Enrico Elli, Pascoli e l' "antico". Dalle liriche giovanili ai "Poemi conviviali", Interlinea, Novara 2002, pp. 200, € 20,00
di Matteo Veronesi

 

Torna all'indice completo del numero Mostra indice delle sezioni Togli testata



Se proprio si volesse muovere un appunto a questo denso, solido e rigoroso lavoro di Enrico Elli (apparso nei Quaderni del Centro di Ricerca "Letteratura e cultura dell'Italia unita" dell'Università Cattolica), si potrebbe osservare che l'autore pone l'accento - peraltro in modo assolutamente consequenziale e coerente, e fondandosi su di una spessa e stratificata base testuale e documentaria - solo su una delle due, o forse molteplici, linee interpretative che l'oggetto di studio, per la sua stessa natura non priva di ambiguità e sfumature, poteva suggerire e autorizzare.
Elli rintraccia in Pascoli, ripercorrendone l'evoluzione e le articolazioni lungo l'arco cronologico definito nel sottotitolo, una visione del mondo antico che sarebbe fondata sull'ideale cristiano, e in parte già classico, dell'agape, della comunione pacifica e fraterna fra gli uomini, di quello che il Pascoli lettore della Ginestra definisce, in una poesia giovanile, come «socievol patto», e che troverebbe riscontro, sul piano delle concezioni estetiche, in una nozione quasi foscoliana di Armonia eterna e sovrastorica, capace di assorbire in sé e sedare ogni dissonanza e contrasto. Si tratta di una visione che, a parere dello studioso, nell'opera pascoliana si sviluppa e si articola lungo le vie di quella che Emilio Pasquini («Rivista pascoliana», III, 1991) ha potuto splendidamente definire come una sorta di quasi idealistica, vittorughiana «légende des siècles». Né si deve credere che un simile disegno, tendenzialmente progressivo ed unilineare, escluda a priori quegli elementi dialettici che sono insiti nello spirito rivoluzionario del giovanile socialismo del poeta - un socialismo, com'è noto, destinato peraltro, negli anni della maturità, a colorarsi di venature paternalistiche ed utopistiche, andando incontro, in pari tempo, ad inquietanti contaminazioni imperialistiche, pur mantenendo nel complesso, a parere di Elli, la sostanziale fisionomia di un alto «ideale irenico», di una «visione certo utopica ma aperta al futuro». E si può osservare, per incidens, e con riferimento più alla componente dialettica che a quella conciliante e pacificatrice, come proprio i poco frequentati testi giovanili su cui lo studioso richiama l'attenzione possano suggerire un affascinante parallelo (che avrebbe vari riscontri dal Medioevo all'età romantica, dai Mithologiarum libri di Fulgenzio al Lutherfragment di Leopold von Ranke) tra Prometeo e Cristo, che soffrono entrambi, come dice Eschilo, «per troppo amore dell'uomo», fra il titano che «sull'alto del Caucaso aspetta» un'alba di «Vendetta» e di «Libertà» e il «vagabondo / galileo, grande il cuor, pura la mano, / misero», che può ricordare, d'altra parte, il carducciano «galileo di rosse chiome» di Alle fonti del Clitumno.
Ma c'è anche un altro aspetto della visione pascoliana dell'antico che questa interpretazione in chiave irenica e utopica rischia di trascurare. Nel mondo concettuale pascoliano, infatti, a questa utopia, socialista e cristiana a un tempo, di redenzione e fratellanza universali, si affianca, fino forse a prevalere, un'altra, e in parte antitetica, percezione del classico, forse ancor più feconda poeticamente, e certo più consentanea allo spirito inquieto del moderno. Alludo al sentimento del classico come patria perduta, come mondo ormai remoto e irrevocabile, come «lingua morta», «lingua che più non si sa», che proprio in grazia della sua lontananza, della sua opacità, delle sue risonanze profonde e desuete, diviene prezioso strumento di poesia. È, oltre che nei Poemi conviviali (basti pensare a Psyche, all'evanescente e inafferrabile "lieve figura tenue come un soffio" che ispirava al giovane Serra una penetrante e purtroppo frammentaria lettura, resa nota, a suo tempo, da Alfredo Grilli), proprio nei versi latini, nei versi scritti sfruttando le potenzialità espressive, e direi mitopoietiche, della «lingua morta», che questo aspetto emerge nel modo più evidente. Il mondo classico appare - basti qui, per brevità, richiamare, nei Poematia et Epigrammata, testi come Iani Nemorini Silvula o Crepereia Trypaena, o, in Fanum Vacunae, versi come quelli di Fanum putre - quale «vetus vita» ormai perduta, ormai franta sequela di «lapsa gravi saecla silentio», grondante di «antiche lacrime» (allo stesso modo, il poeta volgare persegue, come il cieco di Chio, «parole degne dei silenzi opachi»). Non siamo lontani, mi pare, dalla Bellezza medusea, algida, sepolcrale celebrata dal Pater o dal D'Annunzio della Città morta - referenti, questi, che, per quanto a mio parere significativi per la contestualizzazione storica della sensibilità pascoliana, una lettura come quella di Elli rischia forse di lasciare un po' in ombra.
La vita della poesia, com'era forse inevitabile nell'epoca che esperiva drammaticamente l'hegeliana «morte dell'arte», o meglio il suo «superamento», la sua tensione a trasfigurarsi in altre forme ed altre espressioni, finiva, paradossalmente, per coincidere con uno spasmodico perdurare, con un doloroso protrarsi della sua agonia e della sua morte. Il Pascoli dell'Immortalità (testo, peraltro, citato da Elli), cantore di una poesia che «dalla morte ha vita» e che, vivendo «la vita lucida del sole», è destinata proprio per questo a svanire e a disperdersi nell'immenso silenzio dei secoli («anche il cielo stellato finirà», dirà Ungaretti), non è forse lontano dal D'Annunzio del Gombo, che invoca il connubio fra la Morte e l'Arte, «sorelle eternali» apparse «nel cerchio fatale» per avvolgere la Vita con «braccia più vaste» e «silenzii più intenti», ed imprigionarla per l'eterno in un «simulacro ferale».

 

Precedente Successivo Scheda bibliografica Torna all'inizio della recensione Torna all'indice completo del numero Mostra indice delle sezioni


Bollettino '900 - Electronic Newsletter of '900 Italian Literature - © 2004-2005

<http://www3.unibo.it/boll900/numeri/2004-i/Veronesi1.html>

Giugno-dicembre 2004, n. 1-2