Intervista a Carlo Infante
Scrittura Mutante. Scrittura muta che muta
a cura di Michela Aveta, Simona De Pascalis e Francesca Sanzo

 

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Nell'ambito della Fiera del Libro di Torino (maggio 2002), in occasione del convegno "Scrittura mutante. Scrivere e narrare al tempo delle tecnologie digitali", e della presentazione dell'Osservatorio Scrittura Mutante della Biblioteca Multimediale di Settimo Torinese nonché del progetto-esperimento sulle nuove scritture in ambiente digitale Eliza 2.0, abbiamo incontrato Carlo Infante, coordinatore del convegno e promotore di molteplici altre iniziative riguardanti i nuovi media.


Quali sono i suoi progetti attualmente? E in particolare, quali cambiamenti a livello cognitivo, secondo lei, stanno avvenendo rispetto a queste nuove forme di sperimentazione, di comunicazione e anche, in qualche modo di arte? Secondo lei queste nuove forme di scrittura possono essere considerate letteratura?

Prima, domanda alla domanda: vogliamo parlare di letteratura o di scrittura?


Iniziamo dalla scrittura.

Scrittura è una parola più grande. A me interessa molto di più il fenomeno scrittura che il fenomeno letteratura perché è di questo che si tratta in questo ambito.
Secondo me parlare di scrittura in relazione al digitale o, ancora meglio, di scrittura al tempo del digitale significa mettere in discussione, in parte non del tutto, non voglio essere così radicale, il concetto di narrazione. E anche il concetto di storia, il concetto di tempo. Allora mi domando: la scrittura al suo interno ha più tempo o più spazio? Nella letteratura, è ovvio, c'è il tempo. È la scrittura che scrive il tempo, lo sviluppo consequenziale, il procedimento lineare. La narrazione ha necessariamente bisogno di uno sviluppo lineare perché porta coscienza, determina un flusso di coscienza. Che è poi l'elemento base di un ragionamento.
Però ci rendiamo conto che la scrittura non può essere limitata solo a questo. La scrittura nasce come tecnologia della memoria. Questo è anche un modo radicale per affermare che cos'è scrittura rispetto all'idea che abbiamo di scrittura come tecnologia della comunicazione e tecnologia dell'espressione (l'espressione artistica, la forma poetica, la forma narrativa, la forma racconto, la forma romanzo ecc.). La scrittura nasce puramente per poter delegare: portare fuori dal nostro corpo, dalla nostra mente, qualcosa che in qualche modo circola nel nostro pensiero, le nostre associazioni libere.
Sono convinto che da sempre la scrittura non riesce a soddisfare questa funzione. Ha cercato di soddisfare questa funzione attraverso delle regole, delle convenzioni, che hanno in qualche modo costretto questo processo cognitivo, questo processo psicologico, questo processo mentale dentro a un binario: l'ordinazione lineare. Abbiamo davanti agli occhi i libri, abbiamo davanti agli occhi l'idea dell'enciclopedia, l'idea della biblioteca, di come si sono organizzate le diverse forme che questa tecnologia ha preso. Perché la tecnologia scrittura poi si è inscritta attraverso degli hardware (la scrittura è un software, l'hardware è il libro, l'hardware è l'enciclopedia, come lo è la biblioteca), attraverso tutte queste forme successive siamo riusciti in qualche modo a puntellare la nostra mente, il nostro consecutio psicologico. Se siamo a questo punto in Occidente è grazie a tutte quante queste cose. Se non avessimo inventato queste forme e se non si fosse creato tutto questo percorso evolutivo, non ce l'avremmo fatta ad organizzare il nostro pensiero e a rilanciarlo costantemente verso nuove frontiere, sia dell'immaginario sia della espansione di coscienza (chiamiamola così, dentro questa affermazione metto dentro anche la ricerca tecnico-scientifica e tantissime altre cose).
Il mio assioma è questo, o meglio la domanda, che è poi la domanda delle domande: dentro la scrittura ci deve essere solo tempo? Perché non ci può essere anche lo spazio?
Il primo spazio che ci viene in mente quando mettiamo in relazione scrittura e spazio è la pagina bianca. Poi abbiamo davanti tutte le immagini e le associazioni combinate tra loro, quando pensiamo a spazio, ad esempio l'idea di uno schermo. Ma non basta, non possiamo passare dalla pagina bianca all'idea di uno schermo per avere un salto di qualità. Pensare allo schermo acquista senso quando si passa da una tecnologia, chiamata scrittura, che adotta a sua volta altre tecnologie - dall'approccio amanuense a tutto il resto, la tecnologia stampa a caratteri mobili, la dattilografia - e ci rendiamo conto di come si possano individuare dei procedimenti progressivi. Il salto di qualità accade veramente con l'invenzione dell'ipertesto. Sì, scrittura, stampa a caratteri mobili, enciclopedia, abbiamo davanti con chiarezza la freccia evolutiva delle nostre convenzioni culturali e delle tecnologie che le hanno sostenute, in un procedimento che non voglio qui ricostruire se non per flash, frammenti cognitivi.
Con l'invenzione dell'ipertesto iniziamo a porci il problema di come si può organizzare spazialmente il procedimento mentale tradotto attraverso la scrittura: il concetto del link, quella struttura ipertestuale che ricostruisce i moti combinatori della nostra mente.
E di questo abbiamo parlato per anni. Di come l'ipertestualità porti fortemente dentro la scrittura il paradigma spaziale. L'approccio, non solo metaforico: perché è lo spazio della mente, lo spazio delle combinazioni associative. Ci rendiamo conto che in fondo il nostro processo mentale, il nostro immaginario, il nostro pensare, il nostro ragionare non è lineare.
Filogeneticamente noi non siamo lineari. Qualsiasi cosa accade simultaneamente noi la raccogliamo; la nostra mente fa un rendering: calcola. Tra l'emisfero destro del cervello e l'emisfero sinistro vi sono comunque dei piani differenziati di lettura e di interpretazione: l'emisfero destro raccoglie come una spugna, l'emisfero sinistro subentra, arriva dopo, e ricombina e riconosce, sia sul piano simbolico sia sul piano cognitivo, eccetera eccetera…


