François Livi
Tradurre Buzzati

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Sommario
I. La fortuna di Buzzati nel mondo francofono
II. L'«assimilazione» di Buzzati in Francia
III. Le traduzioni e l'interpretazione critica
IV. Conclusione


§ II. L'«assimilazione» di Buzzati in Francia

I. La fortuna di Buzzati nel mondo francofono

Sarà utile, in un primo tempo, fornire alcuni dati quantitativi sulla popolarità e la moda1 buzzatiana in Francia e nei paesi di lingua francese, per poter sottolineare, in seguito, i paradossi di questo successo sorprendente. A priori niente sembrava predestinare Buzzati al successo eccezionale che ha conosciuto in Francia. Egli non appartiene a una di quelle famiglie prestigiose che hanno trovato a Parigi una seconda patria. Buzzati non è né francofono, né bilingue, contrariamente a F.T. Marinetti, Soffici, Papini, Ungaretti, Alberto Savinio, suo fratello Giorgio De Chirico, più recentemente a Curzio Malaparte, l'autore di Technique du coup d'état e del Journal d'un étranger à Paris2 (ci sarebbe ancora molto da dire sulla natura di questi bilinguismi, spesso più mitici e affettivi che effettivi). Comunque sia, Buzzati non contribuisce in nessun modo alla diffusione del mito di Parigi. Nella sua formazione, la ville lumière non è la tappa obbligata di un «grand tour» rivisto secondo le esigenze del ventesimo secolo: si pensi a Lorenzo Viani, a Mario Tobino per un'epoca più recente, a molti altri scrittori e artisti. Buzzati va a Parigi nel 1955, per assistere alla messa in scena di Un cas intéressant, un'opera teatrale tratta da uno dei suoi racconti, allestita da Albert Camus.3 Vi ritornerà, quasi in incognito, nel 1966, dopo il suo matrimonio.
Il suo successo in Francia non è dovuto alla sua partecipazione alla vita intellettuale e letteraria della capitale, ad affinità culturali particolarmente marcate, ma unicamente ai suoi libri.
È nel 1949 che Buzzati fa il suo ingresso trionfale nella cultura francese, quando i misteriosi cavalieri del Deserto dei Tartari irrompono nel mondo francofono. Il successo parigino favorisce, com'è ovvio, la diffusione dell'opera di Buzzati in altri àmbiti linguistici. Occorre tuttavia notare che la prima traduzione straniera di questo romanzo (pubblicato a Milano nel 1940, ristampato nel 1945) era stata la traduzione tedesca: Im vergessenen Fort4 era apparso nel 1942, in piena guerra, nella traduzione di Richard Hoffman.
Un approccio quantitativo permette già di misurare l'ampiezza di questo successo.5 Se si accetta come primo parametro, per la prosa, il numero di edizioni, si rileva, per il periodo considerato, l'egemonia di Moravia. Tuttavia, tallonato da Calvino e Sciascia, a partire dal 1976 lo scrittore romano perde terreno. Con le trentacinque edizioni dei suoi romanzi e racconti, Buzzati occupa un quarto posto tanto più invidiabile in quanto la prima traduzione di uno dei suoi libri risale al 1949. Se si considerano questi stessi dati raggruppandoli per decenni, fin dal 1957-1966 Buzzati occupa il terzo posto, dopo Moravia e Malaparte. Sale al secondo negli anni 1967-1976. Se è vero che negli anni 1977-1986 Buzzati non è che quinto, questa leggera flessione non modifica la curva, sempre ascendente, delle edizioni delle sue opere: sette (1957-1966), dodici (1967-1976), tredici (1977-1986).
