Paola Lovisolo
Sistema del diavolo

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buona azione

sistema del diavolo

e va bene. cominciamo dal villo intestinale più sottile e poi mangiamoci attorno.
ognuno così affamato e disgustato dalla propria fame che faticherà
inghiottire il primo boccone.
cominciamo dal villo intestinale più sottile e buttiamo l'accappatoio sul temporale,
gli zoccoli antiscivolo sulla scia del funerale, le tracolle di vario
materiale, gli ornamenti, le spille,
le ville prenotate, i cartoni bagnati, i pettini di cedro che accomodano
sulla testa la vecchiaia,
i dizionari dei falsari, le stanghette dei funzionari, la riunione al
vertice, la cervice delusa cervice e gli
uteri retroversi, la verità sui gregari e i pastori, gli apparati
respiratori, le lotterie benefiche, lotta continua,
la bigiotteria comunale, il coito interrotto, De Sade e Justine,
l'eiaculazione precoce, il tempo reale,
gli affari personali, i numeri ordinali, la colf interinale, i galbanini
alla griglia, i savoiardi in quadriglia,
gli orecchini tra i cuscini, la frittata rognosa, gli sposi inevasi, le
colazioni escluse, gli scontrini alla rinfusa,
le nostre torri di Holderlin.
buttiamo gli assi, i tris di sonno, le Irma, le Alice lise come risvolti di
cotone su catrame,
l'oratorio sacro cuore, i galli combattenti, i galup replicanti, le
mantovane abbassate sui nostri culi,
la pietà rinforzata, la vita scalognata tirata come muli, il vasigil a
mezzogiorno, il bonsai, l'hantai,
la liquirizia haribò.
buttiamo la convalescenza sul come quando fuori piove e piove sulla pasta di
cui siamo fatti.
buttiamo i cascami di cioccolata, le cover su annabella, le cervella, i
matrimoni, la sacra rota, le riflessioni,
le ragioni... crac crac... crolla il tetto e il reggipetto, mangiati da
piccoli piccoli ratti intatti riprodotti
perché sanno nuotare -
siamo patatai, giostrai, ahinoi, ahimai. che fine infelice da remigino senza
patentino.
buttiamo l'artrite e le radiografie, i turpi bramosi d'oro e di odori, il
vento sulle eliche di insetti monatti;
buttiamo l'etica sbarbata, la mimica ingrippata, l'intonazione, la funzione,
la finzione, il cardias, il vino veritas.
buttiamo l'africa, la metrica, la sciatica, il companatico, i campanelli, il
cordoglio dei desideri, il freno inibitore,
le mulattiere del nostro paese, i cognomi.
buttiamo le viti gelate, il dna più propizio, i disturbi della psiche, le
amiche, i blues jeans che fino a ieri sapevo suonare così bene...
aspro aspro, piove e io recito pioggia, sono calendario binario e scacco
d'inutile diario: mi butto anch'io per la gola di dio,
imbarazzata per non averti baciato piede e mano quando pregavi.
cominciamo dal villo intestinale più sottile: buttiamo i giudizi sulle madri
in odore d'eresia, begli occhi fantocci, sbarcate con tutta l'acqua.
qui a piovarolo si cena alle nove, ossa e sargassi, anarcopoli di
mediocritel pastello sotto caduta massi.
si cena forse anche con cose buone: sottofondo alla rino gaetano, passi di
crema alla mano, polvere e montagne forzate in uno sguardo nano
e il gattopardo sfoggiato in macule verde prato.
fammi finire sorellina.
buttiamo le reni dell'isola dei formosi dove mamma piove su cipolle ardenti,
mia medium sfrigolapillole del diavolo
che dimentico d'avervi mangiato e non ho questa paura di




delirando nel disordineTorna alla lirica precedente

buona azione

t'insegnerò a spruzzare il muro con materna
apprensione, bambina, se sei già nuda.
togliti anche le belle calze che l'estate fila
gettandotele dal suo atrio affollato...

come mangiatrice di foglie secche valgo cento.
imprecandomi via il cuore, torna l'antica nausea
per le carezze tra i capelli.
- l'ultima buona azione sara bruciare la mia stola
di sarcomi e i tuoi bei colletti -.
comprami sei bicchieri senza filo dorato, se esci:
da oggi non ho più pretese.




finTorna alla lirica precedente

delirando nel disordine

tagliarsi le unghie.
grattarsi i calli.
così ti viene da pensare
che la morte è l'oggetto.

la cena cinese alle nove
il glutammato cinese:
peggio che svenarsi nella vasca.