Eppure certi ipertesti sembrano ripetere ancora in un qualche modo quel percorso lineare che hanno avuto i testi scritti tradizionali. Anche il "link" si può in parte affiancare a quegli elementi paratestuali del testo scritto che assolvono ad una funzione simile, il rimando in nota per esempio. Insomma sembra che all'interno dell'ipertestualità sonnecchino potenzialità non ancora comprese ed attualizzate.

La tua domanda prelude ad una sovra-aspettativa. Si hanno troppe aspettative rispetto a queste tecnologie. L'ipertestualità ha già fatto accadere tantissimo.
La tecnologia ipertestuale, che ora vediamo estesa, da diversi anni ormai, nell'html e quindi in internet, il concetto di "ipertesto di ipertesti": l'ipertesto più grande del mondo è la rete - è già inverato ed è già straordinario. Si tratta ora di associare altre soluzioni a quella, che è già fenomenale.
La cosa interessante è organizzare noi degli artefatti capaci di sollecitare la lettura nuova. Il problema non è quindi solo quello di fare content-providing, cioè non solo un problema di contenuti da portare all'interno delle piattaforme tecnologiche, ipertestuali o ipermediali che esse siano, ma creare forme nuove di percezione delle informazioni e della scrittura.
Mi spiego: bisogna proprio concepire nuove architetture di significati, di sensi, cioè di contenuti e di forme dentro la piattaforma tecnologica ipertestuale, che di per sé è straordinaria. Dalle prime intuizioni di Ted Nelson, stiamo percorrendo una traccia che è quella, non è che si sia inventato tanto altro.
I discorsi iniziano, non dico a complicarsi, ma a diventare più affascinanti man mano che mettiamo in relazione questa tecnologia di composizione, che è la scrittura ipertestuale, con altri media. E qui mettiamo in campo l'aspetto audio-visuale… il termine ipermediale che è quello giusto, (l'ipertestuale è quello che comunque ricombina una sorta di unità minime di significato, chiamiamole parole, frasi concetti, attraverso il sistema reticolare…). Con l'ipermediale mettiamo in campo altri aspetti, che riguardano l'audio-visivo o l'animazione (i cartoon, l'animazione flash, ecc.), possiamo andare a concepire delle opere, dei prodotti, o ancora meglio dei percorsi, perché possono anche essere dei tracciati sensibili.
Penso che realmente gli aspetti più interessanti riguardino il sistema aperto (nella rete) della scrittura più che il sistema chiuso (off line).
Mi interessa meno il sistema chiuso anche perché non sono dalla parte dell'autore ma del lettore. Un autore potrebbe tendere a difendere il suo artefatto, l'opera e dire "questa è fatta, l'ho chiusa. Ora la vendo, ora la consacro, mi faccio riconoscere attraverso la cosa compiuta". Non m'interessa questa prerogativa dell'autore. Nei confronti della scrittura, anche la mia, quella delle mie teorie, mi piace pensare a come possa influenzare e quindi a come possa essere letta, tradotta, metabolizzata, usata.


