici", laddove i racconti lirici sono quelli più aperti a derive frammentiste, e si tratta spesso di racconti in cui l'esperienza autobiografica del dolore cerca un'espressione più diretta. I racconti ludici troverebbero invece nella borghesia milanese il soggetto favorito per una narrazione satirico-ironica ben strutturata, costruita, compatta e conclusa.
Ecco allora le prove che accompagnano l'intera produzione gaddiana, dalla prima all'ultima delle sue raccolte narrative: pensiamo a Teatro e Cinema, con la loro comune vena di critica alla borghesia meneghina, al racconto La Madonna dei Filosofi, che racchiude in una novella borghese una critica profonda, radicale, dei perbenismi borghesi. Pensiamo alla splendida rivoluzione dell'individuo per il sogno di vita vera oltre una falsa sopravvivenza entro la norma della convenienza sociale de La fidanzata di Elio; pensiamo alla rivolta satirica, disperata dell' Adalgisa, all'irriverenza di Claudio disimpara a vivere. Pensiamo a quegli "accoppiamenti giudiziosi" cui Gadda oppone, giudiziosamente, un tanto ironico quanto triste e netto diniego.
Ecco il racconto antiborghese delle novelle borghesi dell'autore di due fra i maggiori romanzi del nostro Novecento. Ecco cos'è il racconto di Carlo Emilio Gadda; ecco "cos'è" Gadda: oltre che un romanziere rivoluzionario e un fine saggista, un grande costruttore di racconti.

 

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Giugno-dicembre 2005, n. 1-2