La passione dei lettori per Buzzati non si è mai interrotta. Al contrario, il suo successo è andato crescendo dal 1949, quando Le Désert des Tartares, tradotto da Michel Arnaud apparve nella collana «Pavillons» di Robert Laffont. Le traduzioni si sono succedute ad un ritmo costante, mentre lo scarto temporale tra le edizioni originali e le traduzioni francesi andava riducendosi. Sulla scia del Desért, appaiono i primi due romanzi brevi di Buzzati: nel 1959, Barnabo des montagnes seguito da Le secret du Bosco Vecchio, volume arricchito da una prefazione di Marcel Brion. L'écroulement de la Baliverne esce nel 1960; L'image de pierre nel 1961; Un amour nel 1964; Les sept messagers (da non confondere, malgrado il titolo, con la prima raccolta di racconti che Buzzati aveva pubblicato nel 1942)6 nel 1969. Tutti questi libri sono tradotti da Michel Breitman.
Gli appunti En ce moment précis, tradotti da Jaqueline Romillet, erano stati pubblicati nel 1965; Le K nel 1967. E bisognerebbe citare ancora Poèmes-bulles, tradotto nel 1970 da Antoine Ottavi e Max Gallo, i racconti Le nuits difficiles, Le rêve de l'escalier, tradotti Da Michel Sager, nel 1972, l'anno della morte di Buzzati. Per non prolungare questa lista, che si è arricchita dopo il 1972, di tutti i testi inediti o non tradotti di Buzzati - dal reportage giornalistico alle poesie, dalle lettere alle opere teatrali - menzioniamo unicamente le conversazioni che Buzzati aveva concesso, qualche mese prima di morire, a Yves Panafieu. Sono stati pubblicati quasi contemporaneamente in Italia e in Francia: da Mondadori (Un autoritratto) e da Laffont, con il titolo suggestivo di Mes déserts (1973). Mai un tale libro era stato immaginato da un critico italiano.
In Francia e nei paesi francofoni, Buzzati è dunque stato riconosciuto come uno dei «classici» del ventesimo secolo, dalla critica e dal pubblico dei lettori. C'è stata una interazione perfetta tra l'azione della critica, il ruolo dei traduttori e degli editori, ma nessun elemento sembra aver giocato, da solo, un ruolo decisivo.
Questa bella unanimità non finisce di stupire se si sa fino a che punto l'opera di Buzzati sia stata trattata con sufficienza, fino ad un'epoca recente, nel suo stesso paese. Buzzati non aveva niente per piacere all'intellighenzia italiana. Dal 1945 alla sua morte, essa gli ha rimproverato, confusamente, la povertà delle idee e dello stile, la sua mancanza d'interesse per i grandi dibattiti intellettuali - che ha in effetti regolarmente disertato - il suo «passatismo» ideologico, le sue origini borghesi, e così via. In compenso, è stata ricordata con degnazione la sua attività giornalistica. Questa diffidenza delle consorterie letterarie e delle confraternite ufficiali, sfociava in un giudizio severo: scrittore dalla scrittura facile, Buzzati poteva di certo suscitare l'interesse del grande pubblico, ma non quello dei lettori più avveduti. Buzzati, da parte sua, non ha mai mancato di stigmatizzare l'oscurità gratuita degli «intellettuali». Bisogna concluderne che il suo successo in Francia sia fondato su un equivoco o su un'assimilazione tendenziosa?