In realtà abbiamo visto progetti di scrittura generativa e come in questi ci sia l'immanenza non tanto dell'autore quanto della scrittura: il fatto che vengano creati dei testi e subito dopo spariscano lasciando spazio alla creazione di testi nuovi viene considerato un po' il loro valore aggiunto in questo momento, rientra in un concetto più largo di open-source se vogliamo…

Questo punto che hai appena toccato sposta in avanti la questione, la scrittura generativa, l'open-source, l'esperimento di Eliza 2.0 che abbiamo prodotto con trovarsinrete.org , ci fa procedere nel ragionamento.
Prima tappa del nostro percorso è stato l'assunto ipertestuale, poi quello ipermediale…


Seguiamo un ordine lineare, no?

Certo, ma secondo me dobbiamo saper giocare con questi livelli differenziati. Non possiamo permetterci di buttare a mare un brainframe, una cornice mentale strutturati in millenni di evoluzione. Nel senso che possiamo essere affascinati dalla dissociazione o perlomeno dai nuovi modi di associazione, ma non possiamo rinnegare e rigettare tutti gli altri precedenti. Rischiamo altrimenti di far saltare il tavolo, di far saltare il piano di condivisione collettiva, sociale, culturale. Non possiamo permetterci questo, anche perché questo qui è il nodo dei nodi: dobbiamo cioè misurarci con lo sviluppo orizzontale della diffusione di queste tecnologie. Non possiamo più stare a sperimentare ad oltranza. Dobbiamo creare degli standard intorno all'intuizione e alle sperimentazioni.
Quindi, tornando al percorso: dall'assunto ipertestuale allo sviluppo ipermediale. Lo sviluppo ipermediale arriva anche a contemplare a tutti gli effetti nuovi oggetti, come i videogame, e su questo punto bisogna proprio tornare perché non riguarda più solo la composizione testuale ma riguarda i sistemi di rappresentazione. Accanto alla composizione testuale e ipermediale c'è un altro sistema di rappresentazione che riguarda fortissimamente ciò che io amo definire performatività del medium. La performatività del medium è un concetto fenomenale. Riguarda la capacità di far interagire il medium digitale su più piattaforme, più contesti: dalla rete alle strade, dallo schermo alla piazza. Concepire quindi la valenza performativa dei diversi media che arrivano ad interagire con particolari momenti della vita sociale. Creando evento.
Ma passiamo all'altro punto del percorso e che tu hai anticipato: la scrittura generativa. E questo è tutto un altro fronte, molto più complesso perché riguarda l'intelligenza specifica dei software. Il fatto che si possa interagire con le macchine, con dei software per poter stabilire un rapporto di mutua collaborazione. Ed è quello che ha fatto Motor/Angelo Comino con il romanzo precedente, Il sogno di Eliza 1.0. In quel primo romanzo ha scritto un vero e proprio intreccio affidandosi a degli automatismi della macchina. La cosa che più mi interessa dell'esperienza che ha fatto Angelo, ossia di Eliza, è il fatto che ha saputo governare degli automatismi. In fondo gli artisti, i pionieri, servono proprio per sondare queste possibilità. Rendersi conto che delle tecnologie a cui noi deleghiamo delle funzioni, a cui noi ci affidiamo, che esprimono di conseguenza degli automatismi, possano essere governate. Questi artisti, questi pionieri devono mostrarci il modo per poterli governare questi automatismi. Noi pensiamo: «Abbiamo delegato a questa funzione automatica, fa le cose per noi», bene ci risolve molti problemi ma rischiamo di restare appesi al chiodo e di perdere della qualità per inerzia psichica. Platone disse che la scrittura uccide la memoria. È vero, perché la memoria naturale, la capacità di tenere a mente le cose, si indebolisce perché tu deleghi ad una nuova tecnologia, qual è stata la scrittura. È come un muscolo che non usi, si atrofizza.


