Mario Luzi, Parlate, a cura di Stefano Verdino, Novara, Interlinea, 2003, pp. 54, € 10,00.
di Laura Toppan

 

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Da anni l'opera di Luzi è costituita anche da un teatro in versi, complementare alla poesia. La voce umana, che si esprime attraverso gli attori, è interprete della controversia del mondo e chiama il poeta a testimoniare del tempo attuale, volgare ed iniquo. Accanto a drammi veri e propri, come Ipazia, Rosales, Pietra oscura, Felicità turbate, Luzi ha composto dei brevi testi, su inviti o committenze, che egli stesso ha definito come "parlate", caratterizzate da un «tratto informale», al di fuori di una scelta drammaturgica, e da una «vocazione scenica della voce legata a un personaggio», come suggerisce Verdino nella nota introduttiva al volumetto Parlate, edito da Interlinea.
Il primo testo è un Monologo di un servo in scena scritto in occasione del ventennale della morte di Pasolini, di cui, in pochi versi, Luzi ne descrive la vita e il sentire: «[...] Lo incalzavano due erinni: la disperazione / e la vitalità, fameliche ugualmente, / lo mordeva la sua intelligenza». E negli avverbi «fieramente», «narcisisticamente» e «sacrificalmente» dei versi successivi, riconosciamo il "parlare" del dettato luziano, caratterizzato da un ritmo rallentato e faticoso.
Segue un componimento, Disse Antigone, scritto su richiesta di Mario Ruffini nel 1998, autore e regista dello spettacolo Antigone e Savonarola. Dialoghi prigionieri, in cui i due personaggi antichi prendono le sembianze di due protagonisti dell'attualità: Silvia Baraldini e Adriano Sofri. Con una forza lacerante e drammaticamente irreversibile, Luzi va all'essenziale dell'antica tragedia che attraverso i secoli giunge sino a noi nella sua «estrema asciutezza». L'eroina dichiara il suo no a Creonte («ti sguscerò tra le ombre / dei pensieri») in nome di una scelta di libertà e di resistenza («Mi avrai come una lima / di dubbio e di rimorso / nel sonno e in ogni gesto / di arbitrio e di potere. / Mai ti libererai di me»).
La terza "parlata", Ab inferis, scritta nel novembre del 2000 per le celebrazioni dell'abolizione della pena di morte in Toscana (1786), si configura come il monologo drammatico del repubblicano Pietro Pagolo Boscoli che nel 1512 venne arrestato e condannato a morte per l'organizzazione di una congiura contro i Medici. L'amico Luca della Robbia lo assiste nelle ultime ore testimoniando della sua straordinaria fermezza e dignità in una Recitazione. Luzi s'ispira a questo testo e il parlante accusa la condanna con parole atroci: «la sentenza emanò da un orifizio / tristo, posto in una trista faccia», che «a fatica riusciva a essere un volto», perché si presenta come «raggrinzita carne». Al condannato non rimane che l'imitazione cristica di «portare questa croce» e la fede nella resurrezione: è il cristianesimo naturale di Luzi a vincere sulle ingiustizie.
L'impegno civile del poeta, in particolare nel conflitto tra Israele e Palestina, continua nei testi in versi scritti per il Giulietta e Romeo a Gerusalemme di Beppe Menegatti: il Lamento di madre musulmana e quello di madre ebrea e l'appello d'amore del giovane musulmano alla sua amata ebrea e della giovane ebrea al suo amato musulmano confidano nella vittoria di Eros su Thanatos: «nel caldo del tuo seno / si scioglie il mio vigore / di guerriero levantino».
A chiudere il volumetto la traduzione da Shakespeare per uno spettacolo di Federico Tiezzi allestito nel 1998: si tratta del celeberrimo monologo di Amleto (di cui Luzi ha tradotto il Riccardo II ) ove il poeta, al tradizionale "Essere o non essere?", sceglie il più intimo e colloquiale "Essere? O no" e della morte di Ofelia, impazzita per la perdita del padre. L'andamento del linguaggio teatrale in versi di Luzi è caratterizzato da cadenze prosastiche (menare per il naso o tallonare) interrotte da improvvisi accenti lirici, come nelle parole di Laerte alla sorella morta annegata: «Hai troppa acqua addosso, povera Ofelia / così tengo a freno le mie lacrime / ma è la nostra umanità, e vuol serbare il suo costume, / dica il pudore ciò che vuole».
In questi versi le "voci" testimoniano della "fede" nell'umano in cui Luzi continua a credere nonostante l'imperversare della malvagità: «C'è una pozza di sangue tra te e me. / Mio Dio, chi l'ha versato? / chiunque sia stato, / caro, è sangue sprecato. / Ma io so che l'amore / mio [...] / potrà vederlo prosciugato. / Vieni, non tardare».

 

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