Marina Pizzi
Inediti

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Improvvisamente in luna di miele
varie sciagure del rettile
previdero imbarcaderi per le cascate
del giammai ritorno
sviste le promesse.
Coriandoli di chiodi inverecondi
colmarono le lune rendendole infuocate
così le dune sorelle per l'inferno.
Visto lo stato arioso delle soglie
stoppia acerba, antica
comunque t'impantanasti al guado
del tuo fato sazio, sparente oltre
prima del proscenio.




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Attorno alle regie del mio linguaggio
torna sovente la terra del mio
linciaggio, il figlio caduco,
il coma del corso evento
l'annullo del votivo per la zolla.
Vestali di resine le sillabe
badate e bacate dal bruco mancino
civettuolo finanche! Il trillo del sale
riveste il tramonto, nessuno ha tramato
contro: è andata schiacciata la trottola
data per bella allora ne nacque
farfalla di lascito credula.




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È già il ritorno della mano a palmo
cavo, mordacchia in darsena in silenzio
il puro fango della società di azioni.
Oltre nomea almeno ti guardai
senza forziere pavone della ronda
intorno a me tentata per salvarmi
dal cruento notaio che fin di vita
tutte al cemento arrese
le crepe agili delle resistenze.
Lanterna del gerundio sparì conoscerci.




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I leggeri inventori
alberetti di pane
codici di baci,
con mandragore di sguardi
dismettano le remore…
In più se dal delirio delle peci
l'acqua votiva tornerà madrina
forse dalle stamberghe delle redini
senza meta l'allegria
del fiato corto.




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Quasi un tratturo di petali badarti
dentro nel resto di una vita scialba
scesa dal tram molte fermate dopo
qualunque lucido verdetto.
Sportule d'aghi fatalisti ingorghi
dentro le gole stipate nel forse
chissà se… ma letargie comunque.
Una sonnolenza inzuppa
quella che fu passione
data del sì sorriso di fattore,
confisca il potere nell'eclisse
alla fonte del ponente
imponente manoscritto.




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Di te vorrò scorrere le ossa
quasi l'avvento oltre
il pandemonio trito quotidiano.
Salute di stamberga il mio sudario
quasi lucciola in gara con i fari
dell'accalappiacani.
In tutta la moria del lato bello
infuria la cariatide del sale
la stanza fonda di chi perse il tondo.
Annullami la ciotola, voglio la perdita
dritta del nodo a scempio che mi visse
sevizie alle comete scese alle gote.




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In un vestibolo di resine
volli restare in bilico
carretta senza unguenti né festivi
miracoli visivi,
gerundio di non essere
declinazione di lavagna
comunque la vergogna ripetente.

In un mese di maggio nacqui ennesima
gemella alla ciliegia
quasi parente della nuova molla
la nascita votiva dell'amore
ennesimo ritiro senza tiro.
Elemosine e vocali tutte conobbi
le mosse acidule di padroni in bile,
il dubbio ligio di non badare al sogno
innamorato sentendomelo addosso
a forza di fingerlo invece di badargli.

Contaminata dal taglio della rondine
quasi abbreviata da un io feroce,
in rigetto finì anche la sporula
fulminata dal teschio di Piramide e Babele.




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Nel giorno che si straluna
trovi fortezza l'apice del vuoto,
il crocevia blasfemo pur comunque
senza via di scampo.
Conobbe l'acero rosso l'ulivo
volitivo, l'inguine nullo del senza,
il passo cattivo del ritardo.
Alla cremeria della buona gestione
non ebbe il genitore
né le mitiche ossa dell'eroe salvante
incontri di patemi, guardò le terre
vanissime le rondini…




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Nel crollo della voce il tuo blasfemo
incanto oltre lo stagno del navigante
strazio. In tutto il tuo cipresso durasti
l'angolo
plurimo assolo in apice di gesso
non potesti virarlo
oltre la gola di un pugno di sogni.
Tua madre puliva burroni
tuo padre riparava scarpe,
pendule arsioni le giostre
dell'oltre capitolo, bonifico
al tuo migliore stilema
mare del mosso sconfitto.
Così con remore, caligini appresso
finì la sillaba di un altro bagliore
il tuo basto al candore di farcela.




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Una macchia è qui tuttora, il tuo sudario
basto e cornucopia ancora adesso
che dal bavero mi fingo come viva.
Svarione del comando della nascita
scivolo via confisca e fumo
mortale sulla logica del punto.
L'alberghetto si chiamava Sole
entrammo in vena di fortissimo amore
ne uscimmo zuccheri di chele
contro le nostre stesse nozze.
Entro nel pisolo che mi dà resistere
loggia in chimera dentro fatuo fuoco
comignolo di sé escluso luogo.

 

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Dicembre 2003, n. 2