D'altra parte il Fedro di Platone è stato scritto e solo così è potuto giungere a noi.

Infatti. Proprio in un mio intervento su Raisatzoom ho scritto una cosa su questa contraddizione. Ho scritto che la contraddizione si è sanata. Sia per la tecnologia scrittura sia per la tecnologia memoria, la mnemonica, quella tecnologia naturale che è il nostro modo di organizzare la memoria (penso a figure come Giulio Camillo, Giordano Bruno, che teorizzavano l'arte della memoria e si basavano su delle soluzioni "tecnologiche", combinatorie, associative, le allegorie e i genius loci).
Tornando a noi, nel rapporto tra tecnologia e memoria possiamo trovare uno dei nodi della nostra civiltà: la capacità di produrre linguaggio dal linguaggio. Nel rapporto tra tecnologia scrittura e tecnologia memoria, qualcuno ha perso e qualcuno ha guadagnato qualcosa, è una questione di reciprocità. Come in tutte le esperienze evolutive.


In questo particolare momento la responsabilità grande di chi si occupa di queste cose ci sembra sia proprio il fatto di non perdere di vista, lo dico molto semplicisticamente, che il fine non deve coincidere col mezzo. Spesso il limite di certe opere ipertestuali (stiamo parlando di ipertesto fondamentalmente) o comunque di opere ipermediali, è proprio nel fatto che la cosa più importante non sia il contenuto, per cui si cerca il mezzo adatto a veicolare quel contenuto, ma avviene il contrario, cioè la sperimentazione arriva a cercare un contenuto che sia finalizzato al mezzo.

Io non so. Pensa all'uovo e la gallina. Alla fine dei conti McLuhan stesso diceva che il medium è il messaggio, e io gli voglio bene a McLuhan, aveva ragione, non so se rendo l'idea. È chiaro che c'è anche il procedimento inverso, per cui attraverso uno strumento, attraverso un mezzo, attraverso una risorsa, io trovo il modo anche per inventare un mondo. Ed è più importante il mondo che non il mezzo che mi permette di raggiungerlo, alla fine dei conti. Però è anche vero che, pensando alla scoperta dell'America...bisogna riconoscere che la caravella è stato il mezzo che ha portato al nuovo mondo, no? L'invenzione di quel tipo di nave, di quel tipo di mezzo è importante quanto la scoperta del mondo.
Lo so la risposta è banale, la domanda è molto più articolata, però ci porta dentro una questione che riguarda poi proprio la letteratura. Sia per quanto riguarda i software di intelligenza artificiale sulla scrittura generativa sia per gli ipertesti, siamo in una fase che potremmo definire, anche banalmente se vogliamo, di "bricolage": si procede per tentativi. Prima che si possa raggiungere una forma compiuta, che si possa dare proprio forma, con la effe maiuscola, ad una tecnologia si deve andare a cercare in più direzioni. Gran parte delle scoperte tecnico-scientifiche sono nate per caso. C'è proprio un teorema, viene definito serendipity. È un concetto fenomenale: si può trovare ciò che non cerchi. Nel sistema della libera creazione, questo aspetto è fondante, non c'è proprio dubbio.
Tornando alla questione della letteratura però, quello che va sicuramente in crisi è la compiutezza della forma narrante, cioè il concetto di narrazione stessa. Nel cercare le nuove forme, investendo sul linguaggio il discorso si indebolisce. Non ho dubbi: con l'ipertesto si indebolisce il narrare.