mi cade sale

la morte è l'oggetto.
la puttana si fa pagare venti volte
su venti
la peonia. la peonia disidratata
in eterno.
mio padre sperimentò nuovi sonniferi.
la radio non funziona.
la morte è l'oggetto.
il telefono suona alle cinque di mattina.
i merletti hanno sempre aloni gialli e
odore di lavanda (?)
mio padre si sfila la cinghia,
ma forse era metafora
la morte è l'oggetto
e le superstizioni, civette che
fanno il nido nelle scarpe.
fumo dall'età di vent'anni
ho una gemella condottiera
di creditori in mezzo ai lupi.
sono di sinistra e tormento
i nani con la gobba.
ho i denti bianchi e una certa età.
sono ambidestra, ma più mancina.
la morte è nell'unto
di un alto colletto alla moda

la morte è l'oggetto

cercando la mia culla
succhio tuorli
dalle ovaie di mia madre
il porco si rivela ai tuberi
ho scommesso su chi non sa
da dove viene.
ho stupore di come la mia età
può essere ancora quella
della tenerezza.
la morte è l'oggetto anche
per gli amici artisti: farabutti,
i vedovi, troie di scena.
non condividono le ossa,
hanno sacrari nominali.
porto sempre viole
sulla spalla del cuore
ed entro in teatro,
io e la mia sciagura.
la morte è l'oggetto.
una cosa.
una cosa rivoluzionaria.
un pendente penduto .
un sandalo che chiude
la tua bocca finalmente.

la morte è l'oggetto
dei santi cani e dei marrani.
il talismano degli incoscienti
il muscolo degli scribi
lo zoccolo dei sapienti

la morte è l'oggetto come la tiara
e la toga

e il fumo uccide, ma non sempre.




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fin

ci siamo perduti, respinti
ai bordi di un beckgammon strausato,
in qualche lettera,
in calligrafie inclinate e gonne troppo corte.
ci siamo perduti nei dintorni delle ginocchia,
scarabocchiando infermi cerchi nel caffè,
prostituiti alla tolleranza e senza finire il liceo.




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mi hai chiusa dentro, stupido, a bere vino muschiato
e restaurare anatomie che nessuno ha voglia di locare,
a cucinare belle ribollite di reati e patatine,
a pomiciare coi portabottiglie tanto per spaesare il tempo.
mi hai chiusa dentro finché hai appeso tu le chiavi
e intanto che ti passava l'estate tra i coglioni,
sentivo il clin clan dei ferri che trasportavi,
attraversando, come solvente la ferita, il mio onomastico.
vedrai come sono chiusa dentro, pena nata, pena morta
e come riuscirò a farti fesso, mantecando vino muschiato
al trito polvere-allergie per fare il sugo quando vengo su.




la partenzaTorna alla lirica precedente



Omne male percusiccio omne malestravalcaticcio
omne male fantasmaticcio d'eco el toglia
et la terra l'arecoglia et non noccia ad cristiano.

ecco una delle formule magiche per sanare i mali,
imparando straniera in terra tonda,
immigrata nella mania di mostrare il culo e l'anima,
di dire sempre che senza zucchero, inzaccherato zucchero
mancina, offesa nella forgia spenta della tua tristezza.
una cosa necessaria, una pentola acqua e bicarbonato
per alleviare le tinte dal tuo letto a mezzadria incolta,
senza pretese nemmeno di disfarsi.
una formula magica trasforma in papera l'imparagonabile
che sta nella cronologia di crudele a sfondo nero.
omne male girati al sale, appendi le spalle e fatti cadere:
sei morta? scanna calami aromatici nel porcile rumoroso
di tutte le ore che passate: io sono cosa(?), non c'è paragone
con la linea retta ma non posso ancora aspirarmi i noduli beffardi
che corrugano le tue nevrosi metriche.

et la terra l'arecoglia (omè) et non noccia ad cristiano fino
a dopo le ore canoniche, cristiano fachiro ungulato, di sbieco,
in un affacciarsi lontano dai luoghi comuni, comune.
voglio un'urna che resti tra le fauci del tuo duello sorridere,
voglio restare una mano magra fotografata sulla tua guancia,
voglio un porco che mi indichi i tartufi da mandarti e voglio
un'impalatore che sappia attraversare i muri.
voglio te mi espianti l'eco dalla trachea e che nel tuo pitale
rimangano i miei denti, l'orecchino e qualche soffio
e che al pene tu racconti tra un giorno, quanti ferri siano arruginiti
negli incontri opposti
et la terra e il fumo mi attraverseranno come frange e le tue braccia
solenni
fino ai miei piedi strapperanno le caviglie che cucirai ai polsini di
camicie

da battesimo...

e pura devastata, piegato il bavaglio sul omero del sentiero,
et la terra l'arecoglia queste alabarde rosa e questo buco ombrofobo
teneramente millenario che canta picche sul campo dell'obbedienza.