 

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II. L'«assimilazione» di Buzzati in Francia

Le due «locomotive» dell'opera buzzatiana in Francia sono sempre state Le désert de Tartares e Le K. Questo romanzo, questa raccolta di racconti segnano una linea di sviluppo critico che si è imposta fin dall'inizio in Francia. Buzzati è stato considerato, a ragione, come un «maestro del fantastico», come un affascinante esploratore degli abissi che l'uomo scopre, con sbigottimento, nella sua realtà quotidiana. Uno scrittore dell'inquietudine, che sa cogliere i misteriosi legami che uniscono il mondo cosiddetto «reale» alla faccia nascosta di una realtà molto più complessa di quanto appaia. Uno scrittore fantastico e in più moralista.
Che queste due tradizioni - la vena fantastica e la letteratura moralista - siano fortemente radicate nella cultura francese, è un'evidenza che è bene ricordare. Ora, pur essendo considerato come ciò che era, cioè uno scrittore straniero, Buzzati ha potuto essere inserito con la più grande naturalezza in un orizzonte tipicamente francese. Inoltre ci si è compiaciuti di evidenziare le influenze pascaliane delle pagine migliori di Buzzati, così come i rapporti sottili che egli intrattiene con una grande famiglia francese ed europea - Puškin, Gogol, Kafka, Ramuz, Julien Gracq - che Buzzati arricchisce con il suo contributo inimitabile.
I pregiudizi e le reticenze della critica italiana nei confronti di Buzzati non hanno avuto corso in Francia, a causa di un contesto culturale molto diverso. La marginalizzazione, poi la messa al bando, della vena fantastica in Italia negli anni Trenta e Quaranta, l'assenza nella scrittura di Buzzati di quella memoria cumulativa (nessuna traccia della prosa d'arte, delle ricerche «ermetiche» degli anni Trenta, tantomeno del verismo imposto dalla corrente neorealista a partire dal 1945) che caratterizza la cultura italiana, sono argomenti troppo peninsulari per valicare le Alpi.
In fondo la grande fortuna di Buzzati in Francia è stata quella di essere dapprima apprezzato non da specialisti di letteratura italiana, ma da scrittori, quali Marcel Brion, specialista di letteratura tedesca e di arte fantastica, o Albert Camus; da romanzieri, come Michel Suffran e Hector Bianciotti; da critici, come André Brincourt o François Bott, per nulla influenzati dalle mode universitarie. Il mondo universitario e gli italianisti hanno giocato un ruolo, ma solo più tardi.
Sarà ormai chiaro che l'«assimilazione» francese di Buzzati non ha niente di superficiale. Essa poggia su una interpretazione che non manca di coerenza. Così come i lettori e i critici lo disegnano, questo profilo critico ha tratti ben precisi: scrittore fantastico, Buzzati è l'interlocutore sorridente della morte; al giornalista si aggiunge il moralista; ma esiste anche nella sua opera una zona d'ombra, precisamente quella dove queste due linee di forza perdono vigore: i romanzi Un amour e L'image de pierre, per esempio, ma anche molti racconti.
Se si fa ricorso a questi parametri, Le Désert des Tartares non può non apparire, in Francia, come il capolavoro di Buzzati.

 

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III. Le traduzioni e l'interpretazione critica