In che modo?

Quando sento narrare voglio essere portato, trasportato da qualcuno. E quando dico "sento" già torno a fare riferimento all'oralità, se vogliamo. Narratori come Marco Baliani, Marco Paolini, Ascanio Celestini.
Ecco mi piace il fatto che quella persona mi porti. E alla fine, anche leggendo un testo, mi piace pensare che questo mi possa portare in un'avventura immaginaria e che non inizi ad aprire finestre, scuotendo la mia coscienza selettiva, in un vortice che linka a nessi cognitivi dappertutto.


Che poi il rischio è la dispersione.

È chiaro. Però bisogna fare una distinzione. Ad esempio nel mio modo di ragionare, quando parlo apro continuamente finestre. Ma sono il primo a dire «Signori, io non narro niente! Sono qui per sollecitare il vostro pensiero, sono qui per aprire campi problematici, per attivare sinapsi». Nella narrazione c'è una necessità, non dico esclusiva, ma c'è una necessità di flusso di coscienza.


In fondo il successo di quella forma di teatro della narrazione portato avanti da artisti come Baliani o Paolini, appunto, potrebbe essere un segno di questo bisogno di narrazione.

Ma sì, anche perché siamo stanchi di rappresentazione, di tutta questa ridondanza psicologica o spettacolare legata a dispositivi rappresentativi che negano l'autenticità.
Poter ritrovare una figura narrante che stabilisce con te un rapporto di narrazione orizzontale, senza verticalità interpretative, è una cosa potente. Questa non è una divagazione. Nel senso che nel momento in cui trattiamo di tecnologie ipertestuali, di rapporto con lo scrivere al tempo del digitale, mi viene in mente Walter Ong quando parla di "oralità di ritorno".


Secondo lei ci troviamo qui in una plausibile "seconda oralità" o "oralità di ritorno"?

Nel caso di Walter Ong il discorso "oralità di ritorno" riguardava tutto quello che riguarda il rapporto che c'è tra fonia/telefonia e scrittura che ora troviamo fortemente realizzato nell'ambito multimediale. Non erano ancora stati inventati gli SMS quando Ong scriveva quelle cose, neanche se li immaginava. Con gli SMS abbiamo qui adesso un altro fronte: una scrittura automatica molto vicina all'approccio orale con il linguaggio. In questo senso lo sviluppo di quello che definisco "fiction interattiva" e tutto il discorso del video-game moltiplica le potenzialità in atto.
Altro aspetto è la scrittura collaborativa, che riguarda molto l'utilizzo delle reti attraverso i forum e i "weblog", i diari del web che attraverso il caricamento automatico dei testi vede esplodere il fenomeno partecipativo della scrittura on line.


Un ritorno alla scrittura quindi, tradizione che s'era un po' persa. La scrittura come la intendevano i nostri nonni, ma col mezzo nuovo.

