Nicoletta Pireddu, Antropologi alla corte della bellezza. Decadenza ed economia simbolica nell'Europa fin de siècle, Verona, «Mneme», Edizioni Fiorini, 2002, pp. 479, € 37,00
di Beatrice Carletti

 

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«L'homme est un animal rythmique», diceva a inizio Novecento, parafrasando il detto aristotelico, l'antropologo francese Marcel Mauss nel suo Manuel d'ethnographie, ad indicare, con grande lungimiranza verso le implicazioni attuali del fenomeno, l'estetica come la componente più significativa del fatto sociale.
Partendo da tale presupposto, l'autrice adotta una precisa chiave ermeneutica nella disamina di testi più o meno canonici, ipotizzando che la vera natura della decadenza, nel suo culto dell'«arte per l'arte», consista nell'assenza di finalità e si leghi dunque all'etica del disinteresse e del dispendio incondizionato proprio della cultura "primitiva" che fu oggetto degli studi antropologici coevi. Frutto di tale legame tra letteratura ed antropologia sarebbe la simbolizzazione del dono, così come fu teorizzato da Mauss in una concezione che risale già al sýmbolon omerico, come unione di simbolico ed estetico che definisce il "fatto sociale totale".

La prima parte, più propriamente teorica, affronta appunto la questione del dono, sia come simbolizzazione estetica nelle culture primitive sia come propensione squisitamente moderna al dare incondizionato, come forma economica alternativa rispetto alla strumentalizzazione propria dell'economia occidentale. A partire da Mauss, il discorso è ampiamente documentato sulla base di riferimenti a Nietzsche, Lévi-Strauss, Heidegger, Lévinas, Derrida, Durkheim, per arrivare ai veri e propri antropologi come Lubbock, Tylor, Frazer, Spencer, gli italiani Stoppani, Lombroso, Villari e De Gubernatis. Nell'approccio alla questione rientra l'analisi di fenomeni sia sociali (ad esempio quello del tatuaggio, nelle diverse interpretazioni antropologiche) che letterari (come il celebre sonetto di Verlaine - «Je suis l'Empire à la fin de la décadence, / Qui regarde passer les grands Barbares blancs» - che, letto in rapporto al topos di una civiltà a confronto con l'alterità culturale, diventa emblema dell'assoluta modernità della decadenza, nella misura in cui questa si apre all'alterità del barbaro, esempio per antonomasia di prodigalità illimitata speculare alla concezione decadente dell'artista). L'analisi delle implicazioni sociali del dono, tuttavia, non cede ai rischi dell'utopia, ma evidenzia la natura paradossale e ossimorica della decadenza stessa, che pur all'apice della cultura del tempo (benché ostacolata in Italia dall'ancora imperante verismo), ne nega forme e valori definendosi attraverso gli opposti valori del barbaro, del naturale, del selvaggio. Tale compresenza di spinte contrastanti genera caducità e si situa nella caducità stessa, senza che tuttavia l'autrice avalli la visione della decadenza come mortalità, malattia o esaurimento; la caducità intesa come transitorietà (che il Leopardi delle Operette morali avrebbe definito madre della Moda e della Morte) emerge invece come sintomo di modernità, donde il piacere dell'effimero tipico dell'arte basata sul principio della perdita incondizionata. La Pireddu parla appunto di una «ricodificazione in termini primitivi dell'estetica e della sua distinzione aristocratica rispetto al culto borghese del progresso illimitato, del possesso e dell'autoconservazione (p. 118)». Ma la transitorietà intesa come relativismo di valori effimeri implica l'ipotesi che il simbolismo antropologico si ricolleghi al decadentismo, più che al simbolismo letterario, perché mentre quest'ultimo, attraverso l'analogia, presuppone un preciso rapporto tra parola e verità oggettiva, l'arte decadente trova invece in se stessa le proprie finalità e verità.

La seconda parte si immerge nello specifico di autori ben noti, ma attraverso una prospettiva assolutamente nuova. Così la poliedricità del "letterato scienziato" Paolo Mantegazza fa da sfondo ad un discorso incentrato sulla bellezza come dispendio di sensazioni fini a se stesse, quale emerge da uno dei suoi testi fondamentali, Epicuro. Saggio di una fisiologia del bello (1891). È il modello dell'antropologo come esteta che costruisce una «etnografia del bello come atlante "morale" di tutte le civiltà (p. 168)» e che influenzò D'Annunzio nella stesura del Piacere, scritto in un momento in cui il poeta aveva assorbito il darwinismo, allora divulgato proprio da Mantegazza in ambito fiorentino. Del pensiero di Vernoon Lee la Pireddu enfatizza invece l'aspetto comunitario e al tempo stesso elitario del dispendio estetico, non senza rilevare l'appello della Lee, contenuto in Satan The Waster (1920), agli scrittori (così modernamente sono definiti non come detentori di verità, ma come semplici ricercatori di essa) perché dopo la tragedia della prima guerra mondiale possano ravvivare un'autentica disposizione all'etica della perdita assoluta, attraverso il dono incondizionato delle parole. All'interno poi della produzione di Joris-Karl Huysmans la lingua e la forma del testo, esemplati in A Rebours, sono concepiti come lusso verbale, dispendio fastoso in analogia con le civiltà primitive non occidentali e in opposizione all'economia ristretta rappresentata dalla strumentalità narrativa del realismo; l'ekfrasis allora non ha, secondo l'autrice, funzione mimetica della realtà, ma all'opposto ribadisce l'assenza di strumentalità, l'antinaturalismo e l'autoriflessività estrema dei dettagli descritti. Il ritratto di Dorian Gray di Oscar Wilde è invece ricollegato all'animismo, per la centralità del rituale primitivo del dono e del ritratto come icona raffigurante una divinità o uno spirito dotato di vita propria. Il contrasto tra la logica speculativa e i fenomeni magici, ovvero tra la logica utilitaria dell'occidente moderno e le pratiche irragionevoli dei primitivi, si risolverebbe però a favore dei principi della modernità, cioè nella mercificazione del ritratto come dono. In chiusura è posta l'analisi dell'opera di D'Annunzio, con la sua apertura europea alla problematica sul significato estetico ed etico dello scambio rituale, attraverso le influenze di Mauss, Mantegazza, Moleschott, Tylor e Nietzsche. Introducendo il Leitmotiv, letto secondo la prospettiva heideggeriana, delle mani come icona del dare per antonomasia, attraverso testi canonici quali Il piacere, Trionfo della morte, Il fuoco, Le vergini delle rocce, fino ai testi "notturni", l'idea del dono giunge al polo estremo della distruzione dell'arte attraverso l'arte, come forma di piacere autenticamente disinteressato. Donde la Pireddu interpreta originalmente la fase notturna di D'Annunzio e la sua dimensione ascetica non come segni di esaurimento poetico, bensì come apoteosi del vivere inimitabile dell'esteta munifico, donatore in massimo grado, fondato su un'economia della morte - dell'artista e dell'opera d'arte - come dispendio che, non essendo comunicabile agli altri, finisce per negare i presupposti della comunità, affermando invece l'ineludibile e assoluta singolarità del sublime.

 

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