900Torna alla lirica precedente

la partenza

qualora aprissi il ventre integralmente
potrebbe darsi che ognissanti verrebbero in fila
a gettarmi una moneta: ispido e invertebrato
l'orizzonte a cuspide intriga qualche ramo
di ginepro.
io lascerò i figli a marcire tra le upupe rosse
e i granchi giapponesi a bollire sui rostri:
la mia vita è un salario abbondante per chi
la ricetta dopo di me.
e poi ci sarebbe altro ancora da dire, stanotte.




polpaTorna alla lirica precedente

900

sono nata nel novecento,
fresca di parole angolo-spigolo,
straccia d'immagini confuse,
incognite XX femmina,
con grandi assenze sul guestbook
della mia casa cattoprivata,
leggermente spinta in vetta,
poi miope, poi senza più quaderni.
una gulliver di pianti in riserva
contro muri intonati ai muri di prima,
guerre a malincorpo nel cortile
e remissione elevata per le cose.
le dico pure le cose, così come stanno,
narcotiche in vena: né dio può fare altro
schierato morticino dentro.
sono nata anch'io nel novecento
incestando mancanza nella notte,
almeno per te, senza cedere
ai poli l'illusione tempo-spazio.




in sartoriaTorna alla lirica precedente

polpa

dalla prostituta raffiora ai capelli una mannaia
sul ghiotto invaso e spira, invisibile al gancio
inchiodato tra le mie mani: riparati le ciglia
e tra pochi sorrisi si fermerà l'aria sul meccano
delle ossa e guarda che bel film mia cannibale!
i tuoi seni infagottati da toglierne il latte,
tu la mia giocattola trainata a forca cui bevo
da costole e polmoni.

muori all'interno bianco soia dei miei filamenti
tratti in-vano vani istrici, molli ad attaccarsi in strada,
tua madre anche - che anche dolci!- figlia di
e io invaghisco per le donne aperte, sfatte illividite,
dai piedi enormi, dalle caviglie venose e rigide.
solo ai tuoi seni rimpiango l'aura del medesimo amore
perché non di rado sono stato padre e sono scappato.




un quidTorna alla lirica precedente

in sartoria

la sarta cannibale sfiora
i denti alla cerniera lampo
della sera.
ha fuselli e gessetti,
calchi di tiepide stagioni
in ricamo.
io le somiglio tra poco,
appena l'ansia di disfare
sarà acuta
e stupefacenti inutili
insetti mi avranno ricoperta.




Vai alla fineTorna alla lirica precedente

un quid

potessi sciogliere la ringhiera del balcone
e fonderla in strada ferrata, dove passino
treni adesso così lontani per i tuoi stanchi attriti,
staresti più buona e le tasche non rivelerebbero
affilature pericolose: ucciderai qualcuno per sfogarti,
tuo figlio o forse il tuo compagno, ma diranno
che non eri in cura,
che compravi l'insalata riccia col sorriso, che eri modello
di madre per le amiche, che curavi le roselline con amore.

sarà un raptus di follia, un'assatanata nocciolina americana
caduta nel giardino sbagliato. (superpippo, insegnami i pericoli
dall'iperspazio!)

ma che ne sa il medico di famiglia chi vorresti essere, che vorresti
fare?
una dimostratrice di collant che aspetta l'esequie dei suoi sogni?
o vorresti setacciare quell'odore d'anice dopo la doccia,
per non dimenticare che quando fumerai tavor, s'addormenterà
l'ingombro della gelosia?
non sa che potresti, come l'intrepido Norton, trascinare sull'everest
una spedizione di sospetti e poi uscire a cena stasera e ordinare insalata
per il tavolo di fronte, dove lui si consegna s.p.m. a un'altra sottoveste

ma tutto funzionerà solo se resti tra la forbice dei sondaggi
senza fare icone biologiche del personale, sellando la mula nelle piazze,
costruendo con i fiammiferi il grande duomo, rimanendo l'allieva
prediletta della barbie, spogliando un ken dalle erezioni assenti


.......................................................................
ore 20.00
appeso alla griglia del termosifone il triplo della tua età si scalda
gli ossi.

 

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Dicembre 2003, n. 2