Certo. Se vogliamo andare a leggere questo fenomeno, già ritroviamo il riemergere di un approccio naturale, una necessità interna di trasmettere qualcosa di intimo all'altro, agli altri. Questa cosa qua secondo me esprime un gran bel valore, e va proprio colto in quanto tale. Tradurre la soggettività della scrittura immediata nell'oggettività delle reti come nuovo spazio pubblico. È un fenomeno che pre-esiste nell'e-mail, per non parlare delle chat, che sono sincroniche come una telefonata e qui si espande ancora di più. La chat è veramente molto telefonata la mail è molto lettera, tanto per semplificare. Bisogna individuare quelli che prima scrivono in Word, prendono copiano e incollano oppure fanno degli attachment e così via, da quelli che invece scrivono direttamente in linea una mail e che si avvicinano molto all'approccio telefonata. Nella chat la cosa è più naturale: sei in sincrono, sei in collegamento con l'altro che aspetta la tua risposta. È appunto un ibrido plateale tra scrittura e oralità. Il concetto di ibrido è un concetto importantissimo: è proprio questa ibridazione fra l'approccio espressivo e l'approccio comunicativo che rimette in pista l'intera questione. La scrittura nell'era digitale diventa fortissimamente tecnologia di comunicazione. Gli SMS, le chat, le e-mail, la partecipazione attiva nei forum ci dimostrano che la scrittura può diventare oggi un atto di comunicazione come forse prima non è mai stata. E questo riguarda proprio il concetto di comunicazione che per sua natura si basa sulla biunivocità. Quando chatti, non c'è dubbio, la scrittura lì è a tutti gli effetti un comunicare con altri in tempo reale. Se lo accettiamo per la chat, anche con un SMS, pur non essendo sincrono, inizi a percepire questa condizione del comunicare "scripta volant". Anche nei forum, chi vi partecipa in tempo reale, senza fare solo taglia e incolla di documenti scritti prima, stabilisce un rapporto realmente colloquiale, fa comunità, mette in circolo empatia. Non essendo sincrono il forum ti permette però di avere delle pause di riflessione e così via, vediamo quindi come esistano diverse sfumature della scrittura on line. Questo tipo di scrittura, che amo definire "collaborativa", è una scrittura che all'interno dell'ambiente telematico esercita una nuova sensibilità, che è quella di passare dalla dimensione espressiva alla dimensione della ricerca di condivisione. Questo è l'elemento secondo me più importante. In quella ipertestuale, ipermediale, o generativa si rimane all'interno dell'ambito espressivo, mentre nella scrittura collaborativa indubbiamente c'è proprio il salto di qualità. Un nuovo paradigma sociale dell'atto del comunicare. Questo è per me il dato più interessante perché non è importante esserne autore ma, al contrario, l'uso della scrittura in questo modo si sviluppa orizzontalmente e ci può permettere di comprendere quella che viene definita "cittadinanza digitale". Ecco, penso che uno dei modi migliori per partecipare alla società dell'informazione sia quello non solo di consumare le informazioni ma di produrle. C'è un termine che definisce questa nuova funzione sociale, è "prosumer": non più solo consumer ma producer, non solo consumatori ma produttori di informazioni.
Questo sarà l'elemento di maggior sviluppo, credo, della rete nei prossimi anni. E di conseguenza anche della scrittura in quanto tale.


Anche di nuove forme di letteratura in qualche modo? Già ora ci sono molti progetti in questo senso. Anche qui in Fiera se n'è visto qualcuno.

Conoscete il lavoro di Alessandro Benvenuti, lo sceneggiatore, regista? Bene lui ha messo in piedi un suo ambiente, un suo web, <http://www.a-benvenuti.com>, nel quale sviluppa un romanzo collaborativo. Un esempio come tanti altri.
Abbiamo fatto riferimento prima ad Eliza: la si potrebbe definire un'opera open-source perché c'è un software che permette di poter fare un gioco di ricombinazione del testo, non c'è il vero e proprio sviluppo nella direzione scrittura collaborativa. Quello è un modo di concepire l'open-source, ovvero un artefatto basato su un sistema aperto.


Come pensa che tutto ciò influenzerà la didattica, visto che lei si è occupato e continua ad occuparsi moltissimo di questo settore?