Tradurre è anche far capire meglio. Le edizioni bilingui di molti libri di Buzzati, pubblicati in edizioni tascabili, sono in questo senso certamente chiamate a giocare un ruolo importante. Poiché si rivolgono ad un pubblico molto ampio (studenti universitari, delle scuole superiori, pubblico colto che conosce un po' d'italiano o che si prefigge di fare qualche ricerca sul testo originale), questi volumetti propongono in effetti delle note assai numerose. Sul piano linguistico, esse illustrano alcuni aspetti grammaticali e sintattici dell'italiano, i suoi campi lessicali, giustificano all'occorrenza questa o quella scelta del traduttore, pur dando uno scorcio sui fenomeni stilistici propri dell'autore studiato. Sul piano culturale, esse collocano le opere studiate nel loro contesto storico, mettono in luce le allusioni letterarie, offrono prospettive sull'organizzazione formale dei testi, aprono dei percorsi per studi tematici, in breve per una «explication de texte» così come la si pratica in Francia.
Ma uno dei vantaggi di questa formula, senza dubbio, consiste nell'invitare il lettore ad un confronto personale ed immediato fra il testo originale e la sua traduzione francese. Al di là dello studio «critico» della traduzione, gioco tanto divertente quanto sterile, da questo confronto fra l'italiano e il francese, da questa analisi attenta del testo dell'autore e delle scelte del traduttore, possono scaturire percorsi di lettura interessantissimi. Citiamone alcuni. Prima di tutto una ricerca più approfondita del vocabolario dell'attesa e dell'angoscia in Buzzati (cfr. angoscia, ansietà, orgasmo, ecc.) e le sue possibili trasposizioni in francese. Si sa che orgasmo, nell'accezione di agitazione torbida, di sovreccitazione, di emozione forte e ambigua, è una parola ricorrente ne Il deserto dei Tartari. E che questa parola chiave del vocabolario buzzatiano, intraducibile in francese con un solo termine, non figura che una sola volta nel Barnabo delle montagne. Il vocabolario della montagna, la cui grandissima varietà non è mai il frutto del caso sotto la penna di Buzzati, poiché essa risponde alla ricerca di effetti psicologici e simbolici molto precisi, meriterebbero anche, a partire dai testi italiani e francesi, uno studio approfondito.
Infine le edizioni bilingui facilitano ricerche sulla tecnica narrativa in Buzzati. Essa è spesso fondata sulla ripresa letterale di immagini, addirittura di passaggi interi, il cui vero significato appare solo ad un confronto retrospettivo. Insomma, questi testi applicati agli originali italiani e alle traduzioni, confermano ampiamente che la lingua e gli strumenti tecnici del Buzzati migliore sono molto meno elementari di quanto sembri (o che si è voluto fare credere).
In fondo il successo di Buzzati nei paesi di lingua francese è un esempio eccellente della maniera in cui le traduzioni, qui considerate in tutte le loro forme editoriali, possono servire all'interpretazione critica. È senza dubbio la fortuna eccezionale che Buzzati ha conosciuto in Francia che ha indotto la critica italiana a leggere in modo meno ingiusto e superficiale quest'opera, la cui qualità, aggiungiamolo, non è sempre uniforme. Per lo meno si è avuto - e continua ad aversi - una interazione feconda fra le tendenze critiche francesi e il recupero d'interesse dei centri universitari italiani per Buzzati. Il convegno internazionale organizzato a Venezia il 3 e 4 novembre del 1980 ne fornisce l'esempio più probante. È d'altronde in Francia che è nata l'Association Internationale des Amis de Dino Buzzati, sostenuta da due universitari, Yves Panafieu e Marie-Hélène Caspar, a cui noi dobbiamo le due prime tesi di laurea francesi su Buzzati. E questa Associazione lavora ormai in stretto contatto con l'Associazione Dino Buzzati, fondata nel 1988 a Feltre, vicino alle Dolomiti care a Buzzati.
Su un altro piano, il successo di Buzzati nell'area francofona, la facilità con la quale egli stabilisce un dialogo con il lettore francese, ricordano, per contrasto, che la trasposizione (e non la semplice traduzione, tecnicamente sempre possibile) nel sistema culturale francese di un certo numero di correnti culturali italiane del ventesimo secolo è delle più ardue: penso alla corrente rondista, alla prosa d'arte, ad alcuni esiti del neorealismo più ortodosso, alla letteratura aziendale.

 

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IV. Conclusione

Per concludere: Buzzati è stato tradotto in tutte le accezioni del termine in Francia. Presente in libreria, egli è stato presto assimilato a una stirpe prestigiosa di moralisti e di scrittori fantastici. E l'interpretazione francese dell'opera di Buzzati ha contribuito, e non poco, a un migliore apprezzamento critico dello scrittore in Italia. Si può chiedere di più a delle traduzioni? È giusto lasciare la parola a Marcel Brion che, per primo, scriveva del Deserto dei Tartari: «È un libro di una grandezza eccezionale, non solo per la letteratura italiana contemporanea, ma anche per la letteratura mondiale. Bisogna forse risalire fino al Castello e fino al Processo per trovare una domanda così drammatica e appassionata sulla ragione di vivere e sulla fatalità del destino umano».

 

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Bollettino '900 - Electronic Journal of '900 Italian Literature - © 2001

Dicembre 2001, n. 2


 
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