Secondo me è necessaria una "spallata" alla logica su cui si è basata la scuola in questi decenni. Per espandere una nuova coscienza dell'apprendimento, superando i curricoli rigidi e autoreferenziali La scuola è legata ad una didattica funzionale, che è spesso necessaria, non dico che sia sbagliata, fa parte di una sua missione predefinita. Però non basta. Chi studia e chi insegna, ragazzi e insegnanti, sa che si va a scuola non per diventare intellettuali ma per diventare cittadini. Torniamo, inesorabilmente, al discorso sulla cittadinanza digitale a cui facevo riferimento prima. La cittadinanza digitale, al di là delle formule burocratiche e gadgettarie, passa attraverso quelle forme ludico-creative di partecipazione che possono far intuire cosa possa significare Società dell'Informazione. La via ludico-partecipativa alla cittadinanza digitale trova anche nelle esperienze di trovarsinrete.org una sua piattaforma sperimentale. Lo scorso anno quando siamo partiti con gli incontri nella Biblioteca Multimediale di Settimo Torinese ci siamo rivolti al mondo della scuola fondamentalmente. Siamo partiti da una ricognizione delle esperienze per cercare di capire che cosa stava accadendo nel mondo della multimedialità e in che modo si trasformava la pratica della lettura e della scrittura. Il lavoro che abbiamo fatto è stato quello di entrare nel merito delle tecnologie intese come linguaggi, per capirne realmente la dinamica compositiva e non solo quella strumentale. Spesso l'insegnante spera di acquisire la strumentazione per poter fare le cose e c'è poco approccio culturale sulle questioni epistemologiche, ed è invece su questo che noi abbiamo investito moltissimo. Tutto quello che riguardava la piattaforma di scrittura collaborativa era poi oggetto del forum per fare di questi appuntamenti un'occasione per confrontarsi.
Dicevo prima: fare interconnettere i diversi piani, quello culturale con quello tecnologico. Se la rete può rappresentare l'auspicata convergenza di media, ciò significa in qualche modo portare all'estrema conseguenza l'ibridazione della scrittura con gli altri media, quelli audiovisivi in primo luogo. Da qui si va verso un altro ragionamento, quello che concerne il format post-televisivo. Il medium scrittura che interagisce con la dimensione radiofonica, con quella televisiva, con quella cinematografica: alla fine di tutto quanto può uscire fuori qualcosa che spiazza il sistema culturale e dell'entertainment. Come per il Blair witch project, quella leggenda metropolitana messa in forma cinematografica da quei ragazzi americani, che nasceva da un newsgroup, da una sorta di burla on line, da un virus mediatico… «il linguaggio è un virus», diceva William Burroughs. Usare il linguaggio per diffondere storie virali, leggende metropolitane. Proprio come un virus, per iniziare a costruire delle forme inedite di narrazione, di epos.
Questo fenomeno secondo me è interessante, inizia ad entrare fortemente dentro l'idea di letteratura, la capacità di raccontare storie al nostro tempo, nell'era della simultaneità, nell'era della sincronicità. Il fatto di poter concepire qualcosa che possa raccontare storie attraverso diversi media, attraverso piattaforme convergenti. E il web è sicuramente il più forte, il più diffuso.
Non più forte perché intercetta più spettatori. La televisione ne ha di più di spettatori, in una botta sola però. Ma in un mese un'esperienza on line può fare numeri maggiori di quelli che fa una trasmissione televisiva in una serata. Su questo aspetto non ragionano molto i pubblicitari e quelli che vanno a riconoscere la valenza dell'audience. Perché il milione potresti farlo in teoria dopo un mese di contatti con lo stesso sito, con lo stesso artefatto nel web, con la stessa storia messa lì e che agisce su più piani.


E per quanto riguarda gli e-book, che non hanno avuto quel successo che ci si aspettava, pensa che questo sia legato al fatto che sono una forma di ibridazione ancora troppo attaccata alla forma "chiusa" del libro, magari non avendo poi le stesse qualità?

Mi viene un po' da ghignare. Era abbastanza evidente che l'idea dell'e-book in un mercato editoriale dove i cd-rom non hanno preso piede fosse un falso obiettivo. Gli osservatori dei mercati editoriali, la stessa Fiera del Libro, si buttano su questi oggetti, convinti di cogliere la margherita tecnologica dell'ultimo grido, perché corrispondono a una loro necessità intrinseca, quella merceologica. L' e-book, come i cd-rom, come il libro sono hardware. Il problema qui è il software. È come scrivi, è come racconti, è come riesci a suscitare emozioni, e come implementi in una piattaforma multimediale. L'e-book e l'idea di chi vuole avere l'oggetto ipermediale e trasportabile, non trova sviluppo non solo per i costi ma per il fatto che è poco versatile, poco interattivo e ingombrante.
C'è da aspettare la nuova generazione di cellulari, con lo standard dell'UMTS, che supererà il GSM portando sullo strumento portatile centinaia di Kilobyte, o le nuove soluzioni wireless che senza cavi ci fanno connettere a internet in banda larga. Ecco lì forse vedremo qualcosa di interessante. E dico forse, perché anche lì si procede per tentativi. Sono in tanti ad inventarsi soluzioni, bricolage, cose più o meno intelligenti, più o meno furbe, ma prima che si possa stabilizzare una forma all'interno di queste sperimentazioni tecnologiche ce ne vorrà. E molto dipende dalla nostra capacità di porre domande ad un'offerta di tecnologia che ancora non sa trovare la misura giusta per creare nuovi valori d'uso.


Vorremmo chiudere chiedendole se ci può accennare ai suoi progetti più recenti.

La linea d'iniziativa che privilegio è quella sull'arte dello spettatore in rete. Riguarda la partecipazione di spettatori teatrali attraverso lo sguardo dinamico, lo sguardo partecipato espresso nei molteplici forum on line che danno vita a ciò definisco "la rete degli sguardi". Su <http://www.teatron.org> troverete molto su questo argomento, sullo sguardo partecipato dello spettatore che attraverso la rete può creare circoli dell'empatia. M'interessa proprio l'idea di comunità degli spettatori che attorno a particolari fenomeni teatrali riescono a creare delle zone temporaneamente autonome di sensibilità.
Infine un riferimento a <http.//www.trovarsinrete.org> è proprio d'obbligo. Questa è una piattaforma ideale perché si sviluppa intorno ad una Biblioteca multimediale radicata sul territorio (quello di Settimo Torinese), amo definirla piattaforma e non sito web perché tende a svilupparsi sulla base della progettazione in progress e non su un info design precostituito. In questo ambito si sta sviluppando un Osservatorio sulla scrittura mutante che per il 2004 prevede un Concorso nazionale. Un occasione per fare venire fuori allo scoperto le nuove forme di scrittura in ambiente digitale, dalla narrazione on line alle diverse pratiche poetiche multimediali, comprendendo animazioni flash, ipermedia che contemplano l'uso di filmati, sceneggiature ipertestuali con una struttura propria e tante altre forme che al momento è possibile immaginare ma su cui l'underground della sperimentazione elabora in silenzio.
Come ho già detto la scrittura, come gran parte dei nostri rapporti con il mondo in accelerata trasformazione, sta mutando. È una condizione determinata non solo dalla velocità dello scambio comunicativo ma dalla quantità d'informazioni che ci pervadono. Tutto questo tende a produrre una crisi dei modelli espressivi, senza dubbio, ma come tutte le crisi può tradursi in una crescita e nella ricerca di nuove possibilità evolutive. Rispetto a quella quantità e velocità emerge la necessità di una qualità in grado di ristabilire un equilibrio tra il pensare e l'agire nel campo del linguaggio. È di questo che si tratta: attivare una ricognizione sulle nuove modalità di espressione all'interno di quell'ambiente digitale in cui la comunicazione, anche se rischia delle perdite (le dinamiche logico-consequenziali, ad esempio), offre potenzialità straordinarie.
Il termine "scrittura mutante" è certamente generico, e anche un po' ironico (lo confessiamo), ma ci permette di affrontare le differenze di approccio alla sfera della parola e del suo utilizzo nel contesto multimediale. Ponendoci domande come: in che modo la narrazione, propriamente lineare, può misurarsi con l'ipertestualità? O ancora. Come si coniugherà la scrittura con le soluzioni audiovisive nei nuovi supporti editoriali, CD-ROM, DVD o E-Book? Come ridefinire il ruolo singolare dell'autore all'interno delle reti basate sulle proprietà "plurali", connettive e collaborative? In che modo le tecniche dei software si riveleranno linguaggi capaci di attrarre le nostre sensibilità?

 

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Giugno-dicembre 2002, n. 1-2